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Autore: Sphaira    28/04/2013    0 recensioni
"[...]Più delle parole ha potuto dire solo il bacio che ci siamo scambiati subito dopo, leggero, dolce, lungo e ingenuo. Ci siamo staccati solo dopo diversi secondi, guardandoci negli occhi, con un sorrisino e un lieve rossore sulle guance di entrambi. Ci siamo accoccolati sotto la coperta, e pian piano ci siamo addormentati senza dire più nulla, cullati dal battito delle gocce di pioggia, e rasserenati da una leggera fragranza di piante proveniente dall’esterno."
{Si consiglia di leggere con la canzone di Kevin MacLeod "Heartbreaking"~
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piove, fuori.
E’ un freddo pomeriggio di inizio primavera. Nonostante l’aria pungente non sia assolutamente confortevole, indosso solo un top, dei pantaloncini corti e dei calzini di lana, e con aria assente ho lo sguardo puntato su un libro tenuto sulle ginocchia incrociate che non riesco proprio a seguire. La mia testa è altrove, e non riesco a concentrarmi. Sospiro, alzo lo sguardo. La cameretta semibuia risplende quasi di luce propria coi suoi colori tenui, allegra, tuttavia le nuvole spengono l’atmosfera, e il rumore della pioggia che batte sul vetro della finestra rompe il silenzio surreale in cui piomba il posto quando sono sola. Seduta a terra, in un angolo della stanza, mi sembra di rivedere tutti i momenti che abbiamo passato insieme come se fossi una telecamera che riproduce una pellicola. Un nuovo sospiro. E ad un certo punto una coperta poggiata sulle mie spalle.
«Huh?»
Mi volto indietro. Non l’ho sentito arrivare. Lui è tornato.
«Si gela, non dovresti stare vestita così leggera. Ti prenderai un malanno.»
«Parli tu che giri sempre a mezze maniche.»
Qualche secondo di silenzio, poi scoppiamo a ridere.
 
Dopo una decina di minuti, l’ho costretto a mettersi sotto la coperta con me, per cui ora stiamo lui seduto con la schiena al muro, io con la schiena poggiata sul suo petto con le gambe tirate su e la coperta che avvolge entrambi; la teniamo entrambi con le mani, le dita incrociate, e guardiamo entrambi la finestra. Il silenzio che si viene a creare quando noi non parliamo è tutt’altro che pesante. E’ colmo di pensieri e di sentimenti che diventano quasi palpabili. Socchiudo gli occhi, e poggio la nuca sulla sua spalla, guardandolo con la coda dell’occhio.
«Ehi.»
«Mmh?»
La sua voce si prolunga per poco quando dice “mmh”, ma è uno dei suoni che adoro di più. Solo in questo mi sembra di percepire una dolcezza profonda nei miei confronti. Quella dolcezza che riserva esclusivamente a me. Quella dolcezza che amo a più non posso.
«Ricordi quando ci conoscemmo, da ragazzi? Prima che ci mettessimo insieme?»
Sorrido tra me e me, e mi scappa una risata da bambina birichina.
«Certo.»
«...non avevo alcuna idea di quello che saremmo diventati un po’ più in là, all’inizio. Sembrava una cosa così lontana e impossibile.»
«Già... Mi hai fatto aspettare un bel po’, eh.»
«Scuuusa!»
«Mah, non importa. Sono ancora convinto di quello che ho fatto, e lo rifarei altre mille volte.»
«Davvero valevo – anzi, davvero valgo così tanto?»
«Sì.»
Nel periodo in cui ci conoscemmo io avevo davvero tanti pensieri per la testa. Stavo per passare quel piccolo periodo di fidanzamento con la mia precedente cotta, “premio” per cui avevo aspettato otto lunghi mesi di agonia. E quel piccolo riparo resistette solo tre mesi, per poi farmi trovare di nuovo in una bufera, quella del ritrovarsi soli, forse più forte della precedente d’attesa, durante la quale non riuscii a capire a fondo quando forte fosse il suo sentimento. Mi capitò anche di mettere in secondo piano il nostro rapporto per via di una terza persona. Ma quando anche questa diventò fonte di dolore, lui mi dimostrò con i suoi piccoli, soliti gesti quanto davvero mi amasse, contagiandomi e legandomi a lui, facendomi sentire finalmente libera, col cuore in pace. Mi aiutò davvero molto. Gli sarò riconoscente per sempre, oltre che vincolata da quella furia chiamata Amore che non evita né dimentica nessuno.
«Ma la tua attesa nemmeno finì là in effetti, aspettammo tanto insieme anche dopo.»
«Ma quella è stata un’attesa condivisa, e poi ci siamo comunque fatti compagnia a vicenda, facendo passare il tempo.»
«Per quello posso dire anch’io che ne è valsa tantissimo la pena. Per quanto fosse difficile sopportare la distanza ci siamo arrangiati bene.»
«Ho ancora tutto conservato, lo sai?»
«Non avevo dubbi! Ma sono sicura che tu non l’hai in ordine cronologico...»
«E invece sì!»
«Eeek? Davvero!?»
«Perché?»
«Perché io sto ancora finendo di riordinare..!»
Piagnucolo un pochino.
«Suvvia, suvvia, ti aiuterò io quando ci andrà di andare a rimettere le mani tra le carte.»
«Mnhh... Va bene, grazie.»
Abitavamo tutti lontani, sia noi che le altre conoscenze, anche se in ogni caso riuscivamo a comunicare e a conoscerci tutti. Quel giorno di Febbraio in cui finalmente ricambiai appieno il suo amore era il primo di una lunga serie di un rapporto a distanza. Lui è più grande di me, e quell’anno compì diciott’anni, per cui pensavamo che sarebbe stato più facile vederci. Ma non fu effettivamente così. I nostri genitori furono i problemi maggiori, sia per chi non si fidava, sia per chi non lasciava andare per incontrarci. Specialmente la prima volta in cui non riuscimmo a vederci facendo il conto alla rovescia da più di due mesi prima soffrimmo entrambi tantissimo. Ma ci riprendemmo. Passammo soprattutto i periodi estivi insieme, e quando dovevamo separarci era sempre uno strazio, anche se alla fine per quanto mi riguarda rimanevo sempre tanto felice; e non solo del tempo passato, ma perché la volta successiva sarebbe stata ancora migliore. Sogni ingigantiti dall’età adolescenziale, certo, ma erano belli proprio per quello. Anche perché, una volta realizzati, sembravano davvero così grandiosi e speciali, colorando delle vite che precedentemente sembravano grigie di tutte le sfumature dell’iride.
Dopo un po’ che nessuno ha detto più nulla, poi, abbassa il suo viso sulla mia spalla per poggiarvi il mento, e alza le nostre mani sinistre, facendo sfiorare i due anulari con l’anello nuziale, per poi poggiare la mano destra sulla mia pancia. Ne sono sicura, sta ripercorrendo con me la nostra storia, e in qualche modo stiamo seguendo lo stesso filo conduttore, con gli stessi eventi, le stesse scene; solo diverse prospettive, ma di un cuore che ormai è uno solo.
Quando riuscimmo a trovare una soluzione per vivere insieme, tempo di finire i nostri studi che ci sposammo. Facemmo la cerimonia in chiesa: lui aveva uno smoking nero classico – stava davvero benissimo – ed io uno stupendo vestito bianco con tanto di strascico e veli, cucito da mia nonna, come mi aveva promesso quando ero una ragazzina. Partimmo la mattina dopo il ricevimento per la città portuale vicino alla nostra, e lì ci imbarcammo per il nostro viaggio di nozze che fu una crociera di una settimana e mezzo. Una follia, specialmente per noi appena sposati, ma il viaggio di nozze si fa una volta nella vita, ci dicemmo. Era come un sogno. E nonostante come tutte le coppie normali nel primo anno avemmo diversi problemi, li superammo e ci stabilizzammo prima del previsto. Qualche anno dopo ero incinta. Come lo ero stata io, anche loro furono un regalo di San Valentino: i miei tanto sognati e desiderati gemelli erano arrivati davvero, per le possibilità maggiori che avevo di concepirne per via di mia nonna e della sua gemella. Erano un maschietto e una femminuccia. I loro nomi furono Ivan ed Elena. Più tardi arrivò anche un’altra femminuccia, Sarah. Costruimmo una famiglia felice; quando ebbe trent’anni, il primo a sposarsi fu Ivan, poi Sarah ed infine Elena, e fummo nonni di cinque splendidi nipotini.
Subito dopo, gli ho stretto forte la mano sinistra con entrambe, lasciando andare un po’ la coperta.
«Ehi...»
Deve aver intuito a che punto sono arrivata.
«Non ci pensare. Capita a tutti prima o poi.»
«Sì, ma io volevo--»
«Capita all’improvviso,» mi interrompe, saggio, «e non ci si può fare niente. Chi rimane deve solo essere felice, in modo da far riposare in pace chi scompare nell’attesa di ritrovarsi nell’aldilà.»
«Nh...» Mi rimpicciolisco tra le sue braccia, e lui tira di nuovo su la coperta ad avvolgerci entrambi. «Comunque non immaginavo che l’aldilà fosse così.»
«Già... Neanche io. Ogni metà con una dimensione a sé che può richiamare la vita vissuta e le persone care fino a una nuova reincarnazione. Nessuna dottrina l’accetterebbe. Ma le anime a quanto sembra hanno dei ricordi e dei sentimenti abbastanza forti da poter creare tutto questo.»
«Chissà se l’universo è il ricordo di Dio?»
«Domande filosofiche di cui noi esseri comuni non abbiamo diritto di sapere la risposta.»
«Scommetto che però è così.»
Momenti di silenzio.
«...Sai che abbiamo la possibilità di rinascere, tutti noi, no?»
«Sì.»
Prendo fiato, un tantino tesa, per cui non riesco che ad abbassare gradualmente la mia voce di tono. «Non credo di essere capace di staccarmi da questo mondo, sai... Ma non voglio... Non voglio che tu rimanga vincolato solo per rimanere con me.»
Non avevo mai affrontato apertamente l’argomento prima. Ormai erano almeno un paio di mesi che ci eravamo ricongiunti. Avevamo riavuto un corpo giovane, il nostro da ragazzi; vivevamo insieme nella solitudine e nella pace più assoluta, con la possibilità di rimanere lì a tempo indeterminato, senza alcun tipo di problema, come se tutto fosse congelato; ma forse è proprio questo a spaventarmi, questo ghiaccio che blocca il tempo, che magari può portare lo spirito all’esasperazione. So bene cosa significa, poiché i primi tre anni e mezzo in quel posto li avevo passati da sola senza possibilità di evasione – lasciare la dimensione è possibile solo quando entrambe le anime fautrici della stessa sono consenzienti, e se una delle due manca, la cella è chiusa. Non voglio assolutamente che lui soffra lo stesso a causa mia, per quanto bello possa sembrarmi...
Silenzio. E’ come se ci stesse pensando. Io mi accoccolo meglio, stringendo di più le mani, trattenendo quelle sensazioni cercando di pensare che potrebbe essere l’ultima volta.
«Ricordi a cosa abbiamo risposto di sì, quando ci siamo sposati?»
«Certo.»
Piccola pausa. «Finché morte non ci separi... E’ stato riduttivo.» Mi lascia le mani, e mi avvolge un braccio intorno per tenere la coperta mentre porta l’altro ad accarezzarmi i capelli. Sorride, anche se non lo vedo. Io ascolto col fiato sospeso.
«Non ho bisogno di un’altra vita o di nuove emozioni. Tutto quello di cui ho bisogno lo sto stringendo tra le mie braccia. »
Poche parole che vanno dritte al punto. Semplici, dritte al punto. Dritte al cuore.
«Amore...»
Più delle parole ha potuto dire solo il bacio che ci siamo scambiati subito dopo, leggero, dolce, lungo e ingenuo. Ci siamo staccati solo dopo diversi secondi, guardandoci negli occhi, con un sorrisino e un lieve rossore sulle guance di entrambi. Ci siamo accoccolati sotto la coperta, e pian piano ci siamo addormentati senza dire più nulla, cullati dal battito delle gocce di pioggia, e rasserenati da una leggera fragranza di piante proveniente dall’esterno.

  
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