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Autore: Nagem    28/04/2013    3 recensioni
Rockfield Studios, Maggio 1995.
E se dopo il famoso litigio tra i due fratelli durante la lavorazione di "(What's the story) Morning Glory?" Liam - e non Noel per una volta - avesse deciso di mollare tutto? Che ne sarebbe stato di lui? E di Noel? Gli Oasis avrebbero avuto lo stesso successo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Gallagher, Noel Gallagher
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14

Dalmeny

Dopo essersi sfilato il grembiule blu scuro (“Un grembiule? Ma porca miseria, sembro mia nonna!” aveva pensato il primo giorno di lavoro da Mood’s, tempo prima) Liam si rimise il maglione e il pesante piumino bianco e uscì nell’aria freddissima e ghiacciata del Dicembre canadese. Il cielo era scuro da diverse ore ma le strade sfavillavano di lucine colorate: la piccola Dalmeny si preparava a festeggiare il Natale 1996, ormai alle porte.

Camminava veloce, mentre la neve fresca scricchiolava sotto ogni suo passo e il suo respiro si trasformava in nuvolette bianche, gli occhi erano resi appena lucidi da quell’aria gelata, quasi elettrica. Si sentiva leggero, mentre salutava e veniva salutato da quasi ogni persona che passava, erano lontani i tempi in cui viveva appartato, con la voglia di scappare invece che di socializzare con gli abitanti della minuscola comunità che gli era capitata in sorte quando aveva scelto di andarsene. Erano lontani quei tempi che ricordava come un tunnel lungo e buio, in cui usciva dal suo monolocale solo per andare al cantiere e gli sembravano distanti anni luce, anche se temporalmente erano in realtà più vicini, i mesi in cui passava la notte a devastarsi facendo la spola fra gli unici tre pub di zona. Scosse la testa, quasi a scagliare via lontano quei ricordi, non aveva nessuna voglia di intorbidirsi i pensieri, non quella sera, non di nuovo.

Meglio pensare a Sophie. Doveva decidersi a parlarle, lo sapeva. Più tempo avrebbe aspettato, più rischiava di farsi sfuggire di mano il tutto. Gli era sempre più difficile comportarsi normalmente in sua presenza, da “amico”. Gli era ormai quasi impossibile mostrarsi indifferente quando gli raccontava cosa aveva fatto la sera precedente e magari nel racconto si intrufolava pure quella testa di cazzo, quello Steve Vattelapesca, il suo ex storico. Oppure quando gli parlava di qualche nuovo paziente e lui non poteva fare a meno di pensare che avrebbe messo le sue mani sulla pelle dell’imbecille che si era rotto qualche stupido osso mentre avrebbe fatto meglio a rompersi la testa. Anche in quel momento, mentre ci pensava, sentiva ribollire il sangue.

Non riusciva a capire perché continuasse a rimandare. Di cosa cazzo devo avere paura? In compenso la situazione si era andata anche complicando. Non era uno stupido e sapeva che l’avevano trovato. Per quasi un mese qualcuno lo aveva seguito e probabilmente anche fotografato. Quando vivi anche per breve tempo l’esperienza di avere fotografi che si appostano in ogni dove solo per beccarti mentre – strafatto -  vieni buttato fuori da un locale, impari a riconoscere la sensazione di essere spiato. E questo aumentava la sua fretta di dire a Sophie chi era in realtà prima che lo scoprisse da sola guardando la televisione. Bisogna che mi sbrighi. Fanculo a tutte le paranoie da fighetta! Girato l’angolo, Liam intravide la sagoma ormai familiare della casetta bianca, al cui interno Sophie si stava dando un gran da fare.

Quel giorno aveva passato una quantità di tempo davvero considerevole a progettare e modificare vari menù, e a progettare e modificare i suoi piani su come avrebbe dovuto vestirsi per la serata che aveva in mente. Alla fine si era costretta a desistere in entrambe le occupazioni e si era detta che sarebbe andata benissimo una qualsiasi cenetta e un qualsiasi abbigliamento: cavolo Sophie, dopotutto è solo Liam. Ecco, il punto però era proprio quello.

Il loro rapporto era sicuramente cresciuto, diventando molto più profondo e articolato di quanto lei avesse potuto sperare agli inizi, però, però … non si muovevano di un centimetro. Sapeva, e lo sapeva perché se lo sentiva, nel cuore, nella pancia, nella testa, nelle vene, che il loro era un legame di quelli forti, di quelli destinati a durare, di quelli che ti fanno vivere e respirare e ardere dentro, ma allo stesso tempo avvertiva chiaramente, in maniera forte, decisa, una certa ritrosia da parte di lui, e avvertiva altrettanto chiaramente che quella diffidenza non aveva niente a che vedere con lei, con loro. Era innamorato, lo sapeva, almeno quanto lei lo era di lui, lo aveva capito da tanti particolari, da quanto la cercava, da come la guardava, da come le parlava, sempre con quella luce negli occhi e quel modo di farla sentire al centro di ogni cosa, al centro di tutto. Capitavano momenti in cui smettevano di parlare e si guardavano e sembrava che stesse per accadere qualcosa o che almeno il mondo si stesse fermando ma poi… tutto riprendeva uguale e a lei sembrava che quell’attimo in cui tutto si era cristallizzato, quasi scomparendo, fosse accaduto solo nella sua mente. Lui non sembrava geloso e neanche curioso delle altre persone che potevano essere presenti nella sua vita, come si suppone che sia quando si è innamorati. E in effetti lei era gelosa, anzi di più, lei odiava tutte le ragazze che lui aveva avuto in quel periodo folle, precedente al loro incontro. E se lui le avesse ancora frequentate? Si vedevano spesso ma non stavano sempre insieme. Sophie quasi non riusciva a pensare all’eventualità che lui fosse toccato, accarezzato, baciato, da qualcuna che non fosse lei.

Toccarlo, accarezzarlo, baciarlo… quante volte era stata a un passo dal farlo ma quel qualcosa che sembrava tenerlo lontano da lei e che lei non riusciva proprio ad immaginare cosa potesse essere, la faceva sempre desistere. Ma quella sera no. Quella sera sarebbe stata diversa. L’anno stava per finire e lei non voleva iniziarne un altro con ancora quella situazione strana, ambigua, senza un colore preciso. E’un pensiero decisamente stupido, Sophie, disse una vocina nella sua testa. Ah sì? Non me ne frega un cazzo. Bene, adesso iniziava anche a parlare come lui.

Si era fatta un lungo bagno caldo, dal quale era emersa tutta liscia e profumata. Biancheria intima di seta. Vestito nero. Durante l’attesa il sangue le scorreva rapido nelle vene, il cuore le batteva forte per l’ansia. Poi aveva sentito quei passi noti, decisi, inequivocabili. Liam faceva i tre gradini del suo porticato sempre di corsa. Il bel Liam, con il suo piumino bianco, quelle fossette appena accennate e gli occhi grandi, luminosi, intensi. Liam che la prese fra le braccia e la baciò di un bacio che sembrava non finire mai mentre i loro corpi aderivano per intero l’uno all’altro. Oddio Sophie, stai delirando. Ovviamente Liam l’aveva salutata con il solito bacio sulla fronte e un abbraccio veloce, frettoloso. “Non sono in ritardo. Ti offendi?”, le aveva chiesto ridendo, mentre la sorpassava per entrare in casa.

All’interno tutto era come l’ultima volta che c’era stato, solo un paio di giorni prima. La grande stanza che fungeva da ingresso, soggiorno e cucina era ordinata e pulita come sempre, con le pareti dipinte con i colori caldi del sole che si sposavano a meraviglia con il lucido parquet di ciliegio e gli addobbi dorati dell’albero di Natale. Eppure … c’era qualcosa di diverso, Liam lo avvertì subito, appena entrato. Non era propriamente una sensazione negativa, quanto più una tensione, un senso di attesa, come di qualcosa che stava per succedere, ecco. Iniziò a sentirsi nervoso, la qual cosa risultò parecchio disturbante per uno come lui, che raramente si sentiva a disagio. Seduto su una sedia della cucina, guardava Sophie che cicaleggiava come sempre, ma anche qui … non riusciva ad inquadrare cosa, ma c’era un che di diverso. La trovava bella come al solito, mentre si muoveva aggraziata tra i fornelli e il tavolo, quasi senza fare rumore. Parlava e rideva e chiedeva e rideva di nuovo ma … ecco! Ecco che c’è! Sembra intimidita. Sophie timida? A Liam venne da ridere. La timidezza era un tratto che davvero non le apparteneva. Sensibile sì, delicata pure ma timida … no di certo. Il senso di disagio diminuì e aumentò la curiosità.

Mentre Liam era perso nelle proprie congetture, Sophie aveva in mente una cosa e una cosa soltanto: seguire con l’indice il contorno della sua bocca. Sfiorargli semplicemente le labbra, subito.  Sorrise. Si voltò verso di lui. Vide che la stava osservando. Potè sentire il sorriso diffondersi su tutto il volto, sulla bocca e negli occhi. Lo fissò a sua volta. Pensò: ma perché non dovrei? Perché non toccarlo, e basta? Anche Liam sorrise di rimando. Trattenne un attimo il respiro prima di sussurare: ”Adesso però mi devi dire che c’è. Mi devi dire cosa ti ha fatta sorridere così”. Sophie gli si avvicinò. Il cuore le batteva forte. Chinandosi verso di lui che era ancora seduto con le braccia poggiate sul tavolo, allungò la mano e con un dito, molto lentamente, seguì il profilo esterno della sua bocca, quel piccolo, sottile rilievo, delicato e sensibile come un nervo scoperto. Morbido al suo tocco come già sapeva che sarebbe stato. “Ecco” disse. “E’ questo che ho appena pensato di fare”.

Liam respirava veloce ma sommessamente. Istintivamente, senza pensarci, si era alzato e aveva fatto un passo in avanti, avvicinandosi a lei. La sovrastava con la sua altezza e lei era costretta a tenere il viso sollevato, per poter continuare a guardarlo negli occhi, cosa che non avrebbe smesso di fare in quel momento per nessuna ragione al mondo. In un angolo remoto della coscienza lui sapeva esattamente cosa non avrebbe mai dovuto fare e ciò che stava accadendo rientrava a pieno titolo nella categoria. Non avrebbe mai dovuto permettere né a lei ne tantomeno a sé stesso di arrivare fino a quel punto, non prima di averle detto la verità su chi era, sul suo passato. Era come ingannarla, mentendole senza mentire veramente. Ma era poi così importante? Liam non ne era più tanto sicuro. Lei sapeva che c’era qualcosa che non le aveva detto, doveva essersene accorta, Liam ne era certo, non poteva esserle sfuggito con quella sua intelligenza viva, vibrante. Eppure lo amava ugualmente. E’ strano, pensava con quel barlume di lucidità che ancora gli rimaneva e che comunque lo stava abbandonando, è strano sapere tante cose l’uno dell’altra senza essersele mai dette, e sapere entrambi di esserne comunque al corrente. I loro volti si avvicinavano lentamente, mentre continuavano a guardarsi negli occhi, con i respiri affrettati, accelerati, che avevano già trovato un loro ritmo comune. Le loro labbra erano a pochi millimetri. Nel momento in cui lei si sollevò sulle punte per colmare quella distanza minima, lui le aveva già affondato una mano fra i capelli della nuca tirandola a sé, mentre con l’altra mano le premeva forte sulla schiena, schiacciandola di fatto contro il suo corpo. Fu un bacio lungo, cercato, voluto, continuato. Assaporando, conoscendo e riconoscendo, amando.

Quando si staccarono, fu naturale per entrambi incamminarsi verso le scale che portavano al piano di sopra, verso la camera da letto di Sophie, l’unica stanza in cui Liam non era ancora mai entrato. Lei fece per aprire la porta, ma poi si fermò per un istante e gli disse: “Mi fai così felice. Per come sei. Già ora. Sul serio”. Quella sensazione, promessa di un momento intenso e felice, goduto senza fretta, non li abbandonò per tutta la notte, nella piccola stanza color lavanda di Sophie, nel suo letto. Quella stanza che a entrambi sembrò un’isola lontana, calda, circondata da un mare di ghiaccio, dalla neve e dal buio fitto della notte.

Diverse ore più tardi, svegliandosi simultaneamente, guardarono tutti e due l’orologio: erano quasi le cinque del mattino. Una strana mezza luce filtrava dalla cittadina non ancora sveglia attraverso le delicate tendine della finestra. “Cazzo, le cinque! Ecco perché sto morendo di fame”. Fu Liam a dirlo, ma avrebbe potuto tranquillamente essere Sophie, che si svegliò completamente e si accorse di non aver mai avuto una fame del genere. “Vado a prendere qualcosa da mangiare. Tu aspettami qui”, gli disse alzandosi. Le piaceva l’idea di servirlo a letto. “No, tu non vai da nessuna parte senza di me” le rispose lui sollevandosi a baciarla. “Prepareremo qualcosa insieme”. E questo a lei piacque ancora di più.

Si alzarono compiendo gesti sorprendentemente familiari per due persone che non si erano mai svegliate insieme prima di allora, mentre girovagavano per la cucina e preparavano, fra un bacio e l’altro, degli enormi panini con quello che lei aveva con tanta cura preparato per cena. Sophie aveva i capelli in disordine, con la frangetta tutta spettinata, il viso era arrossato, l’accurato trucco degli occhi si era un po’ sfatto, ciò nonostante Liam non riusciva a staccarle gli occhi di dosso tanto la trovava bella. Continuando a guardarla, pensava. Pensava a cose che non avrebbe voluto pensare. A cose che non avrebbe voluto dire. A cose che invece sapeva di doversi anche sbrigare a dire. Mise giù il panino. “Sophie…”. Lei sorrise. “Sophie, ascolta. Conosci gli Oasis?”.

Sophie rimase interdetta. Ok, gli argomenti che Liam tirava fuori potevano essere molto più stravaganti ma insomma… dopo una notte del genere, dopo essersi sussurati le frasi più romantiche del mondo ed essersi accarezzati per ore facendo l’amore per buona parte della notte, non era del tutto normale mettersi per prima cosa a parlare di musica, no? Comunque, fece uno sforzo e cercò di seguirlo. “Eeehm… gli Oasis dici? S-sì, certo che li conosco. Chi non li conosce?”. “Ecco…”. Non sapeva come proseguire. Non era bravo con le parole. C’è qualcosa che non va, pensò Sophie. “Sai…”. C’è davveroqualcosa che non va. Posò il panino anche lei: “Che c’è? Ti piacciono? Vuoi andare a un loro concerto?”. Era frastornata, lo guardava con gli occhi spalancati, non sapeva che pensare. “No … sì … cazzo, hai presente il cantante?”, “Noel Gallagher, certo”. Liam si stava quasi per sentire male. E si sentiva ridicolo. Tutta quell’agitazione per cosa? In fondo non le aveva mai raccontato nessuna bugia. Semplicemente non le aveva raccontato tutta la verità sul suo conto. Non ci era riuscito. E Dio solo sapeva se ci aveva provato. ‘Fanculo. “Sì, Noel. E’ mio fratello”.

Sophie non afferrò subito. Ma qualcosa cominciò a girarle per la testa, qualcosa che aveva letto …. qualcosa di cui aveva sentito parlare tempo addietro … non riusciva a ricordare bene … una di quelle informazioni che si dimenticano ma per qualche ragione non si cancellano completamente … qualcosa riguardo a questi Oasis, e al loro cantante. Non quello di adesso, prima … ce n’era un altro prima … due fratelli… Fece un salto all’indietro, scattando in piedi e rovesciando la sedia. Liam ebbe un sussulto, non aspettandosi quella reazione da parte di lei. “TU! Tu sei… eri … il loro cantante!” .

Londra gennaio 1997

Furioso. Furibondo. Più incazzato di tutte le volte che era stato incazzato. Noel si sentiva una merda. Eh sì, perché solo una merda poteva provare quello che aveva provato lui quando gli era stato comunicato che avevano trovato il fratello, dopo una ricerca di quasi sette mesi, dopo una scomparsa di venti. Suo fratello. Il suo piccolo, dolce, indifeso fratellino. Sì come no.

Quando il signor Richardson aveva aperto davanti a loro tutto il dossier che riguardava Liam, riempiendo la scrivania di fogli, documenti e fotografie grandi come un foglio formato F4, Noel aveva iniziato a guardare fuori dalla finestra. E mentre sua madre pendeva dalle labbra del tizio obeso e mezzo calvo che non avrebbe mai dovuto trovarlo, che avrebbe dovuto fallire, lui aveva continuato a tenere ostentatamente lo sguardo sui tetti dei palazzi vicini.

Non avrebbe dovuto trovarlo questo signor Richardson del cazzo. E’ così che sarebbero dovute andare le cose. Tanto Liam prima o poi sarebbe tornato, di questo Noel era più che sicuro. Perché dargli tutta quest’importanza? Quando avrebbe deciso che ne aveva avuto abbastanza, Liam sarebbe tornato. Perché suo fratello era fatto così. Perché suo fratello non era altro che un ragazzino viziato che batteva i piedi per terra finchè non aveva ottenuto quello che voleva. Aveva voluto dimostrare non si sapeva bene che cosa e comunque aveva cercato di far sì che lui, Noel, implorasse il suo ritorno perché incapace di proseguire senza di lui. Quello era stato il piano del suo fratellino. Quello e non altro. E si aspettava, oh, sicuro che se lo aspettava, che l’avrebbero cercato, figuriamoci se la mamma avrebbe resistito ad aspettare chissà quanto tempo il suo figlioletto preferito, che lei considerava ancora, nonostante il metro e ottanta di altezza e i 24 anni suonati, un bambino. Un bambino innocente da proteggere dalle insidie del mondo. Ma figuriamoci. Casomai è il mondo che deve essere protetto dai capricci di Liam. Ma perché? Per quale cazzo di ragione – si chiedeva Noel – alla fine doveva sempre riuscirci? Perché alla fine Liam otteneva sempre, sempre, sempre, tutto quello che voleva senza il minimo sforzo?

Poteva già prevedere quello che sarebbe successo da lì a poco tempo. Tutta la sacra famiglia sarebbe andata a riprendere il figliol prodigo in quel cazzo di posto in culo al mondo … che poi che razza di figliol prodigo era se andavano loro a prenderlo e non era lui a tornare? Ma capirai, sua madre non si sarebbe posta minimamente il problema. E lui lo avrebbe di nuovo avuto fra le palle nella band, come se niente fosse successo. Già se lo vedeva Noel, a sparare minchiate nelle interviste. Sono andato alla ricerca di me stesso, ma siccome non ho trovato niente ho deciso di benedirvi di nuovo con la mia presenza … Ma lui non voleva, non voleva assolutamente riaverlo nel gruppo. Non voleva tornare di nuovo in secondo piano. Perché non importava che fosse lui a scrivere la musica, i testi, a mixare i dischi, a prendere ogni singola decisione e a caricarsi il peso di tutte le responsabilità … no, non importava, non era mai importato. Alla fine l’immagine, la faccia degli Oasis sarebbe tornata ad essere quella da schiaffi di Liam, che non faceva altro che cantare e combinare casini e scopare e ubriacarsi. E non era giusto. Non era giusto.

Mentre quell’incompetente del signor Richardson che non era stato in grado di leggere nei suoi desideri più nascosti, più reconditi, continuava a parlare di Canada, signore anziane, cantieri, incidenti, ospedali, tavole calde (e se fosse stato di un altro umore sarebbe stato anche divertente per Noel provare a dare un senso a quell’ammasso di parole, ad esempio, che ci faceva la parola “cantiere” in una frase in cui c’era anche Liam, lui che non aveva mai faticato in vita sua?) Noel si faceva sempre più scuro in volto, sempre più insofferente. Ho bisogno di una striscia. Adesso.

Finalmente quella tortura finì e per Noel fu un sollievo trovarsi di nuovo in macchina, anche se sua madre non faceva altro che guardare una foto enorme di Liam preso in primo piano. Forza, facciamola finita. “Quando vuoi partire?” chiese a sua madre. “Ho il treno domani mattina, non te lo ricordi?”. Noel sbuffò. “Non per Manchester. Per andare a prendere Liam. Sai che stiamo registrando, devo saperlo per tempo, per potermi organizzare”. Per potermi sballare per bene così da non capire un cazzo. Peggy rimase interdetta, non aveva neanche pensato a quella eventualità. “Ma io non ho nessuna intenzione di andare a prenderlo, Noel. Non ho mai detto niente del genere. Tornerà da solo quando se la sentirà. Io volevo sapere dov’era e come stava realmente. Adesso che lo so e che ho la possibilità di contattarlo se dovesse servire, per me va bene. Ha anche ricominciato a scrivere lettere decenti”.

Noel, una volta tanto, rimase senza parole. “Non vuoi andare da lui?”, “Non voglio forzarlo a tornare. So che sta bene. E questo mi basta. Francamente tesoro, se tu vuoi andare da lui - ”, “No, no, no! Hai ragione, non ha senso andarci”. A Noel quasi non sembrava vero. Cambiò subito umore tornando ad essere il solito Noel ciarliero. Dentro di sé continuava a pensare che non sarebbe stato costretto a riprenderlo nel gruppo. Non sarebbe stato costretto a nessun passo indietro per fargli di nuovo spazio. Niente più risse. Niente più litigate per motivi assurdi. Niente più Liam.

Niente più Liam.

Era quello che voleva, no? Quella rabbia cieca era scomparsa all’istante, quindi sì, era quello che voleva.

Niente più Liam. Senza nessun dubbio era quello che voleva.

E quel qualcosa che gli si era spezzato dentro era solo frutto della sua fottuta fantasia.
 


Ciao a tutti! Vado subito al sodo: so che Noel qui sembra psicolabile, ma il mio intento era quello di rendere evidente quanto il loro rapporto sia contorto. Trovano Liam? S’incazza. Capisce che non è comunque costretto a rivederlo? Si rattrista. Non so se ci sono riuscita.
Quando Liam ha la sensazione di essere stato ritrovato pensa automaticamente a qualche giornalista, essendo ovviamente all’oscuro della storia dell’investigatore.
Ah, volevo sottolineare un particolare che pensavo non servisse sottolineare, ma lo faccio perché mi è stata fatta notare quella che sembrava un’incongruenza: perché Liam manda lettere e non semplicemente delle mail? E soprattutto com’è che nessuno lo riconosce quando su Internet si trova di tutto? Ora, so che voi siete svegli e manco vi siete posti il problema, ma lo spiego comunque: semplicemente perché il tutto si svolge in anni in cui Internet non c’era! 
  
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