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Autore: dearjoseph    28/04/2013    5 recensioni
Danae prese la pesante macchinetta fotografica appesa al collo e la puntò appena più in alto.
Ecco, era quella la lente in grado di ricordarle che non poteva essere sempre tutto nero, bianco e grigio.
La conferma che di colori il mondo ne offre in quantità, ma che spetta ad ognuno scegliere su dove puntare l’obiettivo; se sul rosso fuoco di un papavero, il blu profondo del mare, o il bianco candido della neve.
Irrilevante, freddo, noioso bianco.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Ten

La mano di Danae era saldamente aggrappata ad una delle maniglie gialle attorno la quale vi erano circa altre sei persone, mentre la metropolitana partiva provocandole il solito fastidioso rimbalzo all’indietro. Con la mano libera stringeva la borsa contenente gli sforzi di un mese di lavoro e, nonostante invidiasse da morire tutti coloro che erano seduti e che in quel momento non avevano a che fare con l’uomo grasso e sudato proprio appiccicato a lei, non poteva lamentarsi di come stavano procedendo le cose.
Quando Danae aveva contato i soldi della sua prima busta paga aveva provato uno strano senso di potere, il che era assurdo dato che la cifra non era questo granchè. Il denaro ottenuto per il suo primo mese all’asilo era sufficiente a pagare la retta all’Università, con uno scarto di poco più di un centinaio di pounds.
Danae sapeva benissimo che non avrebbe fatto molta strada in quel modo, ma in quel momento era tutto ciò che le serviva e si immaginò perfino mentre sbatteva quei soldi in faccia alla preside Clarks.
L’astio per quella donna era assolutamente infondato. In fondo alla Clarks interessava che tutti versassero la propria quota, e non di certo da dove ricavassero quel denaro. Comunque a Danae non era mai piaciuta.
Per qualche motivo, però, pagare con i soldi che si era guadagnata da sola le sembrava quasi un modo per ripagarla. Per quanto lo negasse, nel profondo Danae credeva ancora di essere la causa di tutto. Il motivo per cui molti (compresa lei stessa) avevano perso la borsa di studio per permettere la restaurazione della parte di edificio distrutta dall’incidente. Forse credeva di essere la causa dell’incidente stesso.
Era stupido, si. Ma la disperazione fa spesso pensare cose stupide alla gente.
Quando gli altoparlanti della metropolitana chiamarono la sua fermata Danae riuscì a malapena a sentirla, in quel mondo buio e ovattato dove i suoi pensieri l’avevano condotta. Riacquistata un pò di aria attorno a sè, fece un grande respiro per liberarsi dalla puzza di alcool con la quale l’uomo grassoccio l’aveva quasi stordita e in dieci minuti percorse meccanicamente la strada di casa.
Altrettanto meccanicamente trascorse il resto della serata. Parlò con Josh, corresse perfino uno dei testi che avrebbe dovuto portare il giorno dopo come compito a scuola, accertandosi di non farlo diventare troppo perfetto. Poi cenò con il resto della famiglia, cosa che la rese piuttosto felice, nonostante avesse delle riserve ad ammetterlo anche a se stessa.
Beh, forse felice era un termine esagerato, uno di quelli che lei prima fra tutti doveva maneggiare con le pinze. Comunque si era sentita bene, in pace, serena. In famiglia, in qualche modo.
Quella sera si comportò come una sorella, come una figlia qualsiasi e, entrata nella sua camera, si comportò proprio come una qualsiasi altra ragazza delusa avrebbero fatto: gettandosi sul letto senza neppure togliere i vestiti. Questo era più o meno il punto dove le ragazze dei telefilm cominciavano a piangere e disperarsi e farsi colare il mascara in maniera troppo melodrammatica per i suoi gusti.
Naturalmente Danae non avrebbe mai pianto. Mai. Non di certo perchè aveva scoperto che il ragazzo che ci aveva provato con lei aveva una moglie/fidanzata con il quale era legato da una bambina e da chissà cos’altro. Sfilò le scarpe strisciando i piedi l’uno con l’altro e s’infilò sotto le coperte.
L’unica cosa che fece prima di addormentarsi fu (come ogni sera) baciare la foto sul suo comodino e poi rimetterla a posto. Delicatamente. Come se le si potesse sbriciolare tra le dita e, con essa, tutta la sua vita.
Così come la sera, anche la mattina le sembrò un copione visto e rivisto: quando fu sveglia, pulita e sazia, si recò sul posto di lavoro dove bambini vivaci e personale poco paziente la aspettavano.
Era venerdì, il che stava a significare che la settimana era terminata e che ne mancava solamente un’altra prima delle vacanze di Natale. Quando, appena arrivata, tentò di togliersi il cappotto, Ryan l’aveva già raggiunta e aveva teso le braccia verso di lei.
La rossa aveva soprannominato mentalmente Ryan come ‘il bambino dei fiori’. Non sapeva bene il perchè, ma le era rimasto impresso quell’avvenimento, tanto che ogni volta che vedeva dei fiori disegnati il suo pensiero andava al bambino dai capelli scompigliati e gli occhi grandi che ora stava abbracciando. Forse le era rimasto così impresso perchè sentiva che Ryan era un bambino speciale, o forse perchè era così strano che un bambino (che non fosse suo fratello) le si fosse affezionato tanto.
O che lei si fosse affezionata tanto a lui, magari.
Comunque, Ryan era speciale. Non sapeva spiegare in cosa, ma lo era, nonostante a momenti lo vedesse isolato e distratto. Non succedeva sempre, in realtà con lei non succedeva quasi mai ma due delle sue colleghe avevano dichiarato di averlo visto spesso mentre si perdeva nei suoi pensieri.  Danae aveva sempre preso in giro quelle donne, pensando che tutto ciò a cui un bambino tanto piccolo poteva pensare erano le macchine o le figurine, quindi non ci vedeva nulla di male a farlo vagare un pò con la fantasia.
Dopo aver lasciato Ryan alla sua costruzione di lego salutò anche Maila, che nulla sapeva della guerra che la vista dell’accompagnatrice di Jennifer, la donna alta e mora che il giorno prima si era presentata con la bambina proprio all’asilo, le aveva causato il testa.
Mentre ripassava mentalmente cosa il suo noioso copione proponeva per la giornata, si rese conto che c’era una cosa che esso non aveva proprio previsto; ovvero il tuffo al cuore che ebbe alla vista di Joseph.
 
Joseph lasciò la sua piccola Jennifer nelle mani di Maila, mentre con lo sguardo cominciò a vagare per la stanza colorata alla ricerca di Danae e, tra quella miriade di tonalità, trovò finalmente il rosso che tanto stava cercando. Danae era di spalle, perciò le si avvicinò piano come a volerle fare una sorpresa.
Si sarebbe detto che una sorpresa comprendesse qualcosa di piacevole e inaspettato, e invece negli occhi nocciola della giovane donna non vide che il contrario; tristezza e noia. Fece finta di nulla, però. Magari era solo una giornata ‘no’, e lui era il migliore a risollevare l’animo della gente anche nei momenti più bui.
Peccato che Danae fosse un pò diversa dal resto della gente.
“Perchè sei ancora qui?” chiese la ragazza, atona, dopo essersi data un occhiata attorno e aver notato che Jennifer era con un gruppo ristretto di quattro bambini. “Jennifer è al suo posto. E tu invece dovresti essere a lavoro”.
“Beh, trovo difficile trovare qualcuno con cui voler passare del tempo. Quindi appena lo faccio, ne approfitto”  disse, e sentì Danae ridere mentre gli voltava le spalle. Ma c’era qualcosa di strano, in quella risata. Joseph si chiese cosa fosse successo. Ripercorse mentalmente il loro ultimo incontro, ma non notò nulla di strano. Si erano divertiti, e gli sembrava che lei si fosse aperta mentre parlava della sua vita e delle sue passioni. Il giorno dopo, poi, era stata Danielle a portare all’asilo Jenn. Quindi, qual era il problema?
Tentò di nuovo.
“Ti ricordi l’altro giorno? Quando ti avevo parlato di quel locale su..”
“Mmh mmh” rispose lei, senza neppure far terminare la frase al riccio che subito alzò gli occhi al cielo, sentendosi tutt’a un tratto disturbato dall’atteggiamento di quella ragazza. Non era successo niente di strano tra loro, quindi il suo comportamento era assolutamente incomprensibile. Forse era uno dei giochetti delle donne, quello dello ‘scappare solo per la voglia di essere inseguite’, ma questo iniziava a infastidirlo. Insomma, lui era un mago in quei giochetti. Era uno dei motivi per cui piaceva alle donne, ma adesso cominciava a diventare snervante. Forse perchè, con Jennifer, si era reso conto che non aveva più tempo per i giochi. O forse perchè i giochi andavano bene quando ci si doveva divertire, e lui non voleva solo divertirsi.
Quando guardò ancora la giovane, si rese conto che, però, non poteva essere solo quello. Che non poteva essere solo uno stupido gioco da ragazzina, il suo. C’era tristezza nel suo sguardo. Qualcosa che non poteva raggiungere, qualcosa che andava oltre ogni cosa. C’era qualcosa che teneva per sè, e che lui voleva scoprire.
"Danae, puoi smetterla ora"
"Smettere di fare cosa?"
"Di far finta che non t’importi" disse lui, legandola ai suoi occhi attraverso uno sguardo profondo e amareggiato. Danae incrociò le braccia al petto, con fare protettivo più che intimidatorio.
"Ma a me non importa davvero di quello stupido locale"
"Di far finta che non ti importi del mondo!" si corresse Joseph sotto lo sguardo attonito di lei.
"Ti comporti come se fossi superiore a tutti gli altri. Come se gli altri non siano all'altezza di conoscerti. Fai la finta menefreghista e allontani chiunque sia abbastanza stupido da avvicinarsi a te. Tutto questo per avere una buona scusa per continuare a crogiolarti nel dolore e continuare a dare la colpa a chiunque non sia te stessa" Joe non urlava ma il suo tono sprezzante fece alterare la ragazza.
"Con me non funziona, quindi smettila"
Danae lo prese per un braccio e lo trascinò dentro la stanza di Maila, accertandosi di chiudere bene la porta dietro alle sue spalle.
"Non puoi parlarmi così. Tu non sai nulla di me" andò sulla difensiva la rossa, senza sapere cosa altro ribattere.
"E di chi credi sia la colpa?"
"Non ho mica detto che non mi vada bene così!” cercò di moderare il tono della voce, così da non attirare ascoltatori indesiderati. Prese un lungo respiro, così da ottenere una voce decisa e risoluta. “Senti Joe, perchè non torni dalla tua ragazza e la finiamo qui?” la voce però la tradì verso la fine della frase, incrinandosi e abbassandosi di qualche tono. Joseph assunse un’aria accigliata. Poi capì, finalmente.
“Parli di Danielle? La ragazza che ieri ha accompagnato mia figlia?” chiese lui, ancora troppo sorpreso della situazione. Danae annuì piano, mentre sentiva di aver preso un grosso, enorme buco nell’acqua. Prima ancora che Joseph pronunciasse le seguenti parole, divenne rossa in viso per la vergogna.
“Danielle non è la mia ragazza. E nemmeno mia moglie” sorrise amaramente lui “E’ la moglie di mio fratello. E se tu hai anche solo potuto pensare che io potessi mentirti su una cosa del genere, vuol dire che non c’è modo per noi di conoscerci. Non finchè non cominci a fidarti un pò delle persone che ti stanno attorno”.
Dicendo così, si allontanò dalla stanza senza neppure la forza di sbattere la porta.
 
Il resto della giornata di Joe passò tra tasti e note musicali, come sempre. Quando guardò l’orologio, si rese conto di aver terminato con il suo ultimo cliente del giorno con netto anticipo e quindi rimaneva circa un quarto d’ora di sala libera prima che andasse a riprendere la figlia dall’asilo. Dopo quello che gli era sembrato un secolo, decise di trovarsi finalmente dall’altra parte del vetro. Dalla parte del microfono, e non dei tasti e dei suggerimenti. Dopo aver battuto un paio di volte l’indice sul microfono sistemato all’altezza dell’ultimo cantante che ci aveva usufruito, si assicurò che fosse spento e, recuperata una vecchia chitarra dalla stanza degli strumenti, cominciò a strimpellarla. La accordò finchè non sentì uscire i suoni completamente limpidi e poi canticchiò una delle canzoni che aveva cantato il giorno prima al locale di Marcus, il tizio che aveva incontrato al parco poco prima di Danae e che ogni tanto gli chiedeva di intrattenere i suoi clienti con piccoli spettacoli, perlopiù improvvisati. La cifra che Marcus gli dava a fine serata era così misera che copriva solo le consumazioni al bar che Joseph faceva in una settimana, quindi lavorava praticamente gratis. Ma non andava di certo per farsi offrire qualche bicchiere di birra. Ci andava per passare il tempo e perchè amava farlo, un pò come quando andava a correre tra i prati verdi del Regents Park.
I quindici minuti liberi volarono e così anche il suo pensiero volò sulla figlia. Quando arrivò all’asilo, si ripromise di ignorare Danae, nonostante le sembrasse una sfida più o meno ardua. Jennifer gli si avvicinò correndo e un sorriso sincero si aprì sul volto di Joseph quando egli si chinò per farsi dare un bacino sulla guancia ispida per via della barba. La piccola fece una buffa smorfia prima di criticarlo, dicendogli che la sua barba l’aveva punta. Joseph la abbracciò e le ripromise di toglierla appena tornati a casa. Mentre le metteva il solito cappottino giallo limone, Jenn le diede un bigliettino e in un primo momento il padre pensò ad un disegno che aveva fatto per lui. Poì notò che il biglietto era troppo piccolo per contenere un disegno.
Fu imprevedibile, completamente imprevedibile, la sorpresa che colpì Joseph in pieno petto. Jennifer gli aveva portato un bigliettino stropicciato e lui, dopo averlo aperto, aveva notato essere ben conosciuto. La calligrafia incerta e il colore fucsia lo riportarono al giorno in cui lui stesso aveva scritto su quel foglio racimolato chissà come. Eppure era convinto che Danae l’avesse stracciato e buttato a terra, tanto per cambiare i suoi modi cortesi.
Cercò la ragazza con gli occhi e la vide avvicinarsi con un timido sorriso a colorarle il volto perlaceo. Joseph ebbe il presentimento che quel gesto fosse un ennesimo rifiuto, ma si ricredette subito quando, girando il bigliettino come lei stessa gli aveva ordinato, trovò scritto ‘domani’ con tanto di ora, e un indirizzo, che doveva essere quello di casa sua.
“Hai ragione. È vero, scusa. Forse allontano la gente e-” Danae si bloccò notando lo sguardo divertito di Joe.
“Ok, è riscontrato...” sottolineò quella parola con un filo di imbarazzo “che allontano la gente, ma ora chiedimi qualunque cosa e risponderò”
Il silenzio che si protrasse le sembrò così lungo che ormai si aspettava solo un no, e invece.
"Perche non iniziamo col chiederti se ti piace la cucina giapponese" sorrise Joe, e Danae potè finalmente ritornare a respirare, dato che aveva trattenuto il fiato troppo a lungo nell’attesa della risposta.
"Preferisco italiana"
"E italiana sia"
 
 
 
 
 
Mi sorprenderei se ci fosse ancora gente che legge quello che ora sto scrivendo lol.
Davvero, spero non mi abbiate abbandonata perchè io non l’ho fatto, nonostante sembri il contrario.
Manca un mese alla fine della scuola, quindi poi sarò tutta vostra ma fino ad allora dovete avere un pò di pazienza. Mi dispiace tantissimo.
Prima che veniate a lanciarmi pomodori, parliamo della storia.
Il malinteso era la spinta che ci voleva alla nostra bella (e stupida) Danae YEEEEE.
Dato che vi ho fatte aspettare tantissssimo, vi do un piccolo spoiler sul prossimo capitolo: finalmente si scopriranno un pò/tante cose su Damon.
Quindi, non mancate (?)
Spero di ricevere tante recensioni e di non aver parlato a vuoto (si dice così?).
Fatevi sentire, anche solo per insultarmi. Mi mancano i vostri commenti ♥
  
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