Falsus es, sed te amo.
Lettera a Mecenate.
Cur me querelis exanimas tuis ?
Nec dis amicum est nec mihi te prius
obire, Maecenas, mearum
grande decus columenque rerum.
A ! Te meae si partem animae rapit
maturior vis, quid moror altera,
nec carus aeque nec superstes
integer ? Ille dies utramque
ducet ruinam. Non ego perfidum
dixi sacramentum: ibimus, ibimus,
utcumque praecedes, supremum
carpere iter comites parati.
Me nec Chimaerae spiritus igneae
nec, si resurgat centimanus gigas,
divellet umquam : sic potenti
Iustitiae placitumque Parcis.
Seu Libra seu me Scorpios aspicit
formidolosus, pars violentior
natalis horae, seu tyrannus
Hesperiae Capricornus undae,
utrumque nostrum incredibili modo
consentit astrum ; te Iovis impio
tutela Saturno refulgens
eripuit volucrisque Fati
tardavit alas, cum populus frequens
laetum theatris ter crepuit
sonum ;
me truncus inlapsus cerebro
sustulerat, nisi Faunus ictum
dextra levasset, Mercurialium
custos virorum. Reddere victimas
aedemque votivam memento ;
nos humilem feriemus agnam.
Il tuo lamento
mi disanima. Gli dei non vogliono,
io non voglio
che tu prima di me lascia la terra,
Mecenate, mia gloria grande,
sostegno della mia vita.
Se un destino più veloce
mi ruba chi è parte del mio essere,
il mio restare è vano,
la mia salvezza trista, mutilata.
Quel giorno porterà
l’una e l’altra caduta. Il giuramento
fu verace: andremmo, andremmo,
e sarai guida ancora,
e al grande viaggio nostro
già tutto è pronto.
La chimera dall’alito di fuoco,
il gigante risorto dalle cento mani
non mi divideranno da te
perché così vollero
la giustizia regina
e le Dee della morte.
Non so quali astri mi veglino,
la Bilancia, lo Scorpione pauroso
più possente nell’ora del mio nascere,
il Capricorno, signore
del mare d’occidente,
ma le nostre due stelle
s’accordano come non ci è dato quasi
credere. La protezione di Giove
brillò su te, ti strappò
a Saturno l’ingiusto,
tardò le ali del veloce destino,
allorché molto popolo
nel teatro tre volte
ti diede lieto grido.
Un tronco che mi uccideva
fermò sul mio capo la mano
del Fauno, protettore dei figli di Mercurio.
Ricordati del voto,
sacrifica nel tempio promesso.
Io offrirò un’agnella minuta.
Orazio.
Mi accarezzavi la testa.
Lo facevi sempre dopo che avevamo fatto l’amore. Io me ne stavo con il volto appoggiato
sul tuo petto e tu l’accarezzavi, mi piaceva, ti piaceva,
adoravamo quel contatto post-orgasmo così intimo, così
delicato e dolce, appagante per l’anima quanto il sesso per il corpo. Per
solito ci addormentavamo in quella posizione, senza parlare, godendo
di quella silenziosa armonia che c’era tra noi, ma una notte
facesti una cosa che non avevi mai fatto prima e, presa la mia destra tra le
tue mani, la baciasti a fior di labbra, come a voler sigillare il nostro appena
avvenuto connubio carnale.
-Mi ami?- mi
chiedesti, giocherellando con le dita della mia mano, ancora
intrappolata tra le tue.
-Che domanda è
mai questa?- ti chiesi a mia volta sorridendo, ma il tuo volto rimase
stranamente serio.
-Mi ami?- ripetesti
allora con lo stesso tono di voce di prima che pure tradiva un dolore ed
un’impazienza non lievi.
-Ma certo che si!- ti risposi,
leggermente preoccupato, abbracciandoti un po’ più stretto nel
tentativo di farti sentire, più di quanto non
avessi fatto prima, tutto l’amore che per te provavo -lo senti?- ti
chiesi -lo senti questo sentimento che mi anima, che mi sconvolge? Ti prego dimmi che basta, dimmi che è sufficiente questo mio
amore a placare ogni tua sofferenza...- mi interruppi non appena sentì
le tue labbra posarsi di nuovo sulle mie nocche.
-A volte lo si
dà per scontato, ma io ho bisogno di sentirmelo dire, ho bisogno che tu
mi dica che mi ami, perché è l’unica cosa che mi dia energia,
e l’unica cosa che mi tenga in vita.-
Rimasi in silenzio, pentito di aver
data per scontata una cosa così importante, mi sentivo un verme,
perché io, che volevo lenire il tuo dolore, ti
avevo fatto soffrire ancora di più.
In quel silenzio ripresero a scorrere
le tue carezze sul mio capo, con la dolcezza che io ti avevo negato ferendoti.
Non potei più resistere e,
come avevi fatto tu poco prima, racchiusi la tua destra tra le mie mani.
-Promettimi, anzi giurami, che non
mi abbandonerai mai, che resteremo insieme fino alla morte,
promettimi che quando le Parche troncheranno le nostre vite, scenderemo
insieme, fianco a fianco, nell’Ade.-
Mi guardasti meravigliato, sul tuo
volto un’espressione di stupore.
-Anch’io ho
bisogno di sentirmi dire qualcosa...- aggiunsi abbassando lo sguardo.
-Te lo prometto, Orazio, te lo
giuro: io e te usciremo dalla scena di questo mondo
fianco a fianco, insieme...-
E’ passato molto tempo da
allora, ma la tua mano destra è ancora stretta tra le mie.
E’ una mano vecchia, debole la
tua, stretta in mani non meno vecchie, non meno deboli le mie; ma ciò
non ha alcuna importanza, perché ancora si
stringono.
Lentamente riapri gli occhi,
spaesato, proprio come la prima volta che ti ho visto riprendere conoscenza.
Non hai dormito sogni tranquilli
questa notte: deliravi...
Neppure io sono riuscito a dormire,
ma ciò non ha alcuna importanza:tu vali molto
di più di qualche ora passata tra le braccia di Morfeo.
Mi hai davvero spaventato,
però. Ormai era da molto tempo che non avevi più questo genere di attacchi, ed ecco che quattro giorni or sono ti ritrovai
riverso a terra, svenuto, con la febbre alta, altissima. Il tuo corpo scottava
come se al posto del sangue nelle tue vene vi fosse stato il ferro fuso di Efesto d’Etna. Ho avuto
una paura terribile nel vederti in quelle condizioni, pensavo davvero di
esserci abituato, ma ora ciò non ha più alcuna importanza,
perché tu sei qui, sei vivo, sopravvivrai anche a questo attacco di
febbre, come hai sempre fatto. Tra una settimana sarai guarito completamente e
le nostre vite potranno tornare a scorrere come prima, potremmo tornare
lamentarci l’un l’altro dei nostri
acciacchi, resteremo insieme finchè le nere Dee non recideranno in un
sol colpo entrambi i nostri destini, annodati come fili.
I tuoi occhi vagano un po’
per la stanza, per poi fermarsi sul mio volto.
Mi sorridi ed il tuo sorriso
scioglie ogni mia paura, ogni mia preoccupazione ed
incertezza.
-Bentornato tra i vivi...- ti dico
baciandoti la destra -mi hai davvero spaventato questa volta...ho avuto paura
di perderti...-
Mi sorridi
ancora, ma il tuo volto, il tuo sorriso stesso, tradiscono un dolore a
me sconosciuto.
-Mi dispiace...- sussurri infine
-non ti chiedo di perdonarmi, ma cerca almeno di capirmi...- per un attimo mi
chiedo se tu non stia ancora delirando, mentre la tua mano tremante si
divincola tra le mie per poi liberarsi della loro stretta
-Che cosa...?-
ti chiedo sconcertato -che cosa sta accadendo?-
-Devo sciogliere il nostro patto....- per una attimo il mio cuore si congela. Zeus, ti
prego, fa che stia delirando.
-Perché mai dovresti?- ti chiedo tentando di riprendere la tua mano
tra le mie.
-Perché verrò meno alla mai promessa, Orazio...- la
consapevolezza delle tue parole mi sconvolge.
-Non puoi! Non puoi farlo! Mi avevi
giurato che saremmo morti insieme, che saremmo scesi nell’Ade fianco a fianco!- urlo
disperato, ferendoti con il mio egoismo.
-Abbiamo giurato sulla morte,
Orazio! Abbiamo giurato su qualcosa che è di dominio esclusivo degli Dei immortali!- mi rispondi tu, con tono esasperato,
mentre, come me, non riesci a trattenere le lacrime.
-Ma io ho tenuto
fede al mio giuramento! Ogni giorno ti ho ricordato il mio amore e
continuerò a farlo!- Spero che tu possa
perdonarmi per la mia infinita meschinità, neppure i bambini rinfacciano
in modo così orribile i propri sforzi.
-Mi dispiace...- ed è
l’ultima cosa che dici.
Prego tutti gli dei che conosco,
perché ti salvino, gli propongo la mia vita la
posto della tua, ma Zeus è sordo alle mie richieste, è troppo
impegnato a banchettare con i pari suoi per poter ascoltare le richieste di un
misero mortale come me.
Gli dei sanno essere malvagi,
quando vogliono.
Anche tu sei stato crudele con me, Mecenate, mi hai fatto una
promessa che non hai mantenuto.
Sei un bugiardo. Eppure
ti amo.