Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _Renesmee Cullen_    28/04/2013    11 recensioni
210 a.C., Aurora, principessa Greca, dopo che la sua città è stata saccheggiata dai Romani, viene rapita da questi e scambiata per una ancella. Tra i romani c'è Fabrizio, un generale che mostra da subito un certo interesse per Aurora. La ragazza decide di non rivelare la sua vera identità a nessuno, ma dopo essere arrivata a Roma scopre che non è facile, soprattutto con gli occhi di Fabrizio, che sospetta qualcosa, sempre addosso. Nella Roma Repubblicana, dove la divisione tra classi sociali rappresenta una delle credenze più importanti di tutte, cosa potrebbe succedere se i due si innamorassero?
Dal primo capitolo:
Fabrizio alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Si spogliò invece dell’armatura e rimase a petto nudo. Nel fisico allenato risaltavano le braccia muscolose, le spalle larghe e i pettorali. Dopo poco venne verso di me, e si chinò alla mia altezza.
-Senti… facciamo così... io non prendo in giro te e tu non prendi in giro me, d’accordo? Mi sembra un patto vantaggioso per entrambi.- disse, a un soffio dalle mie labbra, nella sua lingua natale. Iniziai a sudare, ma mi obbligai a rispondere, in un perfetto latino.
-D’accordo.- conclusi.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 2  - La vita cambia



Ci vollero dieci giorni affinché arrivassimo a Roma, a pensarci bene non furono molti, ma per mia sfortuna il vento aveva sempre soffiato a nostro favore. Avevo pregato gli dei in ogni modo di ritardare il mio arrivo in quella città, ma non mi avevano ascoltata. Era stato il viaggio più lungo che avessi mai fatto. Durante il tragitto avevo incontrato Fabrizio pochissime volte: infatti ero stata condotta nella parte della nave riservata alla schiavitù e quindi da quando avevamo lasciato l’accampamento erano state poche le volte in cui ero riuscita ad intravederlo. Non doveva interessarmi cosa stesse facendo, ma non facevo altro che chiedermelo.

Sbarcammo a Sabaudia la mattina dell'undicesimo giorno di navigazione e quando scendemmo finalmente a terra, come a tutti gli altri schiavi, mi fu dato qualcosa da portare in mano, poiché bisognava condurre in città tutti i bottini di guerra ottenuti dai Romani e i viveri per il viaggio. Nel mio caso, mi ritrovai subito tra le mani un’otre piena d’acqua più grande di metà del mio corpo, che pesava tantissimo. Come facevano le altre donne, me la misi sopra la testa ma era una tortura. Presto compresi che il viaggio verso Roma non sarebbe stato breve, ma mentre i Romani avevano dei carri che li trasportavano, noi schiavi eravamo costretti a procedere a piedi, al passo con i cavalli e i carri. Fu un viaggio sfiancante. (1*)

Ogni tanto il mio sguardo finiva su Fabrizio: sembrava perso nei suoi pensieri e al contrario dei suoi commilitoni che si rallegravano in ogni momento per la vittoria e per la città conquistata, se ne stava in silenzio sopra il suo carro, senza proferire parola.

Dopo il primo giorno di cammino ci fermammo per la notte e quando posai l’otre a terra sentii le braccia distrutte: non ce l’avrei fatta a portarla un altro giorno… figuriamoci per tutto il tragitto indeterminato che ci separava da Roma. Cercai di non pensare a questo e quando fu il momento, mi misi a riposare con le altre schiave.



Dormii per qualche ora, ma poi mi svegliai e non riuscii più a prendere sonno. Erano parecchie notti che non dormivo, ormai: non riuscivo a non pensare a quello che era accaduto alla mia famiglia e specialmente a mio fratello, il cui corpo era stato lasciato ai margini di una strada, in balia delle bestie e degli avvoltoi. La cosa più grave era, però, che i quel modo la sua anima era stata condannata a vagare in un limbo che stava tra il mondo dei vivi e quello dei morti, senza una meta.

Non potevo sopportare tutti quei pensieri ancora una volta, così decisi di andare a sgranchirmi le gambe per schiarirmi la mente

In realtà ci era stato detto in maniera molto civile di rimanere sempre e comunque ai nostri giacigli, altrimenti ce l’avrebbero fatta pagare, ma io non ero mai stata brava a dare retta a ciò che mi veniva detto così mi alzai dal giaciglio e scavalcai una a una tutte le donne che dormivano accanto a me e mi avviai silenziosa verso il fiume che si trovava vicino al nostro accampamento.

L’accampamento non era recintato e quindi forse avrei potuto provare a scappare… ma per andare dove? Chi avrebbe accolto una donna Greca senza nessun parente con lei? Chi avrebbe accolto una… schiava, ormai? Iniziai a camminare ma, imprudente, non pensai che le sentinelle avrebbero potuto vedermi. Feci qualche metro verso il fiume, quando sentii che qualcuno mi prendeva per un braccio e mi trascinava verso un sentiero laterale. Mi ritrovai incollata ad un albero, con una mano premuta sulla bocca.

Ecco, adesso ero davvero nei guai. I miei occhi si spalancarono dal terrore: non potevo urlare, non potevo chiedere aiuto. Il destino che mi sarebbe capitato se fossi finita nelle mani di qualche mercenario sarebbe stato forse peggiore di quello che mi aspettava nella mani dei Romani. Non c’è mai fine al peggio.

Il mio assalitore mi illuminò il viso con una torcia e grazie al fuoco riuscii a vederlo in viso... mi rilassai all’istante: era soltanto Fabrizio. Anche se “soltanto” era un parolone, perchè non sapevo fino a che punto fosse meglio che mi avesse trovato lui invece di un mercenario…

Appena capì che mi ero calmata abbassò la fiaccola e mi levò le mani dalla bocca. Si guardò intorno e, tenendomi per un braccio, mi condusse furtivamente in una parte isolata dell’accampamento, tra gli alberi.

-Cosa stavi facendo?- mi chiese, piuttosto irritato, ma non abbastanza furibondo da urlare. D’altronde questo non sarebbe convenuto a nessuno dei due.

-Non riuscivo a dormire e volevo andare a fare due passi.- dissi senza esitare, poichè era la verità.

-Ti era stato detto di non muoverti!- esclamò Fabrizio adirato, come se la cosse fosse ovvia. Abbassai lo sguardo: si, mi era stato detto.

-Tu stavi cercando di scappare.- constatò infine, più calmo di quanto avesse dato a vedere prima.

-NO!- esclamai, a voce più alta. Non stavo mentendo, ed era giusto che lui lo capisse. Fabrizio lasciò andare le mani lungo i fianchi.

-Ti rifaccio la domanda: perchè non stavi dormendo come gli altri schiavi?.- chiese, in tono duro, fissandomi negli occhi. Sostenni il suo sguardo, obbligandomi a rispondere la verità.

-Non riuscivo a dormire e volevo andare a fare una passeggiata al fiume.- ripetei, in modo più convinto. Fabrizio mi guardò ancora intensamente, dato che non avevo ancora risposto alla sua domanda, così aggiunsi, forse troppo francamente:

-Confesso che se fossi potuta scappare l’avrei fatto, ma l’intenzione iniziale era quella di fare una passeggiata per schiarirmi un po’ le idee.- conclusi. Il mio tono era a dir poco impudente e per un attimo ebbi paura che mi arrivasse un ceffone in faccia, ma non successe.

-Chi sei veramente?- chiese piano infine. Abbassai lo sguardo di nuovo: la mia copertura non poteva cedere a causa della mia arroganza.

-Sono solo un’ancella… molto spaventata- capitolai e cercai di sembrarlo veramente. Non che fossi particolarmente tranquilla in quel momento.

-Perchè non riuscivi a dormire? Di solito tutti gli schiavi quando è il momento di andare a dormire crollano per la stanchezza della camminata… e anche tu hai portato un carico non da poco…- constatò, bloccandosi ad un certo punto della frase. Capii da quelle parole che mi aveva osservata durante il viaggio. Perchè? Scossi la testa e risposi con sincerità

-Penso… penso a mio fratello… - e i miei occhi d’improvviso si velarono di lacrime

–Lui... la sua anima non troverà mai pace. Era un bravo ragazzo, combatteva per la sua città, come avrebbe fatto qualsiasi altro nella sua posizione, era leale verso i cittadini, i parenti e la patria, era un vero “cives”, come dite voi a Roma, degno di quel titolo…- e la mia voce si spezzò, ma strinsi i denti. Non avrei pianto di nuovo di fronte a un Romano e meno che mai davanti a Fabrizio.

-La tua doveva essere una famiglia benestante, se tuo fratello poteva permettersi un’armatura per combattere.- disse

Io annuii. Mi venne da ridere, Fabrizio non sapeva che mio fratello, se non fosse stato ucciso brutalmente, sarebbe stato l’erede al trono di Anticyra e molto probabilmente anche quello di tutta la Macedonia.

-Dovevi essere molto affezionata a tuo fratello…- continuò Fabrizio in tono compassionevole e comprensivo, non capii con quale intento

-Non puoi immaginare quanto.- e tacqui perchè stavo per scoppiare a piangere.

Improvvisamente cambiò discorso ed espressione

-Dovrei farti frustare per ciò che hai fatto. Hai disubbidito agli ordini, e hai tentato di scappare… ammettendolo anche spudoratamente…- iniziò. Temetti il peggio

–Ma non lo farò… a patto che tu non cerchi più di fuggire. Te lo dico per il tuo bene: non ce la faresti e se venissi scoperta, faresti una brutta fine... più brutta di quanto immagini. Soprattutto dopo quello che hai detto a mio fratello – concluse con un sogghigno. Non mi andava giù il fatto che si stesse prendendo gioco di me, tuttavia tacqui per non aggravare la mia situazione e tirai un sospiro di sollievo: non potevo credere di essere riuscita a cavarmela così bene. Rimasi perplessa: perchè Fabrizio mi graziava in quel modo? Cosa voleva da me? Perchè mi aiutava, dopo che avevo insultato il suo popolo e non solo? Cosa possedevo in più di un’altra qualsiasi ancella?

-E poi è pericoloso per una ragazza giovane e… bella come te gironzolare per l’accampamento di notte e da sola. Potresti fare incontri spiacevoli.- disse. Rabbrividii e compresi il suo avvertimento. Quella era una cosa a cui non avevo pensato.

-Grazie… io… non proverò più a scappare, lo giuro.- lo dissi, ma solo perchè non avevo altra scelta. In fondo al mio cuore sapevo che se mai avessi avuto una buona occasione, non avrei esitato ad andarmene. Fabrizio mi guardò, con un sorrisetto tra il divertito e il sarcastico:

-Da quando ti abbiamo catturata non fai altro che creare problemi…- disse, scuotendo la testa, rassegnato.

-M-mi dispiace…- mugugnai poco convinta, pensando che fosse la cosa giusta da dire. In realtà, non me ne dispiaceva poi molto… i Romani si meritavano questo ed altro.

-Non avevamo un accordo io e te?- mi chiese, retoricamente, riferendosi al patto che avevamo fatto nella sua tenda: aveva capito che gli stavo mentendo.

-Bhe, non potevo dire “non mi dispiace affatto di creare problemi”- sbottai francamente, in tono forse un po’ troppo confidenziale, mentre la stanchezza iniziava a farsi sentire. Lui non ci fece troppo caso, mi guardò di sottecchi e poi riprese

-Sei… una ragazza particolare. Nascondi qualcosa, me lo sento. E riuscirò a scoprire cosa, stanne più che certa.- disse, fissandomi negli occhi.

Sogghignai, forse in modo troppo palese, perchè mi disse, scontroso,

-Cos’hai da ridere?- Io cercai di sembrare convincente

-E se io non nascondessi niente? Starai cercando qualcosa che non esiste…- constatai, sempre più spavalda. Fabrizio si avvicinò di uno o due passi e me lo ritrovai davanti al viso.

-Vedremo…- disse in un soffio. Sperai di non aver appena ammesso di nascondere qualcosa. Era davvero difficile mentire a Fabrizio: era un uomo astuto e di certo non si faceva prendere in giro facilmente.

Restammo così, finchè lui non si voltò e disse

-Torna a letto, non voglio più vederti in giro di notte per l’accampamento, o non sarò altrettanto clemente.- disse, di nuovo imperioso. Io annuii ma lui non mi vide. Feci per andarmene ma la sua voce mi bloccò

-Ancora un cosa…- ed esitò prima di continuare –Io ho… bhe…- non riuscivo a capirlo... perchè stava balbettando?

-Che cosa?- chiesi, impaziente. Lui giocherellò con l’elsa della spada che portava al fianco e alla fine si decise

-Tuo fratello riposerà in pace.- e con queste parole se ne andò definitivamente, lasciandomi basita e senza voltarsi indietro.


 

Invece di dormire, quando tornai al mio giaciglio, non riuscii a chiudere occhio, rimuginando su quello che mi aveva detto Fabrizio

“Tuo fratello riposerà in pace” che cosa voleva dire? Forse aveva visto che era stato sepolto da qualcuno? Ma da chi? Di certo non da un romano… e i soldati non avrebbero permesso che la gente del posto seppellisse i proprio caduti… e se… no, impossibile. E se fosse stato proprio Fabrizio a dare l’ordine di far seppellire mio fratello? No, non poteva essere, era categoricamente impossibile… Ma cos’altro potevano voler dire le sue parole? Con tutte queste domande mi appisolai, dormendo un sonno agitato e pieno di incubi.


 

Il mattino dopo fui svegliata in modo alquanto sgarbato dalle altre donne. Mi alzai a fatica dal giaciglio: ero davvero molto stanca, dato che quella notte avevo dormito pochissimo. Mi andai a lavare con le altre schiave e quando vidi il mio riflesso sull’acqua quasi mi venne un colpo: avevo delle occhiaie che mi arrivavano fin sotto i piedi e i capelli spettinati sembravano quelli di una mendicante. Mi venne un moto di stizza: i miei capelli, lunghi e sempre lucenti, erano invidiati da tutte le donne della città... e adesso, dopo un lungo viaggio, erano ridotti così…

Distolsi lo sguardo dal mio riflesso e mi guardai l’abito, che era lo stesso che indossavo dal giorno dell’assedio: era strappato in più punti ed era sporco, anzi lurido

-Scusa…- chiesi ad una schiava vicino a me, che doveva avere più o meno la mia stessa età

-Dove si possono trovare degli abiti puliti?- chiesi, il più umilmente possibile. Quella mi guardò come se fossi stata trasparente, ma poi rispose

-Quando arriveremo a Roma ti saranno dati dei vestiti nuovi.- rispose freddamente. Sperai che gli altri schiavi non fossero schivi e truci come quella ragazza.

Al momento di ripartire, scoprii che i carichi che ognuno di noi doveva portare cambiavano di giorno in giorno e quindi non fui sempre costretta a portare oggetti pesantissimi sulle spalle. Vidi spesso Fabrizio che impartiva ordini, che cercava di tenere insieme la carovana e che si teneva in esercizio con la spada.

Camminammo ancora per quattro giorni, finchè arrivammo in prossimità di Roma: mancava soltanto un giorno di cammino. Non vedevo l’ora di concludere quel viaggio. Certo, essere una schiava non sarebbe di certo stato una cosa rilassante o facile, ma pensai che era sempre meglio del camminare con pesi sulle spalle per almeno quattordici ore al giorno, a volte anche di più. Durante quel tragitto, come mi aveva consigliato di fare Fabrizio, cercai di non creare problemi e di attenermi alle regole.

L’ultimo giorno di marcia, però, mi svegliai piuttosto di cattivo umore: avevo bisogno di abiti puliti e di riposare, soprattutto di fare un pasto completo e saziante. Al contrario, ero obbligata a camminare ancora per una giornata portando un peso. Per di più noi schiavi non eravamo nutriti al meglio e anche io, che ero sempre stata una ragazza magra ma florida, iniziavo a dimagrire a vista d’occhio.

Quella mattina per colazione non ci diedero niente da mangiare, le provviste erano quasi finite e quindi per farle bastare tutta la giornata, gli schiavi non avrebbero dovuto mangiare per lasciare tutto ai padroni. Appena seppi questa notizia iniziai ad inquietarmi, ma mi dissi che eravamo schiavi e che tutto ciò era normale. Quando passò un soldato a consegnarmi ciò che dovevo portare quella mattina mi prese un colpo: un baule pieno di monete d’oro, davvero molto pesante. Potevo riconoscerlo, si trovava nel tempietto di pallade Atena, sull'acropoli. Lo presi in mano e lo guardai: non sarei riuscita a trasportarlo nemmeno per un’ora. Fissai il soldato e senza pensare, dissi

-Scusami… ma per me questo è troppo pesante, potrei avere qualcos’altro in cambio?- in quel momento capii che non avevo chiesto la parola e che non mi era concesso fare richieste, vista la mia condizione.

Mi arrivò un schiaffo in pieno viso e mi fece male, davvero tanto, più di quello ricevuto da Antonio. Mi salirono le lacrime agli occhi ma strinsi i denti e per la rabbia gettai, di proposito, il baule a terra. Cadde con un fragore assordante e tutte le monete che c’erano dentro finirono a terra, alcune rotolarono lontano, altre si fermarono ai miei piedi.

-Vorrei vedere voi mentre portate dei pesi ogni giorno per quattordici ore, denutriti, camminando sotto il sole! Portatevelo da soli quel maledetto baule con le sporche monete d’oro!- gridai. Solo dopo aver finito il mio discorso capii cosa avevo appena fatto.

Sono morta, pensai. La guardia si avventò su di me e mi diede un altro schiaffo, più forte del primo. Caddi a terra e mi tenni la mano sulla guancia. Non l’avessi mai fatto, mi arrivarono altre due sberle, mentre gli altri soldati ridevano:

-Ti sta bene, puttana!- dicevano in molti. Mi cadde lo sguardo su Fabrizio, che mi guardò addolorato e scosse la testa. Questi però non aveva colpa: mi aveva avvertito e io sapevo casa mi sarebbe successo se mi fossi ribellata ancora.

-Questa ragazza non la smette mai di disubbidire agli ordini…- disse il fratello di Fabrizio, che durante tutto il viaggio avevo cercato di evitare. Gli altri risero.

-Le daremo una bella lezione allora.- e, proprio lui, che in tutta quella spiacevole storia non c’entrava niente, tirò fuori la frusta e si avventò su di me.


 

Mi svegliai con dolori in tutto il corpo e quando aprii gli occhi non capii dove fossi. Vedevo tutto a pallini, sentivo che mi stavo muovendo, ma non con le mie gambe. Appena la vista si fece più nitida, riuscii a scorgere tutto: ero tra le braccia di Fabrizio, mentre lui mi portava in braccio, a piedi. Cercai di muovere le labbra ma anche questo mi causò un dolore atroce. Ricordavo che dopo le prime quattro o cinque frustate ricevute alla schiena, ero svenuta. Non sapevo cosa ne fosse stato di me poi, sapevo solo che adesso non riuscivo a muovermi. Mi sentivo addosso ancora il cuoio della frusta di Antonio e gli schiaffi del soldato. Volevo piangere, ma mi uscì solo un lamento strozzato dalla gola.

-Shh- disse Fabrizio, -siamo quasi arrivati a Roma.- vidi infatti che era sera. Cominciai a piangere a dirotto ma non uscivano lamenti dalla mia bocca. Era impossibile resistere a quell’impulso, piangevo per tutto: per il dolore e per quello che mi stava succedendo.

-Vedrai che in pochi giorni starai meglio… fidati, io ne ho prese tante di frustate e già tra due giorni potrai camminare senza problemi. Sono solo ferite superficiali, dolorose, ma superficiali.- mi rassicurò. Perchè cercava di consolarmi? Mi avrebbe potuto rinfacciare tutto, perchè lui mi aveva avvertita… ma io come al solito non gli avevo dato retta.

Quando entrammo dentro le possenti mura di Roma mi sentivo peggio di prima: mi facevano male tutte le ossa, il viso e ogni muscolo. In più arrivarono anche i dolori di stomaco, per la fame e non solo. Iniziai a lamentarmi e a piangere più forte

-Shhh… ci siamo quasi…- disse Fabrizio, poi non capii più nulla.


 

Di tutto ciò che accadde dopo ho solo un ricordo confuso: capii di essere entrata in una villa immensa e di essere portata da qualcuno in una stanza, compresi che Fabrizio discuteva con degli uomini su di me. Non afferrai bene le parole, le orecchie mi fischiavano e vedevo tutto sfocato, i suoni delle voci mi arrivavano ovattati.

Tutto iniziò a diventare più nitido non appena mi portarono in una camera molto ben arredata, che era una stanza da bagno. Fabrizio chiamò delle ancelle, mi lasciò alle loro cure e poi sparì.

Per prima cosa mi fecero fare un bagno caldo: fui messa dentro una vasca e cominciarono a lavarmi. Inizialmente urlai per il dolore che mi causavano le ferite a contatto con l’acqua e con i pezzi di stoffa che mi strofinavano addosso per pulirmi, ma le mie grida si fecero più flebili man mano che mi abituavo all’acqua e a tutto il resto. Quando uscii dalla vasca, con molta difficoltà mi trascinarono in un letto. Le ancelle mi medicarono le ferite e mi vestirono con degli abiti freschi e puliti, mi spazzolarono i capelli e me li lasciarono sciolti lungo la schiena, morbidi e lucenti come erano stati prima della mia cattura; dopo di che rimasi da sola. Ebbi appena il tempo di pensare che mi sentivo davvero meglio dopo quel bagno, che mi addormentai, più rilassata ma ancora dolorante in ogni parte del corpo.


 

Quando mi svegliai, mi ritrovai stesa su un letto morbido, in una camera che mi era estranea. La luce calda e rassicurante che entrava dalla finestra mi illuminava il viso e la leggera brezza mattutina, sebbene attutita dalle tendine, mi fece rabbrividire un poco.(2*) Non capivo dove fossi, ma dopo poco, cominciai a ricordare tutti gli avvenimenti. Provai a girarmi su un fianco ma una fitta al costato mi bloccò. Tuttavia, non era nemmeno paragonabile a quello che avevo provato… quando, il giorno prima? Decisi che mi sentivo davvero molto meglio. Vidi che su un mobile vicino al letto c’era un vassoio con del cibo. In effetti, avevo davvero molta fame…

Con molta difficoltà riuscii a prendere il vassoio che era li sopra e mangiai tutto. Dopo aver riempito il mio stomaco e aver quindi placato i morsi della fame, mi guardai intorno: la camera era lussuosa, anche se non come la mia in Grecia... L’arredamento, sebbene magnifico, era ridotto all'essenziale: un letto con il baldacchino, dove ero sdraiata io, una cassapanca dove riporre gli effetti personali, un tavolo, uno sgabello, un armadio e uno specchio. Sicuramente quella doveva essere la stanza di un soldato... che fosse... non riuscii a finire di formulare il pensiero, che Fabrizio entrò piano nella stanza.

Non seppi se fare di nuovo finta di dormire, per evitare di ascoltare ciò che aveva da dirmi... ma in fondo, peggio di così non poteva andare, quindi era meglio affrontare ciò che mi aspettava. Fabrizio tenne gli occhi puntati su di me, senza proferire parola e io abbassai lo sguardo e lo puntai sulle lenzuola di lino bianche. Non sapevo cosa avesse intenzione di dirmi, sinceramente, ma non mi aspettavo certo delle parole di conforto.

-Come ti senti?- mi chiese invece dolcemente continuando a fissarmi. Io rimasi un po’ stupita del fatto che si stesse interessando al mio stato di salute

-Meglio...- dissi piano. Il ragazzo mi guardò ancora, poi con tono diverso, spiccio e pratico, disse

-Ti ho fatto portare qui nella mia stanza- e a quelle parole avvampai –perchè ho pensato che negli alloggi della schiavitù non ti avrebbero curata bene e non saresti guarita... ma appena starai meglio dovrai andare nei tuoi alloggi, anche perchè ci sono alcune procedure da svolgere...- iniziò. Non capii subito ciò che volesse dire

-Posso fare una domanda?- chiesi con un filo di voce. Iniziavo ad adattarmi alle regole, anche se non mi piacevano affatto. Di certo, per un bel po’ non le avrei trasgredite, dopo la lezione che avevo ricevuto...

Fabrizio annuì

-Cosa dovrò fare da adesso in poi? Dove lavorerò?- chiesi più piano di prima. Fabrizio mi guardò

-Lavorerai qui con le altre donne... qui in casa di mio padre.- e con questo uscì.


Note dell'autrice

(1*) La distanza Roma – Sabaudia è di 80 km

(2*) nel periodo romando per finestra si intende un buco nella parete. Non c’erano né persiane ne serrande, ma solo delle tendine che servivano a non far vedere a chi c’era di fuori ciò che si svolgeva all’interno della casa. Quando pioveva infatti, spesso le stanze si allagavano.

Salve a tutti, eccomi qui con un nuovo capitolo!
innanzi tutto ringrazio tutti coloro che hanno recenzito il primo capitolo e anche tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite, mi ha fatto davvero molto piacere. Come al solito, se c'è qualcosa di non chiaro nella storia fatemelo sapere nelle recenzioni e provvederò a rendere tutto più comprensibile. Sto passando un periodo tremendo, quindi perdonatemi se gli aggiornamenti non saranno sempre puntuali, ma questa volta ho mantenuto la promessa!
Recenzite in tanti
bacioni
 

_Renesmee Cullen_


 


 

  
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _Renesmee Cullen_