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Autore: _Graysoul    28/04/2013    8 recensioni
Larry // AU!Hunger Games
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: Buongiorno a tutti. Ho scritto questa OS per Giorgia e Eleonora in particolare; spero vi piaccia, donnacce mie. Questa OS è basata sul Fandom di Hunger Games, quindi se non avete letto/visto il libro non so se capirete tutto tutto tutto. Boh, detto questo spero vivamente che vi piaccia. Buona lettura! 



Harry spalanca gli occhi all’improvviso, risvegliandosi nella sua camera. Cerca di calmare il fiatone, respirando a fondo. Louis si dimena nel sonno al suo fianco. E’ così bello… con i capelli lisci tutti in disordine, le spalle nude ormai forti e allenate, ma ad Harry non piaceva quell’espressione angosciata stampata in viso; e così “Lou..” lo sveglia, sussurrando “svegliati” percuotendolo delicatamente. L’altro si sveglia, reduce anche lui da un brutto incubo. Molto probabilmente lo stesso orribile incubo che da giorni li angosciava, sia di giorno che di notte.
Louis si stropiccia gli occhi, ancora mezzo addormentato, cercando il calore del corpo del suo amato Harry, trovandolo e portandoselo addosso. “Che ore sono?” chiede normalmente.
“Sono le dieci spaccate” sospira, rispondendo a una domanda come un’altra. Non quel giorno.
“Che giorno è?” Louis non è sicuro di voler davvero porre la seguente domanda tanto quando non vuole sentire la risposta, ma tanto vale.
“Lunedì” e la risposta potrebbe essere davvero perfetta se Harry non aggiungesse “Oggi è il giorno della Mietitura.” Nonostante la consapevolezza costante, sembrava che il peso del cielo si fosse poggiato su di loro. Si guardarono un momento negli occhi, spaventati, ansiosi, sconfitti, impotenti. Avevano deciso di passare la notte insieme, nella ‘lussuosa’ –per quanto una casa del Distretto 12 possa essere definita lussuosa- casa del figlio del Sindaco, Harry; quella potrebbe essere anche stata la loro ultima notte insieme, ma nessuno l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Ma anche in quel caso il fiume nero della consapevolezza li aveva infradiciati dalla testa ai piedi.
Louis sospira, rassegnato, alzandosi e rindossando i vestiti che la sera prima avevano gettato per terra. Harry, ancora a letto, osserva quel corpo esile, troppo magro; perché sì, Louis era forte e senza subbio aveva una bella corporatura dopo tutti quegli anni di caccia, ma era troppo magro e Harry aveva sempre paura che quel corpo che tanto amava potesse spezzarsi da un momento all’altro. Si riveste anche lui, entrambi in un silenzio che in quel giorno –il quale, se avesse un calendario, avrebbe sicuramente cerchiato di nero- accomunava l’intero Distretto. Fecero rapidamente colazione più per abitudine che per necessità e si rifugiarono in camera. Ancora silenzio. Nessuno dei due aveva davvero voglia di parlare. Se uno dei due avesse parlato, di sicuro la conversazione non si sarebbe basata sul clima o sulla bellezza dei cervi nei boschi dove andavano sempre a cacciare.
Harry si fermò a pensare quanto sarebbe stato bello essere lì, in quel momento. Nel bel mezzo dei boschi, avvolti da un silenzio che profumava di menta, odorava di pioggia; un silenzio delicato e non il silenzio logorante di adesso. Gli sarebbe piaciuto essere in riva al lago assieme a Lou, in quel momento, a mangiare fragole e prendere in giro Capitol City e i loro vestiti strani… ma anche più lontano. Oltre il loro bosco. Oltre Panem. Oltre qualsiasi limite che li legasse a quella vita scura come il carbone delle miniere grazie alle quali ancora vivevano a stento.
“Potremmo farlo, sai?” prima o poi quelle parole gli sarebbero scappate. Harry lo sapeva.
“Cosa?” Louis sa già bene cosa. In quel giorno, le risposte a ogni domanda erano già scritte.
“Lasciare il Distretto. Scappare. Vivere nei boschi. Tu e io potremmo farcela” è solo l’illusione di un sogno lontano, amaro. E a Louis viene da ridere, in quel momento. Sì. Sì, ce l’avrebbero fatta sicuramente, e di questo ne era certo. Ma che senso avrebbe avuto? E le loro famiglie? Dove sarebbero andati? A Louis non era il cibo a preoccupare, bensì i Pacificatori. Senza scrupoli, pronti a fucilare qualsiasi cosa si muova intorno a loro. Sarebbero presto morti. Lo sapevano entrambi.
“Sì… si, potremmo.”
“Chissà quante persone hanno già fatto questo discorso… chissà quanti hanno ripetuto queste esatte parole e chissà quanti altri ancora lo faranno..”
“Mai abbastanza, Harry. Mai abbastanza.”
Il riccio annuì brevemente, giocherellando con le loro dita intrecciate. Aveva un groppo in gola. Sapeva che quell’anno sarebbe finita male. Non per lui, che di nomine ne aveva solo quattro, il minimo indispensabile. Ma per Louis. Lui di nomine ne aveva davvero troppe. In tutti quegli anni ha sempre dovuto nominarsi in cambio di tessere per sopravvivere; il problema è che Louis non è solo: con se ha quattro sorelle e una madre da sfamare, e una tessera sola non basta. Così in tutti quegli anni, nonostante Harry lo aiutasse il più possibile con i soldi che Louis ha quasi sempre rifiutato per principio, Louis si era nominato davvero troppe, troppe volte. E Harry aveva paura, terribilmente paura. Quello era il loro ultimo anno di mietitura; se l’avrebbero passato, erano salvi. Salvi. Avrebbero potuto vivere insieme, prendersi cura delle loro famiglie il più possibile, sperare per loro, ma loro due sarebbero stati salvi. Era un discorso egoistico, Harry lo sapeva, ma in un mondo del genere, quando sei costretto a vivere una vita così, l’egoismo passava in terzo o quarto piano. Sinceramente, il riccio non avrebbe mai potuto immaginare un’esistenza senza il suo Louis, il suo Lou, il suo Boo Bear, che pareva avergli letto nella mente.
“Harry, smettila” un sussurrò deciso, ma arreso, mentre gli accarezzava dolcemente i ricci, di nuovo sdraiati a letto. L’altro scosse la testa a scatti, un nodo alla gola che gli impediva di pronunciare sillaba.
“Ma…”
“Shhh, zitto. Lo so. Sono qui, adesso. Stai tranquillo.” E Louis avrebbe regalato l’anima al diavolo solo per non veder soffrire così il suo raggio di sole, ma una speranza del genere andava oltre il concesso. Ancora silenzio. Pesante e lacerante silenzio. Sembrava che Panem intera cercasse di fare meno rumore possibile mentre i Distretti si buttavano in un’apparente calma. L’orologio appeso allo spoglio muro della camera di Harry ticchettò Mezzogiorno. Di già.
Louis si alzò, baciando delicatamente Harry sulle labbra. “Vado a prepararmi e a dare una mano a mamma… sai, le ragazze…” e tirò un sorriso che non avrebbe convinto proprio nessuno.
Harry annuì sussurrando un “ci vediamo dopo” lasciandolo scappare dalla sua famiglia.
 
 
Si diresse a passo pesante verso casa, attraversando le strade deserte del Distretto. Ogni anno sempre la stessa storia. Era frustrante. Specialmente quest’anno, al quale Louis sapeva di non avere più scampo. Se l’era già cavata abbastanza e ora sapeva che la sorte non era più a suo favore.
Una volta a casa, aiutò la madre a preparare le sue sorelle tra vestiti, trecce, gonne e scarpe. Le quattro ragazzine avevano, proprio come Harry, il minimo indispensabile di nomine e di questo Louis era rincuorato; non avrebbe sopportato dover assistere alla morte certa in diretta TV delle persone a lui più care. Si preparò anche lui indossando la camicia azzurra prima appartenuta al padre e i classici pantaloni che iniziavano ad andargli corti e fin troppo stretti. Beh, tanto il prossimo anno non gli sarebbero più serviti. Cercò di riempirsi la mente di pensieri ottimistici: decise che avrebbe portato Harry al lago subito dopo la Mietitura. Avrebbero fatto il bagno insieme, come al solito, poi sarebbero andati a mangiare le fragole in quell’angolo di bosco che si erano ritagliato solo e soltanto per loro e poi si sarebbero nascosti a casa di Harry per fare l’amore, ancora e ancora. Per un attimo, un vero sorriso gli illuminò il volto, spegnendosi poco dopo. Sapeva cosa lo aspettava. Diede un bacio a tutte le sue sorelle, abbracciò forte la madre e “vado da Harry, ci vediamo dopo” e scappò via.
Lo trovò poco dopo, avvolto da una camicia bianca nuova che lo faceva sembrare quasi divino. Gli andò incontro, baciandolo. Ne aveva bisogno. Ne aveva un disperato bisogno.
Harry sorrise e “questi pantaloni ti fanno davvero un bel culo, sai?” lo complimentò, facendolo irrimediabilmente scoppiare a ridere. Molti dei ragazzi e ragazze che si stavano già dirigendo verso la piazza si voltarono, guardandoli male, chiedendosi cosa diavolo c’era da ridere così in u giorno del genere. Ma a loro non importava gran che. Si baciarono ancora una volta, guardandosi negli occhi. Si amavano. Si amavano davvero tanto, e si diressero anche loro verso la piazza, prendendo posto vicini. Suonarono le due. Louis lanciò un occhio alle sue sorelle, poco distanti, e sorrise loro incoraggiante come a dire “hey, stasera si mangia cervo!” mentre un buco si faceva sempre più profondo nel suo stomaco.
Intanto Effy, salita in carica da poco, stava annunciando l’inizio dei Sessantanovesimi Hunger Games (“spero che questa edizione sia … eccitante” era stato il commento del minore qualche giorno prima, suscitando le risate dell’intera famiglia Styles-Tomlinson)e Harry intrecciò le loro mani, stringendola forte. Quando la giovane donna, quest’anno strizzata in un abito –sempre che sia possibile definirlo tale- giallo canarino, accompagnato da una parrucca rossa fuoco e delle scarpe (che, se fossero appartenuti a qualche secolo precedente, sarebbero sicuramente appartenute a Lady Gaga) si avvicinò al grande contenitore di vetro con dentro i nomi delle ragazze, un silenzio penetrante parve avvolgere il mondo intero.
“Taylor Swift” chiamò la voce squillante di Effy, euforica. Tutti si voltarono a destra, occhi puntati contro quella Taylor che Harry e Louis conoscevano bene: andava a scuola con loro e aveva la loro stessa età; bella da mozzare il fiato, ci aveva spudoratamente provato con il riccio mettendo in mostra il suo sorriso smagliante e quei costanti occhi allegri che ora parevano definitivamente scomparsi. Ci fu un attimo di trambusto, seguito dai classici pianti dei familiari e dallo sgambettare di Effy fino alla ragazza, imbambolata davanti al palco, con il destino già crudelmente segnato. Louis pensò che sarebbe sopravvissuta sì e no mezza giornata. Attimi dopo, Harry stava di nuovo stringendo spasmodicamente la mano del suo ragazzo, dato che Effy si era nuovamente avvicinata al contenitore di vetro, stavolta dei maschi. Chiuse gli occhi.
“E l’audace giovane che accompagnerà la nostra deliziosa Taylor in questi nuovi Hunger Games è…” il riccio sentì l’ossigeno bloccarsi nei polmoni. Le forze lo abbandonarono, il sangue gli si ghiacciò nelle vene.
“Louis Tomlinson”
L’ultima cosa che Harry vide, furono due liquidi occhi celesti. Poi, il buio.
 
 
 
Trascorsero due settimane. Due settimane in cui Harry aveva ufficialmente smesso di vivere. Due settimane che Harry vagava nel bosco. Non era più tornato a casa. Non aveva più aperto bocca. L’ultimo ricordo che ancora lo teneva legato al suo corpo era una promessa. Quella promessa.
“Aspettami. Tornerò, Harry. Te lo prometto. Tornerò per te.”
Ma Harry non riusciva ad aspettarlo. Non in casa. Non vicino alla televisione che avrebbe parlato di lui in continuazione. Non insieme alle persone, dalle cui bocche poteva dipendere l’intera vita di Harry, se solo gli avessero detto che Louis sì, era ancora vivo oppure… oppure no.
Harry davvero non ce l’avrebbe mai fatta, così era scappato via. Viveva di selvaggina, come sempre. Badava a se stesso, dormiva in quell’angolo di bosco che adesso apparteneva solo più a lui. Due settimane di silenzio, dolore. Non si riconosceva più. Non si sentiva più vivo. Stava impazzendo. Il pensiero di Louis morto lo tormentava in continuazione e la consapevolezza si insinuava per l’ennesima volta dentro di lui, ghiacciandogli il cuore.
Si risvegliò di colpo, nonostante non si fosse mai realmente addormentato. Era trascorso un altro giorno e ormai sentiva di essere solo. Louis non c’era più. Se n’era andato via, spazzato dalla crudeltà di Capitol City. Harry si ripromise che un giorno quel posto sarebbe bruciato all’inferno, distrutto dalla loro stessa smania di vendetta. Ma quella persona non sarebbe stata lui. Tutto ciò che Harry voleva, era stare con Lou. Ma Lou non c’era.
Si alzò barcollante, debole, fisicamente bisognoso di cibo o acqua ma psicologicamente sazio e si diresse verso il laghetto. L’aveva accuratamente aggirato; il solo pensarci gli procurava una fitta di dolore lancinante. Esattamente ciò che cercava in quel momento. Dolore, ma definitivamente. Ci impiegò il triplo del tempo, rischiando di farsi ammazzare più e più volte tra bestie e Pacificatori, ma alla fine ci arrivò. Il laghetto. Limpido. Deserto. Si accasciò sulla spiaggetta lì vicino, quella dove mangiavano spesso le fragole, e iniziò a piangere. Piangere disperatamente, dato che non sapeva cos’altro fare. Piangere, finalmente. Dopo chissà quanto tempo, quando il cielo da azzurro era diventato rosso come i suoi occhi, le lacrime finirono. Harry sollevò la testa che aveva tenuta nascosta tra le sue ginocchia, scosso dai singhiozzi, e la prima cosa che vide furono una manciata di fragole ai suoi piedi. Pensò di aver definitivamente perso la testa, ma aveva troppa fame, quindi tanto valeva saziarsi di un’illusione. Iniziò a mangiarle, gustandole, facendo colare il succo rosso lungo il collo, sporcandosi le mani, piangendo ancora un po’ costantemente punzecchiato da dolorosi ricordi. Quando finì, andò a sciacquarsi le mani al laghetto. Si alzò, tremante e stava per tornare finalmente a casa per mettere un punto a quell’agonia quando la sentì. Una voce.
“Spero davvero che quelle fragole fossero buone, perché credimi che trovarle non è stato semplice.”
I riflessi di Harry, che egli stesso credeva persi per sempre, incoccarono una freccia nell’arco che si era dimenticato di avere e la scagliarono fulminea verso quella voce che lo aveva trapassato da parte a parte.
Si voltò di scatto e il primo pensiero che gli attraversò la testa fu ‘sono morto’.
Il secondo ‘sono pazzo’.
Il terzo, espresso ad alta voce, “LOUIS.”
Louis (che aveva prontamente evitato la freccia). Il vero Louis. Il suo Louis.
Gli si fiondò incontro e caddero insieme nel lago. Harry lo abbracciò, probabilmente incrinandogli qualche costola, rischiando di affogarsi in acqua; prese a baciarlo spasmodicamente, non riuscendo più a controllarsi. Non era un sogno. Era reale. Era Louis. Era tornato, per lui. Iniziò a piangere, a ridere, continuando a baciarlo.
“Sono qui, Harry” sussurrava l’altro, anch’egli in lacrime, con il cuore impazzito “sono qui. Con te. Ho vinto. Per te.” Alla fine la promessa l’aveva mantenuta.




Okay, salve a tutti.
Questa OS sono secoli che l'ho lottata ma non ho mai avuto il tempo (cioè voglia) di farlo.
Ora, miracolo, eccola qui. L'ho dedicata alle mie due care ragazzuole fanatiche quasi quanto me di HG. Pre voi, picciotte.
So benissimo di aver fatto un macello e sfracello con i tempi verbali ma credetemi la mia pigrizia è giunta a livelli improponibili e il mio tempo si è nascosto chissà dove e non la ricorreggerò (mi sento cattiva e antipatica, lo so, ma davvero i can't ;__;)
Spero che l'abbiate apprezzata, che non abbia fatto troppo schifo (non sapevo come diamine finirla!);
spero come al solito in un vostra recensione, anche solo due parole per sapere se vi è piaciuta o no.
Detto ciò, grazie ancora per aver letto e a presto spero :3
Luv ya.
-Claire
 

  
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