Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: ShioriKitsune    28/04/2013    5 recensioni
«In un certo senso, ed in un modo strano e contorto, lui mi ha salvato. Ed io gli sarò sempre grato per questo».
[SebxCiel]
E' la mia prima fan fiction sul mondo di Anime e Manga, spero che vi piaccia. Questa storia è ambientata dopo l'ultima puntata dell'Anime (il manga è ancora in fase di lettura v.v) e inizia raccontando la paura di Ciel riguardo al distacco del suo maggiordomo. E poi, in un crescendo di suspance, si scoprirà quanto Ciel sia stato infantile nel suo giudizio.
Spero davvero che possa essere di vostro gradimento :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Avvertimenti:
Questo capitolo, diviso in tre mini-capitoli (che ho messo tutti insieme per non farvi aspettare troppo), non prende ispirazione da nulla in particolare, ergo non contiene spoiler (tranne che un lieve accenno nell'ultima parte). E' quasi tutto frutto della mia mente malata, quindi mi scuso se a tratti sembrerà OOC.
Inoltre, la scelta dei primi due pezzi in terza persona e dell'ultimo in prima è motivata.
Spero non vi disturbi.



 

Quel maggiordomo, nascita.

 
La pioggia scrosciante bagnava il corpo esanime di una donna, distesa in modo scomposto sul terreno umido. I suoi arti parevano piegati in posizioni impossibili, sicuramente spezzati, ma le dita della mano ancora sembravano volersi muovere.
Deglutì a fatica, cercando di chiedere aiuto.
Non per se stessa, poco le importava di morire, ma per il piccolo che aveva appena dato alla luce.
C’era qualcosa di innaturale in quel bambino, ma.. beh, non sarebbe potuto essere altrimenti.
Lui la guardava con occhi maligni, furbi, ma la donna non riusciva a provare ribrezzo per quella creatura.
Nonostante sapesse cosa fosse e da chi provenisse.
Alcune lacrime le bagnarono il viso.
Come ho potuto, pensava. Come ho potuto metterlo al mondo?
Ma non aveva avuto scelta.
Arriverà tra poco.
Arriverà a prenderselo.
La creatura si mise in piedi, inclinando il capo per osservare meglio la donna che l’aveva generato.
Era piccola, debole, inutile.
Ora che aveva compiuto il suo dovere, lasciarla vivere sarebbe stato uno spreco.
Le si avvicinò, sorridendo. Il suo corpo cambiava sotto lo sguardo impaurito della sua creatrice, crescendo e plasmandosi.
Si inginocchiò al suo fianco, scostandole una ciocca di capelli bagnati dal volto madido di sporco, sudore e lacrime. «Ti ringrazio, umana. Hai svolto alla perfezione l’incarico che ti era stato assegnato».
La donna sgranò gli occhi, il battito del suo cuore che si faceva incontrollabile. Come poteva quella creatura, quella che aveva fatto nascere solo pochi minuti prima, essere cresciuta tanto ed essere in grado di parlare?
Abominio.
L’istinto di protezione che fino a pochi attimi prima aveva cercato di sopraffarla si diradò immediatamente, avvertendo la freddezza del suo tocco. La paura, al contrario, iniziava a farsi strada nel suo cuore.
Mi ucciderà.
«Sì, lo farò», rispose lui, incrociando gli occhi scuri e terrorizzati dell’umana. «E senza provare nemmeno un briciolo di compassione, madre».
Quella parola, quella parola così pura e bella, pronunciata dalle sue labbra sembrava il più perfido degli insulti.
Non posso essere la madre di questa.. cosa.
«Hai firmato un contratto, ricordi? Il tuo grembo in cambio dell’oro che tanto bramavi. E cosa ti è rimasto? Cosa te ne farai dell’oro, quando sarai sotto terra?».
La creatura si alzò, guardando quel misero essere con disprezzo.
Ecco cos’era il genere umano, quello di cui tanto aveva sentito parlare. Un concentrato dei peggiori sentimenti, capaci di peccare con un solo pensiero.
Dovreste morire tutti.
Posò un piede sul suo petto, voltandola a pancia in su.
Il suo corpo era squartato, immerso in una pozza di sangue, le sue ossa rotte, la carne strappata.
«Cosa si prova ad aver messo al mondo il figlio di Satana?».
Quel tono di scherno, quel tono che già una volta aveva udito.
Il tono dell’angelo che l’aveva sedotta.
«Tu, la più viscida tra le donne, la più corrotta e sporca. Dovresti sentirti onorata, ma tutto ciò a cui riesci a pensare è il non poter usufruire delle tue ricchezze. Non sei degna nemmeno di essere uccisa da me».
La donna sgranò gli occhi, ritraendo il braccio dolorante. «Sta’ lontano da me, demone».
Lui ghignò, muovendo il braccio nudo e ormai completamente sviluppato. Il suo aspetto era quello di un uomo maturo, i capelli corvini che gli ricadevano davanti agli occhi color del sangue. Si leccò le labbra, richiamando un cane completamente nero.
«Come il peggiore dei parassiti, morirai per mano di un animale».
La donna urlò, ma nessuno l’avrebbe sentita. I suoi resti si sarebbero decomposti tra le fauci di una bestia.
E il demone le diede le spalle, allontanandosi lentamente. Il pallore della sua pelle in netto contrasto con il nero che portava dentro.
Ghignò, beandosi degli ultimi gemiti di dolore provenienti dal corpo mutilato di colei che l’aveva messo al mondo.
Non temere, padre. Non ti deluderò.
Questo è solo l’inizio.

 

Quel maggiordomo, vita.

 
Quel demone aveva passato i successivi mille anni a sterminare interi villaggi, non curandosi minimamente della qualità delle anime ingerite. Qualsiasi cosa andava bene, ma quasi nulla riusciva ormai a soddisfarlo.
Seduto a gambe divaricate sull’enorme trono vichingo in pietra, nelle profondità dell’inferno, era circondato da ogni tipo di peccato.
Una demone femmina gli si avvicinò, strusciando la guancia contro l’interno della sua coscia.
Tutti volevano un po’ della sua attenzione.
In fondo, era il figlio del più splendente tra gli angeli e del più oscuro fra i demoni.
L’unico ad essere stato concepito e partorito da grembo materno.
L’unico ad avere un’anima, nascosta da qualche parte.
L’unico che conservava in sé quel pizzico di umanità che lo portava a disprezzare tutto ciò che aveva intorno.
Afferrò la donna demone dai capelli, scaraventandola giù dalle scale con un gesto secco. «Non toccarmi».
Piaceri carnali di cui aveva goduto a sufficienza e in ogni modo possibile, avevano perso il qualsivoglia interesse per lui.
Tutto ciò che gli altri demoni ricercavano e apprezzavano, lui lo disgustava.
Perfino l’anima umana, ormai.
«Principe», sussurrò un sottoposto, incrociando il suo sguardo.
Il demone non aveva un nome, nessuno glielo aveva mai dato e a lui non interessava averne uno. «Cosa vuoi?».
«Lucifero vuole..-».
Si alzò, rovesciando sul pavimento in pietra il calice di vino e sangue che fino a quel momento aveva stretto tra le dita affusolate. «Dov’è?».
«Ai cancelli».
Il demone si avviò verso il posto indicatogli senza fare altre domande, con lo sguardo serio e impassibile.
Suo padre lo aspettava nella forma spirituale – era raro che assumesse forma umana. Poteva solo fissare i suoi occhi screziati di rosso fissarlo come divertiti.
«Perché qui?», domandò atono.
«Ho qualcosa per te. Sei così annoiato di recente, figliolo».
Serrò la mascella. «Se è la distruzione di un altro villaggio, non m’interessa».
Lucifero ghignò. «Niente di tutto ciò. Più che altro un test».
Il demone inclinò il capo. «Non ti seguo».
«Sono sicuro che non ti sei mai nutrito di un’anima pura».
«Ovviamente», rispose il demone. «Le anime pure non stringono contratti».
«Questo non è del tutto vero», sussurrò Lucifero. «Stringono contratti in modo diverso. Per salvare dalla morte qualcuno a loro caro, per il bene di un amico o di un parente, per poter donare la gioia di un figlio che non arriva alla propria moglie..».
«Non ho mai conosciuto gente di questo tipo».
«Perché ti sei sempre accontentato della prima vita capitata a tiro. Non conosci nemmeno il gusto di un’anima più raffinata».
«Gli umani sono tutti uguali», ammise sprezzante il demone. «Non vale la pena perdere tempo con loro».
«Oh, figliolo, non sai quanto ti sbagli. Ed è per questo che ti propongo questo test, o sfida».
L’altro rimase in silenzio, in attesa. Lucifero affilò lo sguardo, compiaciuto.
«Dovrai nutrirti delle anime più pure per cinquecento anni. Se alla scadenza di questi non avrai cambiato idea sul genere umano, avrai il mio posto e il mio titolo. Ma se dovessi cedere, se dovessi provare affetto per un’anima anche solo per un istante..».
«Non succederà».
«Sembri maledettamente convinto, e mi fa piacere. Ma se dovesse succedere, sappi che ti toglierò la vita con le mie stesse mani».
Il demone ghignò, incrociando lo sguardo del padre. «Mi credi così debole?».
«Non ha importanza quanto tu sia forte, davanti alla purezza di un’anima».
«Nessun’anima è davvero pura».
Silenzio.
«Allora, accetti?».
Il demone annuì. «Giuro sul mio sangue che diventerò il re dell’inferno».
Provare affetto per un umano, che cosa ridicola.
Le anime sono tutte uguali, nessuna merita la salvezza.
Nessuno riuscirà a portare a galla gli sprazzi di bianco della mia anima dannata.
Vincerò la sfida.
 

Quel maggiordomo, morte.

 

14 dicembre 1885.
 
La sfida lanciatami da Lucifero non era stata una passeggiata come inizialmente avevo creduto. Alcune anime, con mia sorpresa, si erano rivelate degne.
Ma non degne del mio affetto, non degne di continuare a vivere.
Degne, rispetto all’impurità del genere umano in sé.
Pochi giorni e sarebbe scaduto il termine ultimo postomi dal padre. Pochi giorni e sarei stato in grado di esercitare un nuovo potere. La mia intera esistenza, forse, sarebbe diventata meno noiosa.
In cinquecento anni, mi ero nutrito solo di anime scelte, selezionate con estrema accortezza dopo attenta analisi. E il mio palato si era assuefatto a quel gusto ricercato, più dolce e invitante rispetto a quello delle anime di cui ero abituato a nutrirmi in precedenza.
Non sarei mai riuscito a tornare ai miei soliti pasti.
Inoltre, sporcare un’anima inizialmente bianca, era più eccitante del trovarla già macchiata dei peccati più disgustosi. Deturpare l’ingenuità, assaporare la rottura.
La mia fame era rinata con un nuovo aspetto.
 
Quella notte ci sarebbe stata un’evocazione.
Una setta mi avrebbe invocato, sacrificando a me l’anima pura di un fanciullo. L’avrei accettata di buon grado, accontentando le loro misere richieste.
Cosa spingesse un uomo a togliere la vita ad un infante non lo avrei mai capito. Quella razza di vermi meritava lo sterminio, ma non mi sarei sporcato le mani con delle anime tanto sudice.
Non ci volle molto prima che, piantando un pugnale al centro esatto del petto di quel pargolo dalla pelle candida, pronunciassero le parole che mi avrebbero trasportato lì.
L’altare era sporco di sangue e sperma, quella era feccia della peggior specie. Il solo essere stato evocato da loro era un disonore.
Li ucciderò in ogni caso,pensai. Magari nello stesso modo in cui loro hanno sacrificato quell’anima.
Un ghigno si dipinse sul mio volto mentre constatavo quanto fattibile fosse la cosa.
Ma fu in quel momento che qualcosa accadde.
Qualcosa che mai mi sarei aspettato.
«Ehi tu, demone».
Chiusi gli occhi, quella non era una voce reale.
L’anima del bambino sacrificato mi stava parlando.
«Sono stato io ad invocarti, fammi tornare in vita. Stringi un patto con me».
Rimasi interdetto per un attimo.
Era la prima volta che un’anima di quel tipo chiedeva spontaneamente di stringere un contratto. Mi leccai le labbra, degustando il sapore di quella purezza che avrei rubato.
«Non m’importa cosa vuoi in cambio, prenditi pure la mia anima se ci tieni. Ma solo dopo avermi aiutato a scoprire chi ha ucciso i miei genitori. Fino a quel momento, mi farai da maggiordomo».
Alzai un sopracciglio.
Maggiordomo?
 «Essia. D’ora in poi sarò il suo fedele servitore, bocchan. Qual è il suo primo ordine?».
«Riportami in vita. E uccidi tutti quelli presenti in questa stanza».
Sorrisi, tendendogli la mano spirituale che lui afferrò senza esitazioni, ritrascinandolo nel mondo dei vivi.
«Sono il conte Ciel Phantomhive del Casato Phantomhive, e giuro sul mio onore che vendicherò la morte dei miei genitori».
Eccitante.
Un’anima che anche davanti alla promessa di vendetta, sembra voler rimanere pulita e circondata dall’innocenza.
Che cosa insolita.
Le sue gambe tremavano, ed era sporco e troppo magro. Si stringeva addosso quel pezzo di stoffa che gli serviva a coprirsi, nonostante fosse macchiato di sangue e di tutte le atrocità che aveva subito.
«Cosa vuole che faccia adesso, bocchan?».
Lui deglutì a vuoto, guardandosi intorno.
«Per farmi da maggiordomo, devi apparire. Assumi un aspetto umano. Devi servirmi e prenderti cura di me. Non devi mentirmi o tradirmi mai, voglio potermi fidare di te».
Aggrottai la fronte.
Che richieste assurde per qualcuno che aveva stretto un contratto con un diavolo.
«Se volevi una balia, ce ne sono tante e a buon prezzo».
«No», rispose brusco lui. «Non è solo quello. Voglio la forza, il potere. Voglio la vendetta».
Ghignai.
Beh, almeno si iniziava a ragionare.
Apparsi davanti a lui, facendo un mezzo inchino. «Sì, mio signore».
Nell’istante in cui pronunciai quelle parole, sulla mia mano e nel suo occhio apparve il sigillo faustiano che avrebbe legato le nostre anime per sempre.
Sarà una passeggiata, pensai. Poi potrò tornare all’inferno.
Ma non ci misi molto a rendermi conto che non sarebbe andata così.
Che i miei progetti erano tutti sbagliati.
Che quel bambino, quell’infante dall’anima più pura che avessi mai incontrato, mi avrebbe cambiato radicalmente.
Una piccola mano mi afferrò la coda del frac, bloccandomi. «Ho detto già qual è il mio nome, ma il tuo qual è?».
Nessuno me l’aveva mai chiesto, prima dall’allora.
Tum tum.
Cos’è questa strana sensazione?
«Non ho un nome», borbottai, abbassando lo sguardo.
«Bene, allora», mormorò il bambino, lasciando andare la mia giacca. «Vorrà dire che ti chiamerò Sebastian. Ti piace?».
Se-Sebastian?
Mi sforzai di sorridere.
«È perfetto, bocchan».
Lui si strinse nelle spalle. «Era il nome del mio cane».
Maledetto moccioso.
 
Ma da quel momento in poi, ogni cosa sarebbe cambiata.
E quel bambino avrebbe sancito la mia condanna a morte.


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Sgranai gli occhi, il corpo di Ciel era disteso inerme tra le mie braccia.
«Bo.. Ciel? Ciel?», lo scossi. «Maledizione, moccioso, apri gli occhi!».
Ma, in fondo, sapevo che non c’era nulla da fare.
Era morto, di nuovo.
Si era sacrificato, donandomi la sua anima per salvarmi.
Mi aveva salvato sul serio?
Qualcosa, dentro di me, si ruppe.
Come se sentimenti assopiti volessero tornare violentemente in superficie ed io non potessi far nulla per fermarli.
Amore, sofferenza, brama di vendetta.
Quei sentimenti umani che fin dalla mia nascita avevo tentato di seppellire.
Era una maledizione, la mia. Essere nato da un grembo materno, possedere un’anima.
Lucifero lo aveva sempre saputo.
Ma non m’importava più di possedere l’inferno, di vivere o morire.
In quel momento, volevo solo salvare il mio piccolo bocchan.
Qualcosa di caldo iniziò a scorrere nelle mie vene.
Più caldo del sangue, più caldo dell’ira.
Era la forza scaturita dall’amare qualcuno.
Mi alzai di scatto, digrignando i denti a causa di un dolore allucinante all’altezza delle scapole.
Ma durò solo un attimo, facendo posto ad una determinazione che mai prima d’allora avevo provato.
Ghignai, fissando con sguardo colmo d’ira il mio obiettivo.
Me l’avrebbe pagata cara.
Non ero più un demone, creatura incapace di provare sentimenti.
Ero un angelo vendicatore.









TO BE CONTINUED:
Eheheh, ho aggiornato puntuale questa settimana. Vado abbastanza fiera di questo capitolo, spiegare la storia di Sebastian mi ha sempre tentato e ora, in qualche modo, l'ho fatto. Spero sia di vostro gradimento!
Vorrei tanto che recensiate, facendomi sapere cosa ne pensate delle stupidaggini che scrivo. Ma vi amerò anche se non lo farete.
Vi ringrazio per le visualizzazioni, l'inserimento nei preferiti e tutto il resto. Senza il vostro supporto, avrei abbandonato già da un po'.
Ma, suvvia, non fatemi perdere in stupidi cliché.
Alla prossima! *u*

 

   
 
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