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Autore: Bethesda    28/04/2013    2 recensioni
"[...]Tuttavia non riuscivo a sopportare l’idea che in così tanti mesi fosse svanito nel nulla. Certo, Holmes ne aveva le capacità, ma non lo ritenevo leale nei miei confronti, e ciò provocava in me un’enorme frustrazione, che si ripercuoteva sul mio comportamento rendendomi scorbutico e poco propenso alle parole. E quando la rabbia svaniva prendevano il suo posto la preoccupazione e il terrore di averlo perso per sempre, magari a causa di un qualche nemico a me sconosciuto, miglia e miglia lontano da me."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Diario di un Consulente Criminale'
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Mi sembrava impossibile che, seduto di fronte al caminetto, rilassato e con indosso la vecchia vestaglia, vi fosse Holmes. Dopo gli avvenimenti passati non pensavo che ci saremmo più riconciliati, né che avrei avuto occasione di ritrovarlo con me nel nostro vecchio appartamento, perfettamente conservato da ormai cinque anni. Sentii una risata roca ma lieve provenire dal suo lato del salotto, e domandai cosa gli stesse causando tanta ilarità.
 
«La tua espressione, amico mio».
 
«La trovi tanto divertente?»
 
«Non è il termine adatto, temo».
 
«Illuminami, dunque».
 
Allontanò la schiena dalla poltrona, curvandosi in avanti e congiungendo le punte delle dita, ritrovando nuovamente la piacevole familiarità che poco prima mi aveva assalito.
 
«Sembra, dal tuo volto, che sia la prima volta che mi vedi all’opera. Credo potrei stupirti con uno dei miei “trucchi”, come ami definirli, e nulla sarebbe cambiato da quando--»
 
Lo zittii con un borbottio irritato: effettivamente non era cambiato alcunché nel suo atteggiamento.
 
«Vedi dunque che trovi questa mia peculiarità divertente».
 
«Deliziosa. Deliziosa è il termine che cerco».
 
Al mio inevitabile rossore di fronte alle sue parole, alle quali ormai non ero più abituato, rise nuovamente, questa volta con maggior gusto, e, finalmente, capii di essere tornato a casa, e che le nostre disavventure potevano definirsi ormai concluse. Inoltre mi trovavo con un uomo nuovo. Non certo che Holmes fosse diventato sentimentale o avesse abbandonato i suoi modi bruschi e freddi, ma nel suo modo di accarezzare il velluto della poltrona quasi impercettibile, e nello sguardo, era emersa una nuova dolcezza, la gioia di essere tornato fra mura amiche, in seno a una città crudele e palpitante di vita. E accanto a me, senza più timore o rischi. Ma questa era una conclusione totalmente personale quanto giusta: mai lui avrebbe ammesso che anche il sottoscritto fosse causa di quella maggior presenza di calore nel suo animo. Ma conoscevo Holmes, e ciò mi bastava.
 
 
Mi rendo conto che tutto ciò possa risultare confusionario e pieno di falle, ma riprendo in mano la penna dopo anni, e solo da pochi minuti ho abbandonato il mio amico e collega alle sue elucubrazioni in salotto. Sono infatti passati pochi giorni dal nostro ritorno e dai fatti poco sopra narrati, eppure la casa fiocca di personaggi loschi alla ricerca di consulenze. Ebbene, finalmente, dopo cinque lunghi anni, mi accingo a narrare ciò che accadde durante l’assenza di Holmes e in seguito al nostro primo incontro, in modo da chiarire questa matassa ingarbugliata.
 

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Non vi è bisogno di tornare a riveder gli appunti di quel lontano quattro Maggio per riportare alla mente le circostanza che mi portarono nuovamente a condurre una vita miserrima, ai limiti della società moderna, senza più un lavoro e senza qualcuno su cui contare. Vivevo alla giornata, con pochi pence, facendo lavori saltuari. Avevo trovato una bettola in affitto a pochi passi dal Tamigi: durante i primi tempi l’aria sembrava irrespirabile, e più volte avevo ritrovato coinquilini indesiderati dietro ai poveri e pochi mobili che possedevo, ma una volta abituatomi, giungevo tanto stanco che a malapena riuscivo ad avvertire il lezzo del fiume.
Continuai in questa condizione per due anni e mezzo, finché non riuscii ad ottenere un lavoro come medico presso una ditta. Non che mi pagassero molto, ma era sempre meglio che scaricare casse tutto il giorno, soprattutto viste le condizioni della mia gamba. In totale sincertià, non seppi mai di preciso cosa facesse quella azienda. Certo era che puzzava incredibilmente di losco, ma, dopo anni accanto a un genio criminale, qualunque altro ladruncolo o truffatore da quattro soldi mi sembrava un novellino e certo non mi incuteva timore. Finché mi avessero assicurato una paga sarei rimasto al loro servizio.
 
Dopo qualche mese di stipendi regolarmente ricevuti riuscii ad allontanarmi dal porto per spostarmi in alcune stanze ben più adatte al mio scopo, nonché più vicine al mio luogo di lavoro. Da solo sarebbe stato difficile ottenerle, ma incredibilmente trovai un coinquilino.
Mi venne presentato al lavoro: un marinaio, dalla pelle consunta dal sole, di poche parole e dalle sigarette nauseabonde. Pur di levarmi da quel luogo avrei accettato chiunque.
Tuttavia, la sera prima del trasloco, fu la mia coscienza a tentare di frenarmi, più che il buon gusto.
Ma come, sentivo rimbombare nella mia testa, dopo meno di tre anni già cerco qualcun altro. Sono pronto a mettere via anni di amicizia per un po’ di solidità. Tanto più che Holmes non era morto, ma solo nascosto agli occhi del mondo. Sarebbe potuto tornare al più presto, e magari mi avrebbe rivoluto accanto a sé.
Scossi il capo: era incredibile come avessi ancora tante false speranze. Se Holmes era ancora vivo – poiché avevo anche dubbi su ciò – quale certezza avevo che sarebbe ritornato da me?
E soprattutto, dopo tanti anni, gli dovevo ancora qualcosa?
 
Fu con questi dubbi, lasciati a marcire in un angolo della mia mente, che mi trasferii in un appartamento nei pressi di Fleet Street insieme al mio nuovo coinquilino.
Debbo dire che, superati i primi timori, si rivelò loquace: dopo poche settimane era già giunto a narrarmi le sue imprese e i suoi viaggi, soffermandosi con ammirazione su ciò che aveva visitato in India. Tutto ciò, ovviamente, se non si perdeva nei meandri del porto per bere – da come si poteva dedurre facilmente alcune sere, quando tornava barcollante e con un forte odore d’alcol.
 
Spesi dunque svariate settimane fra lavoro e casa, rifiutandomi di avere la benché minima interazione sociale. Ogni tanto mi ritrovavo a passeggiare per le strade ben dopo il tramonto, e una volta capitai addirittura nei pressi di Baker street. Tirai dritto, senza osare imboccare la via che conduceva al vecchio appartamento. Con il senno di poi, il mio era un comportamento assurdo: Holmes non era morto, e non vi era ragione alcuna per non passare in quel luogo. Per quel che ne sapevo, avrei potuto incrociare qualcuno che aveva sue notizie, o rivedere la signora Hudson, con la quale avevo troncato i rapporti per far sì che non subisse alcun genere di ripercussione. Alquanto sciocca come cosa, dato che il mio nome era rimasto relativamente pulito, e io risultavo unicamente una vittima di un genio criminale che avevo avuto la sfortuna di incrociare. Tutto ciò per dimostrare quanto le fonti siano manipolabili e la Giustizia stessa, che aveva aspramente dato la caccia a Holmes, avesse comunque ripulito alcuni fascicoli e modificato infiniti nomi e dati. Dietro a tutto ciò doveva senza dubbio trovarsi Mycroft, col quale ormai non mi vedevo dal giorno in cui ero ritornato in città, e unicamente per informarlo di ciò che avevo appurato presso le cascate.
Lui già sapeva, immagino grazie a un telegramma spedito dal fratello stesso.

Tuttavia non riuscivo a sopportare l’idea che in così tanti mesi fosse svanito nel nulla.
Certo, Holmes ne aveva le capacità, ma non lo ritenevo leale nei miei confronti, e ciò provocava in me un’enorme frustrazione, che si ripercuoteva sul mio comportamento, rendendomi scorbutico e poco propenso alle parole. E quando la rabbia svaniva prendevano il suo posto la preoccupazione e il terrore di averlo perso per sempre, magari a causa di un qualche nemico a me sconosciuto, miglia e miglia lontano da me.
Ma non potevo fare alcunché: mi ero promesso di non cercarlo, e di attendere che si facesse vivo da sé, e avrei continuato a tener fede al mio giuramento, anche se ciò avrebbe provocato in me un dolore sempre più grande.
 

 ---

 

«Andiamo Dottore, fatemi compagnia! Siete sempre così taciturno! Capisco il perché non ci sia alcuna donna a scaldarle il letto! Su, venga con me al PUB questa sera: vedrà, ci sono delle fanciulle da capogiro. E non è detto che dopo un boccale o due di buona birra non riesca a far colpo su una di loro. Sa, rimangono spesso colpite da chi ha un lavoro come il suo. Mentre noi marinai facciamo colpo con storie di paesi lontani, a voi basta dire la parola “stetoscopio” che già le avete tutte ai vostri piedi. Meno parole e più divertimento».

Il mio coinquilino sembrò parecchio divertito dalle proprie parole, e dovetti aspettare che finisse di ridere in modo rauco prima di poter rispondere al suo invito.

«La ringrazio Sigerson, ma non credo di volere intrattenere qualche fanciulla sconosciuta: lascerò a lei questo compito».
 
Un ghigno comparve sulle labbra dell’uomo, lasciando scoperti i denti anneriti dal tabacco
 
«Vuol forse dirmi che non le interessa vedere delle belle forme? Perlomeno rifarsi gli occhi non le farà male: su, mi accompagni. Oggi sono particolarmente felice: mi è arrivato il pagamento del mio ultimo lavoro, e voglio offrirle qualcosa».
 
Non me la sentivo di seguirlo in qualche bettola, ma quell’uomo alla fin fine era stato il mio unico contatto umano per molto tempo. Infine, all’ennesima richiesta, accettai.
 

                 ---


Non ero più abituato ad abbandonarmi al bere, e quando ci allontanammo dal PUB in cui eravamo stati fino alle due del mattino, per riuscire a muovermi fu necessario reggermi al mio coinquilino.
Come notte era estremamente luminosa e la luna proiettava addirittura le nostre ombre, ma fu la mia unica fortuna, dal momento che mi muovevo in modo sconnesso, rischiando di cadere ad ogni buca nella strada. Il marinaio mi prendeva in giro, affermando che non aveva mai visto nessuno crollare dopo appena tre pinte, ma non avevo la forza di ribattere, e lasciavo che mi sbeffeggiasse.

«Dottore, credo non avrebbe soddisfatto alcuna donna questa notte: lei non è definitivamente portato per l’alcol. Dovrebbe allenarsi maggiormente: guardi me! Sono ancora completamente sobrio, e ho bevuto tanto quanto lei».
 
«Eppure», bofonchiai, «non mi sembra che lei stia accompagnando a casa una bella fanciulla, ma solo un medico di mezza età, fallito e per di più  ubriaco. Non so chi dei due sia quello nella situazione peggiore. E comunque l’alcol non fa per me», cominciai a ruota libera. «Ho perso un fratello a causa dell’alcol, e benché io stesso abbia tentato più volte di buttarmi nell’oblio che qualche bottiglia di Brandy, son sempre riuscito a salvarmi. Ora, non so quanto questo sia un bene, viste le mie attuali condizioni. Lei sa come mai io e lei ci siamo incontrati? Perché ho perso il mio migliore amico».
 
Sigerson mi aveva fatto sedere su di una panchina, in una piccola piazza illuminata malamente da due lampioni. Stava in piedi davanti a me, arrotolando una sigaretta e allo stesso tempo osservandomi con uno strano cipiglio.
 
«Via, via, Dottore. Non sa quanti amici ho perso io in mare. Son dolori, questo è certo, ma tanto ci rivedremo tutti fra le braccia del Signore».
 
Lo ignorai, sopraffatto per un attimo dalla nausea, per poi riprendere con aria maggiormente petulante e disperata. Mi stavo lanciando nel baratro, ma non avevo intenzione di smettere di parlare: il confronto mi era mancato, lo sfogo non me lo ero potuto permettere, e la scrittura, mia unica consolazione, l’avevo ormai abbandonata da tempo.
 
«Quell’uomo mi ha salvato. E poi se ne è andato, lasciandomi qui. Ciò che mi sconvolge è che non posso rinfacciargli nulla, dato che sarebbe stato da sciocchi non fare ciò che ha fatto».
 
«Dubito che potreste comunque rinfacciargli qualcosa, visto che è morto».
 
«Non è morto. È vivo, da qualche parte, lontano da Londra. E io non posso contattarlo. Sapete, non so cosa sia più frustrante, se questo o il fatto che potrebbe essere davvero deceduto. A quel punto come la prenderei? Forse mi metterei definitivamente l’anima in pace. Ma come posso farlo, quando so che vi è una minima possibilità che lui possa tornare qui da me?»
 
Aspirò dalla sigaretta, soffiando via il fumo verso il cielo.
 
«Adesso capisco il perché non vi interessavano le cameriere», bisbigliò con aria divertita.

Fu quando cominciai a rendermi conto che avevo detto qualcosa di pericoloso: non ero sicuramente un personaggio importante, e forse non avrei rischiato così tanto per le insinuazioni di un marinaio spesso ubriaco, ma comunque ciò che gli avevo praticamente confessato, sebbene in maniera sottile, poteva comunque portarlo ad accusarmi di sodomia.
Si accorse del mio pensiero, e continuò a concentrarsi sul fumare.
 
«Non preoccupatevi: ne ho viste troppe per andare a fare la spia presso qualche poliziotto. Per come la penso io, ognuno nel proprio letto può fare ciò che vuole. Dubito che al Signore interessi chi ti porti a letto, e men che meno dovrebbe interessare allo Stato, ma siamo un paese di pettegoli e comari, e un bello scandalo sessuale porta un po’ di colore alle pagine della cronaca».
 
Sollevai lo sguardo, lucido per la sbronza, e lo fissa con insistenza: sembrava strano sentire tali parole da lui, dal quale quelle più profonde che avevo udito riguardavano per quanto tempo si potesse giacere con una sola donna senza però rischiare di sposarla.
Tuttavia non dissi nulla e lasciai che continuasse a parlare, ma costui mi anticipò.
 
«Ma ditemi di questo vostro amico».
 
Strabuzzai gli occhi: parlare di Holmes? Non avevo mai parlato di lui con nessuno se non a me stesso, scrivendo delle sue imprese nei miei diari. Come potevo descrivere il suo lavoro, il suo carattere e la sua intelligenza a chi non lo aveva mai incontrato? Era impossibile, se non riportando a galla vecchi episodi, e ciò sì che sarebbe stato pericoloso. Ma qualcosa mi impediva di tirarmi indietro – probabilmente la mia stoltezza -, e iniziai a descrivere Sherlock Holmes.
 
Non parlai del suo impiego, né del mio ruolo accanto a lui. Cercai di trovare le parole per descrivere quanto il suo intelletto fosse unico e strabiliante, di come riuscisse a rendersi odioso, e del fatto che mi salvò dal baratro. Parlai dell’abbandono, omettendo ciò che riguardava Moriarty e lasciando così molti dubbi in sospeso, sui quali Sigerson non mi chiese alcunché. Lasciò solo che parlassi a vanvera, biascicando sempre meno, e con la sbronza che cominciava a lasciare il mio corpo.
Terminai con una stanchezza infinita e il cuore più leggero, con più di due o tre mozziconi di sigaretta ai piedi, uniti a quelli che aveva fumato il mio nuovo coinquilino.
 
Poi calò il silenzio.
 
«Come vi comportereste se lui tornasse?»
 
Quella domanda mi lasciò interdetto, e dovetti pensare per qualche minuto.
 
«Credo che sarei arrabbiato con lui. Molto. Probabilmente cercherei di fargli del male, gli urlerei contro. Ma alla fine crollerei, perché dopo tutti questi anni passati ad aspettare, tutto ciò che desidero sarebbe poter avere la conferma che è vivo e che sta bene. E finalmente potrei rivederlo».
 
«Tornereste a vivere con lui?»
 
Sorrisi malinconico.
 
«Dopo tutto questo tempo, chissà se mi rivorrebbe ancora con sé».
 
«Non credo che sia necessario che lei si ponga tale domanda».
 
Tornai a fissarlo negli occhi: come era possibile che Sigerson avesse un tale animo? Durante tutto quel discorso mi era sembrato di parlare con un’altra persona, e solo quando cominciai ad osservarlo con attenzione mi resi conto che era come se fossi tonato a parlare con Holmes. Ma non era possibile, e la mente mi stava facendo dei brutti scherzi.
 
«Venga adesso, andiamo a casa. Sarei tentato di lasciarla qui, visto che non pesa certo poco, ma se riesce a camminare posso anche permettermi di fare la strada con lei. Altrimenti le auguro di passare una buona notte su quella panchina», disse in modo brusco, cominciando a incamminarsi verso Fleet street.
 
Mancavano pochi metri ormai, ed eravamo quasi giunti presso il nostro appartamento, quando il marinaio si bloccò, lanciando un’occhiata rapida a due persone che se ne stavano acquattate nel portone di fronte al nostro. Pensai si trattasse di due senzatetto, o comunque degli ubriachi crollati in un luogo a caso, ma il mio coinquilino sembrò allarmarsi, e invece che puntare verso casa tirò dritto, lasciandomi interdetto.

Decisi di andargli dietro senza dire nulla, finché non svoltammo l’angolo e, inaspettatamente, la sua mano afferrò il mio polso, e mi vidi costretto a rifugiarmi in una serie di vicoli tortuosi, di cui ignoravo l’esistenza.
Una volta lì feci per domandare a Sigerson cosa stesse succedendo, quando questo si insinuò attraverso una porticina nascosta. Lo seguii all’interno del locale, salendo una rampa di scale piuttosto ripida, finché non misi piede in un angusto salottino, con poco pi di un giaciglio, un tavolino e un catino vuoto. Sopra il tavolo vi erano alcuni trucchi che riconobbi come quelli che sono soliti adottare gli attori sul palco.
L’unica luce della stanza proveniva da una finestrella che dava sul vicoletto da cui eravamo entrati.
 
«Non capisco», bisbigliai.
 
Ed era vero. Sembrava tutto così confuso e allo stesso tempo familiare, che la mia mente aveva iniziato a giocarmi strani scherzi, e la nausea dovuta all’alcol, che sembrava ormai svanita, tornò ancora più prepotente di prima.
Sigerson accese una piccola lampada ad olio, posizionandola sul tavolo; fatto ciò si voltò verso il sottoscritto.
 
«Non avrei voluto che lo venissi a sapere in questo modo, Watson. Purtroppo, a quanto pare, il tempo non gioca a nostro favore».



Note: Lo so. Sono una persona orrenda e vi ho mentito dicendo che avrei postato il più in fretta possibile, ma quando quella bastarda dell'ispirazione decide di non presentarsi alla tua mente per tre o quattro mesi, l'unica cosa che puoi fare è piangere in un angolo. Vi dico solo che ho riscritto la storia due volte, ma la prima mi faceva talmente pena che è stata cestinata quando ormai l'avevo quasi terminata. Tralasciando il mio orribile comportamento, spero vi sia piaciuto: ho preferito suddividere in due parti, dacché mi manca il finale della seconda parte e voglio lavorarci su ancora un po', ma mi sento talmente in colpa che perlomeno voglio lasciarvi la prima parte del lavoro. Adesso torno a rinchiudermi in una cantina buia e umidiccia. 
Baci, 
                                    Beth

 

   
 
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