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Autore: Biecamente    28/04/2013    1 recensioni
Vincitrice del primo premio al contest Dodici elementi in cerca di storia indetto da darllenwr sul forum di EFP
La storia descrive con minuzia i pensieri di Buck Malachi, il candidato di un piccolo partito locale, prima del discorso. Pensieri che nulla hanno a che fare col suo ruolo di politico e che spaziano tra gli argomenti più improbabili e che lui si può concedere forse per la fiducia che i suoi elettori ripongono in lui o per spezzare la tensione.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo premio al contest Dodici elementi in cerca di storia indetto da darllenwr







Conosciamo meglio il nostro candidato alle primarie

a tale by Biecamente












Buck Malachi aveva una moneta straniera. Non una moneta qualunque. Era una moneta della Repubblica Romana da tre baiocchi come riportava l’incisione sul fronte; di rame, che sul retro presentava un’elaborata immagine di un’aquila. L’aveva ritrovata da giovane, era più un bambino quando aveva scorto l’obolo per le vie lastricate della vecchia Dublino, e da allora era divenuta il suo portafortuna.
Aveva immaginato con la sua tenera innocenza di bambino di un mercenario dal volto sfregiato, gli occhi stanchi e spenti per tutti i morti visti nei suoi lunghi anni di vita che ora gli pesavano addosso come non mai. Aveva immaginato come, durante la sua ultima missione, l’ultimo omicidio che gli era stato commissionato, ché poi aveva deciso di smettere, smettere per sempre quel brutto lavoro, di ritirarsi e magari mettere su famiglia; aveva immaginato come la minuta moneta di rame, di piccolo taglio per altro, gli fosse scivolata dalla tasca per finire nelle sue di tasche, quelle del piccolo Buck.
Buck Malachi ora non era più un bambino ma teneva ancora particolarmente a quella moneta, la sua Three Bayock, e se la rigirava tra le dita grassocce quella mattina grigia mentre udiva il fischio acuto del vento dal tendone dove aspettava. Guardava pigramente la folla da un riquadro di plastica trasparente ritagliato nella plastica doppia del tendone. Un ombrello sfuggì dalle mani di una donna e fu preso in ostaggio dal vento che lo portò sempre più su nell’aria grigiastra. Forma colorata di tela contro le nuvole biancastre.
Un ombrello, come quello che aveva ucciso Markov.Un ombrello che aveva ucciso uno scrittore. Creatore di mondi alternativi, di vite, di personaggi d’inchiostro che vivevano e sentivano come persone reali. Chissà quanti altri ne sarebbero nati dalla penna se non fosse stato ucciso.
Ricordò Buck Malachi, una scena familiare e accogliente alla quale aveva assistito qualche giorno prima nel piccolo albergo dove alloggiava, una scena che quando vi aveva distrattamente preso parte gli era parsa tanto particolare da poterne ricavare un simpatico racconto. Una macchina da cucire in un angolo della stanza, il bollitore rosso che fischiava gioioso, il padre con un viso bonario dietro il quotidiano e la figlia che toglieva il bollitore dal fuoco e versava l’acqua calda nelle tazze. Ricordò la ragazza dire qualcosa mentre porgeva la tazza col tè al padre, qualcosa tipo “Pa’ me ne vado via di casa”. “Pa’ ho deciso di scendere in piazza e protestare con tutte le altre per l’esplosione dell’8 marzo”. “Pa’ mi stai a sentire? L’8 marzo? La fabbrica americana?”. Poi sbatté le mani sul tavolo: il padre ancora non reagiva. “Perché non mi rispondi? Pa’… perchè…?”. Schiaffo, lei si toccava scioccata la guancia. Il giornale ripiegato e posato sul tavolo. “Non devi dire queste cose”. E riapriva il quotidiano. Sulla prima pagina un articolo sul furto dell’arazzo di Bayeux durante un esposizione.
 
“Signore, signore. È ora” si sente chiamare da una segretaria in tailleur grigio. “Sì” fa lui seguendola fuori dal tendone di plastica, seguendola poi sul palco tutto decorato con gigantografie della sua faccia.
“Ed ecco a voi il rappresentante del partito!” lo annuncia una voce amplificata.
Buck Malachi si accosta al microfono con passo cadenzato. Un sorriso smagliante per le folle. E inizia a parlare. Cosa aveva intenzione di fare. Cosa avrebbe potuto cambiare. Riforme, tassazioni… no nessuna nuova tassa, ché il popolo era già assai prostrato per la crisi. La fame del dopoguerra che ancora ora, nel ’95, non era del tutto smaltita. Aumentare i benefici per le classi più povere. Gli aiuti per i disabili. Le pensioni per gli anziani. Parole, parole che si rincorrevano nel vento fischiante. Parole che forse nemmeno arrivavano agli orecchi della folla. Una folla che unita acclamava ogni sua proposta. Come un grande gigante, quel genere di giganti protagonisti di libri di miti e leggende. Le leggende della sua cara amata terra natia…
Un proiettile veloce e sibilante nel vento. Un colpo secco e preciso. Una macchia di sangue che si allargava sinistra sulla camicia del candidato alle primarie. L’uomo cadde sui ginocchi poi si rovesciò su un fianco, tartaruga che rovesciata di schiena non può più alzarsi.
Qualche ora dopo tutta Dublino parlava. Si diceva fosse stato uno straniero, forse un egiziano a compiere l’attentato per un frammento di pietra riconducibile alla Sfinge ritrovato. Altre voci ribattevano evidenziando la motivazione che avrebbe potuto portare un egiziano ad uccidere il candidato di un piccolo partito che, per quanto animasse le folle, poche possibilità aveva di vincere. Un egiziano poi! Andare a scomodare qualcuno di così lontano, dài!
Può darsi anche che tali congetture non fossero del tutto inesatte. Chissà, poteva darsi che fosse un mercenario, uno di quei sicari pagati per uccidere. E che, magari, fosse solo tornato a riprendersi la sua moneta.









  
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