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Autore: changemymind_23    28/04/2013    1 recensioni
Pensavo che il buio mi avesse riempito il dentro e che non avrei trovato mai più la luce, ma mi sbagliavo.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva, pioveva ininterrottamente; quasi sentivo le gocce d’acqua graffiarmi le braccia scoperte e fredde che si incrociavano tra loro come per trasmettere calore. La mia maglia nera era inzuppata dall’acqua e i miei jeans scuri stretti, tramandavano il gelo. Non sapevo il motivo per il quale mi trovavo davanti a quella lapide di marmo con su scritto solo il nome e il cognome di colui che mi amava alla follia e io altrettanto. La guardavo immobile, quasi come incantata; quella ‘roccia’ era proprio come lui, semplice, e quasi sembrava che quell’oggetto dinnanzi a me sorrideva, proprio come mi lasciò l’ultima volta. Era l’unico uomo nella mia vita che sapeva come farmi sentire al sicuro, come farmi sentire protetta. Ero così indifesa senza più lui accanto. Sapete, quando in autunno cadono le foglie dai rami?Io, io ero quel rametto che aveva la sua vita accanto, dalla quale non voleva separarsi e lui era la foglia che volò via quasi senza un preavviso. Feci un passo avanti e, lentamente, mi inginocchiai davanti a quella lapide quasi intimorita. Tremavo dal freddo ma la voglia di rivederlo era troppa. Non riuscivo a convincermi che non c’era più, che davvero non avrei più avuto l’unica persona che mi aiutò in tutto. Mi aiutò a superare la mia malattia e vinsi io quella lotta, grazie a lui. Mi aiutò levando dalla mia vista ferretti di acciaio che mi trafiggevano i polsi fino ad arrivare,quasi, ai gomiti. Mi aiutò a scappare da mio zio, di nascosto. Sapeva ciò che accadeva quando ero sola con quell’uomo. Quell’uomo mi disgustava, mi faceva del male, non sapeva ciò che mi portava a fare. Chiusi gli occhi stanca di tutto quel passato che ,speravo, se ne fosse andato per sempre. Sospirai tremante. Aprii gli occhi leggendo il nome del mio salvatore. Thomas Parkinson. Un fratellastro eccezionale, che mi portò via da quel mondo crudele che mi racchiudeva in me stessa. Ero fiera di lui, della sua così felice vita, della sua semplicità in tutti i suoi gesti, della sua fiducia. Quasi mi sembrava impossibile quella sensazione. Era ormai un anno che se ne andò, lasciandomi da sola in quel mondo di pazzi. Ma io..dovevo andarmene, scappare da lì e cercare di non rientrare più in quel cimitero. Era forse l’ultima volta che lo avrei ‘visto’, ma io avevo bisogno di vivere. E lui, lui non poteva vivere la libertà con me. Passai la mano su quel nome mentre una goccia calda che si distingueva dalle altre, mi rigò il viso. Portai le mani al petto e le incrociai, alzando lo sguardo verso il cielo. Chiusi gli occhi in senso di stanchezza e solitudine. Tremavo ancora, ma a confronto con il dolore interno, quello, non era niente. 

‘Ti bagnerai così’ una voce al mio lato sinistro, parlò. 

Abbassai lentamente il volto e poi, cautamente, mi girai verso quella sagoma. Alla mia vista apparve un ragazzo, alto. Era vestito con una giacca nera e dei pantaloni grigi scuri con delle Converse ormai vecchie. Mi guardava sorridendo leggermente, lo guardai stranita. Poi osservai l’ombrello che portava nella mano sinistra e che gli copriva il capo; era un arcobaleno di tessuto, spiccava in quella giornata cupa e piovosa. Faceva contrasto ma era bellissimo, quasi esprimeva ciò che una persona può sembrare all’esterno quando invece all’interno soffre e tanto. Dopo pochi secondi, riabbassando il capo, parlai a quello sconosciuto.

‘Come se già non lo fossi’ ci volli scherzare un po’ sopra, come se niente fosse. 

Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere piano, così da espandere il suo dolce sorriso sulle labbra. Sembrava così surreale quel ragazzo, semplice a prima vista. Dalla mia risposta non esitò a rispondere 

‘Succede tutto quando meno te lo aspetti’ si avvicinò di un passo, un piccolo passo.

Sembrava avermi letto nella mente. Aveva ragione, la vita ti stupisce con le sue sprovviste, maledette sprovviste. Era come se all’inizio ti potesse sorride e poi, poi accadeva ciò che ti sconvolgeva l’esistenza. Lo guardai negli occhi, nei quali trovai una piccola lucentezza. Il sorriso lieve che aveva sulle labbra, era scomparso nel nulla. Aggrottai le sopracciglia non capendo il suo sbalzo d’umore. Lui capì che cercavo di intendere qualcosa e così scosse il capo, abbassando lo sguardo verso le sue scarpe. Guardai un’ultima volta la lapida dinnanzi a me e poi, con calma, mi alzai da quel terreno inzuppato. Mi ritrovai davanti a quel ragazzo, con le braccia conserte per il freddo intorno ad esse e mi maledì di non aver voluto portare nulla appresso. Nessuno dei due parlava, eravamo due perfetti sconosciuti, di cosa e su cosa avremmo dovuto parlare?Sospirai forte tanto che, anche con il rumore della pioggia, quel ragazzo se ne accorse. Fece un altro passo avanti e postò la sua mano più vicina al mio petto. D’un tratto le gocce non mi ricadevano più sulla nuca o sulle braccia, no. Mi aveva coperta anche se ero già fradicia. Alzai lo sguardo verso di lui e notai il suo braccio scendere dalla posizione che aveva la mano sulla sua guancia. Inchinai il capo e cercai di osservarlo meglio, aveva gli occhi rossi. Forse in quel momento anch’io avevo bisogno di qualcuno che mi consolasse o che semplicemente mi rassicurasse che tutto andava per il verso giusto; forse davvero avevo bisogno di affetto in quel momento; o forse avevo solo bisogno di sfogarmi e rendere me stessa più leggera. Tanto le di scatto lo abbracciai. Non sapevo chi era, non sapevo come si chiamava, non sapevo perché era lì, non sapevo perché proprio lui stavo abbracciando. In un nano secondo, l’ombrello cadde a terra finendo trasportato dal vento, e mi strinse tra quelle sue braccia possenti e calde. Si stava bagnando solo per un piccolo e innocente abbraccio che forse conteneva più di quel che pensavo. Per un paio di minuti restammo così, quasi non ci volevamo staccare. Ognuno di noi due aveva il motivo per quell’abbraccio e io quel motivo l’avevo espresso bene. Ruppe il silenzio con la sua voce calda, quasi da farmi sentire al sicuro. 

‘Ti prego, non so tu chi sia, ma continua ad abbracciarmi’ non me lo feci ripetere due volte.

Quel misterioso ragazzo aveva bisogno di un abbraccio e io altrettanto. Non sapevo perché era così triste e non volevo essere indiscreta nell’impicciarmi nei suoi fatti. Annuii con il viso attaccato al suo petto. Ne avevamo bisogno tutti e due.

Da quel giorno, non vidi più la lapide di Thomas. Da quel giorno, non vidi più quel ragazzo dagli occhi vuoti e tristi. Da quell’abbraccio, solo uno sguardo riaffiorò tra noi due, poi un saluto. Un segno di mano, e un lieve sorriso sulle labbra di noi. Non sapevo il motivo per cui era lì, dove ero io. E lui non sapeva il motivo della mia presenza in quel luogo. Non ci conoscevamo, ma ci abbracciammo. Eravamo alla ricerca di qualcosa che avevamo perso, eravamo come tigri all’attacco. Avevamo bisogno di affetto perso, scomparso nel tempo e mai più sbocciato. Chi sapeva che da quell’incontro, saremo stati meglio?Chi conosceva il futuro?Domande alle quali risposte non ce ne potevano essere se non venivano vissute. La realtà è così difficile da accettare, da comprendere, tanto che delle volte ci tocca renderla fantasiosa e gioiosa, anche se le possibilità per alcuni non ce n’erano. In effetti la vita è un gioco, composto da diversi livelli e opzioni. I livelli non possono essere altro che le difficoltà che ci ritroviamo davanti agl’occhi e le opzioni sono quelle di continuare il gioco e combattere o lasciar perdere e abbattersi come se una freccia t’avesse bucato il cuore. Mi sedetti sul divano in salotto, quella stanza ormai vuota mi faceva da accampamento: un divano letto, un bagno, e una piccola cucina erano essenziali per me. Sospirai, come sempre, triste. Mi portai le mani in faccia come per fermare le lacrime che volevano uscire, che volevano scappare e svelarsi agli altri. Le iniziai a strofinare sul volto, sempre più forte, sempre più veloce. Mi stavo riducendo male il viso, aggiunsi le unghia e da lì sentii il bruciore forte sul mio volto. Le unghia strofinate in quel modo faceva male. D’un tratto sentii del liquido sulle mie mani, e mi fermai di scatto, non levando le mani dal viso. Lentamente le levai davanti alla via vista. Erano sporche di sangue, sgranai gli occhi e tremolante mi alzai dal divano, impaurita da me stessa. 

‘Cosa ho fatto?’ mi ripetevo guardandomi le mani. ‘Perché io?’ urlai distrutta. 

Mi diressi al bagno, vicino alla cucina, velocemente. 
Ero terrorizzata dal gesto compiuto contro la mia volontà. Aprii di scatto la porta, facendo rimanere delle impronte sulla maniglia di metallo. Mi guardavo allo specchio terrorizzata. 
La mia fronte era piena di graffi, dalle mie guance rosse usciva del sangue, gli occhi erano cerchiati da un color grigio carbone, il mio naso bruciava da morire e da questo fuoriusciva maggior sangue. 

‘Perché mi faccio questo..?’ mi chiesi. Ma non avrei mai avuto il coraggio di rispondere a quella domanda. 
‘Voglio essere aiutata, ho bisogno di aiuto.’ scoppiai in un pianto isterico e a sforzi aprii l’acqua del rubinetto. 

Iniziai a sciacquarmi le mani, passando su essere uno strato leggero di sapone. 
Lavate esse, le poggiai sul bordo del lavandino e osservai quel volto sanguinante che mi si presentava nello specchio. Le lacrime erano dello stesso colore di quel liquido salato e disgustante. Chiusi gli occhi, tutto quello doveva essere un incubo. Scossi il capo singhiozzando, e subito mi sciacquai il viso in preda al terrore. 
Non volevo che il dolore si ritrasformasse in sfogo, non un’altra volta senza l’aiuto di qualcuno. Ero rimasta sola, e dovevo accettarlo. Dovevo stare attenta ai movimenti e alle azioni che compivo, non dovevo perdere la concentrazione perché sapevo che se lo avessi fatto, nessuno sarebbe corso in mio aiuto. Le ferite bruciavano per il disinfettante passato su esse. Ma dovevo resistere, sarebbe passato al più presto. Tremate, aprii il mobiletto sopra il lavandino, prendendo da esso delle fascette sottili e piccole per ricoprirmi i graffi. Fatto ciò, lasciai tutto in disordine, manco spensi la luce in bagno, che mi andai a stendere sul divano arrabbiata con me stessa. Sistemai lentamente, per non farmi male, il cuscino sotto al capo. Con un gesto di braccio, presi la coperta che si trovava sopra lo schienale del divano-letto, e me la trascinai addosso con cura. Mi addormentai, come per miracolo. Ero stanca di tutto quello che mi accadeva attorno e di tutto quel che passavo. Ero stanca della gente. Ero stanca di vivere. Volevo scomparire una volta per tutte. 

Incosciente di cosa le sarebbe successo, Jayde, si addormentò come se la presenza di qualcuno, in quella stanza, le facesse compagnia e le cantasse una ninna nanna. Già, Lui era lì, che la guardava con gli occhi bagnati e sperava il meglio per lei. Lui era lì incredulo di tutto quel che non poteva più vivere. La sua amata sorella, dormiva come se fosse senz’anima, senza una minima speranza. Lui la vedeva, Lui pregava per lei, Lui voleva che tutto quel dolore scomparisse. Si alzò dalla sedia posta vicino al divano-letto, dove ella dormiva, e le si avvicinò come se non volesse svegliarla. Una goccia gli cadde dagli occhi, andando a finire sul braccio scoperto di Jayde. Le accarezzò la guancia e la guardò triste. 

‘Sono qui con te, non me ne sono mai andato, piccola.’ Sussurrò. Le stampò un bacio sulla guancia e si andò a sedere un’altra volta su quella sedia di legno vecchia. Aspettando il suo risveglio. 
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Ehi, ciao a tutti. 
Sono una nuova iscritta a efp e spero che la storia,che ho iniziato adesso a scrivere, vi piaccia. 
I personaggi principali entreranno a far parte un po' più in là, grazie mille se recensite. 
Ciao.c:
  
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