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Autore: SinisterKid    29/04/2013    2 recensioni
Eppure Steve non aveva paura, nient’affatto. In fondo al suo cuore si crogiolava nella certezza di venir graziato anche questa volta.
La sua non era superbia, è più corretto chiamarla ingenuità. I suoi occhi non vedevano il terribile soldato, la macchina assassina che avevano davanti.
Vedevano la persona che era stata.
La sua mente non percepiva appieno la spietatezza che fuoriusciva dal suo nemico e dipingeva con grandi pennellate un uomo leale e coraggioso.
Perché non si poteva tornare indietro e risolvere tutto con una calorosa e fraterna pacca sulle spalle? Maledetto destino, maledetti salvatori.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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If you truly don't know me, then just do it

Non era affatto il momento giusto per recriminare quanto fosse ingiusto o stupido o sadico il destino. Anche se, diamine, lo era eccome.
Sarebbe stato il momento perfetto per sentir scorrere nelle proprie vene una pura e massacrante paura. Non importa quante volte ci si può scontrare con la morte e sconfiggerla: essa resterà comunque qualcosa di misterioso e agghiacciante.
Il fatto di essere un supereroe, al di sopra di qualunque essere umano, e di aver lottato contro terribili creature, tranquillizzerebbe e trasformerebbe chiunque nella persona più arrogante e piena di sé che possa esistere nell’universo.
Tutti, con un paio di caratteristiche sovraumane, si sentirebbero al sicuro. È ovvio.
Tutti tranne Steve Rogers.
Si sentiva ancor più piccolo di quanto fosse mai stato prima, lui. Gettando lo scudo per terra, si era sbarazzato della sua unica arma di difesa, dell’unica cosa che lo contraddistingueva e lo legava al passato. Si era inginocchiato, alzando appena le braccia. I gomiti distesi e le mani aperte in segno di arrendevolezza.
I muscoli irrigiditi.
Il volto: una maschera piena di dubbi e compassione.
Gli occhi: un oceano in tempesta.
I battiti cardiaci ridotti ad un breve sussurro che si manifestava regolarmente. Il costume troppo ingombrante, la mente in panne.
Eppure Steve non aveva paura, nient’affatto. In fondo al suo cuore si crogiolava nella certezza di venir graziato anche questa volta.
La sua non era superbia, è più corretto chiamarla ingenuità. I suoi occhi non vedevano il terribile soldato, la macchina assassina che avevano davanti.
Vedevano la persona che era stata.
La sua mente non percepiva appieno la spietatezza che fuoriusciva dal suo nemico e dipingeva con grandi pennellate un uomo leale e coraggioso.
Perché non si poteva tornare indietro e risolvere tutto con una calorosa e fraterna pacca sulle spalle? Maledetto destino, maledetti salvatori.
Bucky, più avanti di qualche metro, gli puntò la pistola contro. Gli occhi stretti in due impenetrabili fessure, le labbra tracciavano una linea diritta sulla ruvida faccia. La fronte contratta, impegnata a sostenere chissà pensiero.
Steve se lo chiese in più occasioni a cosa pensasse il suo più caro amico dopo aver subito il lavaggio del cervello.
Forse sarebbe stato meglio se nessuno ci avesse ritrovato, pensò addolorato.
Si maledisse ferocemente per ciò che la sua mente aveva concepito, ma non era stato in grado di estirpare quel pensiero fin da subito. Non gli importò che il suo compito fosse quello di portare in alto determinati valori morali: era un uomo anche lui - soprattutto lui – e non sempre riusciva a sfuggire al mostruoso egoismo che lo assaliva spesso.
Bucky continuava a fissare Steve come se fosse una belva selvatica. Quest’ultimo trasalì, ma non perse la speranza.
“Bene …”, esordì. “ … Allora va’ avanti”.
Il soldato d’inverno lo guardava senza capire. Il suo sguardo crudo teneva prigioniero Steve e le sue mani stringevano avidamente la pistola, come se fosse il bene più prezioso che gli avessero donato.
Un animale in preda a gente senza scrupoli: ecco cosa era diventato.
“Sparami”.
Nonostante il tremore celato, il suo fu un urlo che squarciò l’atmosfera. Bucky impugnò ancora più forte la sua arma metallica e fu sul punto di premere il grilletto. Steve non cedette ancora, si aggrappò ad un’illusione che lo fece sentire sicuro di sé.
Aprì la bocca, la gola secca tratteneva al suo interno ogni parola.
“Se non mi conosci davvero …”, fece Steve osteggiando una certa sicurezza.
Gli occhi di Bucky ebbero un improvviso e impercettibile guizzo. Nulla di che, nulla che un comune osservatore avrebbe potuto cogliere. Ma Steve conosceva il sergente Barnes da ormai troppo tempo per ignorare queste piccolezze. La speranza gli scaldò il cuore e desiderò ardentemente donarne un po’ anche al suo vecchio amico.
La prima cosa a cui pensò Steve non fu quella di avere la salvezza in pugno. Quasi si commosse quando nella sua immaginazione si fece spazio la possibilità di poter riavere a fianco il suo migliore amico, l’unico che potesse aiutarlo.
“Dammi la mano!”
L’ultima frase che gli aveva gridato prima di vederlo scomparire nell’oscurità, tra le montagne. Non aveva fatto il possibile, no. Se solo si fosse avvicinato di più avrebbe potuto afferrare la sua mano e salvarlo. Perché non si era avvicinato? Per quale dannata ragione non aveva osato muoversi e salvarlo?
I sensi di colpa divorarono Steve. Ricordò l’amaro pianto che l’aveva colpito vedendo precipitare Bucky nel vuoto, la disperazione immensa e violenta. Si disse che meritava qualunque cosa gli sarebbe successa da lì a pochi minuti. Accusò se stesso di essere una creatura spregevole, egoista.
Lui aveva contribuito alla morte del suo migliore amico una volta e adesso toccava a Bucky infliggergli un proiettile nel petto, senza pietà e troppi ripensamenti. Steve pensò che sarebbe stato quasi un piacere morire per liberarsi da un tale macigno.
“Allora fallo e basta”, concluse fissando intensamente ciò che era rimasto di Bucky.
   
 
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