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Autore: HisLovelyVoice    29/04/2013    5 recensioni
Stavo male ogni giorno a causa sua.
Quasi non riuscivo ad andare avanti per il macigno che stanziava nel mio cuore.
Mi faceva sentire uno schifo.
Mi faceva sentire un giocattolo usato e poi gettato.
Perché era quello che quell’essere faceva.
Mi usava e poi mi gettava all’angolo della strada.
Riuscivo a malapena a camminare, le forze mi mancavano e spesso mi capitava di addormentarmi sul marciapiede.
Tutto era scomparso, tranne le ferite, che mi ricordavano la mia sofferenza.
Volevo solo un po’ di felicità, chiedevo troppo?
Forse si, perché quella felicità tanto ambita non arrivava mai, c’era sempre qualcosa che rovinava tutto.
Io continuavo a sperare, anche se lei non c’era sapevo che prima o poi sarebbe arrivata.
Sapevo che avrebbe portato un po’ di luce nella mia semplice vita.
Forse era già arrivata quella luce.
Forse dovevo solo aprire il cuore e farla entrare.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I need happiness'
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22 Memories still hurt
 
A scuola mi venne a prendere mia madre.
- hei, tesoro. -
- ciao mamma. - le schioccai un bacio sulla guancia, poi la macchina ripartì.
- come è andata a scuola? L’hai presa la medicina? -
- è andato tutto bene e si, l’ho presa. - mi sorrise. - oggi posso andare da Federico? Mi ha invitato a casa sua. -
- certo! Sono proprio felice che tu sia capitata in classe con questo ragazzo, è molto simpatico. -
‘già, e non solo…’ scossi la testa, come per scacciare quel pensiero.
- ah, senti, io non voglio partecipare a quella competizione. Non pensavo di vincere, ho partecipato solo per fare felice Federico, io… - mia madre mi interruppe.
- tranquilla, me lo aspettavo. Ho già parlato con il preside. Ha detto che parteciperà il ragazzo che è arrivato secondo. -
- bene, grazie mille. -
- e di che! -
Tornata a casa, pranzai. Ovviamente, se prendere un pezzo di pane si poteva definire pranzo.
Poi, subito dopo mia madre mi accompagnò da Federico.
- a che ora ti vengo a riprendere? -
- mmmm…credo che tornerò da sola. -
- sicura? - annuii e andai verso la porta di casa.
Dopo un minuto che avevo bussato, venne ad aprirmi Federico.
Andammo in sala da pranzo e ci sedemmo sul divano.
Passammo una buona mezz’ora a parlare, poi, dato che avevamo molti compiti, ci sedemmo intorno al tavolo e iniziammo a farli
****
- scusami, vado un attimo al bagno. - disse dopo un po’. Annuii, guardandolo uscire dalla sala da pranzo. Non ce la facevo più, il dolore al braccio era troppo forte. Tirai su la manica destra, per far prendere un po' d'aria alla ferita. 'Molto meglio.' rimasi per qualche istante a fissarla, provando solo ribrezzo. Poi ripresi a fare gli esercizi.
- che diamine hai fatto?! - mi voltai spaventata e vidi sulla porta Federico. Indicava con un dito la mia ferita a bocca aperta. Abbassai velocemente la manica, rigirandomi.
- niente, niente. - dissi sbrigativa. Federico si avvicinò sedendosi sulla sua sedia.
- come niente?! A me non sembrava niente! - abbassai lo sguardo, chiudendo gli occhi. - mi vuoi spiegare cosa ti è successo? - strinsi i pugni sui miei pantaloni, cercando di trattenere invano le lacrime.
- m-mi hanno picchiata. - sgranò gli occhi.
- cosa?! -
- hai capito bene, mi hanno picchiata. Ma è successo tanto tempo fa, prima che iniziasse la scuola. -
- e hai ancora il segno? - ormai c'ero, perché non dirgli tutto? Annuii.
- sappi comunque che questo non è niente. Ho ferite su tutto il corpo. - Federico mi guardava con occhi sbarrati, come a non credere ad una sola parola di quello che gli avevo detto.
Mi alzai in piedi e, timorosa, sollevai leggermente la maglietta. Federico spalancò la bocca. Mi girai, così vide anche una parte delle ferite sulla schiena.
Poi, come se non fosse successo niente, mi risedetti sulla sedia.
- m-ma perché t-ti hanno p-picchiata? -
 
Maggio.
Mese meraviglioso.
L'ho sempre amato.
Quell'anno fu un maggio particolarmente caldo.
Prendere l'autobus era sempre peggio. La gente era ammassata, a malapena si respirava.
Ma alla fine, se per andare da Valerio dovevo prendere l'autobus, mi andava bene. Solo il pensiero di rivederlo mi rendeva felice.
Quel giorno tornai a casa verso le sei. Io e Valerio ci eravamo incontrati al parco vicino casa sua, il più bello di tutta la città.
Mi ero seduta su un sedile singolo, uno di quelli riservati alle donne in cinta o ai signori anziani. Misi le cuffiette ed iniziai ad ascoltare un po' di musica.
Dopo qualche fermata, salì un signore, non molto anziano, sarà stato sulla quarantina, ma zoppicava. Mi alzai immediatamente per farlo sedere.
- grazie cara. - disse riconoscente. Gli sorrisi. Guardai fuori dal finestrino: mancavano poche fermate e sarei tornata a casa.
Sentii lo sguardo di quel signore addosso. Non lo guardai direttamente, ma lo sentivo. Cercai di ignorarlo e continuai a guardare oltre il vetro.
In prossimità della mia fermata vidi quell'uomo cercare di alzarsi in piedi.
- le serve aiuto? - domandai timorosa.
- magari. - lo aiutai ad alzarsi, poi scendemmo insieme alla fermata. Decisi di accompagnarlo a casa sua e, lentamente ci arrivammo.
- la ringrazio infinitamente. Non è che vuole salire su casa per un the? -
- n-non vorrei disturbare. -
- si figuri! -
- va bene. -
- ottimo! Le posso dare del tu? - annuii. - bene! Anche te però! -
- okay. -
Salimmo su casa e, una volta entrati, mi accomodai sul divano. Era veramente molto comodo.
Quel signore si diresse verso una sala, che immaginai fosse la cucina.
- allora, quanti anni hai? Mi sembri molto giovane! -
- beh, si, ho sedici anni. -
- mmm...sedici... - lo sentii mormorare. - beh, sei la prima sedicenne che mi aiuta. Di solito le ragazze e i ragazzi della tua età mi schifano. -
- oh, mi dispiace. -
- e di che? Tranquilla, ormai ci ho fatto il callo. -
In quel momento rientrò in sala con in mano un vassoio contenente due tazze, due cucchiaini, una teiera e una zuccheriera.
- grazie. -
- di niente. - riempì le due tazze di the, poi si sedette di fronte a me, su una sedia.
- una ragazza bella come te sarà di certo fidanzata. - sorrisi, ripensando alla giornata appena trascorsa con Valerio. Annuii. - come si chiama? Se non sono invadente, ovviamente. -
- no, macché, si fi...figurati. - mi corressi all'ultimo. - si chiama Valerio. -
- mmmm...è un bel nome. - constatò.
- già. Te invece, sei sposato? - chiesi senza pensarci.
- oh si. E ho anche due figli. Un maschio di quasi diciannove anni e una femmina di dieci. - gli sorrisi. Amavo le famiglie felici. - ma c'è un piccolo problema. - ecco, ritirai tutto quello che avevo detto. - mia moglie...ecco...non...non mi da...non mi soddisfa, ecco. - sgranai gli occhi. Posai immediatamente la tazza. - vorrei qualcosa di nuovo, capisci? - mi alzai immediatamente in piedi, volevo andarmene, ma lui mi fermò. Provai a ribellarmi, ma mi buttò a terra, le uniche cose che ottenni furono calci e pugni. Poi una volta inerme, mi sollevò di peso e mi buttò su quel divano...
 
Federico si alzò di scatto.
- no! Per favore dimmi che non è vero. Dimmi che non ti è successo veramente, che nessuno ha abusato di te! -
- lo vorrei tanto Federico, lo vorrei tanto... -
 
Piangere.
L'unica cosa che riuscivo a fare in quel momento era piangere.
Non volevo credere che tutto quello stesse accadendo veramente a me.
Speravo si trattasse solo di un incubo.
Quando quel supplizio terminò, quell'uomo mi sorrise soddisfatto.
Si tolse da sopra di me e mi guardò. Tremavo, non riuscivo ad alzarmi.
- hai un corpo veramente meraviglioso, sai? Quasi quasi mi viene voglia di rifarlo. Si, dovremmo farlo più spesso. - disse, per poi scoppiare a ridere. - anche adesso. - aggiunse serio.
Speravo solo stesse scherzando, invece si riposizionò sopra di me, e ricominciò a baciare ogni centimetro della mia pelle.
 
Le lacrime ormai rigavano il mio volto, ma non me ne preoccupavo più di tanto. I ricordi facevano sempre male più male.
 
Quando finì di nuovo, mi buttò addosso tutti i vestiti e mi ordinò di mettermeli. Obbedii senza fiatare.
- mi piace veramente tanto il tuo corpo, così giovane, con le curve al punto giusto. Non come quello di mia moglie. Non mi sta bene che tu veda altri. No, devi lasciare il tuo ragazzo, ora sei solo mia. -
Quelle parole furono una pugnalata al cuore. Sapevo che non le avrei seguite, ma mi fecero comunque male. Annuii, e mi alzai per andarmene. - ferma, ferma, ferma! Dove credi di andare? -
- a c-casa. - mormorai.
- no, no. Noi due non abbiamo ancora finito. - 'cosa vuole ancora? Non gli basta quello che mi ha già fatto?' - se non farai quello che ho detto, ti uccido. Semplice, no? Quindi, o lasci il tuo ragazzo, o muori. A te la scelta. Oh, e voglio che tu venga qua tutte le domeniche mattina. Sono stato chiaro? - annuii di nuovo.
Ti uccido.
Lo avrebbe fatto davvero?
Probabilmente si.
Uscii da quella casa degli orrori barcollando. Tornata a casa, fortunatamente non c'era mia madre. Andai in camera mia e mi buttai sul letto a piangere come non avevo mai fatto.
 
Alzai lo sguardo su Federico. Mi guardava con gli occhi sgranati e lucidi.
- non ci posso credere... - mormorò. - non ci voglio credere. -
 
La domenica successiva ero a casa da sola. Non volevo andare a casa di quel mostro, e non ci sarei andata. Verso le undici suonarono alla porta di casa. Pensai fosse mia madre, così aprii senza chiedere nemmeno chi era.
Quell'uomo mi venne addosso e mi prese per i capelli.
- allora l'altro giorno non sono stato chiaro, eh?! - esclamò con rabbia. - vuoi morire! -
Aveva in mano un bastone e mi colpì sul volto.
Poi mi diede altri pugni in pieno stomaco.
- n-no. -riuscii a mormorare quando smise di colpirmi.
- allora devi venire con me. Ora! -
Scrissi velocemente un foglietto per mia madre dove dicevo che sarei andata al parco con Valerio mentre lui mi teneva ancora per i capelli, tirandomeli perché diceva che ero lenta a scrivere. Poi seguii quell'uomo fino a casa sua, dove l'incubo si ripeté.
 
- o-ora credo sia meglio che vada. Non voglio darti ancora più fastidio. Tranquillo, se non vorrai più avere niente a che fare con me perché ti faccio schifo, ti capirò. - iniziai a raccogliere la mia roba, ma Federico posò la sua mano sulla mia.
- fermati, non te ne andare. - lo guardai negli occhi. Il suo non era un ordine, era quasi una supplica.
- perché? Non ti faccio schifo? - scosse velocemente la testa.
- per niente. -
Mi prese la mano e ci sedemmo vicini sul divano. Appoggiai la mia testa al suo petto, sentivo il suo cuore battere velocemente. Lui mise la sua mano intorno alle mie spalle giocando un po' con i miei capelli. Piano piano riuscii a calmarmi, anche se faceva ancora male.
 
FEDERICO
Perché le aveva fatto questo?
Perché proprio a lei?
Aveva violato il suo corpo così giovane, le aveva lacerato l'anima.
Mi faceva così rabbia!
Come si era permesso?
La guadai.
Stava facendo dei cerchi sul mio petto.
Era così bella! Diamine, volevo prenderla, stringerla a me e baciarla.
- Camilla, devo dirti una cosa. - dissi titubante. Lei alzò il suo sguardo su di me, smettendo di fare disegnini sul mio petto.
- dimmi pure. -
- i-io...lo so che forse non è il momento adatto, anzi, senza il forse, non è affatto il momento adatto, ma ho bisogno che tu lo sappia. Io sono...io mi sono innamorato di te. È dai primi giorni di scuola che non faccio altro che pensare a te, a quanto sei bella, alla tua voce, alla tua timidezza, a quanto mi piaci. Ma sappi che non voglio approfittare di te. So che forse non ti senti pronta, dopo quello che ti è successo, ma...cioè io...io volevo che tu lo sapessi. - arrossì leggermente, diventando se possibile ancora più bella. Poi mi sorrise, avvicinando lentamente il suo volto al mio.
- sai, è la prima volta, dopo tanto, che non mi sento usata. -
Mi si strinse una morsa al petto.
Come poteva una ragazza di soli sedici anni, essere stata usata in quel modo?
Le presi il volto tra le mani.
- posso? - chiesi. 'Dimmi di si, ti prego!' Con mia grande gioia annuì. Non me lo feci ripetere due volte e azzerai quella minima distanza, poggiando delicatamente le mie labbra sulle sue. Un semplice bacio a fior di labbra, che però desideravo veramente tanto.
 
CAMILLA
Per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii amata. Non ero solo un giocattolo. Ero una persona di cui Federico si era innamorato. E io mi ero innamorata di lui. Fu un semplice bacio a fior di labbra, sapevo anche il perché, ma per me voleva dire tutto. Voleva dire che era innamorato di me, voleva dire che mi rispettava, che non mi avrebbe usato come quell'essere.
- io ci tengo a te, Camilla, non voglio ti succeda di nuovo qualcosa del genere. Sappi che di me ti potrai sempre fidare. - lo strinsi più forte.
- grazie. -
 
FEDERICO
se solo  avessi avuto quel bastardo tra le mani…!
Ma ora dovevo stare calmo. Ora con me c’era Camilla. Non avrebbe sofferto di nuovo.
No, non lo avrei permesso.









HEI!!!
e dopo più di venti capitoli si baciano!!! yeaaaa! 
okay, la smetto
in questo capitolo si scopre tutto ciò che è successo a Camilla
mi piaceva l'idea di farvi scoprire questa parte insieme a Federico :)
allora, che ne pensate?
io odio a morte quell'uomo (che, preciso, non avrà mai un nome)
mentre amo Federico! <3
mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate :)
ringrazio tutti coloro che hanno letto, chi ha recensito e chi ha inserito la storia tra le seguite(39)/ricordate(3)/preferite(9)
vi ringrazio, sono così felice di vedere quei numeri aumentare!! :D
volevo pubblicarlo un po' più presto questo capitolo, ma dovevo "studiare" storia dell'arte... sono ridotta proprio male, mi metto anche a studiare storia dell'arte dopo quasi quattro anni in cui non ho aperto libro!
vabbè, dai, c'è sempre un prima volta
smetto di annoiarvi e me ne vado
ancora grazie :D
un bacio xxx
Giulia
  
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