Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: xjustinsletters    29/04/2013    2 recensioni
Mi sembrava di essere rinchiusa in un sogno dal quale non mi sarei mai più voluta risvegliare quando lui mi stringeva tra le sue braccia.
«Il mio cuore è più grande della distanza che ci sarà tra di noi» dissi sentendomi il mondo cadere sulle spalle dopo aver capito che non lo avrei mai più sentito così vicino «Chi ha mai detto che dovremo dividerci?» disse ansimando una risata «Il mondo reale, Justin».
Non fece altro che stringermi ancora di più, in quel momento potei sentire le farfalle nello stomaco e il mio battito del cuore aumentare.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Justin Bieber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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April’s Pov.
 
«Mamma,  sai dove ho messo il cellulare ieri sera?» gridai cercando tra le varie cose che c’erano sopra alla mia scrivania, era il giorno che avevo tremendamente pianificato da mesi e l’oggetto più importante che dovevo portare con me era scomparso nel nulla. Mia mamma sembrava ignorarmi quindi decisi di continuare a cercare da sola. Guardai dall’armadio alla mensola della cucina per poi scoprire che era finito sotto al mio letto, potei sentire una risata soffocata che riuscì a far emergere il mio lato da assassina seriale tanto che mi diressi a grandi passi verso la cucina, dove ovviamente risedeva la mia vittima «Lo sapevi che oggi dovevo partire e tu lo nascondi?» mio fratello non riuscì più a trattenere le risate «La prossima volta non chiamarmi quando vuoi uscire con i tuoi amici al bowling che col cazzo che ti ci porto». Cercai di trattenere la voglia di prenderlo a schiaffi e presi il succo all’arancia in frigo, nel frattempo mio fratello era riuscito ad inghiottire i cereali che aveva in bocca per poi ridere di gusto «E’ stato divertente vederti disperata» «John, potresti semplicemente tacere?» dissi sedendomi al mio solito posto per fare colazione, adorava vedermi in quelle condizioni «Tu te la prendi troppo» non fece altro che alzarsi e dirigersi in giardino per fare chissà cosa. Per avere dodici anni era davvero strafottente, alla sua età potevo solo sognarmi di rispondere così ai miei genitori o a chiunque, ma lui, essendo il secondo tra quattro fratelli, si sentiva in dovere di comportarsi così. Che brutta disgrazia la mia.


Finì di fare colazione poco dopo, diciamo che ero appena riuscita a mandare giù quei pochi biscotti secchi che avevo ritrovato nella dispensa, mi meravigliavo di quante schifezze mangiassimo a casa, ma il mio principale pensiero era il viaggio che avrei dovuto fare per arrivare a Los Angeles. Era il mio momento per vedere qualcosa di diverso dalle pareti che ricoprivano il garage dei miei nonni che ormai era diventata la nostra casa anche se mio padre stava cercando di mettere da parte dei soldi per poterne affittare una. Percorrevo le strade di Inglewood da anni, mi sembrava di conoscere ogni singola via, sapevo che se ero in ritardo per andare a scuola avrei sicuramente trovato un scorciatoia, sapevo che se arrivavo fino ai confini della città c’era una bellissima vista delle montagne che non avevo mai visto innevate ma ricoperte di terra. C’erano case che non erano mai state ristrutturate, strade che ospitavano gli stessi negozi da anni, alcuni erano aperti da quando i miei nonni arrivarono dal Messico in America, ma tutto era stranamente noioso, tutto sembrava prendere una piega diversa quando le feste erano vicine, i miei organizzavano delle grandissime feste insieme a tutti i miei parenti, c’era chi preparava da mangiare, chi portava la musica, ognuno contribuiva a rendere il tutto più familiare e caloroso e noi ‘giovani’ ci scatenavamo ballando in sala.


Chiusi la porta del garage per dirigermi a casa dei miei nonni, ovviamente trovai la donna più bella del mondo, ossia mia nonna, cucinando.«Sei pronta tesoro?» disse prendendo con le sue soffici mani il mio viso e accarezzando leggermente le mie guance «Devo solo passare da Randy’s a prendere delle  donuts» risi un po’ per quella affermazione «Il patto con zio era che lui mi dava un passaggio con il camion che deve portare a Belvedere solo se io gli offrivo le donuts»«Allora dovresti sbrigarti che senza di quelle quello non parte di sicuro» risi sapendo benissimo che aveva ragione «A più tardi» «Abbi cura di te mi chiquita». Presi le mie scarpe poste vicino alla porta e sistemandomi i pantaloncini alti presi la giacca di jeans posta sull’attaccapanni, il mio zaino era posto per terra, ormai era in condizioni disumane ma era il mio preferito e di certo non lo avrei mai cambiato, a meno che uno dei miei fratelli lo avesse usato per farci il solito falò d’estate, mi avevano già minacciato di farlo.
Corsi da Randy’s e dopo aver fatto una lunghissima fila riuscì a prendere una dozzina di ciambelle, possibile che in quella città tutti morissero per averne una?  Uscita dal negozio trovai il grande camion da trasporti di mio zio, lo vidi al volante con una grande tazza di caffè, era una cosa normale per lui berne così tanto a causa delle lunghe ore al comando di quel bestione che portava di città in città. «Pensavo che non le avresti comprate» disse aprendomi dall’interno la porta del passeggero «Un patto è un patto».


Dopo neanche mezz’ora metà dei dolci che avevo comprato erano ormai scomparsi, sapevo che se ne avessi presi di meno non sarebbero durati «Perché ci tieni tanto ad andare a vederlo se non hai il biglietto per il concerto?» mi chiese mio zio Miguel guardando la strada davanti a se «Devo dargli una cosa» «E chi ti dice che la riceverà? E’ una star mondiale» guardai in basso trovando estremamente interessanti le mie scarpe bianche sapendo benissimo che quella possibilità era la più probabile, ma non mi sarei arresa, non su di lui. «E’ una lettera, sarà anche una star ma credo che sappia ancora leggere». 


Ero appena arrivata a Los Angeles, nell’aria potevo sentire la sua presenza, sentirlo più vicino era una cosa totalmente estranea per me, lo avevo sempre visto attraverso uno schermo e adesso lui stava riposando in una delle lussuose stanze che sicuramente era stata preparata appositamente ed eppure non sapevo minimamente come comportarmi. Sapevo che c’era la possibilità di non fargli ricevere la lettera che tenevo in mano come se fosse il mio più grande tesoro, sapevo che ci sarei rimasta davvero male ma dovevo almeno provarci. Anche se intorno alla porta principale si era già formata una grande folla riuscì a farmi un piccolo spazio, ero ad appena tre metri dall’entrata e non potevo far a meno di guardarmi intorno, mi accorsi che c’erano così tante ragazze che in quel momento stavano passando una crisi emotiva, alcune piangevano, ad altre non le si poteva togliere il sorriso dalle labbra e poi c’ero io, che mi trovavo estremamente a disagio in quella situazione ma semplicemente non sapevo cosa stava succedendo dentro il mio cervello. Avevo sempre fatto così, vivevo nella paura di mostrare agli altri i miei veri sentimenti.
Passarono poco più di due ore quando la polizia cominciò ad arrivare, ma non ci cacciarono e dopo aver tirato un sospiro di sollievo per quella notizia le ragazze davanti iniziarono a urlare, si poteva sentire anche il sottofondo di piccoli pianti provocati dalla gioia, in quel momento sentì le mie guance inumidirsi e la mia vista offuscarsi, stavo piangendo.  Il mio corpo fu compresso verso la folla che avevo davanti a me tanto che riuscì a superare una decina di ragazze, mi ritrovai ‘in prima fila’ senza neanche provare il minimo sforzo. Mi asciugai le guance con le mani in modo molto maldestro per permettere ai miei occhi di rendermi la vista più chiara ed eccolo lì, Justin con una camminata molto veloce mi passò davanti, solo dopo essere arrivato a pochi passi più avanti di me cominciò a scattare qualche foto con delle Beliebers che in quel momento riuscirono ad essere più coscienti di me. Avevo sprecato la mia opportunità, le lacrime cominciarono a farsi sentire di nuovo, un modo l’avrei trovato per fargli ricevere la mia lettera, doveva riceverla. Notai che Justin fu seguito dalla crew e l’ultimo ad uscire fu Alfredo. Con passo veloce mi avvicinai a lui, potei solo sussurrare un ‘ti prego’ e dopo neanche un secondo la lettera non era più tra le mie mani, ma tra le sue

  
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