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Autore: sophiacampbell0785    30/04/2013    0 recensioni
Sophie Johnson è una ragazza di 20 anni come tante altre, vive in un piccolo paesino insieme alla sua famiglia e come qualsiasi altra ragazza della sua età pensa al suo futuro. E' cresciuta certa di avere molti punti fermi nella sua vita: i suoi genitori e gli amici, ma cosa accadrebbe se un giorno tutte quelle certezze iniziassero a sparire una dopo l'altra? Se grazie a qualcuno, Sophie iniziasse a vedere oltre ciò che era da sempre stata abituata a vedere? Imparerà che non sempre si può dare tutto per scontato e che a volte ciò che si desidera davvero, può essere più vicino di quanto si pensi.
Primo capitolo di questa storia, spero possa essere coinvolgente e di ricevere pareri sia positivi che costruttivi.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 CAPITOLO 1.
 
La primavera a Myrtle Beach arrivava sempre un po’ in sordina, il freddo pungente dell’inverno piano piano lasciava la città dando spazio ad un sole più caldo e ad una temperatura decisamente più piacevole.
La città sembrava improvvisamente svegliarsi,  iniziava il periodo delle feste all’aria aperta, dei pick nick nel parco e delle prime corse sulla spiaggia per potersi godere quella lieve ma calda brezza primaverile che proveniva direttamente dal mare.
 
Vivevo in quel piccolo paesino da sempre, conoscevo ogni angolo e ogni strada e per quanto i turisti che vi arrivavano ogni estate lo trovassero affascinante, un vero angolo di paradiso a detta di alcuni, io non riuscivo a vedere tutto quel fascino. A differenza loro io non vedevo l’ora di andarmene, di poter vivere in una vera città ma avrei dovuto aspettare ancora parecchio tempo, anche se ero certa che, appena avrei avuto la possibilità di farlo io Sophie Johnson avrei conquistato il mio posto nel mondo,  avrei viaggiato fino a scoprire terre lontane e ormai dimenticate e avrei imparato ad amare altre usanze e tradizioni, ma adesso potevo solo sognare avevo vent’anni e al momento nella mia vita c’erano altre priorità.
Quella mattina il sole aveva iniziato a splendere già dalle prime luci dell’alba e il tempo sembrava promettere bene anche per tutto il resto della giornata, ero ancora nel mio letto nel pieno del sonno quando fui svegliata dalla luce dei raggi del sole che s’infiltravano nelle fessure delle persiane ancora chiuse.  Aprii gli occhi sbadigliando e portandomi una mano sulla bocca, mi voltai verso la sveglia notando che mancavano ancora pochi minuti prima di dovermi alzare, mi misi seduta sul letto stiracchiandomi e mi appoggiai alla spalliera godendomi  quegli ultimi momenti di solitudine  e tranquillità prima che la giornata iniziasse ufficialmente.
Alle otto suonò puntuale la radiosveglia ma non la spensi, mi alzai scalciando le coperte in fondo al letto e andai verso l’armadio per scegliere gli abiti che avrei indossato in quella giornata, scelsi un paio di jeans e una magliettina rosa, li appoggiai sul letto e andai a farmi una doccia sperando di non trovare come al solito il bagno occupato ma quella mattina stranamente lo trovai libero. Finita la doccia, tornai in camera mia a vestirmi, mi guardai nel grande specchio a muro della mia stanza cercando di sistemarmi in qualche modo i capelli che come sempre avevano deciso di prendere una piega tutta loro, mi passai le dita tra i lunghi capelli castani e infine li raccolsi in una coda alta, mi truccai appena e una volta pronta scesi al piano di sotto per la colazione.
 
Raggiunta la cucina trovai i miei genitori seduti a tavola con le loro tazze di caffè tra le mani che parlavano dei loro programmi per la giornata.
Era raro riuscire a fare colazione tutti insieme poiché avevamo orari diversi, i miei genitori lavoravano entrambi nel negozio di ferramenta che avevano aperto in paese ben venti tre anni fà e da allora piano piano si erano fatti conoscere ottenendo così una  numerosa clientela fissa.
“Buongiorno!” Esclamai accennando un sorriso andandomi a sedere accanto a mia madre e riempiendomi un bicchiere con della spremuta d’arancia. Mi chiese come al solito quali lezioni avrei avuto quel giorno e se avessi studiato abbastanza per i prossimi esami, la tranquillizzai assicurandole che ero sufficientemente preparata e in quel momento arrivò in cucina mio fratello interrompendo così per mia fortuna quella specie d’interrogatorio mattutino, l’attenzione di mia madre, infatti, si spostò subito su di lui.
Mio fratello  Evan era più grande di me di due anni, anche se mi ero sempre sentita io la maggiore tra noi due, eravamo caratterialmente completamente diversi: lui era egocentrico, impulsivo, superficiale ma quasi sempre di ottimo umore; io invece non amavo stare al centro dell’attenzione, ero molto razionale forse anche troppo ed ero molto lunatica, forse erano proprio queste nostre differenze a non farci andare d’accordo.
Mentre seguivo  la conversazione tra i miei e mio fratello,  incentrata sul fatto che la sera prima avesse fatto tardi come al solito infrangendo il coprifuoco, finii la mia colazione e dopo aver sparecchiato la mia parte, andai in camera mia a prendere la borsa, prima di uscire passai nuovamente dalla cucina per augurare buona giornata alla mia famiglia.
 
 
L’Università non era lontana da casa, si trattava di non più di dieci minuti a piedi e quando capitavano giornate del genere mi piaceva camminare e respirare l’aria fresca del mattino.
Già dai primi anni di liceo avevo scelto quale sarebbe stata la mia strada, sognavo di diventare un medico, un chirurgo per la precisione salvare delle vite era la mia aspirazione più grande, volevo che la mia esistenza fosse utile non solo per me ma anche per gli altri.
Sapevo che il mio sogno era piuttosto ambizioso e che non sarebbe stato facile da realizzare considerando anche la spietata competizione che avrei trovato sul mio cammino, molti ragazzi ormai sceglievano medicina ma ciò non mi spaventava. Ero sempre stata determinata, fin da bambina e avevo sempre fatto di tutto per ottenere ciò che volevo davvero, riuscendoci la maggior parte delle volte e anche in quest’occasione ero certa che ce l’avrei fatta, non avrei accettato una sconfitta non senza prima aver lottato duramente.
Così finito il liceo e dopo essermi diplomata a pieni voti, mi iscrissi alla facoltà di medicina, come avevo previsto i posti disponibili erano molto pochi e solo i migliori sarebbero riusciti ad entrare.
Ricordavo ancora il giorno del test d’ingresso ero molto nervosa ma certa di essere abbastanza preparata, forse anche più degli altri ero sempre stata sicura di me e delle mie potenzialità e avevo sempre pensato che questo fosse un vantaggio. Qualsiasi persona poteva incoraggiarmi ad inseguire i miei sogni ma l’incoraggiamento più grande e più importante doveva venire da me stessa, se io in prima persona  non avessi creduto in me come potevano farlo gli altri?
Il test non era semplice, ma lo svolsi per intero senza tralasciare nulla e facendo del mio meglio.  I miei sforzi furono ricompensati, riuscii ad ottenere quasi il punteggio più alto e fui così ammessa i iniziando a rendere concreto il mio sogno.
 
Arrivai in classe puntuale come sempre e andai a prendere posto, Camille la mia migliore amica fin dall’asilo arrivò appena in tempo per non farsi chiudere fuori dal professore di turno, la puntualità non era mai stata il suo forte, ci scambiammo un’occhiata complice prima che il professore richiamasse la nostra attenzione e iniziasse la lezione.
Per fortuna mancavano pochi mesi alle vacanze, tutte le persone più grandi di me a partire dai miei genitori, mi avevano sempre detto che una volta finito gli studi avrei rimpianto la scuola e che quegli anni mi sarebbero mancati ma continuavo a chiedermi come fosse possibile una cosa del genere. Come potevano mancarmi quelle interminabili anche se indispensabili ore di lezione, l’umidità di quell’aula e i pomeriggi di studio a casa, gli esami e tutto il resto? Non riuscivo proprio a trovare un nesso logico a quella per me ridicola affermazione.
 
La mattinata proseguì tranquilla e passò abbastanza velocemente, finite le lezioni io e Camille ci fermammo al bar dell’università a prendere un caffè aggiornandoci sulle ultime novità. In realtà il suo più grande interesse era chiedermi notizie riguardo a mio fratello, erano stati insieme un paio di mesi l’anno prima ma poi lui con poca grazia l’aveva lasciata per un’altra ragazza più grande ma nonostante tutto lei non riusciva a toglierselo dalla testa.
“Camille lascia perdere!”  Le dissi appena ci sedemmo  con i nostri caffè a un tavolo del bar.
“Sophie, tu non puoi capire non posso lasciare perdere, sono ancora innamorata di lui e sono sicura che lui provi ancora qualcosa per me, lo vedo da come mi guarda ogni volta che ci incontriamo! Prova a parlargli per favore!” Mi chiese guardandomi implorante con i suoi grandi occhi blu.
“Va bene! Prometto che gli parlerò!” Sospirai e lei mi strinse la mano con un grande sorriso che immediatamente mi contagiò e sorrisi anch’io.
Avevo sempre cercato di non impicciarmi nelle questioni private di Evan nonostante lui spesso non facesse altrettanto, ma quando avevo saputo della sua storia con Camille essendo una mia amica avevo preferito non immischiarmi per non dovermi schierare né da una parte né dall’altra.
Sapevo ben poco della loro storia, a malapena conoscevo il motivo della loro rottura, entrambi erano stati parecchio evasivi al riguardo ed io non avevo insistito.
“Invece a te come vanno le cose con Michael? Ci sono novità?” Mi chiese improvvisamente Camille interrompendo i miei pensieri.
“ Quali novità dovrebbero esserci? Siamo solo amici “ Le risposi scuotendo la testa e sorridendo divertita per quella sua bizzarra domanda.
“Andiamo Sophie! Quando ti deciderai ad ammettere che hai una cotta per lui? E sono più che certa che nemmeno lui disprezzerebbe la possibilità di avere una storia con te glielo si legge in faccia!” Aggiunse alzando le spalle mostrandosi assolutamente convinta della sua teoria.
Scossi di nuovo la testa ridendo e feci un sospiro alzando gli occhi al cielo, era inutile controbattere sarebbe stata capace di portarmi allo sfinimento, quando si metteva in testa qualcosa non c’era alcun verso di farle cambiare idea e uno dei suoi passatempi preferiti era formare nuove coppie molto spesso improbabili o male assortite oppure impicciarsi in cose che nemmeno la riguardavano.
“Beh ora devo andare! Ho promesso a mia madre che avremmo pranzato insieme dato che oggi lavora solo mezza giornata” Mi alzai e presi la mia borsa con i libri e salutai Camille con un leggero e veloce bacio sulla guancia che lei ricambiò accennando un sorriso, mi diressi verso l’uscita dell’università e fu allora che vidi Michael venirmi incontro correndo, mi fermai davanti al cancello e aspettai  che mi raggiungesse  per poi sorridergli.
 Michael ed io eravamo amici dai tempi del liceo, lui si era trasferito da Chicago ed era arrivato nella mia classe all’inizio del secondo anno  e fin dal primo giorno aveva scelto di sedersi proprio accanto a me, il motivo ancora adesso mi era sconosciuto sapevo solo che da quel momento eravamo subito diventati inseparabili scoprendo di avere moltissime cose in comune.
Raramente  io e Michael avevamo discusso per qualcosa se non per motivazioni futili, era il mio migliore amico ed era indispensabile per me, c’era stato in tutti i momenti peggiori e lo stesso avevo fatto io per lui e nonostante avessimo avuto entrambi alcune storie nessun ragazzo e nessuna ragazza erano riusciti ad allontanarci, anzi molto spesso avevamo preferito la nostra reciproca compagnia a quella di altri e forse  per questo motivo Camille insinuava certe cose, ma io e Michael sapevamo quanto fosse puro e limpido il nostro rapporto senza alcuna complicazione di sorta e senza malizia.
“Ciao Sophie, ti stavo cercando!” Mi salutò Michael con affanno, appoggiò le mani sui fianchi e fece un respiro profondo per riprendere fiato, quella scena mi fece sorridere e provare un po’ di tenerezza allo stesso tempo.
“Ciao Michael ero al bar con Camille e ho perso un po’ la cognizione del tempo!”  Risposi indicando il bar alle mie spalle.
 “Come mai mi stavi cercando? “ Gli domandai poi a mia volta con curiosità.
“Mi chiedevo se per caso potessi darmi una mano, domani avrò un test d’inglese e so già che farò un disastro!”  Disse abbozzando un sorriso e portandosi una mano tra i capelli, gesto che faceva sempre quando era nervoso o in imbarazzo.
Guardai l’orologio e controllai l’orario, mia madre probabilmente mi stava già aspettando e sapevo bene quanto ci tenesse a pranzare con me, era la sua occasione per aggiornarsi su tutto quello che accadeva nella mia vita, soprattutto nella mia vita privata.
“Mi dispiace Michael ma non posso, ho un appuntamento con mia madre e sono già in ritardo, non ho proprio tempo”  Risposi in tono desolato guardando l’espressione contrita sul suo volto, non sopportavo di deluderlo. 
“Ok ok!” Aggiunsi subito dopo con un sospiro, notando lo spiraglio di speranza accendersi negli occhi del mio migliore amico. 
“ Facciamo così, pranzo con mia madre poi ti raggiungo a casa tua, facciamo per le 15,30 ok? “ Gli proposi  come accettabile compromesso.
“E’ perfetto! Grazie Sophie! Sei la migliore!” Esclamò entusiasta stringendomi in un abbraccio quasi stritolandomi.
“Lo so, lo so!” Scherzai dandogli dei piccoli colpetti affettuosi sulla schiena.
 “Ora però devo davvero scappare, ci vediamo dopo!” Mi divincolai dalla stretta di Michael e salutandolo con la mano mi avviai verso la mia auto.

Quando arrivai a casa mia madre stava già mettendo a tavola il pranzo, polpette di carne con il sugo il mio piatto preferito, già con l’acquolina mi tolsi velocemente la giacca e le scarpe e andai subito a lavarmi le mani.
“Stavo quasi per chiamarti per chiederti dove fossi finita!” Mi disse non appena mi sedetti al tavolo.
“Lo so mamma hai ragione! Sono stata trattenuta da Michael, aveva bisogno di una mano per l’esame di letteratura inglese che avrà domani”  Le spiegai velocemente prendendo due polpette e sistemandomele nel piatto.
“Michael, Michael, quel ragazzo non me l’ha mai raccontata giusta secondo me infondo gli piaci!”  Disse mia madre con un sorriso malizioso sulle labbra, in realtà lei adorava pranzare da sole noi due, era l’occasione perfetta per indagare sulla mia vita privata senza distrazioni o interferenze dall’esterno.
“No mamma ti prego, non ti ci metterai anche tu adesso! Mi basta Camille che ogni giorno mi assilla con questa ridicola storia, Michael ed io siamo solo amici, ci conosciamo da anni, non credi che se avesse avuto qualche interesse per me si sarebbe già fatto avanti?” Le chiesi in tono retorico senza accorgermi che avevo alzato la voce.
“Ok, ok tesoro calmati! Probabilmente hai ragione ma anche se la teoria mia e di Camille fosse fondata, non sarebbe un dramma, anzi! Michael è un bravo ragazzo e tu non sei uscita più con nessuno dopo la partenza di Andrew.” Disse pronunciando quell’ultimo nome con titubanza, sapendo quanto ancora mi facesse star male. Alzai lo sguardo verso mia madre e bastò una mia occhiata per farle capire che non volevo più parlare della mia vita privata e lei di buon grado capì e prontamente cambiò argomento chiedendomi della scuola e raccontandomi poi di alcuni bizzarri clienti che le erano capitati in negozio durante il corso della mattinata.
Nonostante l’iniziale scambio di opinioni il resto del pranzo fu piuttosto piacevole, per quanto mi confidassi  con Camille e le volessi bene, avevo sempre considerato mia madre la mia migliore amica e lo sarebbe sempre stata, anche se a volte non tolleravo la sua invadenza, ma sapevo che era solo il suo modo per preoccuparsi per me ed io le volevo bene anche per questo.
Dopo pranzo salii nella mia stanza per prendere alcuni libri che mi sarebbero poi serviti durante il ripasso d’inglese con Michael, mentre preparavo lo zaino ripensai alla conversazione con mia madre, o meglio ripensai alla persona che aveva nominato, Andrew, ogni volta che sentivo quel nome il mio stomaco faceva un giro su se stesso  e venivo pervasa da un profondo senso di angoscia, la mia mente ripercorse ancora una volta quella sera di due anni fa.

Erano passati pochi giorni dal nostro terzo anniversario ma era già una settimana che percepivo che qualcosa non andava, Andrew non sembrava più lo stesso, era distante, distratto e spesso scontroso.  Avevo cercato più volte di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andasse, ma lui mi aveva sempre rassicurato dicendomi che era solo stressato per la scuola e per gli esami di maturità, il mio inconscio sapeva bene che mentiva ma una parte di me non voleva nemmeno prendere in considerazione che potesse esserci qualcosa tra di noi che non funzionasse, quindi mi ero sforzata di far finta che fosse solo una mia impressione.
Passarono altri due giorni e durante una cena a casa sua, avvenimento ormai quasi quotidiano, Andrew s’innervosì improvvisamente ed iniziammo a discutere senza sapere bene quale fosse il motivo scatenante di quella lite, mi disse che non mi amava più e che voleva andarsene, aveva deciso di partire per studiare a Londra appena avesse preso il diploma. Non dissi niente, restai a guardarlo inerme, come  se stessi osservando tutta quella situazione dall’esterno, sentivo la sua voce in lontananza, forse era solo un modo per non prendere coscienza della realtà, di quello che stava succedendo. Non piansi, mi alzai dal tavolo, gli augurai buona fortuna, gli diedi un ultimo bacio e me ne andai, Andrew rimase di sasso vedendo la mia reazione e con il passare dei giorni rincarò la dose sperando che reagissi e mi disperassi per la sua decisone o forse voleva che mi arrabbiassi in modo da sentirsi meno in colpa, in ogni caso non feci nulla del genere.
Nei giorni seguenti mi sentii completamente svuotata, ero arrabbiata ma ancora di più ero delusa e non avevo la forza nemmeno di sfogarmi, forse sarebbe successo col tempo.
 Andrew partii subito dopo il diploma come aveva deciso e alcune settimane dopo venni a sapere da alcuni amici in comune che non era partito da solo bensì con una ragazza che entrambi conoscevamo, una sua vicina di casa che si era trasferita da poco e che aveva sempre avuto un palese interesse verso quello che era il mio ragazzo, ma lui aveva sempre negato dicendo che la mia non era nient’altro che stupida gelosia senza fondamenta, questo ricordo mi fece ironicamente sorridere.
La mia apparente indifferenza iniziale lasciò il posto al dolore nel giro di pochi giorni, forse inconsciamente avevo creduto che Andrew ed io saremmo tornati insieme e che lui non sarebbe davvero partito ma quando il mio peggiore incubo prese effettivamente forma, iniziai a realizzare ciò che era successo e ad affrontarlo con tutte le difficoltà che ne conseguirono.

Le 15.15, guardai distrattamente l’orologio a muro a forma circolare appeso alla parete della mia stanza e mi resi conto di quanto fossi in ritardo, scossi la testa abbandonando quei ricordi e lasciandomeli ancora una volta alle spalle. Presi i libri che mi servivano, li misi nello zaino e chiusi la cerniera, l’idea di andare a casa di Michael mi mise subito di buon umore sicuramente sarebbe riuscito come sempre a scacciare via quella tristezza che mi aveva avvolto durante quel piccolo tuffo nel passato.
  
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