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Autore: Alexandra e Mac    30/04/2013    8 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XIII

Una scoperta



Uffici del comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra

13 maggio 2005

Mac stava terminando di sistemare le ultime carte relative al caso appena concluso. Nel frattempo pensava a come, all’improvviso, sembrava che il caso avesse trovato una soluzione.

Dopo che Harm aveva terminato la sua telefonata con il Segretario e lei si era bevuta il suo caffè, era rientrata in ufficio da lui e lo aveva visto pensieroso. Gli aveva domandato cosa gli aveva detto il Segretario quando lo aveva informato di ciò che avevano scoperto ed egli aveva risposto evasivo, dicendo che aveva avuto ordine di procedere con estrema cautela.

“Questo mi puzza d’insabbiamento” era sbottata lei arrabbiata.

“Non possiamo esserne certi. Per ora hanno solo deciso di continuare con le indagini, ma senza smuovere troppo le acque.”

Comunque gliela vendesse, aveva capito che anche a lui ciò che gli era stato detto non convinceva affatto. Ma non avevano potuto far altro che obbedire.

Quindici giorni dopo, la risposta definitiva: Sheffield aveva ordinato d’interrompere le indagini in corso perché il Presidente si sarebbe incontrato personalmente con il Premier inglese.

“Come volevasi dimostrare: insabbiamento” aveva detto lei, sarcastica.

“Non è vero. Hanno solo deciso di risolvere le cose in maniera diversa” le aveva obiettato Harm.

“Insabbiando” aveva insistito, caparbia. “Bene, almeno posso tornarmene a casa e pensare al mio matrimonio” aveva aggiunto, quasi a volergli fare del male perché aveva avuto la sensazione che lui fosse d’accordo con la linea decisa dall’alto.

“Il Segretario ha tenuto a precisare che, finché l’incontro tra il Presidente e il Premier non è avvenuto, è meglio che noi si faccia in modo di far capire che stiamo proseguendo con le indagini… Per la stampa, ha detto” era stato costretto a rivelarle.

“CHE COSA?!! E questo non lo chiami insabbiamento?!” era sbottata lei, furibonda. “Dovrei restarmene qui, a fingere di indagare, per evitare che la stampa capisca cosa sta succedendo? Quando invece, a casa, ho di meglio da fare” aveva soggiunto sempre con l’intenzione di fargli pesare la perdita che stava subendo a causa sua.

 “Questi sono gli ordini…”

Brutta conclusione davvero per quello che sarebbe stato il loro ultimo caso in senso assoluto.

E così era stato: per quasi un mese avevano interrogato testimoni inutili, stilato documenti inutili e rivisto deposizioni inutili, cercando di spremersi le meningi su cosa scrivere nei rapporti ufficiali che avrebbero dovuto consegnare successivamente. La tensione tra loro era divenuta insopportabile.

Fortunatamente, una settimana prima era avvenuto il fatidico incontro e subito dopo avevano avuto l’ordine di chiudere il caso.

E così ora sarebbe potuta tornare a casa e dimenticarsi di Harm e dell’Inghilterra.

Un moto di sollievo la pervase. Dopotutto a casa l’aspettava un futuro radioso con l’uomo che amava e che sarebbe diventato suo marito di lì ad una settimana.

Sperò ardentemente che Clay venisse a prenderla all’aeroporto. Aveva voglia di rivederlo, di riabbracciarlo e di passare una notte (la prima di quelle che sarebbero venute) fra le sue braccia.

Harm era partito per l’Hampshire quella mattina stessa. La sera prima si erano salutati molto frettolosamente sulla porta del suo ufficio: non si sarebbe aspettata nulla di diverso, del resto i rapporti si erano mantenuti su un piano strettamente formale.

Tuttavia un po’ le dispiaceva: per tutto il tempo in cui avevano lavorato assieme, quando lui era ancora al JAG, avevano formato una coppia imbattibile e la loro amicizia aveva rappresentato un punto fermo per entrambi. Durante gli anni avevano litigato, si erano detti addio, avevano frequentato altre persone, ma alla fine erano sempre tornati l’uno dall’altra.

Sempre, tranne questa volta.

Ormai la frattura era irreversibile ed era meglio che ognuno andasse per la sua strada.

Magari, un domani quando riusciremo a dimenticare quello che ci ha uniti potremo tornare amici, si disse, ma non ci credeva molto. Lei e Harm non avrebbero mai potuto essere semplici amici: o si buttavano l’uno nelle braccia dell’altro, o era meglio dividersi.

Prese il fascicolo contenente la relazione che avevano steso per il Segretario e il Presidente e la mise nella borsa porta documenti. L’originale sarebbe tornato con lei negli States, mentre Harm ne avrebbe trattenuto una copia autentica.

Sfogliò un’ultima volta il rapporto per assicurarsi che fosse tutto in ordine e quando arrivò all’ultima pagina si accorse che lui non l’aveva firmata.

“Complimenti Harmon Rabb jr” borbottò inviperita.

Quella sua svista le sarebbe costato il rientro, e non sapeva neanche dove rintracciarlo. L’unica cosa di cui era sicura era che si trovasse da qualche parte nell’Hampshire nel sud ovest dell’Inghilterra.

Prese a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, com’era solita fare da un po’ di tempo a quella parte quando doveva cercare la soluzione ad un problema particolarmente fastidioso. Ad un certo punto si fermò e si precipitò al telefono. Compose un numero e rimase in attesa.

 

 

Hampshire
Inghilterra

13 maggio 2005

 

Harm si stava godendo il tepore del sole di Maggio nonché la vista della campagna inglese che correva accanto a lui.

Era partito molto presto da Londra per evitare le lunghe code che si formavano sulla M25, la London Orbital, all’inizio del weekend a causa dei londinesi in fuga dalla city.

Non aveva gradito come erano finite le cose con il caso Herriott.

A Mac non aveva potuto dirlo, la sua posizione glielo imponeva, ma anche lui sospettava che le cose fossero state insabbiate volontariamente dalle alte sfere quando si era scoperto che gli inglesi, per chissà quale motivo, avevano mentito su tutta la linea, o quasi.

Era concorde con Mac, ma quando lei aveva detto che sentiva puzza d’insabbiamento non si era potuto esprimere.

Tuttavia, aveva deciso che, non appena di ritorno da quella breve vacanza, avrebbe condotto una sua personale indagine per scoprire la verità.

Lo doveva a se stesso, per non tradire ciò che era sempre stato e sì, lo doveva anche a lei. Per dimostrarle che l’Harm che aveva conosciuto non era affatto cambiato a dispetto delle parole che era stato costretto a dirle.

Come al solito, la fortuna l’assistette e in meno di due ore aveva potuto abbandonare l’autostrada e prendere la provinciale che l’avrebbe condotto alla sua meta.

Beaulieu si apriva davanti a lui in tutto il suo splendore, rendendo giustizia al proprio nome: bel luogo.

Si trattava di un tipico villaggio della campagna inglese, dove la main street incrociava altre vie secondarie affiancate da cottage che assomigliavano a case di bambola. Soprattutto lo colpì una strada costellata di piccoli negozi (per lo più ad uso e consumo dei turisti sospettò): un minimarket con relativo post office, una gelateria con produzione propria di gelati e cioccolato (prodotto di cui Beaulieu andava famosa nel Regno Unito), un negozio di souvenir di varia natura. Dal fondo della strada gli giungeva il vociare degli alunni in ricreazione. Proseguì seguendo la main street fino ad un bivio, dove svoltò a destra in direzione di Brokenhurst.

Proseguì ancora per un tratto di strada costeggiando alcuni cottages che sembravano la versione moderna della Dolls’ House della Regina Vittoria e all’improvviso, dopo una curva sbucarono una giumenta con puledro al seguito che pascolavano placidamente sul ciglio della strada.

Prima di partire aveva letto qualcosa sulla New Forest, pertanto sapeva trattarsi di una riserva di ripopolamento faunistico, per lo più cavalli di una certa razza particolare, ma non si sarebbe certo aspettato di trovarli a brucare l’erba sul ciglio di una strada, benché secondaria.

Superò i cavalli, che non lo degnarono d’uno sguardo, proseguì a velocità moderata fino ad un secondo bivio al quale prese a sinistra seguendo le indicazioni per il Masters Builders’ House Hotel.

L’aveva scelto perché era fuori mano e discreto e, in quel periodo dell’anno molto poco frequentato essendo la stagione velica non ancora cominciata. Sperava di passarci un romantico week-end con Belinda e ci era rimasto molto male quando lei gli aveva ricordato il mensile torneo di bridge organizzato dalla madre, ove la sua presenza era considerata indispensabile.

Mi godrò egualmente il fine settimana, disse fra sé e sé parcheggiando l’Austin Healey nell’ampio spiazzo ghiaioso. E fra qualche settimana potrò sempre tornarci con lei.

Scese dall’auto e prese il bagaglio.

Di fronte al parcheggio un’alta staccionata di legno impediva la visuale, ma Harm sapeva che oltre, ben protetta agli occhi dei curiosi, si trovava una larga baia naturale formata dal fiume che attraversava la cittadina, baia all’interno della quale v’erano ancorate numerose barche di lusso, tutte rigorosamente a vela.

Entrò nel cortile dell’albergo, anticamente la casa dei maestri d’ascia di Buckler’s Yard, villaggio poco distante da lì.

Il sole cominciava a tramontare e l’aria rinfrescava. Entrò nella reception dopo aver attraversato un cortile pieno di foglie secche e con le aiuole incolte.

“Molto british” commentò divertito l’aura di studiato disordine e trasandatezza dell’intero complesso di mattoni rossi e del giardino stesso.

Spinse la porta a vetri all’inglesina ed entrò.

Al banco, una rubiconda signorina inglese si aprì in un radioso sorriso e l’accolse, lo registrò, dopodiché lo accompagnò alla sua stanza.

 

 

 

Castello della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

13 maggio 1858 

 

Sentì arrivare la carrozza. Si alzò, richiudendo il quaderno e posando la penna; quindi uscì dallo studio, portandolo con sé.

Le andò incontro, raggiungendola proprio mentre lei stava entrando.

“Grazie, Albert”, stava dicendo al maggiordomo che le aveva preso il mantello. Quando si voltò verso di lui e lo vide, Nicholas scorse nei suoi occhi un’espressione diversa: un po’ di luce sembrava essere tornata in quegli occhi ultimamente inespressivi.

“Buon pomeriggio, Nicholas.”

Anche nella voce sembrava esserci maggiore partecipazione e non più l’indifferenza delle settimane precedenti.

“Sarah…” la salutò, avvicinandosi a posarle un bacio sulla guancia. “Siete tornata prima di quanto pensassi. Non vi aspettavo fin verso l’ora di cena.”.

Lei lo lasciò fare, senza scostarsi, ed egli fu piacevolmente sorpreso.

“Come sta la vostra amica?” chiese poi, premuroso.

Vide che rivolgeva una fugace occhiata a ciò che aveva tra le mani, ma subito tornò a guardarlo, rispondendogli con particolare dolcezza nel tono di voce:

“Meglio. Sta molto meglio, ora…”.

“Ne sono lieto”, rispose lui. Poi aggiunse:

“Sarete stanca. Perché non salite a riposarvi? Darò io disposizioni in cucina perché vi servano la cena in camera vostra”.

Ultimamente erano più le sere che lo lasciava mangiare solo che quelle in cui decideva di fargli compagnia.

“Scenderò in sala da pranzo. Vorrei cenare con voi, se non vi dispiace”.

“No, certo che no”, rispose lui, sorridendo spontaneo. Contrariamente al suo solito, quel sorriso gli illuminò l’occhio sano e gli addolcì la piega delle labbra.

Lei lo guardò attentamente e, per un momento, sembrò sul punto di dire qualcosa. Ma subito ci ripensò e si limitò a ricambiare il sorriso. Poi lo lasciò, per salire in camera propria.

Quando Lynnette ebbe terminato di sistemare le sue cose e di sceglierle l’abito per la sera, la congedò rapidamente, dicendole che si sarebbe preparata da sola, più tardi, non appena si fosse riposata un po’.

Ma, uscita la cameriera, non le riuscì affatto di riposarsi. Era troppo agitata.

Un turbinio di pensieri le affollava la mente, rendendola irrequieta e nervosa.

Per tutto il viaggio da Londra non aveva fatto altro che ripensare a ciò che aveva scoperto con una semplice ricerca sull’Almanacco del Gotha.

Era partita da lì, convinta di aver bisogno di ulteriori indagini per trovare conferma ai propri sospetti. Ma lì si era fermata: la verità era racchiusa in quel catalogo delle famiglie nobili di tutta Europa.

E, alla luce di quanto aveva scoperto, ora sapeva che la decisione che il suo cuore aveva preso soltanto il giorno prima, di ritorno dalla sua passeggiata a cavallo, era la decisione giusta.

Ora più che mai avrebbe fatto il possibile per ritrovare il Conte André François D’Harmòn.

 

 

 

Hampshire
Inghilterra

13 maggio 2005

 

Per l’ennesima volta Mac sbagliò corsia e anziché su quella riservata al traffico più lento si trovò in quella di sorpasso.

“Maledizione!” esclamò arrabbiata riportando la Smart Forfour nera nella carreggiata centrale.

Aveva saputo dove si trovava Harm ed era anche riuscita ad apprendere che l’unico modo per raggiungerlo consisteva nel farsi più di cento miglia in contromano.

La tentazione di lasciar perdere non le era minimamente transitata nel cervello, non poteva rimandare il suo rientro: Clay sarebbe stato di rientro da Baghdad quella sera stessa ed avevano deciso di incontrasi all’aeroporto. Era perciò di vitale importanza per lei prendere quell’aereo.

Pertanto si era recata all’autonoleggio più vicino all’albergo e aveva affittato una macchina, decisa a raggiungerlo, fargli firmare la relazione e tornarsene a Southampton quella sera stessa per prendere l’ultimo aereo in partenza per Washington. Non senza prima avergliene dette quattro, ovviamente.

Quel percorso di guerra stava per finire, sospirò Mac imboccando l’uscita dell’autostrada. Se i calcoli del navigatore erano esatti, e traffico permettendo, di lì a trenta minuti esatti sarebbe arrivata a destinazione e dopo tre ore, al massimo quattro, sarebbe stata seduta su un aereo in partenza da Southampton con destinazione casa.

Non si curò del fantastico paesaggio che scorreva accanto a lei: prati verdissimi accarezzati da una leggera brezza e scaldati dal sole di Maggio, altri pieni di fiori gialli che sembravano fare a gara con l’astro solare in quanto a luminosità; gli animali, per lo più pecore e mucche, al pascolo e i filari regolari di alberi che, al posto delle staccionate e del filo di ferro, delimitavano i confini fra una proprietà e l’altra. Era troppo concentrata sulla guida, in costante tensione per timore di imboccare le rotonde nel verso sbagliato, con conseguenze assai dannose per la sua incolumità personale.

Il suo unico pensiero, oltre alle rotonde, era raggiungere Beaulieu ovunque fosse, e poi tornarsene a casa. Ne aveva avuto abbastanza dell’Inghilterra.

Guardò velocemente l’orologio e si accorse che si stava facendo sera. Sperò ardentemente che la colonna d’auto davanti a lei si muovesse in fretta.

Cominciava a smaniare di arrivare: tutto il viaggio, difficoltà di guida a parte, era stato costellato di imprevisti. Prima il traffico assurdo sulla M25, poi i cantieri in autostrada che l’avevano costretta a restare ferma in coda in lunghe attese, e adesso quella dannatissima provinciale che, dopo un buon inizio, sembrava essersi intasata a meno di due miglia dalla sua meta.

Picchiò nervosamente il pugno sul cruscotto, l’aereo le stava sfuggendo.

Lentamente, la colonna si mosse e Mac avanzò di qualche metro.

 

 

 

 

Masters Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire

13 maggio 2005

  

Harm era appena rientrato da una passeggiata nei dintorni. Si era recato a Buckler’s Yard, un villaggio di pescatori e costruttori di barche, ricostruito nei minimi dettagli.

Mentre girava fra i viali semideserti e spazzati da una discreta brezza gli era parso di udire la voce di Mac che lo canzonava: “Non ti smentisci mai, marinaio. Anche quando sei in vacanza non riesci a fare a meno dell’acqua…”.

Era vero, aveva scelto quell’albergo e quel luogo perché era in stile marinaro e per le passate glorie dei suoi abitanti, famosi maestri d’ascia.

Sorrise fra sé.

Mac l’aveva sempre capito ed era stata l’unica che lo completasse davvero. Non solo Sarah però. Anche Belinda era una buona compagna e aveva immediatamente compreso di che pasta fosse fatto.

Alzò lo sguardo verso la darsena e fissò gli stralli delle barche a vela che suonavano come arpe nel vento della sera incipiente.

Gli mancava da quando se ne era andato e non aveva fatto che pensare a lei, al modo in cui s’erano lasciati. Dopotutto che male avrebbe fatto restare qualche minuto in più ad ascoltare le sue spiegazioni? Forse tra loro non sarebbe mai accaduto nulla, forse sarebbero rimasti solo amici, ma perché non tentare? Si diede dello stupido, ma ormai era troppo tardi: le loro strade erano divise e lei, a quell’ora, era già su un aereo diretta verso un matrimonio. E questa volta non ci sarebbe stato nessun tuffo fuori stagione nell’Atlantico a fermarla.

Tornò verso l’albergo, rassegnato.

 

 

 

Masters Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire

13 maggio 2005

Mac parcheggiò la Smart poco distante dall’Austin Healey di Harm, scese dalla macchina, afferrò la ventiquattr’ore dal sedile posteriore e, incurante del venticello teso e fresco che s’era levato, foriero di un prossimo peggioramento delle condizioni atmosferiche, si diresse a passo di marcia verso la reception. Era fuori di sé per aver perso l’aereo. Avrebbe dovuto trascorrere la notte in aeroporto e mettersi in lista d’attesa per il volo successivo, chissà quando avrebbe potuto riguadagnare il suolo patrio e le braccia del fidanzato.

Harm l’avrebbe pagata salata questa volta.

Sperò ardentemente che lui fosse in albergo.

Arrivò alla reception e attese che qualcuno si facesse vivo, ma sembrava che la stanza fosse deserta.

Mac si spazientì ancora di più.

“Cosa ci fai qui?” udì alle sue spalle l’esclamazione stupita di Harm.

Si voltò inviperita: “Cosa ci faccio?! Sono venuta fin qui nel bel mezzo del nulla perché tu, imbecille che non sei altro, hai scordato di firmare QUESTO” gli rovesciò addosso, porgendoglielo, il documento.

“Davvero me ne sono scordato?”

“Sì, capitano dei miei stivali, e io ho dovuto affittare una macchina, guidare per oltre cento miglia contromano in mezzo ad un traffico pazzesco per raggiungerti qui e così ritardare il mio rientro di almeno un giorno” rispose più invelenita che mai dal tono falsamente ingenuo di lui.

“Il minimo che posso fare è offrirti una cena.”

“Ne faccio volentieri a meno” ribatté acida.

Posò il documento sul bancone: “Firma” gli ordinò perentoria. “Così me ne posso andare”.

“Davvero Mac, mi dispiace. Fermati a cena e per la notte. Domattina potrai tornare a Londra con calma e prendere il primo volo per gli Stati Uniti. Sempre meglio che passare la notte sulle sedie di plastica di una sala d’attesa.”

“C’è un volo che parte da Southampton a mezzanotte” mentì lei. “Se mi sbrigo ce la faccio.”

Ma Harm era irremovibile. Era sinceramente dispiaciuto per averla costretta a subire la sua presenza più del necessario e voleva a tutti i costi rimediare.

“Vorresti andare a Southampton ADESSO? Con la pioggia e il buio? Andiamo Mac, sii ragionevole e non fare il Marine cocciuto. Non sei abituata a guidare in Inghilterra, rischieresti inutilmente e Webb potrebbe trovarsi vedovo prima ancora di sposarti.”

“Non piove e se sono arrivata fin qui posso anche coprire una ventina di miglia in più per giungere a Southampton” ribatté cocciuta. “Firma”, insistette poi.

“Adesso non piove, ma il tempo cambia velocemente qui e prima del tramonto il vento s’era fatto più freddo e nubi nere si ammassavano da ovest. Dammi retta Mac, resta.”

E senza darle il tempo di reagire o rispondere fece un cenno. Come per magia comparve la stessa ragazza che l’aveva ricevuto al suo arrivo: “La signora si ferma per cena e per la notte. Potete mettere tutto sul mio conto”.

Detto questo, scortò un’esterrefatta Mac al parcheggio dove la stessa poté recuperare i bagagli.

“Sei impossibile” commentò al rientro acidamente. “Almeno posso avere il permesso di chiamare il mio fidanzato?” aggiunse calcando l’accento sulla parola “fidanzato”.

“Concesso, ti aspetto al bar.”

“Vai a quel paese Harmon Rabb jr” sibilò tra i denti allontanandosi con l’assistente che l’accompagnava alla sua camera.

La stanza che le avevano dato confinava con quella di Harm e Mac provò un ulteriore moto di rabbia interiore. Tuttavia non poteva negare che lui aveva avuto ragione nel volerla trattenere. Sbirciò fuori dalla finestra e notò che aveva cominciato a piovere, e la ghiaia del parcheggio brillava lucida sotto la luce dei lampioni.

Diede uno sguardo alla camera e ciò che vide le piacque: la moquette, alta e folta, color azzurro carta da zucchero dappertutto e le pareti erano rivestite di tappezzeria di un caldo color crema. Alle finestre pesanti tendaggi in tinta con la carta da parati, facevano la funzione delle persiane, mentre al centro della stanza un grande letto invitava ad avvolgersi fra le spire del piumone avorio e rosso.

Sarebbe una bella idea fare una cosa simile anche a casa nostra, pensò rivolgendosi mentalmente a Clay.

Per prima cosa, dopo aver aperto il trolley, telefonò alla Continental e chiese di prenotare un posto sul primo volo disponibile in partenza per Washington da Southampton. L’impiegata del call center le riferì che per l’indomani non c’erano posti disponibili, ma che era possibile partire la domenica mattina. A malincuore Mac diede la conferma. Dopodiché chiamò il fidanzato e gli spiegò per sommi capi l’accaduto.

Come sempre, lui la rassicurò, le disse che l’amava e che l’avrebbe attesa a Washington per la domenica sera.

“Ti preparerò qualcosa di speciale e irripetibile. Sarà una serata magica” le promise.

Con un sospiro di nostalgia Mac chiuse la chiamata e si ficcò sotto la doccia.

Nel provvisorio ufficio che in quel momento occupava a Baghdad, Clayton Webb cominciò a dubitare che tutte quelle coincidenze e quei ritardi fossero solo coincidenze. Riaffiorò il vecchio sospetto che Rabb avesse orchestrato tutto per attirare Sarah fra le sue braccia.

Rimase in dubbio se rimettere in pista Patrick e assicurarsi che tutto procedesse come doveva procedere, ma si rese conto che ormai era troppo tardi. Quando fosse giunto a destinazione sarebbe stato già giorno e Sarah di ritorno da lui.

Decise, anche se con molta riluttanza, di fidarsi.

 

  
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