Capitolo XIII
Una scoperta
Uffici del
comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Mac stava
terminando di sistemare le ultime carte relative
al caso appena concluso. Nel frattempo pensava a come, all’improvviso,
sembrava
che il caso avesse trovato una soluzione.
Dopo che Harm
aveva terminato la sua telefonata con il
Segretario e lei si era bevuta il suo caffè, era rientrata in ufficio
da lui e
lo aveva visto pensieroso. Gli aveva domandato cosa gli aveva detto il
Segretario
quando lo aveva informato di ciò che avevano scoperto ed egli aveva
risposto
evasivo, dicendo che aveva avuto ordine di procedere con estrema
cautela.
“Questo mi
puzza d’insabbiamento” era sbottata lei
arrabbiata.
“Non possiamo
esserne certi. Per ora hanno solo deciso di
continuare con le indagini, ma senza smuovere troppo le acque.”
Comunque
gliela vendesse, aveva capito che anche a lui ciò
che gli era stato detto non convinceva affatto. Ma non avevano potuto
far altro
che obbedire.
Quindici
giorni dopo, la risposta definitiva: Sheffield
aveva ordinato d’interrompere le indagini in corso perché il Presidente
si
sarebbe incontrato personalmente con il Premier inglese.
“Come
volevasi dimostrare: insabbiamento” aveva detto lei,
sarcastica.
“Non è vero.
Hanno solo deciso di risolvere le cose in
maniera diversa” le aveva obiettato Harm.
“Insabbiando”
aveva insistito, caparbia. “Bene, almeno
posso tornarmene a casa e pensare al mio matrimonio” aveva aggiunto,
quasi a
volergli fare del male perché aveva avuto la sensazione che lui fosse
d’accordo
con la linea decisa dall’alto.
“Il
Segretario ha tenuto a precisare che, finché
l’incontro tra il Presidente e il Premier non è avvenuto, è meglio che
noi si
faccia in modo di far capire che stiamo proseguendo con le indagini…
Per la
stampa, ha detto” era stato costretto a rivelarle.
“CHE COSA?!!
E questo non lo chiami insabbiamento?!” era
sbottata lei, furibonda. “Dovrei restarmene qui, a fingere di indagare,
per
evitare che la stampa capisca cosa sta succedendo? Quando invece, a
casa, ho di
meglio da fare” aveva soggiunto sempre con l’intenzione di fargli
pesare la
perdita che stava subendo a causa sua.
“Questi sono gli
ordini…”
Brutta
conclusione davvero per quello che sarebbe stato il
loro ultimo caso in senso assoluto.
E così era
stato: per quasi un mese avevano interrogato
testimoni inutili, stilato documenti inutili e rivisto deposizioni
inutili,
cercando di spremersi le meningi su cosa scrivere nei rapporti
ufficiali che
avrebbero dovuto consegnare successivamente. La tensione tra loro era
divenuta
insopportabile.
Fortunatamente,
una settimana prima era avvenuto il
fatidico incontro e subito dopo avevano avuto l’ordine di chiudere il
caso.
E così ora
sarebbe potuta tornare a casa e dimenticarsi di
Harm e dell’Inghilterra.
Un moto di
sollievo la pervase. Dopotutto a casa
l’aspettava un futuro radioso con l’uomo che amava e che sarebbe
diventato suo
marito di lì ad una settimana.
Sperò
ardentemente che Clay venisse a prenderla
all’aeroporto. Aveva voglia di rivederlo, di riabbracciarlo e di
passare una
notte (la prima di quelle che sarebbero venute) fra le sue braccia.
Harm era
partito per l’Hampshire quella mattina stessa. La
sera prima si erano salutati molto frettolosamente sulla porta del suo
ufficio:
non si sarebbe aspettata nulla di diverso, del resto i rapporti si
erano
mantenuti su un piano strettamente formale.
Tuttavia un
po’ le dispiaceva: per tutto il tempo in cui
avevano lavorato assieme, quando lui era ancora al JAG, avevano formato
una
coppia imbattibile e la loro amicizia aveva rappresentato un punto
fermo per
entrambi. Durante gli anni avevano litigato, si erano detti addio,
avevano
frequentato altre persone, ma alla fine erano sempre tornati l’uno
dall’altra.
Sempre,
tranne questa volta.
Ormai la
frattura era irreversibile ed era meglio che
ognuno andasse per la sua strada.
Magari, un
domani
quando riusciremo a dimenticare quello che ci ha uniti potremo tornare
amici, si disse,
ma non ci credeva
molto. Lei e Harm non avrebbero mai potuto essere semplici amici: o si
buttavano l’uno nelle braccia dell’altro, o era meglio dividersi.
Prese il
fascicolo contenente la relazione che avevano
steso per il Segretario e il Presidente e la mise nella borsa porta
documenti.
L’originale sarebbe tornato con lei negli States, mentre Harm ne
avrebbe
trattenuto una copia autentica.
Sfogliò
un’ultima volta il rapporto per assicurarsi che
fosse tutto in ordine e quando arrivò all’ultima pagina si accorse che
lui non
l’aveva firmata.
“Complimenti
Harmon Rabb jr” borbottò inviperita.
Quella sua
svista le sarebbe costato il rientro, e non
sapeva neanche dove rintracciarlo. L’unica cosa di cui era sicura era
che si
trovasse da qualche parte nell’Hampshire nel sud ovest dell’Inghilterra.
Prese a
passeggiare nervosamente su e giù per la stanza,
com’era solita fare da un po’ di tempo a quella parte quando doveva
cercare la
soluzione ad un problema particolarmente fastidioso. Ad un certo punto
si fermò
e si precipitò al telefono. Compose un numero e rimase in attesa.
Hampshire
Inghilterra
Harm si stava
godendo il tepore del sole di Maggio nonché
la vista della campagna inglese che correva accanto a lui.
Era partito
molto presto da Londra per evitare le lunghe
code che si formavano sulla M25,
Non aveva
gradito come erano finite le cose con il caso
Herriott.
A Mac non
aveva potuto dirlo, la sua posizione glielo
imponeva, ma anche lui sospettava che le cose fossero state insabbiate
volontariamente dalle alte sfere quando si era scoperto che gli
inglesi, per
chissà quale motivo, avevano mentito su tutta la linea, o quasi.
Era concorde
con Mac, ma quando lei aveva detto che
sentiva puzza d’insabbiamento non si era potuto esprimere.
Tuttavia,
aveva deciso che, non appena di ritorno da
quella breve vacanza, avrebbe condotto una sua personale indagine per
scoprire
la verità.
Lo doveva a
se stesso, per non tradire ciò che era sempre
stato e sì, lo doveva anche a lei. Per dimostrarle che l’Harm che aveva
conosciuto non era affatto cambiato a dispetto delle parole che era
stato
costretto a dirle.
Come al
solito, la fortuna l’assistette e in meno di due
ore aveva potuto abbandonare l’autostrada e prendere la provinciale che
l’avrebbe condotto alla sua meta.
Beaulieu si
apriva davanti a lui in tutto il suo
splendore, rendendo giustizia al proprio nome: bel luogo.
Si trattava
di un tipico villaggio della campagna inglese,
dove la main street incrociava
altre
vie secondarie affiancate da cottage
che
assomigliavano a case di bambola. Soprattutto lo colpì una strada
costellata di
piccoli negozi (per lo più ad uso e consumo dei turisti sospettò): un
minimarket con relativo post office,
una gelateria con produzione propria di gelati e cioccolato (prodotto
di cui
Beaulieu andava famosa nel Regno Unito), un negozio di souvenir di
varia
natura. Dal fondo della strada gli giungeva il vociare degli alunni in
ricreazione. Proseguì seguendo la main street fino ad un bivio, dove
svoltò a
destra in direzione di Brokenhurst.
Proseguì
ancora per un tratto di strada costeggiando
alcuni cottages che sembravano la
versione moderna della Dolls’ House
della Regina Vittoria e all’improvviso, dopo una curva sbucarono una
giumenta
con puledro al seguito che pascolavano placidamente sul ciglio della
strada.
Prima di
partire aveva letto qualcosa sulla New Forest,
pertanto sapeva trattarsi di una riserva di ripopolamento faunistico,
per lo
più cavalli di una certa razza particolare, ma non si sarebbe certo
aspettato
di trovarli a brucare l’erba sul ciglio di una strada, benché
secondaria.
Superò i
cavalli, che non lo degnarono d’uno sguardo,
proseguì a velocità moderata fino ad un secondo bivio al quale prese a
sinistra
seguendo le indicazioni per il Masters Builders’ House Hotel.
L’aveva
scelto perché era fuori mano e discreto e, in quel
periodo dell’anno molto poco frequentato essendo la stagione velica non
ancora
cominciata. Sperava di passarci un romantico week-end con Belinda e ci
era
rimasto molto male quando lei gli aveva ricordato il mensile torneo di
bridge
organizzato dalla madre, ove la sua presenza era considerata
indispensabile.
Mi godrò
egualmente
il fine settimana,
disse fra sé e sé parcheggiando l’Austin Healey nell’ampio spiazzo
ghiaioso. E fra qualche settimana potrò
sempre
tornarci con lei.
Scese
dall’auto e prese il bagaglio.
Di fronte al
parcheggio un’alta staccionata di legno
impediva la visuale, ma Harm sapeva che oltre, ben protetta agli occhi
dei
curiosi, si trovava una larga baia naturale formata dal fiume che
attraversava
la cittadina, baia all’interno della quale v’erano ancorate numerose
barche di
lusso, tutte rigorosamente a vela.
Entrò nel
cortile dell’albergo, anticamente la casa dei
maestri d’ascia di Buckler’s Yard, villaggio poco distante da lì.
Il sole
cominciava a tramontare e l’aria rinfrescava.
Entrò nella reception dopo aver attraversato un cortile pieno di foglie
secche
e con le aiuole incolte.
“Molto british”
commentò divertito l’aura di studiato disordine e trasandatezza
dell’intero
complesso di mattoni rossi e del giardino stesso.
Spinse la
porta a vetri all’inglesina ed entrò.
Al banco, una
rubiconda signorina inglese si aprì in un
radioso sorriso e l’accolse, lo registrò, dopodiché lo accompagnò alla
sua
stanza.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Sentì
arrivare la carrozza. Si alzò,
richiudendo il quaderno e posando la penna; quindi uscì dallo studio,
portandolo con sé.
Le andò
incontro, raggiungendola proprio mentre
lei stava entrando.
“Grazie,
Albert”, stava dicendo al maggiordomo
che le aveva preso il mantello. Quando si voltò verso di lui e lo vide,
Nicholas scorse nei suoi occhi un’espressione diversa: un po’ di luce
sembrava
essere tornata in quegli occhi ultimamente inespressivi.
“Buon
pomeriggio, Nicholas.”
Anche nella
voce sembrava esserci maggiore partecipazione
e non più l’indifferenza delle settimane precedenti.
“Sarah…” la
salutò, avvicinandosi a posarle un
bacio sulla guancia. “Siete tornata prima di quanto pensassi. Non vi
aspettavo fin
verso l’ora di cena.”.
Lei lo lasciò
fare, senza scostarsi, ed egli fu
piacevolmente sorpreso.
“Come sta la
vostra amica?” chiese poi,
premuroso.
Vide che
rivolgeva una fugace occhiata a ciò
che aveva tra le mani, ma subito tornò a guardarlo, rispondendogli con
particolare dolcezza nel tono di voce:
“Meglio. Sta
molto meglio, ora…”.
“Ne sono
lieto”, rispose lui. Poi aggiunse:
“Sarete
stanca. Perché non salite a riposarvi?
Darò io disposizioni in cucina perché vi servano la cena in camera
vostra”.
Ultimamente
erano più le sere che lo lasciava mangiare
solo che quelle in cui decideva di fargli compagnia.
“Scenderò in
sala da pranzo. Vorrei cenare con
voi, se non vi dispiace”.
“No, certo
che no”, rispose lui, sorridendo
spontaneo. Contrariamente al suo solito, quel sorriso gli illuminò
l’occhio
sano e gli addolcì la piega delle labbra.
Lei lo guardò
attentamente e, per un momento,
sembrò sul punto di dire qualcosa. Ma subito ci ripensò e si limitò a
ricambiare il sorriso. Poi lo lasciò, per salire in camera propria.
Quando
Lynnette ebbe terminato di sistemare le
sue cose e di sceglierle l’abito per la sera, la congedò rapidamente,
dicendole
che si sarebbe preparata da sola, più tardi, non appena si fosse
riposata un
po’.
Ma, uscita la
cameriera, non le riuscì affatto
di riposarsi. Era troppo agitata.
Un turbinio
di pensieri le affollava la mente,
rendendola irrequieta e nervosa.
Per tutto il
viaggio da Londra non aveva fatto
altro che ripensare a ciò che aveva scoperto con una semplice ricerca
sull’Almanacco del Gotha.
Era partita
da lì, convinta di aver bisogno di
ulteriori indagini per trovare conferma ai propri sospetti. Ma lì si
era
fermata: la verità era racchiusa in quel catalogo delle famiglie nobili
di
tutta Europa.
E, alla luce
di quanto aveva scoperto, ora
sapeva che la decisione che il suo cuore aveva preso soltanto il giorno
prima,
di ritorno dalla sua passeggiata a cavallo, era la decisione giusta.
Ora più che
mai avrebbe fatto il possibile per
ritrovare il Conte André François D’Harmòn.
Hampshire
Inghilterra
Per
l’ennesima volta Mac sbagliò corsia e anziché su
quella riservata al traffico più lento si trovò in quella di sorpasso.
“Maledizione!”
esclamò arrabbiata riportando
Aveva saputo
dove si trovava Harm ed era anche riuscita ad
apprendere che l’unico modo per raggiungerlo consisteva nel farsi più
di cento
miglia in contromano.
La tentazione
di lasciar perdere non le era minimamente
transitata nel cervello, non poteva rimandare il suo rientro: Clay
sarebbe
stato di rientro da Baghdad quella sera stessa ed avevano deciso di
incontrasi
all’aeroporto. Era perciò di vitale importanza per lei prendere
quell’aereo.
Pertanto si
era recata all’autonoleggio più vicino
all’albergo e aveva affittato una macchina, decisa a raggiungerlo,
fargli
firmare la relazione e tornarsene a Southampton quella sera stessa per
prendere
l’ultimo aereo in partenza per Washington. Non senza prima avergliene
dette
quattro, ovviamente.
Quel percorso
di guerra stava per finire, sospirò Mac
imboccando l’uscita dell’autostrada. Se i calcoli del navigatore erano
esatti,
e traffico permettendo, di lì a trenta minuti esatti sarebbe arrivata a
destinazione e dopo tre ore, al massimo quattro, sarebbe stata seduta
su un
aereo in partenza da Southampton con destinazione casa.
Non si curò
del fantastico paesaggio che scorreva accanto
a lei: prati verdissimi accarezzati da una leggera brezza e scaldati
dal sole
di Maggio, altri pieni di fiori gialli che sembravano fare a gara con
l’astro
solare in quanto a luminosità; gli animali, per lo più pecore e mucche,
al
pascolo e i filari regolari di alberi che, al posto delle staccionate e
del
filo di ferro, delimitavano i confini fra una proprietà e l’altra. Era
troppo
concentrata sulla guida, in costante tensione per timore di imboccare
le
rotonde nel verso sbagliato, con conseguenze assai dannose per la sua
incolumità personale.
Il suo unico
pensiero, oltre alle rotonde, era raggiungere
Beaulieu ovunque fosse, e poi tornarsene a casa. Ne aveva avuto
abbastanza
dell’Inghilterra.
Guardò
velocemente l’orologio e si accorse che si stava
facendo sera. Sperò ardentemente che la colonna d’auto davanti a lei si
muovesse in fretta.
Cominciava a
smaniare di arrivare: tutto il viaggio, difficoltà
di guida a parte, era stato costellato di imprevisti. Prima il traffico
assurdo
sulla M25, poi i cantieri in autostrada che l’avevano costretta a
restare ferma
in coda in lunghe attese, e adesso quella dannatissima provinciale che,
dopo un
buon inizio, sembrava essersi intasata a meno di due miglia dalla sua
meta.
Picchiò
nervosamente il pugno sul cruscotto, l’aereo le
stava sfuggendo.
Lentamente,
la colonna si mosse e Mac avanzò di qualche
metro.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
Harm era
appena rientrato da una passeggiata nei dintorni.
Si era recato a Buckler’s Yard, un villaggio di pescatori e costruttori
di
barche, ricostruito nei minimi dettagli.
Mentre girava
fra i viali semideserti e spazzati da una
discreta brezza gli era parso di udire la voce di Mac che lo canzonava:
“Non ti
smentisci mai, marinaio. Anche quando sei in vacanza non riesci a fare
a meno
dell’acqua…”.
Era vero,
aveva scelto quell’albergo e quel luogo perché
era in stile marinaro e per le passate glorie dei suoi abitanti, famosi
maestri
d’ascia.
Sorrise fra
sé.
Mac l’aveva
sempre capito ed era stata l’unica che lo
completasse davvero. Non solo Sarah però. Anche Belinda era una buona
compagna
e aveva immediatamente compreso di che pasta fosse fatto.
Alzò lo
sguardo verso la darsena e fissò gli stralli delle
barche a vela che suonavano come arpe nel vento della sera incipiente.
Gli mancava
da quando se ne era andato e non aveva fatto
che pensare a lei, al modo in cui s’erano lasciati. Dopotutto che male
avrebbe
fatto restare qualche minuto in più ad ascoltare le sue spiegazioni?
Forse tra
loro non sarebbe mai accaduto nulla, forse sarebbero rimasti solo
amici, ma
perché non tentare? Si diede dello stupido, ma ormai era troppo tardi:
le loro
strade erano divise e lei, a quell’ora, era già su un aereo diretta
verso un
matrimonio. E questa volta non ci sarebbe stato nessun tuffo fuori
stagione
nell’Atlantico a fermarla.
Tornò verso
l’albergo, rassegnato.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
Mac
parcheggiò
Harm
l’avrebbe pagata salata questa volta.
Sperò
ardentemente che lui fosse in albergo.
Arrivò alla
reception e attese che qualcuno si facesse
vivo, ma sembrava che la stanza fosse deserta.
Mac si
spazientì ancora di più.
“Cosa ci fai
qui?” udì alle sue spalle l’esclamazione
stupita di Harm.
Si voltò
inviperita: “Cosa ci faccio?! Sono venuta fin qui
nel bel mezzo del nulla perché tu, imbecille che non sei altro, hai
scordato di
firmare QUESTO” gli rovesciò addosso, porgendoglielo, il documento.
“Davvero me
ne sono scordato?”
“Sì, capitano
dei miei stivali, e io ho dovuto affittare
una macchina, guidare per oltre cento miglia contromano in mezzo ad un
traffico
pazzesco per raggiungerti qui e così ritardare il mio rientro di almeno
un
giorno” rispose più invelenita che mai dal tono falsamente ingenuo di
lui.
“Il minimo
che posso fare è offrirti una cena.”
“Ne faccio
volentieri a meno” ribatté acida.
Posò il
documento sul bancone: “Firma” gli ordinò
perentoria. “Così me ne posso andare”.
“Davvero Mac,
mi dispiace. Fermati a cena e per la notte.
Domattina potrai tornare a Londra con calma e prendere il primo volo
per gli
Stati Uniti. Sempre meglio che passare la notte sulle sedie di plastica
di una
sala d’attesa.”
“C’è un volo
che parte da Southampton a mezzanotte” mentì
lei. “Se mi sbrigo ce la faccio.”
Ma Harm era
irremovibile. Era sinceramente dispiaciuto per
averla costretta a subire la sua presenza più del necessario e voleva a
tutti i
costi rimediare.
“Vorresti
andare a Southampton ADESSO? Con la pioggia e il
buio? Andiamo Mac, sii ragionevole e non fare il Marine cocciuto. Non
sei
abituata a guidare in Inghilterra, rischieresti inutilmente e Webb
potrebbe
trovarsi vedovo prima ancora di sposarti.”
“Non piove e
se sono arrivata fin qui posso anche coprire
una ventina di miglia in più per giungere a Southampton” ribatté
cocciuta.
“Firma”, insistette poi.
“Adesso non
piove, ma il tempo cambia velocemente qui e
prima del tramonto il vento s’era fatto più freddo e nubi nere si
ammassavano
da ovest. Dammi retta Mac, resta.”
E senza darle
il tempo di reagire o rispondere fece un
cenno. Come per magia comparve la stessa ragazza che l’aveva ricevuto
al suo
arrivo: “La signora si ferma per cena e per la notte. Potete mettere
tutto sul
mio conto”.
Detto questo,
scortò un’esterrefatta Mac al parcheggio
dove la stessa poté recuperare i bagagli.
“Sei
impossibile” commentò al rientro acidamente. “Almeno
posso avere il permesso di chiamare il mio fidanzato?” aggiunse
calcando
l’accento sulla parola “fidanzato”.
“Concesso, ti
aspetto al bar.”
“Vai a quel
paese Harmon Rabb jr” sibilò tra i denti
allontanandosi con l’assistente che l’accompagnava alla sua camera.
La stanza che
le avevano dato confinava con quella di Harm
e Mac provò un ulteriore moto di rabbia interiore. Tuttavia non poteva
negare
che lui aveva avuto ragione nel volerla trattenere. Sbirciò fuori dalla
finestra e notò che aveva cominciato a piovere, e la ghiaia del
parcheggio
brillava lucida sotto la luce dei lampioni.
Diede uno
sguardo alla camera e ciò che vide le piacque:
la moquette, alta e folta, color azzurro carta da zucchero dappertutto
e le
pareti erano rivestite di tappezzeria di un caldo color crema. Alle
finestre
pesanti tendaggi in tinta con la carta da parati, facevano la funzione
delle
persiane, mentre al centro della stanza un grande letto invitava ad
avvolgersi
fra le spire del piumone avorio e rosso.
Sarebbe una
bella
idea fare una cosa simile anche a casa nostra, pensò
rivolgendosi mentalmente a Clay.
Per prima
cosa, dopo aver aperto il trolley, telefonò alla
Continental e chiese di prenotare un posto sul primo volo disponibile
in
partenza per Washington da Southampton. L’impiegata del call
center le riferì che per l’indomani non c’erano posti
disponibili,
ma che era possibile partire la domenica mattina. A malincuore Mac
diede la
conferma. Dopodiché chiamò il fidanzato e gli spiegò per sommi capi
l’accaduto.
Come sempre,
lui la rassicurò, le disse che l’amava e che
l’avrebbe attesa a Washington per la domenica sera.
“Ti preparerò
qualcosa di speciale e irripetibile. Sarà
una serata magica” le promise.
Con un
sospiro di nostalgia Mac chiuse la chiamata e si
ficcò sotto la doccia.
Nel
provvisorio ufficio che in quel momento occupava a
Baghdad, Clayton Webb cominciò a dubitare che tutte quelle coincidenze
e quei
ritardi fossero solo coincidenze. Riaffiorò il vecchio sospetto che
Rabb avesse
orchestrato tutto per attirare Sarah fra le sue braccia.
Rimase in
dubbio se rimettere in pista Patrick e assicurarsi
che tutto procedesse come doveva procedere, ma si rese conto che ormai
era
troppo tardi. Quando fosse giunto a destinazione sarebbe stato già
giorno e
Sarah di ritorno da lui.
Decise, anche
se con molta riluttanza, di fidarsi.