Questo è il primo "capitolo" della raccolta. In Russia c'è l'usanza che il primo giorno di scuola i bambini portino un fiore alle maestre e al preside. In questi tre sonetti ho cercato di esprimermi con un linguaggio per lo più infantile, perchè i 186 bambini morti nella strage non usavano grandi paroloni, perchè erano bambini esattamente come lo siamo stati noi. Questa poesia è dedicata a loro. Spero che qualcuno la legga, si fermi per qualche istante a pensare e, se non ha mai sentito parlare di Beslan, trovi il tempo di documentarsi.
Un bacio!
Il fiore che avevo io era bianco,
come il vestito e le scarpette
e la mia sorellina al mio fianco.
Di anni ne avevo quasi sette,
come Yara, mia compagna di banco
che di battute ne aveva lette:
amava raccontarle ogni tanto
quando si congelava, stando strette.
Quei giorni a nessuno ne raccontò
dato che di freddo non ne faceva;
quando per l’ultima volta mi guardò
in silenzio e spaurita piangeva.
Poi un uomo nero ridendo sparò,
e Yara mai più sorrise: taceva.
Io ben vestito, tutto elegante
stringevo forte la mano di papà
perché mamma proprio in quell’istante
riposava con la febbre sul sofà.
La rosa mi guardava arrogante
con quel suo rosso che magari, chissà,
non piaceva alla mia insegnante,
che forse apprezzava più il lillà.
Quei giorni mai le chiesi il colore
che lei, vecchia maestra, preferiva;
e non so dove la mia rosa sia:
l’han calpestata paura e dolore,
lo strazio dei cuori alla deriva,
le lacrime l’avran portata via.
Mai la nostra palestra era stata
buia, vuota, triste oppur silenziosa,
prima le voci la facean chiassosa,
il sole l’ha sempre illuminata;
ora è il fuoco che l’ha bruciata,
come morta rimane silenziosa
la cenere s’alza ancor nebulosa
e da urla rimarrà infestata.
Due fiori, cui migliaia s'aggiunsero
a nascondere e rasserenare
i loro colori mutati in nero
dal lento calar della bava scura
che, muta come un pianto leggero,
silenziava quelli che avean paura.
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