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Autore: Bookseater    30/04/2013    0 recensioni
Non so bene cosa sia. Una ragazza stanza della vita, che si sente soffocare in un corpo che crede non le appartenga.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Guardo lo specchio e ci vedo riflessa l’immagine di una persona, forse una ragazza, magrissima perché non mangia, con indosso una maglietta a maniche  lunghe a righe e pantaloni a macchie.
Mi avvicino per guardare quello strano abbigliamento, e osservando meglio mi rendo conto che non indossa né pantaloni né maglietta. È nuda, ma le sue gambe sono cosparse di macchie più o meno circolari di colore giallo, viola, blu. E quelle sulle braccia non sono righe di una maglia, ma tagli, procurati con chissà quale oggetto tagliente.
Il braccio destro ha un colore strano, e i tagli sono molti. Così prendo un rasoio, e togliendogli la lametta, la prendo fra pollice e indice della mano destra, e lentamente ne avvicino la punta sull’avambraccio sinistro, a metà fra polso e incavo del gomito. Faccio un respiro profondo e lo infilo nella carne. Non voglio inciderlo troppo a fondo, perché potrebbe infettarsi più facilmente, ma un involontario spasimo del muscolo fa sì che la punta della lametta entri di quasi mezzo centimetro. Mentre soffoco un urlo di dolore, alzo velocemente la mano, lasciando cadere la lametta nel lavandino. Cerco di aprire il rubinetto, di modo che l’acqua corrente passi sulla ferita, dalla quale inizia a uscire del sangue, ma un capogiro e la vista appannata mi fanno cadere a terra, in ginocchio. Vado in iperventilazione, ma so che devo calmarmi, altrimenti rischio di perdere conoscenza.
Resto seduta a terra per non so quanti minuti,  finché gli occhi tornano a vedere le figure dei mobili nel bagno, e il respiro è quasi tornato alla normalità, poi mi alzo, e con una garza sterile copro l’incisione. Brucia, ma ignoro il dolore e con del nastro adesivo lego la garza al braccio. Spero solo di riuscire a scrivere domani a scuola.
Non mi ero mai tagliata prima. Ho cominciato da pochi mesi. Prima vedevo solo lividi, ora ferite.
Il giorno dopo tolgo la garza e vedo che attorno alla ferita sta comparendo un livido. Strano, non lo credevo possibile, ma è quello che vedo sul braccio. Essendomi tagliata ieri, oggi solo lividi. Così mi prendo a pugni, con il braccio sinistro, ancora dolorante, ma non sento niente, così uso la destra.
“Non è colpa mia. Non posso fare altrimenti”, penso mentre guardo un pezzo di pelle sul quale presto, sarebbe apparso un nuovo livido. Mi sento meglio, perché so che mi merito quei pugni. Le lacrime scendono copiose sulle mie guance e poi cadono sul polpaccio, in parte per il dolore, in parte per la mia natura di masochista. Abbassando lo sguardo vedo, su quel polpaccio, due lividi. Uno più recente, di un colore violaceo, l’altro, vecchio d qualche giorno, di un colore giallognolo. Sul braccio invece vedo alcuni tagli profondi che hanno appena ricominciato a rimarginarsi. Però i lividi non bastavano. Erano troppo dolci sul mio corpo, avevo bisogno di qualcosa di più. Poi ho provato con una lametta, ed ha funzionato. Ho sentito l’impotenza del mio braccio davanti all’inevitabile realtà.
Ho sempre avuto il presentimento che il mio sangue fosse sporco, impuro. Ne avevo una conferma dalla mano sinistra, infatti sono mancina, fatto considerato in tempi meno recenti come simbolo del diavolo, e ne ho avuto un’altra conferma quando ho visto che il sangue usciva più scuro nel taglio vicino al polso e più chiaro, quasi fosforescente, all’avvicinarsi all’incavo del gomito. So che è solo biologia, infatti è tutta questione di arterie e vene piccole, eppure, quando ho notato che usciva più copioso e velocemente, quasi come se non aspettasse nient’altro che uscire dal mio corpo infetto ho capito che avevo ragione. So che non dovrei pensarlo o farlo, ma mi sento meglio. So che mi merito ogni colpo, ogni livido, ogni lacrima. Merito tutto questo e anche di più, perché sono solo una sporca assassina. Assassina di tempo e voglia. Sono una bastarda senza cuore, come dimostrano le mie azioni. So di esserlo, e di meritarmi tutto questo. Così i lividi crescono pian piano, e così anche i tagli. Prima mi sfogavo una volta a settimana, ora ogni due giorni. Con il susseguirsi dei giorni, mi rendo conto sempre di più che non sono niente. O meglio, sono una persona orribile.
Da quando ho cominciato a farmi del male, per cercare si stare meglio, ho abbandonato le poche persone che mi erano vicine e ritenevo amiche, perché mi avrebbero fermata, peggiorando la situazione.
La scenetta tipica si svolgeva in questo modo:
ehi, hai freddo?
Io: non tanto
e allora perché non ti togli la giacca?
Io: non ne ho voglia.
All’inizio quando rispondevo così mi guardavano in modo strano, come se fossi stupida, ma la verità è che se tolgo la giacca, o la felpa, vedranno le mie braccia, le mie gambe, il mio corpo, e capiranno da quei segni giallognoli o violacei, e soprattutto dalle linee rese rosso scuro dal sangue rappreso che qualcosa non va…
La cosa che mi fa star più male però è quando i professori mi dicono che posso fare di più. Che non mi impegno abbastanza, che sono una persona migliore di come mi comporto, che devo impegnarmi di più. E ancor di più gli amici che mi dicono che sono una persona speciale, che posso fare tanto. Ma cosa si aspettano da me? Io non sono speciale e mi impegno quanto mi è possibile. Non è nella mia natura essere brava. Sono solo una stupidissima persona che cerca di star meglio liberandosi dal male che le scorre nelle vene.
Le parole degli altri non mi feriscono, perché io so già tutto. Conosco tutti i miei difetti, ma ne sono ossessionata. Non voglio avere difetti. Tutto il dolore che mi procuro e sento serve a purificarmi. Per non essere più un tale obbrobrio. Per non dover più soffrire. Per riuscire a vivere in pace con me stessa. Ma ogni volta che compare un livido o un taglio, questo scompare o si rimargina, e so che quel dolore non è bastato, che devo soffrire ancora, devo purificarmi ancora. Così continuo, livido dopo livido, taglio dopo taglio, giorno dopo giorno.  A volte vorrei smettere, perché il dolore è troppo forte, oppure perché svengo. Ma quando mi riprendo mi dico che quello che è successo non è niente, che mi possono e devono venire dolori e ferite più grandi.
  
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