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Autore: Angie Mars Halen    30/04/2013    4 recensioni
Siamo nell'ultimo periodo in cui i Guns N' Roses suonavano tutti insieme. Izzy, prima di essere travolto da una crisi da astinenza non indifferente, fa una riflessione su quello che sta accadendo e su ciò che stanno diventando. Ora che ha davvero bisogno del suo migliore amico, si ritrova da solo. Lui solo sa che cosa farebbe per avere il suo conforto in questo momento, ma il sostegno morale può essere dato soltanto da un amico vero. Axl lo è. O forse no perché sta mandando all'aria tutto quanto quello che avevano sognato? Oppure è colpa di Izzy? Ecco che cosa ne pensa il chitarrista ritmico dei Guns N' Roses.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izzy Stradlin, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where Are You, My Friend, When I Really Need You?





Abbandono il palco senza salutare né ringraziare il pubblico, mi infilo negli anfratti bui e polverosi del backstage, camminando a testa bassa, assorto nei miei pensieri. La chitarra nera che reggo con la mano destra, la mia adorata Les Paul, è diventata troppo pesante. Sento le dita e il palmo sudati fare poca presa su di essa, per questo accelero il passo. Attraverso quello che è più un bordello che il retro di un palcoscenico, dove sostano almeno una decina di ragazze bellissime e seducenti. Passo in mezzo a quelle, che ammiccano senza pietà e si mettono in mostra, ma io continuo a camminare svelto e senza considerarle.

Quello di cui ho bisogno in questo momento non è una groupie o una chitarra, ma soltanto un letto su cui dormire in santa pace per recuperare le ore di sonno che sto perdendo in questo cazzo di tour spericolato. Ma non è tutto. Mi serve Lei, l’unica in grado di distrarmi da tutto e tutti per abbastanza tempo.

Apro la porta del mio camerino con una debole spinta, faccio irruzione, lanciandomi intorno delle occhiate, e lascio la chitarra elettrica accanto all’acustica. Sono loro le mie donne: la musica non tradisce mai e può salvarti da tutto a differenza di una di quelle cretine arrapate che mi saltano addosso come belve su una preda.

Chiudo la porta a chiave e, con il sudore che cola lentamente giù dalla fronte fino a cadere in gocce pesanti dalle punte delle ciocche corvine, frugo nello zaino che ho portato con me dall’hotel. Cerco a lungo, ma non tasto altro che la dura stoffa plastificata e il tessuto morbido di una maglietta di ricambio.

Dove cazzo è quella bastarda?

Forse sono stato così cretino da averla lasciata sulla scrivania della mia camera, impacchettata insieme a tutto l’armamentario necessario come un panino sulla tavola della cucina. Cazzo, che coglione sono stato...

Mi maledico ancora per qualche minuto finché, stufo di sferrare pugni contro il muro scrostato e di soffrire per le fitte alla mano che mi sto procurando da solo, decido che ne chiederò un po’ in prestito agli altri, sempre che me ne diano. Barcollo fino al camerino di Slash, dove lo trovo steso sul pavimento, stordito dagli effetti del Jack. Ha le braccia aperte e il viso scoperto, il capo appoggiato direttamente per terra e una gamba addosso al corpo saturo di vodka di Duff. Sbuffo: non sono certo nelle condizioni di ascoltarmi e non si ricorderanno nemmeno dove sono. Forse sanno giusto chi suona la chitarra e chi il basso, ma non ci giurerei.

Seccato da questo, vado a bussare alla stanza di Axl come un disperato. Risponde la sua inconfondibile voce profonda, l’unica che non mi stancherò di ascoltare. Apro piano e lo trovo stravaccato sulla poltrona con un braccio teso e il palmo rivolto verso l’alto, inerme.

“Jeff, sei venuto per condividere con me questo momento di estraniamento dal mondo?” chiede con la poca voce che gli è rimasta dopo il concerto, gli occhi lucidi e un sorriso amaro.

Le mie mani cominciano a tremare per l’avidità. “Axl, ne ho bisogno. Ti prego...”

Lui solleva le sopracciglia chiarissime e fa finta di non capire, come al solito. “Di che cosa, Jeff?”

“Della roba,” rispondo. Forse sto urlando senza rendermene conto. Se così fosse, non me ne frega un cazzo: io voglio la mia roba, poco importa se Rose si sentirà offeso dal mio tono di voce. Con tutte le volte in cui sono stato io a subire, posso anche permettermelo.

Fa una debole risata sarcastica e si picchietta l’indice e il medio uniti sull’incavo del gomito, segnato da lividi violacei sulla pelle diafana. “È tutta qui, tesoro, tutta qui, e non ce n’è più.”

Mi sta parlando come se fossi un moccioso che ha chiesto una caramella, cazzo.

“Bill, per favore...” piagnucolo, rendendomi più ridicolo di quanto non sia già. “È da ieri a mezzogiorno che non ne prendo. Sto male, ti scongiuro.”

Mi fa cenno di allontanarmi con una mano. “Senti, Stradlin, qui le scorte sono finite. Sparisci. Va’ ad elemosinarne un po’ da Slash o McKagan.”

“Sono ubriachi fradici, non so nemmeno dove diamine cercarne,” ribatto ringhiando.

Axl raccoglie una pagina di un giornale dal pavimento, la appallottola e me la scaglia contro come se fossi un animale da scacciare. “Vattene, cazzo! Vai via.”

Butta la testa all’indietro e chiude i suoi bellissimi occhi, anche lui per stasera è andato. Si abbandona a se stesso sulla poltrona polverosa e puzzolente di uno dei tanti camerini che lo ospitano durante i nostri tour, incurante di me, il suo migliore amico, che sta per avere seriamente una crisi di astinenza da eroina.

Sei un fottuto bastardo, Bill Bailey, un fottuto bastardo che pensa solo a sé stesso. Per te gli amici valgono solo quando devono fuggire con te da Lafayette a Los Angeles, per ascoltarti quando ti prendono le tue crisi di tristezza e per quando devono procurarti la roba o il successo.

Rispedisco indietro la palla di carta e me ne vado furioso, sbattendo la porta. Non mi reggo più in piedi. Sento i brividi dappertutto e sono così determinato a trovarla che non mi preoccupo nemmeno di uscire dal backstage accompagnato da qualcuno, ma monto su un taxi e mi faccio portare in albergo. Arranco lungo il corridoio, strisciando attaccato ad una parete, le gambe sempre più flesse e la vista sempre più allucinata.

Ecco la mia porta!

Ci metto un po’ di tempo prima di centrare la serratura, dopodiché la spingo con una spallata, esaurendo così una buona parte delle poche forze che mi sono rimaste. Mi barrico dentro: nessuno deve azzardarsi a disturbarmi per alcun motivo. Ho lasciato la chitarra sul luogo del concerto, ma non ha più importanza perché in questo momento non ne ho bisogno.

Mi scosto un boccolo ribelle dal viso sudato e comincio a rovistare ovunque, nei cassetti, nelle valigie, nei vestiti, ma della mia dose non c’è traccia. Cazzo, me l’hanno rubata! O, peggio, l’ho persa. Peggio ancora, l’ho consumata senza rendermene conto. Era costata così tanto, ed io sono stato così coglione...

Mi passo le mani sul viso: hanno ancora l’odore metallico che lasciano le corde dell’elettrica.

Mi gira la testa, allora mi lascio cadere sul letto preda della stanchezza e della debolezza. Non so da che parte girarmi, dunque inizio a muovermi con la speranza di trovare la posizione giusta, ma non c’è nulla da fare, ho le ossa a pezzi e la testa sembra perennemente sul punto di esplodere.

Tremo come una foglia e Bill è in piedi davanti a me. Sì, Bill, non Axl. Il piccolo Billy Bailey con i capelli lunghi fino alla base del collo, mossi, il volto scarno e un vecchio chiodo sbrindellato addosso al corpo magro. Mi guarda con i suoi occhi innocenti e rassegnati, le mani nelle tasche, poi mi chiede se voglio alzarmi e andare a fare un giro ai giardini pubblici di Lafayette.

Sì, Billy, certo che vengo!

Allungo una mano verso il mio amico, chiudo gli occhi un attimo e appena li riapro non lo vedo più.

Il mio Bill non c’è più!

In realtà è già morto da anni, da quando ha deciso che nella sua vista ci sarebbe stato spazio solo per il fottuto Rock N’ Roll, le ragazze e la roba. Di Jeffrey Dean Isbell non gliene frega più un benemerito cazzo. Il mio unico compito è solo quello di suonare nella sua band e di aiutarlo a raggiungere l’apice del successo il più velocemente possibile, affinché possa essere finalmente il re del mondo.

Cazzo, Axl, come puoi farmi questo, eh? Non mi vuoi più bene, vero? Però, forse, se il successo è riuscito a prendere il mio posto, vuol dire che io non sono stato in grado di mantenerlo, impegnandomi e facendo in modo di meritarlo. Oh, Axl, e se avessi ragione tu? Non me lo perdonerei, però so che non è solo colpa mia, anzi, buona parte è tua, che non ti ricordi più chi sei.

Sai una cosa, Rose? Fa’ quel cazzo che vuoi. Vuoi diventare Dio in Terra? Vuoi avere fama e gloria? Bene, fa’ pure, ma sappi che se continuerai così sarai destinato a ritrovarti solo come un cane, con la misera compagnia di un muro di ricordi che ti impedirà di ritornare indietro e di rimediare, perché ormai il passato é andato e a quel punto sarai fottuto. Non ci saranno Duff e Slash, non ci sarà neanche Steven, che nonostante abbia il sangue impregnato di ogni genere di sostanza è pur sempre un tuo amico. Io ci sarò, ma ti conosco troppo bene per poter dire che avrai il coraggio di sbattermi la porta in faccia.

Adesso sono stanco, vedo cose che non ci sono, ho male dappertutto e le mie mani afferrano e stringono l’aria, alla disperata ricerca della dose che dovevo farmi ma che non ho potuto farmi. Merda, è passato troppo tempo dall’ultima, ecco perché ho suonato come una bestia. È paradossale, cazzo: se non mi faccio sto male e non riesco a dare il meglio di me, se mi faccio sono troppo stordito per suonare decentemente.

Vorrei venire fuori da questo schifo, ma come posso fare senza di Lei? È la mia unica distrazione ora che anche la musica sembra essere diventata un’agonia con i Guns N’ Roses.

Siete la cosa più bella della mia vita, ragazzi, lo sapete?

Ricordo meglio il giorno in cui decidemmo di suonare insieme che quello in cui ho baciato una ragazza per la prima volta. Mi mancano le nostre suonate nei locali sul Sunset e quelle subito dopo l’uscita di Appetite for Destruction, mi manca semplicemente il suonare per amore della musica piuttosto che per amore del successo. Adesso quando finiamo un concerto non diciamo più “cazzo, ragazzi, quanto mi sono divertito!”, ma litighiamo per degli errori futili, per un accordo sbagliato o un acuto malriuscito perché importa solo essere perfetti, altrimenti il pubblico non ci considererà mai i migliori in assoluto. E non racimoliamo abbastanza grana per comprarci la roba da spararci. Dio, che schifo facciamo?

Giro il capo sulla coperta con dei ruvidi ricami dorati finché non riesco a vedere fuori dalla finestra del settimo piano: da qui c’é una splendida visuale notturna della città frenetica, mentre da questa parte del vetro regna il silenzio più totale. Mi gira la testa e tossisco più per il nervoso che per reale necessità. Sento che sto peggiorando.

Voglio la mia roba, cazzo, è possibile che non ricordi dove l’ho messa?

Sferro un pugno sul materasso e tremo sempre più forte. Voglio piangere, urlare, scalciare, ma tra poco mi manca persino la forza per respirare.

Axl, dove sei? Ti prego, vieni, ho bisogno di te!

Allungo una mano per raggiungere il telefono e chiamare aiuto, ma la cornetta è troppo lontana e le mie forze non mi permettono di arrivarci. Sono spacciato, ormai non c’é più niente che io possa fare... sento una lacrima calda scendere solitaria lungo la mia guancia e decido di consumare le mie ultime energie per fare un sospiro liberatorio, poi resto immobile, comodamente tramortito in questa stanza di albergo, in una città lontana da casa.

Buio.

Ho sicuramente perso i sensi.

A svegliarmi sono dei colpetti sulla spalla. Vedo della luce forte, probabilmente è già mattina ed io devo aver dormito per molto tempo. La cosa che non capisco è perché sento l’odore di disinfettante tipico dei luoghi asettici e perché questa luce punta direttamente nelle mie pupille.

“Signor Isbell, riesce a sentirmi?” chiama una voce fredda e professionale.

Rantolo qualcosa di incomprensibile persino alle mie stesse orecchie, provo a sedermi ma mi costringono a rimettermi sdraiato.

“Largo!” esclama un’altra voce. Sembra molto allarmata.

Adesso sento di essere su qualcosa che si muove e le immagini si fanno lentamente più nitide.

“Ho detto di spostarsi!” riprende la voce. “Abbiamo una crisi da astinenza, bisogna intervenire al più presto.”

Mi copro gli occhi con una mano e sospiro.

William Bruce Bailey, dove cazzo sei quando ho davvero bisogno di te?



N.d’A.: Salve a tutte! :D
Questa è la prima storia che pubblico qui su EFP. Probabilmente ci saranno problemi con l’impaginazione, mi auguro che sia quantomeno leggibile! xD
È una Slice of Life drammatiche su Izzy e Axl, spero che sia di vostro gradimento. Se volete, fatemi sapere che cosa ne pensate attraverso una recensione, sarò felice di leggere i vostri suggerimenti, positivi o negativi che siano! :) GRAZIE a chi è stato così coraggioso da arrivare fino a qui! :D
Adesso mi eclisso, gente... spero di non aver fatto un disastro! ;)


P.S. I personaggi citati nella storia non mi appartengono e le vicende sono di pura fantasia.

   
 
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