Titolo: Tesoro,
c’è uno squalo in piscina.
Pairing: Harry/Zayn (side!Lilo)
Rating: R
Trama: La
vita di Zayn, a vent’anni, aveva preso una direzione
inaspettata. A venticinque,
Zayn era più che certo che fosse tutta colpa della sfiga.
Questo, almeno, prima
di incontrare Harry.
Note: Per
Gre, visto che dici sempre che ti piace (se mentivi o, rileggendola,
scopri che
ti fa schifo, cavoli tuoi, ormai te l’ho dedicata, muahhaaha)
<3
Disclaimer: Gli
One Direction non mi appartengono bla bla bla
L’edificio era enorme, meno
alto del palazzo in cui viveva
ma ben più ampio. Non era convinto che valesse la pena di
perdere tutto quel
tempo e anche tutti quei soldi per quella storia, ma ormai aveva
acconsentito:
non si sarebbe potuto tirare indietro neanche volendo.
*
Non è che considerasse la
sua vita proprio rovinata.
Sicuramente aveva preso delle pieghe
non previste, questo
sì. Insomma, avere un figlio a soli vent’anni non
è tra i desideri che si
esprimono di solito spegnendo le candeline della torta del decimo
compleanno o
avvistando una stella cadente nel cielo d’agosto. Soprattutto
quando non si è
programmato e non si è preparati a fare il padre,
perché sì, aveva tutta la
vita davanti e avrebbe voluto fare delle cose
(magari non sapeva di preciso cosa,
ma tant’è), e invece si era ritrovato con in
braccio un fagottino che non sapeva
neanche tenere nella giusta maniera e, per grazia di Dio, chi ha rubato il libretto delle istruzioni?
Ed è ancora più
difficile se la madre è inesperta quanto, se
non più, del padre. E, d’accordo, ci sono i loro,
di genitori, ma Thomas è
figlio suo e di Perrie, non solo il nipote dei nonni. La cazzata
l’hanno fatta,
ma gli sarebbe mancato il cuore per fare il disinteressato e scrollarsi
di
dosso qualsiasi responsabilità.
E così, dopo quattro anni,
si ritrovava con un noiosissimo
lavoro d’ufficio che di certo non era la sua aspirazione
massima, un
appartamento nella periferia di Londra che bastava appena per lui e per
Thomas
e una compagna che non lo era più da quasi tre anni,
lavorava fuori città,
tornava raramente e ancor più raramente vedeva suo figlio.
Non che non lo
amasse o non si facesse sentire, anzi. Lo chiamava o videochiamava su
Skype
tutte le sere, ma Zayn sapeva che non era la stessa cosa che averla
davvero
accanto, per Thomas, che toccare abbracciare vivere sua madre.
Il primo anno era stato infernale:
lui e Perrie avevano
preso in affitto un monolocale nello stesso appartamento dove vivevano
i
genitori di lei, per poter avere tutto l’aiuto possibile;
erano sopravvissuti a
quei dodici mesi stringendo i denti, facendo orari massacranti al bar
dove
lavorava a quel tempo, Zayn, e passando tutto il giorno a prendersi
cura di
Thomas, Perrie. Quando, all’inizio del marzo
dell’anno successivo, l’avevano
chiamata dicendole che avevano visionato il suo book e che era perfetta
e che
magari si sarebbe potuta trasferire a
Manchester e iniziare a lavorare con la loro agenzia di modelle?,
lui aveva
capito perfettamente perché avesse accettato. Se avessero
chiamato lui,
probabilmente avrebbe preso la stessa scelta. Questo non vuol dire che
non
l’abbia anche odiata un po’ (e le litigate di quel
periodo erano una prova
tangibile di quanto ce l’avesse con lei, di quanto si
incolpassero a vicenda
per quello che era accaduto e per dove erano finiti senza volerlo).
Forse più
di un po’, specialmente all’inizio. Specialmente
quando era dovuto tornare a
casa, perché, davvero, da solo non ce la faceva a lavorare,
a dar da mangiare a
Thomas, e pulirlo lavarlo cambiarlo, Thomas che sembrava aver fatto del
suo
sport preferito svegliarsi ogni notte tra le due e mezza e le tre e un
quarto e
riaddormentarsi solo dopo infiniti giri in macchina e innumerevoli
ninna nanne
che Zayn si inventava sul momento. Poi c’aveva piano piano
preso la mano,
c’aveva fatto l’abitudine, forse anche lui era
diventato più bravo, aveva
lasciato il lavoro al bar e trovato l’impiego attuale, che
gli permetteva di
stare con il figlio almeno il tardo pomeriggio e tutta la sera e di
mantenersi
un appartamento proprio, e l’odio per Perrie si era tramutato
in rabbia, poi in
invidia, amarezza e infine in tristezza. Tristezza perché,
per quanto Thomas
non l’avesse voluto nessuno dei due, vederlo crescere era e
sarebbe sempre
stato il miracolo più grande al quale Zayn avesse mai
assistito. Si emoziona
sempre un po’ quando ripensa a quanto piccoli fossero i suoi
piedini e deboli
le sue mani, quando ricorda i suoi primi passi sicuri e le prime
parole, quelle
intellegibili. E Perrie se l’era perso completamente, quel
miracolo.
Dopo quattro anni, comunque, Zayn
poteva affermare di aver
dato una parvenza di stabilità alla propria vita: le
giornate si susseguivano
piuttosto simili le une alle altre, la mattina preparava Thomas e lo
portava
all’asilo, poi si recava al lavoro, e alla fine andava a
riprendere il piccolo
da sua madre, Trisha, per poi tornare con lui a casa. Era una vita
abitudinaria
e monotona, scevra da colpi di scena o avvenimenti significativi, ma
Zayn
sapeva di avere altre priorità, e – davvero
– quella non era la vita in cui
aveva sperato o che avrebbe scelto per sé, ma era quella che
doveva vivere,
semplicemente.
*
Era ottobre, a Londra le temperature
erano già calate da un
po’ e il guardaroba estivo era stato soppiantato da quello
invernale,
nell’armadio di Zayn. Un tempo era sempre molto attento a
cosa indossasse,
sempre alla moda e senza un capello fuori posto. A vent’anni
indossava jeans
stretti e maglie con stampe di vario genere, da quelle dei suoi
musicisti
preferiti a quelle con turpiloqui indirizzati a nessuno in particolare,
braccialetti al polso, scarpe comode e scarpe più eleganti
– a seconda delle
occasioni. A quel periodo risaliva la serie di tatuaggi che costellava
il suo
corpo, tra i quali ce ne erano alcuni che, a distanza di tempo, doveva
ammettere anche lui di trovare di cattivo gusto. Ma, soprattutto,
quattro anni
prima aveva la tendenza a sistemarsi i capelli in un ciuffo (che a un
certo
punto, per colpa di Perrie, aveva colorato di giallo, giallo.
A ricordarlo gli venivano i brividi), che sfidava quasi la
legge di gravità e che era praticamente inamovibile.
Adesso, invece, per quanto tenesse
sempre a presentarsi in
ordine e con la camicia abbinata ai pantaloni, i suoi abiti non erano
propriamente all’ultima moda, le scarpe erano quelle
dell’anno passato e il
ciuffo aveva smesso di esistere – così come quella
cosa gialla -, in favore a una
pettinatura più sobria e adulta, che
forse lo valorizzava anche.
L’asilo, per Thomas, era
iniziato i primi di settembre e
ogni volta tornava a casa tutto allegro, pieno di storie da raccontare
su dove
il suo migliore amico aveva passato le vacanze o su quali giochi avesse
fatto
con il suo secondo migliore amico. Il terzo, quarto giorno –
Zayn neanche se lo
ricorda più con precisione, il che, con il senno di poi, lo
rattrista un po’ –
Thomas, invece, era tornato a casa con una
richiesta ben precisa per il padre. Niente di particolare, Carl gli
aveva
raccontato di come nuotare fosse superfichissimo,
Tom e lui, che aveva messo piede al massimo nella vasca da
bagno che c’era
a casa della nonna, si era subito emozionato all’idea di
imparare e di tuffarsi
e anche solo di comprare il costume, a dire la verità. Zayn
sapeva che prima o
poi suo figlio avrebbe desiderato fare parte di qualcosa di
più che una classe
o un gruppo d’amici e pensava che, magari, in futuro, avrebbe
voluto giocare a
calcio o a rugby; il nuoto era perfetto per il corpo e tutto quanto, ma
suo
figlio non era un po’ piccolo per impegnarsi in uno sport?
Uno sport che
sarebbe diventato una spesa in più che non era neanche
troppo convinto di
potersi permettere. E poi lui stesso non sapeva nuotare, probabilmente
non
avrebbe mai imparato a farlo e comunque viveva benissimo. Insomma, ben
presto
la richiesta era stata degradata a capriccio e lasciata morire.
Solo che non era morta affatto.
Thomas sapeva essere il
bambino più adorabile ma anche il più insistente,
talmente testardo da portare
all’esasperazione chiunque. Ogni sera ripeteva al padre la
stessa domanda ‘domani mi porti in
piscina, papà?’, il
tono che si faceva sempre più lamentoso e gli occhi che si
allargavano ogni
volta un po’ di più (ma non era possibile, Zayn se
lo ripeteva come un mantra, è solo
un’illusione data dal mio senso di
colpa, un’illusione e basta) e puntualmente ogni
sera era più difficile
resistere e non cedere. (Perché tutti raccontano delle gioie
della paternità e
delle responsabilità che ne derivino, ma mai di quanto
spezzi il cuore deludere
il proprio figlio e sapere che, anche se c’è una
valida ragione, la causa del
suo dispiacere sei tu? Che poi c’era una valida ragione? Zayn
ne era convinto
ogni giorno un po’ di meno)
*
Per questo si ritrovava di fronte a
quell’edificio immenso,
perché non sapeva dire di no e non aveva difese contro gli
occhi da cerbiatto
di suo figlio, occhi così simili ai suoi (Thomas era
praticamente la sua
fotocopia, e lui era solo vagamente orgoglioso
di ciò). In cuor suo sperava che chiunque fosse incaricato
alle iscrizioni gli
dicesse che ormai era troppo tardi, che i corsi erano pieni e che
magari poteva
provare l’anno dopo; intanto avrebbe avuto almeno undici mesi
per far
dimenticare al figlio l’intera faccenda. Si sentiva un vero
stronzo a sperarlo,
soprattutto visti il sorriso enorme che si era aperto sul volto del
piccoletto
e le mani che non riuscivano a stare ferme dalla voglia di indossare
per la
prima volta il costume nuovo. Invece ‘siete
davvero fortunati’ disse una ragazza seduta dietro
la scrivania, in quello
che doveva essere l’ufficio dell’impianto,
‘di
solito in questo periodo siamo sempre al completo, mentre
quest’anno ci sono
ancora delle classi non del tutto piene’.
Strano come, dopo anni che la fortuna
gli aveva voltato le
spalle ripetutamente, quest’ultima fosse riapparsa proprio
quando meno la stava
cercando, pensò Zayn.
*
Lo spogliatoio era piuttosto grande e
abbastanza pulito, con
giusto qua e là qualche pozza d’acqua che gli
iscritti trasportavano
direttamente dalle vasche, ma nulla che facesse eccessivamente
preoccupare Zayn
e gli facesse temere una qualche scivolata di Thomas (che era il
bambino più
maldestro che lui avesse mai visto, tant’è che
sbatteva ovunque, crollava a
terra senza che nessuno lo toccasse e innaffiava sempre il tavolo con
il
contenuto del bicchiere)
La lezione stava quasi per finire, ma
quella era la prima
volta che Zayn riusciva ad andare a prendere il figlio e la madre gli
aveva
spiegato passo per passo e con cura infinita, neanche avesse il compito
di
disattivare una bomba, quello che doveva fare.
Stava proprio cercando bagnoschiuma e
shampoo quando un
cicaleccio di voci concitate arrivò dallo stretto corridoio
che univa le
piscine allo spogliatoio. Uno sciame di bambini, più o meno
tutti dell’età di
Thomas, sgambettavano urlando uno sopra l’altro, mentre
contemporaneamente si
toglievano la cuffia, cercavano di allacciarsi l’accappatoio
e ricercavano con
lo sguardo i propri padri.
Zayn assottigliò un
po’ gli occhi per individuare la sua
piccola peste e alla fine lo vide intendo a parlare animatamente con
Carl (o
comunque quello che Zayn pensava fosse Carl, non sarebbe mai riuscito a
ricordarsi nomi e volti di tutti i compagni di Thomas e si sentiva un
po’
ridicolo, perché, invece, per tutti gli altri genitori
sembrava essere una cosa
del tutto naturale, quasi innata).
Quando anche Thomas lo riconobbe, si
lanciò in avanti – oddio,
fa’ che non cada – e gli
saltò in
collo, bagnandolo un po’ e abbracciandolo stretto.
“Papà, sei
venuto tu!” costatò l’ovvio con una
vocina così
eccitata che Zayn non poté fare a meno di sorridere.
“Mi sono divertito
tantissimo, indovina cosa abbiamo fatto?” Thomas dopo ogni
lezione tornava a
casa più felice della volta precedente e questo lo faceva
vergognare per averci
messo così tanto a esaudire il suo piccolo desiderio.
“Dimmelo tu”,
disse, consapevole che il figlio non vedeva
l’ora di raccontargli per filo e per segno cosa avesse fatto
nell’ultima ora.
Thomas si lanciò in un
dettagliatissimo resoconto,
l’eccitazione che ne aumentava la confusione, e Zayn, mentre
lo ascoltava,
cercava di prepararlo per la doccia, con poca convinzione e con ancor
meno
risultati, tant’è che, quando finalmente
raggiunsero la zona docce, queste
erano praticamente vuote. Il piccolo, che non la smetteva
più di ridere per uno
scherzo che aveva fatto a Hannan (Hannan?
Il nome non gli diceva proprio nulla),
si buttò sotto il getto d’acqua schizzando
ovunque, anche il padre, che gli
regalò un’occhiata ammonitrice, e iniziando a
strofinarsi i capelli impregnati
di cloro con lo shampoo.
“Sciacquati bene i
capelli”, si raccomandò il padre.
“Sì,
papà” disse di rimando, aprendo gli occhi, che
–
inevitabilmente – si riempirono di sapone.
“Ahia” urlò, infatti, subito dopo.
Zayn avrebbe quasi riso per la ridicolosità della
situazione, ma vedere il
figlio in preda a quel piccolissimo dolore lo spinse solamente ad
avvicinarsi per
aiutarlo; senza sapere come riuscì a farlo evitando di
infradiciarsi
completamente.
“Piccolo Thomas, ancora
qui? Oh, vedo che oggi è venuto il
papà!” una voce piuttosto bassa e posata lo
riscosse dai suoi pensieri e lo
indusse a voltarsi, mentre Thomas proruppe in un gridolino contento.
“Harry!”
Zayn si voltò e, seguendo
la direzione dello sguardo del
figlio, finì per posare gli occhi su un ragazzo che
più o meno doveva avere la
sua età. Con il solo costume addosso e completamente
bagnato, il suddetto Harry
tese la mano verso Zayn, con la chiara intenzione di stringere la sua e
presentarsi. Era l’insegnante di nuoto di Thomas, venne a
sapere mentre,
parlando, s’infilava sotto la doccia più vicina e
iniziava a lavarsi. Non che
fosse davvero riuscito a fare un discorso composto da più di
quattro periodi,
tra la lentezza congenita della sua parlata e
l’incapacità di Thomas di non
intervenire ogni trenta secondi.
Tutto quello che aveva capito era che
gli spogliatoi degli
istruttori si erano allagati e che per questo si trovava lì
in quel momento,
che il gruppo di Thomas era stato l’ultimo della giornata e
che suo figlio
sembrava nato per stare nell’acqua, il che era piuttosto
assurdo visto i
natali. A vedere i suoi occhi già di per sé
grandi (e di un verde fantastico, si
annotò Zayn) allargarsi a dismisura
per il fatto che lui – in quanti
anni? –
ancora non avesse imparato a nuotare, gli spuntò spontaneo
un sorriso e mentre
lo ascoltava cianciare di quanto mari, laghi, torrenti e anche
pozzanghere
fossero eccezionali non poté non rendersi conto di come
fosse facile parlare
con quel perfetto estraneo, conosciuto non più di dieci
minuti prima, e di
quanto lo fosse rispetto a come erano invece freddi e difficili i
rapporti che
negli ultimi tre anni si erano sempre più ridotti
all’osso con tutti i suoi
conoscenti.
Avrebbe anche perso la concezione del
tempo e sarebbe
rimasto a parlare con Harry (e a guardarlo, aggiunse una vocina
maliziosa nella
sua testa) per ore, se non fosse stato per Thomas che lo tirava, quasi
lo spingeva,
nell’altra sala, quella delle borse – era talmente
tardi che ce ne erano
rimaste due, la loro e quella che probabilmente doveva appartenere a
Harry –
perché era affamatissimo e voleva che il padre lo portasse
assolutamente da
Nando’s a mangiare più pollo possibile.
Stava distrattamente ascoltando il
figlio che parlava in
quel suo inglese ancora fanciullesco e poco comprensibile, mentre con
la testa
era tutto rivolto all’immagine dei capelli di Harry che,
bagnati, ogni tanto
gli si appiccicavano alla fronte, ogni tanto erano rimandati indietro
da quelle
mani così grandi, mani di cui Zayn avrebbe voluto conoscere
il tocco con tutto
se stesso. E proprio nel bel mezzo di alcuni pensieri poco pudichi
sulle sue
spalle ben delineate e sulle sue gambe muscolose, Zayn con la coda
dell’occhio
lo vide arrivare e dirigersi dalla parte opposta dello spogliatoio,
prendere un
asciugamano e strofinarsi i capelli con cura; non si perse un movimento
e
proprio mentre Harry sembrava sul punto di togliersi
l’accappatoio e il costume
per indossare la biancheria (Slip? Boxer? Zayn sentiva quasi la
necessità fisica
di sapere cosa preferisse, o forse era solo il desiderio di vedere il
suo
sedere fasciato dal tessuto leggero), Thomas attirò la sua
attenzione,
chiamandolo un paio di volte, per farsi allacciare le scarpe.
Quando poté rivoltarsi,
l’altro aveva già indossato jeans e
maglietta. Con delusione portò Thomas ad asciugare i capelli
e poco dopo Harry
li raggiunse; quando i loro occhi s’incontrarono, le labbra a
cuore dell’altro si
distesero in un largo e dolce sorriso, che face apparire sulle sue
guance le
fossette più adorabili che Zayn avesse mai visto.
Quello che probabilmente era stato un
momento magico solo
per Zayn venne spezzato per l’ennesima volta da Thomas che
con tutto
l’entusiasmo del mondo chiese a Harry se
magari
voleva venire con loro da Nando’s?
Zayn si sarebbe dato volentieri uno schiaffo virtuale in fronte, invece
si
costrinse a guardare il ragazzo, la mente che urlava di’dino-di’dino-di’dino
in loop e il cuore in gola in attesa di
risposta (oh, ti prego, accetta, che ti
costa una misera cena?). Harry sembrava più in
difficoltà di lui,
evidentemente stava cercando un modo carino per declinare la proposta,
e Zayn –
con l’amarezza nelle vene – scompigliò i
capelli al figlio, come a dargli dello
sciocchino, e gli disse che probabilmente era tardi e sicuramente Harry
aveva
già altri impegni.
“Purtroppo, sì,
Tom, stasera non posso… che ne dici se
facciamo la prossima volta che viene a prenderti il
papà?” Harry aggiunse
rivolgendosi direttamente al bimbo, lanciando però di tanto
in tanto occhiate
al padre come a chiedere va bene
così?
“Promesso?”
chiese candidamente il piccolo.
“Promesso”
ripeté, con tono solenne, Harry.
“Dai Tommy, vai a mettere
il giacchetto e a prendere la
borsa”
Thomas corse via lasciando i due da soli. “Lo sai che non ti
lascerà in pace
finché non verrai a cena, sì? Davvero, non
avresti dovuto prometterglielo, ho
sperimentato più volte che, se lo fai, è la fine.
Ti perseguita sino a quando
non riesci più a sopportarlo e cedi” disse Zayn,
per riempire il silenzio
imbarazzante.
Harry liberò una risata
genuina, quello che all’altro sembrò
il suono più bello di sempre.
“Se a te non scoccia, per
me non ci sono problemi” rispose
Harry, che nel frattempo si stava sistemando i capelli (Ricci.
Perfetti. Zayn
se lo sentiva che anche quelli sarebbero stati perfetti)
“Stasera davvero ho un
altro impegno, ma se la prossima volta Tom se lo ricorda e me lo
richiede, per
me va bene” finì girandosi per guardarlo negli
occhi.
Questi occhi
saranno
la tua rovina, Malik. Tutto quello che il suo cervello
sembrava essere in
grado di mettere insieme erano parole a caso, molte delle quali
volgari,
scollegate tra loro, solo vagamente intelligibili. Si chiese, senza
pretesa di
risposta, cosa avesse fatto di male in una vita passata per meritarsi
un figlio
inopportuno che, inconsapevolmente, poteva avergli fatto lo scherzo
peggiore e
contemporaneamente il favore migliore da qualche anno a questa parte.
Non che
credesse davvero di avere qualche speranza, perché, siamo
seri, come potrebbe
un ragazzo del genere non essere impegnato; e non è che
avesse un gay-radar o
qualcosa di simile che gli permettesse di capire se, anche
nell’eventualità
fosse stato single, avrebbe avuto una chance; non che ci avrebbe
provato, fosse
stato il caso. L’ultima volta era andata talmente di merda
che aveva deciso che
forse era meglio aspettare che Thomas crescesse, ché in
fondo rischiare di
traumatizzare il figlio facendogli conoscere qualcuno che potesse
essere una
figura di riferimento, per poi sottrargliela qualora la loro relazione
fosse
precipitata, non valeva tanto quanto la sua serenità.
Riuscì a dire solo
qualcosa che assomigliava a un ‘no, ovvio
che non ci sono problemi’ prima che il figlio tornasse,
pronto per uscire dal
palazzetto, e – proprio come poco prima –
cominciasse a spingerlo per
affrettarlo verso l’uscita, tanto che a malapena ebbe il
tempo di salutare
Harry.
*
Come aveva preannunciato, la prima
volta che tornò a
prendere Thomas, quest’ultimo volle aspettare Harry di fronte
al bar che c’era
subito dopo l’ingresso della struttura, perché
evidentemente avevano riparato
le docce degli spogliatoi degli istruttori, lo circuì e gli
richiese di unirsi
a loro ricordandogli la promessa. Harry sorrise e annuì, con
stupore da parte
di Zayn, che in fondo non si aspettava che qualcuno che doveva avere la
sua
stessa età o giù di lì accettasse di
andare a cena con un bimbo a cui insegnava
a nuotare e con il padre che aveva incontrato solo qualche giorno
prima,
piuttosto che passare il giovedì sera con gli amici o la
ragazza, magari il
ragazzo. A dirla tutta Zayn non riusciva a capire neanche
perché Thomas
l’avesse invitato in primo luogo, ma suo figlio aveva la
scusante di essere un
quattrenne che sapeva contare solo fino a cinquanta, saltando anche
qualche
numero nel mezzo, e che scriveva il proprio nome in una calligrafia che
cresceva esponenzialmente di lettera in lettera. La sua unica risposta
era
stata che Harry era bravissimo a nuotare,
sapeva fare anche la farfalla che era super difficile.
L’aveva preso a mo’
di eroe, insomma, una specie di figura a cui tendere, da imitare, e
magari
nella sua testolina mangiarci insieme da Nando’s –
che era praticamente il suo
posto preferito dopo il parco giochi – era un modo per
entrare in contatto con
lui e poterlo osservare da più vicino? Zayn non ne era
proprio sicuro, forse una
motivazione non c’era affatto, e comunque aveva evitato di
approfondire e
ritornare troppo sull’argomento perché suo figlio
sembrava dire tutto quello
che gli passasse per la testa e non voleva che se ne uscisse
raccontando di
come suo padre l’avesse assillato con la questione. Per la
stessa ragione
ovviamente non aveva ricordato al figlio dell’invito, anche
perché non riusciva
a immaginare una cosa più imbarazzante di Thomas che
rivelava a Harry come il
papà gli avesse raccomandato di non dimenticarsi della
promessa.
Per questo si trovavano da
Nando’s, con un Thomas così eccitato
che potendo avrebbe ordinato tutto quello che c’era nel
menù, Zayn che si
sarebbe volentieri tormentato le unghie, non fosse stato per la
presenza di
Harry, il quale sorrideva a tutta la scena come se Tom fosse il bambino
più
tenero del mondo e non quello più rumoroso (per Zayn lo era,
tenero. Era anche
meraviglioso, fantastico, pieno di gioia e di vita, era tutto quello
che lo
rendeva felice, e pensare a lui lo faceva addormentare con
preoccupazione per
il giorno seguente, ma lo faceva anche svegliare con la spinta
necessaria ad
affrontarlo. Ma il punto era quello: Thomas era suo figlio e se la sua
voce, la
maggior parte delle volte, poteva rallegrare lui, non capiva come
potesse avere
lo stesso effetto su qualcun altro, qualcuno che a male pena lo
conosceva.
Eppure Harry sembrava genuinamente divertito. O forse era solo un
attore
fantastico).
Vedere come Harry si trovasse a suo
agio, rese più
tranquillo anche Zayn, che progressivamente smise di preoccuparsi della
vivacità del figlio e, di conseguenza, sentì il
suo corpo – che fino allora era
stato in tensione – rilassarsi. Per la seconda volta da
quando si erano
conosciuti notò come parlare con l’altro ragazzo
fosse facile, quasi naturale
(quando riusciva a concentrarsi su qualcosa che non fossero le sue dita
o le
sue labbra), e divertente. Di solito evitava di pensarci troppo,
perché lo
deprimeva, ma gli mancava essere un normale giovane uomo che aveva come
massima
preoccupazione riuscire a preparare in tempo l’esame o
trovare la persona
giusta, quella con la quale, magari, avrebbe passato la vita intera.
Una volta
ci credeva alla storia dell’amore eterno o, meglio, ci
sperava. Adesso, dopo
Perrie e dopo Adam, non poi così tanto.
Zayn scosse mentalmente la testa; di
certo non voleva
pensare ai suoi ex proprio in quel momento, soprattutto
perché Harry aveva
appena smesso di ridere e scherzare con Tommy (era arrivato il cibo, e
suo
figlio aveva certe priorità) e si era girato verso di lui.
Per tutta la durata della cena
parlarono del più e del meno.
Scoprì che aveva ventiquattro anni e che si era trasferito a
Londra da Holmes
Chapel per motivi di studio. Voleva diventare psicologo, ma la strada
non era
semplicissima e soprattutto non era tra le più brevi, quindi
per non pesare
troppo sulle spalle della madre e del patrigno aveva pensato che, dopo
anni di
nuoto, il minimo che potesse fare era prendere il brevetto per
diventare
istruttore e guadagnare così quel poco che gli serviva per
bere una birra con
gli amici, di tanto in tanto.
Zayn, allo stesso modo, come per non
sentirsi in debito, gli
aveva raccontato di Bradford e di come fosse viverci, del fatto che
erano
venuti a Londra perché suo padre era stato trasferito
lì per lavoro e di come i
primi tempi si fosse trovato spaesato – pur non essendo
piccola neppure
Bradford, Londra era tutto un altro livello. Harry non aveva fatto
domande su
Thomas (per quanto ne sapesse Zayn, lui poteva anche credere che fosse
sposato
o che avesse una compagna ad aspettarlo a casa), e di questo gliene fu
davvero
grato. Un po’ perché non voleva parlarne di fronte
a suo figlio, un po’ perché,
per quanto Harry gli fosse piaciuto fin da subito fisicamente e stesse
iniziando ad apprezzarlo anche come persona, non si conoscevano
abbastanza, per
parlare di cose così personali. In più Zayn era
sempre stato un tipo piuttosto
chiuso, anche rispetto ad argomenti meno delicati.
La fine della cena lo
lasciò irrequieto. Avrebbe volentieri
prolungato la serata, ma Thomas si era addormentato con la testa sul
tavolo, e
il giorno dopo doveva andare all’asilo. In più
trattenere ancor Harry gli
sembrava un po’ come derubarlo del suo tempo: era
già tanto che per far
contento il mostriciattolo fosse andato a cena con loro, in fondo.
“Dovrei andare”
si forzò a dire. “Thomas è distrutto e
domani c’è l’asilo”
spiegò, anche se non ce n’era davvero bisogno.
Harry sorrise e mise mano al
portafoglio, ma Zayn lo fermò.
“Ovviamente offro io,
è il minimo che possa fare per
ringraziarti”
Harry tentò qualche
protesta che però fu soffocata sul
nascere dalla fermezza dell’altro.
“Non avevi niente per cui
ringraziarmi, davvero, anzi grazie
a voi per la piacevole serata e per la cena”
mormorò Harry a bassa voce, per
non svegliare Thomas che beatamente si trovava in braccio al padre,
quando
furono usciti dal locale. “Hai voglia di venire a bere
qualcosa con me a un pub
qui vicino?” i battiti del cuore di Zayn iniziarono a
correre, impazziti “Alcuni
miei amici sono già lì” e poi di botto
rallentarono, fino a tornare al loro
normale ritmo. Certo che avrebbe voluto. Amici o non amici, sarebbe
significato
stare ancora in sua compagnia, cosa che – aveva scoperto
– era davvero bella,
ma non poteva portare Thomas da sua madre a quell’ora, senza
neanche un po’ di
preavviso, e di certo non poteva abbandonarlo in mezzo alla strada,
né portarlo
con sé.
“Vorrei,” fu
costretto a rispondere “ma… Thomas”
Harry annuì.
“Sarà per
un’altra volta?” quasi lo chiese e Zayn si
affrettò a rispondere che sì, certo, sarebbe
stato per un’altra volta.
“Promesso?” fece
il più giovane con un’espressione quasi
birichina, simile a quella che illuminava il volto di Thomas quando ne
aveva
combinata una delle sue.
“Promesso” il
volto di Harry si aprì in un sorriso sincero.
“Sai, sono un po’
come tuo figlio, con le promesse. Ti
perseguiterò finché non la manterrai”
“D’accordo,
d’accordo” rise Zayn, che avrebbe alzato le mani
in segno di sconfitta, non fossero state occupate a sorreggere Tom.
“Allora… a
presto” fece Zayn, che avrebbe voluto tutto meno che
andarsene ma che, per
l’ennesima volta da quando aveva conosciuto Harry, si
forzò a fare qualcosa che
era diametralmente opposto a quello che voleva.
*
Harry si era dimostrato di parola. La
settimana successiva,
ancor prima di farsi una doccia e cambiarsi, era andato a cercarlo per
chiedergli se quel venerdì andava bene. Sulle prime Zayn era
rimasto un po’
confuso. Non perché si fosse dimenticato della promessa
– in realtà ci aveva
pensato tutto il giorno, consapevole che quella sera forse
l’avrebbe rivisto –
ma perché non sperava davvero che l’altro
l’avrebbe rinvitato. La sera della
cena, anche per non costruirsi troppi instabili castelli in aria, aveva
accantonato la proposta di Harry iniziando a credere che
gliel’avesse fatta più
per dovere che per piacere. La figura perfetta e sorridente di Harry di
fronte
a lui smentiva completamente questa sua convinzione.
“Sì,
venerdì va bene” rispose senza pensarci troppo.
Perché
in fondo andava bene davvero. Sabato lui aveva il giorno libero e
Thomas non
andava all’asilo e poteva tranquillamente dormire da sua
nonna, per una sera.
Anzi, Trisha si lamentava sempre di vederlo troppo poco, il che era
assurdo
visto che Tom passava più tempo con lei che con lui, quindi
di sicuro le
avrebbe fatto piacere.
Harry gli diede l’indirizzo
del pub e appuntamento per le
dieci, ma dovette scappare quasi subito perché il
martedì aveva un altro gruppo
dopo quello di Thomas e se non si fosse sbrigato avrebbe iniziato in
ritardo.
“A venerdì! O a
giovedì, se vieni a prendere Thomas!” lo
salutò, agitando in contemporanea la mano destra, prima di
voltarsi
definitivamente e affrettare il passo.
*
Il pub non si trovava troppo distante
da casa sua, tant’è
che poteva arrivarci camminando una mezzoretta, e da fuori appariva
come un
qualsiasi altro pub. Prima di entrare si accese una sigaretta, vizio
che aveva
preso a quattordici, quindici anni e che purtroppo non lo aveva mai
abbandonato, anche se, dall’arrivo di Thomas, aveva perlomeno
cercato di
contenerlo, soprattutto a casa. In quel momento, però,
sentiva davvero il
bisogno fisico di fumarsene una per aiutare i nervi a sciogliersi. Il
giorno
precedente non era potuto andare a prendere Thomas, dunque non rivedeva
Harry
da martedì e ovviamente non aveva avuto modo di assicurarsi
che la serata fosse
confermata (stupido lui a non avergli chiesto neanche un recapito
telefonico);
ma, più che altro, lo innervosiva l’idea in
sé di rivederlo e quella di
incontrare i suoi amici. C’aveva pensato, e dopo tre anni in
cui, tra alti e
bassi, non era riuscito a tener vivo nessun rapporto significativo che
escludesse i suoi familiari, questa poteva essere la sua
possibilità per
ricominciare a vivere come un venticinquenne, a fare le cose che un
ragazzo
della sua età normalmente fa. E questo c’entrava
relativamente col fatto che
poteva avere o non avere una cotta per Harry, quanto più con
quanto si sarebbe
trovato bene con i suoi amici. Dubitava che, se si fossero saltati al
collo,
Harry gli avrebbe proposto di ripetere l’esperienza, e lui
anche da piccolo
aveva il problema di metterci del tempo prima di entrare in confidenza
con
qualcuno, riuscire ad aprirsi ed essere se stesso. Era anche
consapevole del
fatto che pensarci troppo e sforzarsi di far bella impressione non
l‘avrebbe
comunque aiutato. Così, dopo aver spento la sigaretta
sull’apposito cestino
accanto all’ingresso, fece un respiro profondo ed
entrò.
Anche l’interno non era poi
diverso dal classico pub: un
lungo bancone di legno era accostato alla parete dirimpetto
all’entrata,
qualche alto sgabello gli era stato collocato davanti
affinché chi volesse
ordinare e consumare lì il proprio drink potesse farlo e
vari tavolini erano
dislocati per tutta la sala, né troppo grande né
troppo piccola, mentre
un’apertura ad arco la collegava a una seconda, che sembrava
adibita a pista da
ballo. Se quest’ultima era completamente vuota, non si poteva
dire la stessa
cosa della prima. Non sapendo da che parte farsi, si diresse al bancone
e
ordinò una birra. Si guardò intorno, consapevole
che la sua espressione stesse
diventando progressivamente più disorientata. Bevve un sorso
di birra dietro
l’altro, fino a quando qualcuno da dietro appoggiò
una mano sulla sua spalla.
Sussultò per la sorpresa e, se il suo bicchiere non fosse
stato quasi vuoto,
probabilmente si sarebbe ritrovato con la maglietta completamente
fradicia.
“Zayn, sei
arrivato!” ancor prima di voltarsi e guardare in
faccia il proprietario di quella mano, riconobbe la voce di Harry. (Che poi, si disse Zayn, chi
altro poteva essere?)
Girandosi, si ritrovò ad
ammirare un sorriso che faceva da
specchio al proprio, e un po’ insicuro della propria voce
annuì solamente.
“Vieni, ti presento gli
altri” disse con tono incoraggiante
e pieno di calore, come se ci tenesse sul serio anche lui a che
quell’incontro
andasse per il meglio. Zayn svuotò il bicchiere, lo
lasciò sul bancone e seguì
Harry che lo conduceva tenendolo per un braccio, quasi avesse paura di
perderlo. Il più grande percepì
un’ondata di protezione riscaldargli lo stomaco
e risalire su fino al petto, e di colpo, come se le loro incertezze
combinate
li avessero resi più forte, si sentì
più sicuro di sé.
Arrivati a un tavolo in posizione
piuttosto angolare, si
fermarono di colpo. Seduti c’erano due ragazze e tre ragazzi,
impegnati in una
conversazione piuttosto animata che però
s’interruppe di botto quando quello
che evidentemente stava tenendo banco si accorse del loro arrivo.
“Ehi,
ragazzi, questo è
Zayn” lo presentò Harry. Fra il casino generale
del posto e le voci dei cinque
al tavolo che si sovrapponevano l’una all’altra,
Zayn riuscì a capire solo che
il ragazzo che prima gesticolava tanto si chiamava Louis. Per il resto,
piano
piano li avrebbe imparati, anche se lui con i nomi faceva proprio
schifo.
Si mise a sedere tra
Harry e
una delle due ragazze, quella mora e liscia, dal sorriso carino e lo
sguardo
gentile. Scoprì il nome, - Eleanor,
si ripeté varie volte dentro di sé per mandarlo a
memoria – quando Louis attirò
la sua attenzione per indicarle qualcuno tra la folla.
Scoprì
anche che era davvero
loquace, quando si voltò e intavolò una
conversazione con lui, e curiosa, visto
che non la smetteva più di fare domande, che comunque non
erano mai troppo
personali e non lo misero a disagio. Arrivati a metà serata
sapeva che Niall,
il biondo, era Irlandese, ma che abitava a Londra dalle superiori e che
ancora
non aveva perso una briciola d’accento, che Louis aveva da
poco cominciato a
insegnare in una scuola di recitazione in città, che Liam,
l’ultimo ragazzo,
era un vigile del fuoco e che sapeva essere allo stesso tempo la
persona più
seria ma anche quella più idiota del mondo e che Danielle
era una ballerina di
per sé piuttosto affermata. Eleanor, invece, aveva terminato
l’università
l’anno prima e proprio lì aveva conosciuto Harry e
da allora erano
inseparabili. Harry, nel frattempo, era perso in una discussione
musicale con
Niall, anche se, Zayn se ne era accorto, di tanto in tanto gli lanciava
delle
occhiate come a rassicurarsi che tutto fosse a posto.
“Vado a
prendere da bere,
volete qualcosa?” Liam si alzò e passò
lo sguardo su tutti. Niall urlò birra
così forte che anche dall’altra
parte del pub lo dovevano aver sentito, provocando un sorriso a
metà tra il
divertito e il beffardo sul volto di Louis che con gli occhi
seguì Liam fino a
che non fu inghiottito dalla folla. Poi li alzò su di Zayn e
sorrise allo
stesso modo pure a lui, che si sentì nervoso per la prima
volta da quando si
era seduto al tavolo.
“Allora,
Zayn” iniziò con
tono interessato. “Harry praticamente non c’ha
detto nulla di te, se non che
hai un bel bimbo con gli stessi gusti culinari e lo stesso appetito del
nostro
Niall… per il resto?”
Zayn avrebbe voluto
chiedere
a quale resto si stesse riferendo, ma Louis lo batté nel
tempo, “quanti anni
hai, lavori o studi, perversioni pericolose, sei sposato? Cose
così, insomma”
Sentì la
schiena tendersi
all’infinito e percepì una tensione simile
sprigionarsi dal corpo di Harry che
gli stava accanto e non lo toccava neanche. Sentì vagamente
un commento un po’
ironico di Niall, ma la sua risata servì a scuoterlo
abbastanza da farlo
rispondere a quella specie di terzo grado.
“Uhm”
balbettò “venticinque,
lavoro, no e no” chiaro e conciso. Sperò che
l’interrogatorio fosse finito lì;
gli sembrò che la sua scarsa loquacità invece di
scoraggiare Louis l’avesse
incuriosito maggiormente. Per fortuna prima che l’altro
riuscisse a formulare
altre domande, Eleanor lo tirò per un braccio invitandolo a
ballare. Cosa che
aveva sempre detestato fare, dal profondo del cuore, ma che in quel
momento gli
parve un’ancora di salvezza. Se c’era una cosa che
voleva evitare, era parlare
di Perrie con perfetti estranei, e se questo voleva dire esporsi al
pubblico
ludibrio si sarebbe volentieri sacrificato.
Ma davvero, si
sentiva
piuttosto spastico, doveva stare attento a non pestare i piedi a
nessuno e a
non dare gomitate in giro, cosa difficile se per metà del
tempo non riusciva a
fare a meno di lanciare sguardi verso il tavolo dove ancora stavano
seduti gli
altri; notò come Liam fosse tornato e come il corpo di Louis
sembrasse tutto
proteso verso l’altro ragazzo, che teneva un braccio
placidamente appoggiato
sulla sua spalla. Il volto di Harry, invece, non riusciva a vederlo
bene, colpa
degli strani giochi di luce, ma le sue mani stringevano il bordo del
tavolo e
poi ne lasciavano la presa – quasi andasse a tempo con la
musica – quando non
erano occupate a sistemare nervosamente i capelli.
Dopo un altro paio di
canzoni, anche Eleanor ne aveva avuto abbastanza di quella sottospecie
di
tortura, e i due decisero che si sarebbero concessi un meritato drink e
che poi
sarebbero tornati con gli altri.
Il momento era
perfetto per
fare qualche ricerca, si disse Zayn, che iniziò a informarsi
in un modo che
sperava disinvolto su come si fossero conosciuti tutti quanti. Così, venne a
sapere che i suoi genitori e
quelli di Danielle erano amici da sempre, lei e Louis abitavano nello
stesso
quartiere, erano sempre andati nelle stesse scuole ed erano
praticamente
cresciuti insieme, per loro essere diventati migliori amici era stato
quasi una
logica conseguenza, Harry l’aveva conosciuto
all’università e Niall era
coinquilino di Liam, ma fondamentalmente amico di chiunque, e Liam era
amico di
Harry e Louis. Disse quest’ultima cosa con un tono tenero e
allo stesso tempo
forzato, rafforzando il dubbio che, come Zayn aveva pensato sin dal
primo
momento, quei due fossero più che semplici amici.
Con un sorriso,
Eleanor fece
cenno di seguirla e quando tornarono al tavolo Danielle stava
indossando la
giacca, quasi pronta ad andarsene.
“Oh,
eccovi” disse appena
furono abbastanza vicini. “Devo proprio scappare. Mi ha fatto
molto piacere
conoscerti, Zayn” in
realtà non ci siamo
scambiati più di tre parole, avrebbe voluto
rispondere lui, che invece optò
per il classico anche a me.
“Spero di
rivederti presto” aggiunse poi lei. Zayn annuì,
semplicemente.
“Anche noi
ce ne andiamo” si
accodò Liam, riferendosi a se stesso e a Louis. A effetto
domino, anche gli
altri si preparano per uscire, e quando furono fuori si salutarono e
tutti si
augurarono di rivedere presto Zayn. Evidentemente non era andata
così male, si
auto-complimentò Zayn, dandosi una virtuale pacca sulla
spalla. Era riuscito a
conversare senza troppi problemi, se si escludeva la breve parentesi
con Louis,
e aveva addirittura ballato. Avrebbe segnato la data sul calendario,
era un
evento epocale.
Avrebbe voluto
sgusciare via
senza scambiare altre parole con Harry; si sentiva in imbarazzo senza
un motivo
preciso, o forse per più ragioni insieme che non voleva
neanche iniziare a
esaminare.
“Sei in
macchina?” Harry
ruppe il silenzio, impedendogli la fuga.
“No, a
piedi. Abito
piuttosto vicino” rispose, indicando con la mano una generica
direzione alla
sua destra.
“Davvero?
Vado da quella
parte anch’io, possiamo fare la strada insieme. Magari
scopriamo che siamo
vicini di casa e non ce ne siamo mai accorti” disse Harry, il
sorriso nella
voce e le gambe che avevano preso a muoversi.
Zayn pensò
che, se così
fosse stato, se ne sarebbe di sicuro accorto. Sarebbe stato come avere
un Adone
redivivo a un palmo del naso, ma di certo non glielo avrebbe detto.
Chiacchierarono un
po’ di
questo e un po’ di quello, scoprendo di avere gusti quasi
opposti in fatto di
musica, ma piuttosto simili in letture e film. Quasi a metà
via, calò un silenzio
confortante, tanto che Zayn neanche si accorse di aver allentato il
freno che
teneva a bada la sua curiosità fino a quando non
sentì la domanda – che gli
ronzava in testa da più o meno l’inizio della
serata – uscirgli fuori di bocca.
“Ma tra
Louis e Liam…
insomma, sì… stanno insieme o che?”
chiese impacciato. Guardò di sottecchi Harry,
l’espressione guardinga e un poco incerta, come se non
sapesse che pesci
prendere.
“Sei un
acuto osservatore,
eh?” commentò, infine, rimanendo sul vago senza
negare l’ipotesi di Zayn.
“Sembrano
felici, insieme”
Zayn non sapeva cosa dire per far capire all’altro di non
aver alcun tipo di
problema se non qualcosa come ehi, non
preoccuparti, gioco per la stessa squadra pure io, più o meno
oppure uscirsene
con qualche parola banale che arrivasse allo stesso obiettivo; aveva
scelto la
seconda opzione.
Harry gli
raccontò da quanto
stessero insieme e di come non si facessero troppi problemi a essere
loro
stessi in pubblico, cosa che per Louis si traduceva semplicemente in
essere
sempre un po’ sopra le righe, e per Liam essere serio e
teneramente assurdo
allo stesso tempo.
“E come si
sono conosciuti?”
sua madre lo diceva sempre, dategli un dito e si prenderà
tutto in braccio…
Harry gli parve per
un
attimo ancor più in difficoltà di prima, ma in un
secondo il suo viso si aprì
in un piccolo sorriso. “Li ho presentati io”
“E tu come
li hai
conosciuti?” Zayn stava iniziando a interessarsi ancora di
più, ora che
nell’equazione era entrato anche l’altro ragazzo.
Harry, d’altro canto, pur non
sembrando preso in contropiede non appariva troppo sicuro di quello che
doveva
dire. Cosa che parve un po’ strana, agli occhi di Zayn,
almeno fino a quando,
dopo un grosso respiro, l’altro non si decise a rispondere.
“Io e Liam andavamo
allo stesso liceo, ma lui è più grande di un anno
per cui non abbiamo mai
frequentato le stesse lezioni. Poi, una sera ci siamo rincontrati a una
festa e
abbiamo iniziato a conoscerci, praticamente. Louis, invece, me
l’ha presentato
Eleanor, che ho conosciuto all’università
e” qui si fermò un attimo e prese un
altro respiro profondo, come a volersi infondere coraggio “e
siamo usciti per
qualche tempo insieme, ma da subito è venuto fuori che siamo
troppo simili per
essere compatibili in quel senso; siamo rimasti amici, in
realtà potrei dire
che, anche se non ci conosciamo da tutta la vita o che so io, lui
è la persona
più fidata che ho. E nulla, l’ho presentato a Liam
perché era palese che
fossero perfetti l’uno per l’altro e si
è scoperto che sono un Cupido nato”
Ecco. Zayn non sapeva
che
dire. Era un po’ sconcertato, sinceramente. Insomma, dalla
volta delle docce
aveva fantasticato su Harry, su come sarebbe stato toccarlo baciarlo
morderlo,
ma mai si era concesso di sperare veramente di avere anche una sola
possibilità
di farlo davvero. Certo non poteva dirgli bene,
visto che ho tutto quello che occorre perché non sali da me
e ne parliamo
meglio… o anche no? Non sapeva se era ancora
capace a flirtare, figurarsi a
fare una proposta esplicita. Ma di certo non poteva stare zitto se no
chissà
Harry cosa avrebbe pensato.
“Evidentemente
era destino o
cose così” gli sorrise il più grande,
che, più che nel destino, credeva nel
potere della sfiga.
Harry rispose al
sorriso, le
fossette più profonde che mai. Zayn ebbe
l’improvviso impulso di toccarle e,
senza riuscirsi a fermare, lo fece. Se possibile, il sorriso
dell’altro si fece
ancora più ampio e nei suoi meravigliosi occhi verdi
passò un lampo di quello
che Zayn non seppe decifrare con sicurezza. “Lo credi? Credi
davvero nel
destino?” gli domandò con reale interesse, la voce
che non portava sfumature
canzonatorie con sé, come invece Zayn si sarebbe aspettato.
Gli rispose con la
teoria della sfiga, alla quale Harry rise di gusto.
“No,
davvero” stava dicendo
“quando le cose vanno male, sta’ attento
ché possono andare pure peggio”
“Non sarai
un po’ troppo
tragico?”
“No, te lo
giuro, è
comprovato!”
“Allora
dovresti darmi
dimostrazioni se no questa tesi mi rimane campata in aria”
“Be’,
a vent’anni la mia
ragazza è rimasta incinta, e per quanto Thomas sia
fantastico puoi capire come
un figlio fosse tutto quello che non desideravo, a
quell’età. Primo punto messo
a segno dalla sfiga – o dalla nostra stupidità, ma
noi faremo finta che è colpa
della sfiga. Ovviamente questo ha comportato una serie di cose, tra cui
la
necessità di interrompere gli studi per poterci mantenere,
perché i nostri
genitori ci potevano dare una mano fino a un certo punto. Sinceramente
avevo
altri progetti lavorativi, contavo di continuare gli studi, forse
diventare
insegnante, ma questa la considererò come conseguenza del
punto uno. Secondo
punto: io e Perrie, la madre di Thomas, non è che stessimo
insieme da molto,
l’idea di sposarci non ci è mai passata per
l’anticamera del cervello e per lei
la maternità è stata più pesante di
quanto non lo sia stata per me la
paternità. Non so perché. Fatto sta che, dopo un
anno, la chiamano da
un’agenzia di modelle di Manchester. Destino? No, sfiga.
Lascia baracche e
burattini, prende il primo volo da Londra e addio Perrie. Devo
continuare?
Salterò tutte le mie disavventure come padre, che non
basterebbe fare una passeggiata
per tutta Londra per raccontarle” Zayn aveva attaccato una
sottospecie di
flusso di coscienza che lo spingeva a continuare a parlare senza essere
sicuro
di dove il discorso lo avrebbe portato, alla fine.
“C’è stato un periodo buio,
in cui ho dovuto capire dove e come mettere le mani con Thomas e
più o meno un
anno fa ho conosciuto Adam” si accorse a malapena di aver
nominato il suo unico
ex maschio e di essersi
praticamente
dichiarato bisessuale davanti a Harry. La cosa assurda era che si
sentiva
tranquillo, Harry non lo avrebbe giudicato (lui e i giudizi della gente
non
erano mai andati troppo d’accordo), e aveva la lingua
talmente sciolta che gli
venne spontaneo ignorare completamente i messaggi che il cervello gli
stava
mandando – lo conosci da quanto?,
dieci giorni?
È praticamente uno
sconosciuto, per quanto ne sai potrebbe rapirti per scuoiarti e
prendersi le
tue ciglia oppure potrebbe essere uno di quei pazzi adepti di religioni
ancora
più pazze sempre in cerca di nuova gente! E tu che fai?, gli
racconti roba di
cui neanche tua madre è a conoscenza? –
“e, beh, era una vita che non
uscivo con qualcuno, quando l’ho incontrato, ed è
finita talmente male che dopo
di allora questa è la prima sera che passo in
compagnia”
Harry gli sorrise,
lasciando
cadere il discorso. Sembrava sempre capire quando poteva approfondire
qualcosa
o quando Zayn preferisse non essere pressato troppo. O era un bravo
psicologo
oppure era davvero empatico.
“Mi
dispiace per Louis. Al
pub, intendo. Lui tende a essere invasivo con tutti, non lo fa per
mettere in
difficoltà, o comunque quello non è
l’intento principale” si corresse con una
smorfia accennata “è solo curioso come un
bambino”
Zayn
scrollò le spalle e
invece disse “Piuttosto, grazie della serata. A prescindere
dalla curiosità di
Louis, è stata piacevole. Eleanor è
adorabile”
“Vero? Lo
penso anch’io!”
Fecero qualche altro
metro e
poi Zayn iniziò a rallentare. “Io vado da quella
parte”
“Oh, allora
no, non abitiamo
nello stesso quartiere” costatò Harry.
Un vago momento di
silenzio
scomodo li avvolse. Se avesse seguito il suo istinto, o meglio, il suo
desiderio, Zayn l’avrebbe baciato, ma sinceramente voleva
evitare anche solo il
rischio di essere respinto in malo modo, e stringergli formalmente la
mano gli
sembrava ridicolo.
Ancora una volta
Harry lo
trasse fuori dall’impaccio.
“Noi ogni
venerdì ci
vediamo… come hai visto non facciamo nulla di che, passiamo
giusto la serata
fra noi, bevendo qualcosa e chiacchierando del nulla. La prossima
settimana non
so ancora dove andremo – facciamo che ogni volta a giro uno
di noi sceglie il
locale – ecco, se vuoi puoi lasciarmi il tuo numero e se ti
va magari puoi
venire” il tono a metà tra una proposta e una
domanda.
“Certo!”
rispose con
entusiasmo, forse con troppo “Certo”
ripeté con più calma.
“Allora ci
sentiamo” bastava
come congedo?, si chiese Zayn. Evidentemente sì,
perché Harry gli sorrise di
rimando scuotendo la testa e la mano contemporaneamente, per poi
allontanarsi
dalla parte opposta a quella dove era diretto Zayn.
Poco dopo gli
squillò il
telefono.
Questo
è il mio numero, fanne buon uso. Harry (:
Il ragazzo citava
Harry
Potter. Doveva essere la sua anima gemella. Forse era la volta buona,
la sfiga
sembrava essersi presa una vacanza.
*
E Zayn
l’aveva preso alla
lettera: lui, timido per natura, in poco tempo era riuscito a trovarsi
bene in
un gruppo unito da tempo. Si sentiva accettato come mai gli era
successo. E in
più, le ragazze erano fantastiche, Niall riusciva sempre a
metterlo di buon
umore, Liam sapeva ascoltare come nessun altro e con Louis condivideva
un’anima
malvagia.
E poi c’era
Harry,
ovviamente. E, davvero, anche se tra loro non era mai successo nulla
che
potesse fargli sperare in qualcosa di più
dell’amicizia, Zayn non poteva fare a
meno di incantarsi quando gli stava di fronte, e di pensare a lui in
ogni altro
momento. Qualche volta, invece, gli sembrava quasi che Harry provasse
le sue
stesse sensazioni. Capitava, per esempio, che Zayn si girasse di scatto
verso
Harry, che non faceva in tempo a nascondere una strana luce negli
occhi, un
lampo che però si spengeva troppo velocemente per essere
decifrato ma che di
certo era qualcosa. Non sapeva
cosa,
ma era qualcosa. E c’era
quella volta
che, un po’ ubriaco, Harry aveva giocato teneramente con le
dita della sua
mano, stringendogliele e accarezzandole alternativamente, mano che
teneva
appoggiata sul tavolino, incurante del fatto che tutti gli altri
potessero
vederli e trovarlo strano, o forse consapevole che erano troppo
occupati a
cercare di non vomitare tutto l’alcol ingerito per
interessarsi davvero a
qualcos’altro.
Ma probabilmente era
tutto
frutto della sua immaginazione, e sperare il contrario
l’avrebbe solo portato
ad alimentare i suoi sentimenti e poi a soffrire per
l’ennesima delusione.
Da tempo, Zayn era
arrivato
alla conclusione che non ne valeva quasi mai la pena.
*
Un
venerdì, un mese dopo,
stavano di nuovo percorrendo la stessa via per tornare a casa. Durante
quei
giorni, Harry si era fatto sentire spesso e, anche se i suoi messaggi
erano di
natura del tutto amichevole, questo non aveva fermato le labbra di Zayn
dall’aprirsi
in un sorriso e il suo cuore dal battere impazzito ogni volta che ne
leggeva
uno. Non si sentiva così stranamente felice da un sacco di
tempo.
Era felice anche in
quel
momento, ma probabilmente c’entrava il bicchiere di birra di
troppo che si era bevuto
poco prima. Si consolò col fatto che anche quella sera Tom
era da Trisha e che
quindi, anche se fosse tornato a casa un po’ barcollante, non
ci sarebbe stato
ad aspettarlo nessun testimone indesiderato.
Stavano ridendo di
qualcosa
d’idiota che un amico di Harry aveva fatto da piccolo, quando
si ritrovarono al
solito bivio. Anche questa volta Zayn non sapeva come accomiatarsi, ma
Harry,
spontaneo e disinibito, si sporse e gli lasciò un lieve
bacio all’angolo della
bocca. Quel contatto effimero bastò a mandare scariche
elettriche lungo tutto
il corpo di Zayn, ad arrossargli le gote ma anche a dargli abbastanza
coraggio
da guardarlo negli occhi. Se non era diventato improvvisamente
analfabeta,
quelle che vi leggeva erano emozioni simili alle sue. Rassicurato, in
uno
slancio d’intraprendenza si avvicinò
all’altro, passò una mano dietro al collo
del più piccolo, e con una lentezza infinita, come a
volergli lasciare la
possibilità di sottrarsi, accompagnò il volto di
Harry fino a un respiro dal
suo. Spazientito, Harry eliminò ogni distanza, facendo
scontrare le loro labbra
in un bacio lento e insicuro, ma che, man mano che presero confidenza,
diventò
bisognoso e appassionato.
Con le sue mani tra i
capelli di Harry e i suoi fianchi stretti da quelle grandi
dell’altro, Zayn
perse la cognizione di spazio e tempo, la mente offuscata dal profumo
di Harry,
incurante come mai era stato della gente che gli passava accanto.
Quando si
staccò per
riprendere fiato, tuffò i suoi occhi in quei mari verdi che
brillavano di
eccitazione e aspettativa e di alcool tutto insieme.
“Tom non
c’è” disse
semplicemente.
“Oh” mormorò
Harry, vagamente confuso. “Oh”
ripeté, qualche istante dopo, gli occhi e la bocca
spalancati. “N-non so se è
una buona idea” biascicò, la parlata ancor
più lenta del solito.
“Lo
è” non lo è,
gli disse una vocina che scacciò mentalmente. “Lo
è”
L’altro
annuì e basta, si abbassò a lasciargli
un leggero bacio sulle labbra e, quando si staccò,
fissò i suoi occhi in quelli
nocciola di Zayn. Annuì una seconda volta, con
più convinzione e Zayn gli
afferrò il polso, come rassicurato da quel semplice
movimento, e lo guidò fino
al suo appartamento. Sperava di apparire calmo e sicuro di
sé, ma dentro
bruciava, la gola gli si era seccata improvvisamente e il cuore aveva
iniziato
a battere come avesse appena corso per quattro cinque sei chilometri
ininterrottamente.
E poi, in quello che
gli
parve un battito di ciglia, si ritrovarono di fronte al portone, e poi
alla
porta – con la chiave che non voleva collaborare ed entrare
nella serratura – e
poi in casa, con Harry stretto tra lui e il muro più vicino,
le mani che
toccavano dappertutto e gemiti che scappavano da labbra gonfie e lucide
per
tutti i baci che si erano scambiate.
Avevano bisogno di
più pelle
da toccare senza l’impaccio dei vestiti e di una superficie
sulla quale
stendersi, se no nel giro di qualche minuto si sarebbero ritrovati per
terra.
“Let-”
provò a dire senza
risultati, con Harry che non gli dava tregua e che accennò
solo un vago uhm?
“Dicevo che
ho un letto e
tutto in camera” si complimento tra sé e
sé, forse era riuscito a mettere
insieme qualcosa che avesse senso. Harry era troppo impegnato a
mordergli leccargli
succhiargli il collo e allo stesso tempo a cercare di togliergli la
maglietta
senza rompere il contatto tra le sue labbra e la pelle del
più grande, ma Zayn
lo prese per un ok e
iniziò a
indietreggiare verso la propria camera.
Corridoio, porta,
letto. Oh, letto. Finalmente. Si
liberò delle
scarpe e dei calzini, mentre con la coda dell’occhio vide
Harry seguire il suo
esempio, poi lo afferrò per le spalle, facendo scontrare per
l’ennesima volta
in quella sera le loro labbra. Si lasciò spingere sul letto,
con Harry sopra di
sé, i corpi che combaciavano perfettamente, neanche fossero
stati creati in
vista di quel preciso istante, e le mani che si affaccendavano a
scoprire il
corpo dell’altro, fino a quando sparirono anche i boxer e
diventò necessario
sentire di più, appena un po’ di più.
Zayn sapeva che non
c’era
nulla di poetico in quella loro prima volta insieme, non una parola
dolce
pronunciata a fior di labbra, né tocchi delicati o sguardi
adoranti, ma solo
movimenti frenetici e lingue roventi e occhiate infuocate. Ma la testa
gli
pulsava troppo e tutto quello che non voleva fare, in quel momento, era
pensare. E non importava, davvero, mentre Harry lo portava
all’orgasmo con la
bocca; era perfetto lo stesso.
*
Aveva la gola secca e
una
fame da lupi, ma per il resto stava piuttosto bene. Se non fosse stato
per la
luce che entrava dalla persiana che si era dimenticato di chiudere
starebbe
ancora dormendo.
Si
stropicciò gli occhi e si
rigirò dall’altra parte.
Una schiena nuda,
lunga e muscolosa
lo salutò accendendo tutti i ricordi della sera precedente.
Porco
cazzo.
Fece un respiro. Era
andato
a letto con Harry. Respiro. Ed era
stato fantastico toccare quel corpo che aveva desiderato sin da subito,
ma porco cazzo, adesso? Come doveva
comportarsi, come se fosse stata solo una botta e via o un errore o un
bel modo
di concludere un serata? Oh ti prego, no.
Avrebbe voluto riaddormentarsi e svegliarsi con la risposta chiara e
lampante,
e c’avrebbe anche provato se Harry non si fosse voltato, non
avesse aperto gli
occhi e non li avesse fissati nei suoi proprio in quel momento.
Era pronto a dire una
cosa
del tipo ehi, non deve significare
niente, se non vuoi, anche se il suo cuore dava pugni
massacranti al suo
cervello solo a pensarla, una cosa del genere, quando l’altro
gli sorrise il
suo sorriso più bello e si sporse a stampargli un bacio
leggero sulle labbra,
prima di dargli il buongiorno con voce più roca del solito.
Zayn avrebbe
ricominciato
daccapo tutto quello che avevano fatto durante la notte.
Guardò
l’orologio.
Le
11:34? “Devo andare a prendere Tom. Mia madre mi
avrà dato per
disperso” si lamentò passandosi una mano fra i
capelli, che di sicuro erano
sparati in mille direzioni diverse.
“Oh.
Certo” gli sorrise lievemente
alzandosi dal letto e raccogliendo i suoi vestiti sparsi un
po’ovunque per
infilarseli, mentre Zayn di malavoglia si accingeva a fare lo stesso.
“Vuoi
qualcosa da mangiare?”
chiese, infilandosi una camicia pulita. Non che avesse molto, se non i
cereali
preferiti del figlio, ma di sicuro qualcosa poteva mettere insieme
senza
rischiare di bruciare la cucina.
“No, non
preoccuparti”
rispose Harry che con l’uso delle sole mani stava cercando di
combattere alcuni
ricci particolarmente ribelli.
“Sicuro?”
“Sicuro”
gli riservò un
altro dei suoi sorrisi tutto fossette, e una volta in più
Zayn si trovò a
chiedersi come dovesse comportarsi. Non voleva che tra di loro le cose
si
facessero strane, ma di certo avrebbe mentito se avesse detto di non
volere
nulla di più che semplice amicizia, dall’altro.
Radunò
chiavi, cellulare e
portafoglio mentre Harry indossava il giubbotto e si ritrovò
a mordersi
inconsciamente il labbro inferiore. Odiava le situazioni potenzialmente
imbarazzanti, perché non sapeva mai come gestirle.
“Credo…
credo che dovremmo
parlarne?” domandò, più che affermare,
Harry.
Zayn annuì
impercettibilmente. Si schiarì la gola. “Quando?
Oggi e domani c’è Tom, e…”
“Tu mi
piaci” lo interruppe,
le mani strette nervosamente a pugno e i piedi che sembravano non
trovare pace.
“Anche tu
mi piaci” rispose
Zayn, perché non c’era davvero altro da dire.
*
“Oh,
finalmente!” esclamò
Louis, non appena li vide entrare. Zayn non avrebbe saputo dire a cosa
si
stesse riferendo, ma l’occhiata maliziosa che rivolse sia a
lui che a Harry gli
diceva che probabilmente non c’entravano nulla i quindici
minuti di ritardo che
avevano.
Era passata a
malapena una
settimana da quando erano stati a letto insieme, ma quel mi
piaci reciproco che si erano scambiati aveva messo in fuga
qualsiasi dilemma ronzasse nella sua testa, e già dal
pomeriggio stesso erano
iniziati brevi chiamate post pasto e scambi di messaggi per la gran
parte privi
di senso. Erano andati a fare colazione insieme, una volta, e una sera
erano
andati a vedere The Avengers, perché Zayn era fissato con i
supereroi e a Harry
eccitavano i luoghi al buio, tant’è che gli
avrebbe fatto una sega già dopo
dieci minuti dall’inizio del film, se non fossero stati
circondati da bambini.
E anche se tutto
quello era
nuovo, Zayn non poteva fare a meno di sorridere quando la sera,
sdraiato a
letto, ripensava a quello che lì sopra avevano fatto, o
quando Harry gli
mandava un messaggio particolarmente incomprensibile, o quando
ricordava la
voce dell’altro dirgli non era
ovvio che
tu mi sia piaciuto da subito? Anche Niall l’aveva capito.
*
Poi era diventato
quasi
tradizione cenare insieme almeno un paio di volte alla settimana, di
solito a
casa di Zayn, più raramente in qualche pub nei dintorni.
Quelle sere Thomas
dormiva da Trisha e la cosa gli piaceva talmente tanto che non faceva
troppe
domande. La madre, invece, aveva capito qualcosa, aveva lanciato
occhiate
sapute ma non si era intromessa. Dio, quanto
l’amava.
Stava apparecchiando
la
tavola mentre Harry gli tirava delle palline di carta e, ogni volta che
lo
colpiva, Zayn gli diceva di smetterla e Harry rispondeva che
l’avrebbe fatto
solo in cambio di un bacio.
“Sei un
bambino, Styles” lo
canzonava, ma poi si avvicinava e lo baciava comunque.
Le sue mani andarono
ad
accarezzargli la schiena, mentre quelle di Harry gli strizzarono il
sedere, ed
era così perso nelle labbra dolcissime dell’altro
che quasi non si rese conto
del rumore di una chiave che girava nella serratura. La voce allegra di
suo
figlio lo risvegliò del tutto, però, e in un
attimo si allontanò dal corpo di
Harry, mettendo fra loro una distanza insospettabile.
“Papà,
papà, ci sei! Harry!”
esclamò sorpreso, le r
che
sembravano, piuttosto, l. Zayn
guardò
come suo figlio, dopo avergli lasciato un piccolo bacio sulla guancia,
si fosse
fiondato su Harry, costringendolo a farsi prendere in collo, e lo
stesse
abbracciando con tutta la forza delle sua braccia da bambino. Una fitta
allo
stomaco lo prese un po’ impreparato, ma non ebbe il tempo di
capire se fosse di
gelosia o di tenerezza, perché sua madre gli si
parò davanti.
Guardandolo fissa, le
braccia incrociate al petto, sembrava quasi volesse leggere la sua
anima.
“Eravamo al
parco che c’è
qui dietro e si sta facendo più freddo. Siamo passati solo a
prendere una
felpa” Zayn annuì e andò a recuperare
l’indumento.
Thomas stava ancora
in
braccio a Harry e non la smetteva di parlare, le guance tutte accaldate
e le
manine che gesticolavano senza posa. Sembrava aver superato senza
difficoltà lo
stupore iniziale di essersi ritrovato l’istruttore di nuoto,
così, in casa.
“Tom,
andiamo che la nonna
deve preparare la cena!”
Tutto triste, ma
ubbidiente,
ritornò coi piedi a terra, diede un abbraccio al padre e si
lasciò spingere
fuori dell’appartamento.
“Loro lo
sanno?” chiese
Harry a bruciapelo, non appena la porta si fu chiusa.
“Cosa?”
“Di me e di
te… che ci
frequentiamo, insomma” spiegò un po’
tentennante.
“No. No,
non lo sanno”
rispose Zayn, gli occhi fissi sulla parete, che era diventata
improvvisamente
interessante. “E non so se voglio che lo sappiano,
ancora” aggiunse dopo
qualche istante. Spostò gli occhi sul volto di Harry, di
colpo oscuratosi.
Vedendo la sua espressione, Zayn si rese conto di come dovesse essere
sembrata
infelice la sua ultima uscita. Era come se tra di loro aleggiasse un
silenzioso
non ne vale la pena, il che non
aveva
senso, Zayn stesso sapeva di non pensarlo nemmeno un po’.
“E con ancora cosa intendi? Ben inteso, non sono
uno di quei ragazzi che,
se non conosce immediatamente tutto il parentado della persona con cui
esce,
muore, e capisco che Tom sia ancora piccolo e che magari sarebbe
diffici-”
“Non
è questo” lo
interruppe. E, davvero, non lo era. Se c’era una cosa su cui
era sempre stato
attento era che suo figlio non crescesse con pregiudizi.
“Però è vero che
c’entra il fatto che è piccolo”
Sembrava che Harry
non
avesse intenzione di aprir bocca, che aspettasse che continuasse lui, e
Zayn
non era molto affezionato all’idea di parlare del suo
passato, ma sapeva pure
che, se voleva anche solo sperare nella possibilità che tra
loro due le cose
funzionassero, doveva essere sincero e aperto e raccontare
all’altro quello che
gli stava impedendo di portare il loro rapporto a un livello successivo.
“Possiamo
sederci, per
favore?”
*
“Ti ho
nominato Adam,
ricordi? Be’, lui è un socio
dell’azienda in cui lavoro, che vive un po’ fuori
Londra e che ogni tanto faceva un salto a parlare col mio capo. Ha una
decina
d’anni in più di noi ed era…
è – si corresse – bello da fare schifo.
Una
mattina me lo ritrovo in ascensore e, per farla breve, mi invita a
prendere un
caffè. E poi a cena fuori e poi a vedere una mostra. E
ovviamente io gli parlo
di Tom e glielo faccio conoscere. In sei mesi, Tom gli si era
così affezionato
che per poco non chiamava papà anche lui. E chiamami idiota
o inesperto o come
vuoi, ma in quel momento ho davvero creduto che qualcosa stesse
iniziando ad
andare nella giusta direzione. Poi, un venerdì prendo un
giorno libero. Sapevo
che lui sarebbe partito il giorno dopo e sarebbe tornato a Londra solo
la
settimana seguente, quindi penso bene di fargli una sorpresa, andare a
casa sua
– dove non ero mai stato, ma di cui mi ero procurato
l’indirizzo – e , non lo
so, passare la serata insieme”
Harry era tutto
concentrato
ad ascoltarlo, e Zayn si accorse che dopo le prime due o tre frasi
parlarne era
diventato più facile, quasi liberatorio. A sua madre non
aveva mai spiegato
nulla, le aveva solo addotto scuse vaghe. Era come se finalmente fosse
in grado
di disfarsi di quel macigno che comprimeva il suo amor proprio e il suo
cuore.
“Solo che
quando citofono
alla sua porta, invece che lui, ad aprirmi viene una bimba che
avrà avuto più o
meno sei o sette anni, che mi guarda un po’ stranita
perché non mi conosce,
ovviamente, e che chiama la mamma che mi informa che suo marito
è a Londra,
solo che non sarebbe dovuto essere a Londra, me l’aveva detto
lui. E, cavolo,
probabilmente è la storia più trita e ritrita di
sempre, il cliché più grande
di tutti, e il bello è che ero davvero innamorato di Adam e
credevo davvero che
lui provasse lo stesso per me. E Tom… Tom impazziva per lui,
e dirgli che non
lo avrebbe più rivisto e vederlo piangere per questo e
sentirsi, giorno dopo
giorno per un mese, chiedere dove quello stronzo fosse, è
stato quasi più duro
che scoprire che aveva una moglie e che io ero solo l’altro e
che mi aveva
preso per il culo tutto il tempo”
Terminò il
racconto con un
sospiro leggero, gli occhi bassi sul tavolo. Li alzò solo
quando sentì la mano
di Harry toccare delicatamente la sua, come a rassicurarlo che lui
c’era
ancora, era ancora lì. Non disse nulla per un po’,
non gli regalò parole vane
come io non ti farò mai soffrire
o
dichiarazioni d’amore eterno, e di questo Zayn gliene fu
grato, perché già
troppo spesso era stato testimone di promesse infrante e non pensava di
poter
sopportare l’idea che prima o poi anche Harry, Harry con le
sue premure e le
frasi senza senso, se ne sarebbe andato, l’avrebbe lasciato
solo. Zayn aveva
come l’impressione di non essere mai abbastanza, di non
essere mai una valida
ragione per restare.
Ma per adesso, Harry
– le
dita intrecciate a quelle di Zayn e gli occhi inabissati in quelli
dell’altro –
era ancora lì, con lui. Per adesso poteva bastare.
*
Zayn era felice. Tom
si
trovava bene all’asilo, sua madre sembrava ringiovanire un
po’ di più ogni
giorno che passava con il nipote, si era fatto nuovi amici, –
soprattutto
Eleanor e Liam, che sentiva quasi di conoscere da una vita –,
e da quando aveva
raccontato di Adam a Harry si era come sbloccato. La paura che tutto
potesse
finire da un momento all’altro era sempre lì,
pronta a divorargli il cervello,
ma si attenuava ogni giorno di più e pian piano imparava a
controllarla, a
metterla a tacere, permettendo al compagno di conoscere il vero Zayn. Compagno, gli piaceva il suono. Non che
si fossero dati un’etichetta precisa, ma se qualcuno glielo
avesse chiesto,
così lo avrebbe definito. In fondo, anche se non avevano
davvero parlato, erano
esclusivi, capitava che si tenessero per mano quando passeggiavano,
andavano a
cena fuori e a letto insieme. Non si sarebbero sposati dopodomani, ma,
con una
certa sicurezza, chiunque avrebbe potuto dichiararli una coppia.
Sì, era
felice, e questa
volta Zayn aveva come la sensazione, all’altezza dello
stomaco, che nulla –
neanche la sempreverde sfiga – sarebbe arrivato a
distruggergli quel momento.
*
Gli piacevano i
giovedì;
presto la settimana lavorativa sarebbe terminata e questo voleva dire
avere più
tempo da passare con Tom e, adesso, anche con Harry, ovviamente. Harry
che,
però, non riusciva a contattare da tutta la sera, il che era
strano, perché
finito in piscina almeno un messaggio idiota glielo mandava sempre.
Rientrò in
casa, armeggiando
con le chiavi e tenendo in bilico la cena che aveva preso al cinese
all’angolo,
allo stesso tempo. Quando ormai aveva trovato una specie di equilibrio,
Perrie
aprì la porta e lo alleggerì delle varie buste e
scatole che aveva in mano. La
madre di suo figlio, avendo un paio di settimane libere da impegni
lavorativi,
la mattina stessa aveva fatto le valige, lasciato Manchester ed era
tornata a
Londra per passare un po’ di tempo con Tom e con i suoi
genitori. Era stata una
cosa un po’ improvvisa, e quando – tornato dal
lavoro – se la era trovato in
casa, così, senza preavviso, era rimasto perplesso e
stupito, ma la gioia di
Tom era stata così grande da aver troncato sul nascere
qualsiasi protesta.
Aveva anche cercato
di
convincerla a dormire lì, ma Perrie aveva rifiutato,
perché in fondo non vedeva
mai neanche i suoi genitori, e avanzato la proposta che magari
Tom può dormire qualche volta con me? Anche in
questo caso
avrebbe voluto protestare, ma, per la seconda volta di seguito gli
occhioni del
figlio lo avevano fermato. E poi sarebbero stati quanti, al massimo,
quindici
giorni? E non è che non lo avrebbe visto mai, ovviamente.
Anche perché, in
caso, sarebbe impazzito dopo le prime trentasei ore. Aveva poi
riflettuto che
non tutti i mali vengono per nuocere, e che ne avrebbe approfittato il
più
possibile per stare con Harry.
Che però,
appunto, ancora
non si era fatto vivo.
*
La mattina dopo,
aveva
sperato di trovare un messaggio, un segno che l’altro fosse
ancora su questo
mondo, ma niente. E, ok, se la sera precedente non era preoccupato,
adesso gli
stava crescendo un leggero groppo allo stomaco, ma non voleva sembrare
una di
quelle persone super apprensive che si allarmano subito, per cui gli
aveva solo
scritto se era successo qualcosa e se magari mi
fai sapere per stasera?
*
All’ora di
pranzo, stava per
arrabbiarsi. Perché se fosse successo qualcosa a Harry, di
sicuro qualcuno
l’avrebbe avvertito. Dunque rimanevano poche opzioni e di
queste, a meno che
non avesse perso il cellulare, non gliene piaceva neanche una.
*
Alle sei, decise di
prendere
il toro per le corna, che se Maometto non fosse andato dalla Montagna,
la
Montagna sarebbe andata da Maometto e tutte quelle cose lì.
Chiamò
Louis. E il fatto che
gli avesse risposto con tono piuttosto incerto non lo aiutò
a liberarsi dalle
brutte sensazioni che da ore ormai lo stavano assillando. Ma, comunque,
gli
disse dove si sarebbero visti, e tanto bastava a Zayn.
*
Il pub era affollato
e la
musica alta, ma Zayn non si curò né di dare
un’occhiata all’aspetto del luogo
né, a malapena, di scusarsi con tutte le persone a cui
andava addosso, troppo
preso com’era a ricercare Harry e gli altri.
Gli sembrava di
essere
arrivato da secoli, quando finalmente avvistò la familiare
testa riccia, e –
coi i pugni serrati per evitare che le mani tremassero (Zayn non
saprebbe
neanche dire se dalla rabbia o dall’ansia, ma probabilmente a
causa di un mix
delle due), si avvicinò al tavolo e tutti lo salutarono con
il solito calore.
Solo Louis sembrava diverso dal solito, più preoccupato di
quanto non lo avesse
mai visto e magari vagamente triste? E proprio mentre cercava di capire
di più
dal suo sguardo, Harry si voltò e, davvero, se i suoi occhi
avessero avuto il
potere di uccidere, Zayn si sarebbe ritrovato cenere, sul pavimento, in
un
battito di ciglia.
“Cosa ci
fai qui?” ecco, che
era arrabbiato l’aveva capito benissimo. Provò a
rispondere, ma l’altro non gli
diede tempo.
“Gliel’hai
detto tu? Non
potevi farti gli affari tuoi, per una volta?” quasi
ringhiò, rivolto al suo
migliore amico.
“Dovete
parlare, Harry”
cercò di farlo ragionare Louis.
“Non
abbiamo nulla-”
“Per
favore, Harry” iniziò
Zayn, implorando. Avrebbe voluto appoggiare una mano sulla spalla
dell’altro,
ma aveva la strana impressione che anche un così lieve tocco
avrebbe bruciato
entrambi.
Vide Harry prendere
un respiro
profondo, alzarsi e afferrare il giacchetto, precederlo verso
l’uscita. Almeno è
già qualcosa, pensò amaramente
Zayn, è più di quanto
non abbia ottenuto
negli ultimi due giorni.
Alla luce dei
lampioni,
Harry, se possibile, appariva ancor più arrabbiato. E
nervoso, se era
indicativo il numero di volte che le sue mani si erano ritrovate
impigliate nei
suoi capelli. E triste abbattuto deluso? A Zayn sembrava di leggere
tutto
questo e anche più, nel suo sguardo stanco, ma non era
sicuro di dove finisse
la realtà e iniziasse la sua immaginazione.
“Cosa
vuoi?”
Zayn gli avrebbe
volentieri
dato un pugno sul naso, perché davvero
aveva il coraggio di chiedere una cosa simile?
“Scherzi,
vero? Perché cazzo
non mi hai risposto o richiamato ma sei come scomparso dalla faccia
della
terra?” girare intorno alla questione era l’ultima
delle cose che Zayn voleva,
per cui andò subito dritto al punto.
“Non
saprei, prova a
pensarci!” le labbra strette e le braccia incrociate al
petto, Zayn non lo
aveva mai visto più chiuso.
“Che cazzo
ho fatto?” ok,
non riusciva a capire come la colpa potesse essere la sua, adesso. E
poi un
minuto prima andava tutto bene, bene,
e quello dopo era un disastro e Zayn non sapeva neanche dove avesse
sbagliato.
“Quanto sei
stronzo”
Doveva aver fatto
qualcosa
di enorme senza rendersene conto, perché in tutto quel tempo
non aveva mai
sentito Harry imprecare. Per nulla. A malapena diceva stupido.
“Che cazzo
ho fatto?” si
rese conto di averlo praticamente urlato, perché, anche se
Harry sembrava non
essersi scomposto affatto, per un attimo il cicaleccio che li avvolgeva
si era
silenziato e tutti gli sguardi delle persone intorno si erano fissati
su di
loro.
“Harry,
cosa ho fatto?”
ripeté, sottovoce, per quella che gli parve la millesima
volta. Si sarebbe dato
una botta in testa, perché lui non implorava mai nessuno e
invece in quel
momento la sua voce era tutta una preghiera. Era così strana
che quasi non la
riconosceva.
“Non lo so,
prova con è tornata la mia non
moglie, credo che me
la terrò e tanto che ci sei vai a quel paese, Harry?”
disse tutto d’un
fiato, gli occhi che gli si allargavano progressivamente e la voce che
si ruppe
al tanto.
“Non
moglie? Ma di che cazzo
stai parlano, quale non moglie?”
“Non so,
dimmelo tu. Quante
non mogli hai? Forse sarebbe meglio se tu adesso fossi a casa, no? Sai,
a
riaccendere la passione e tutto il resto” fece, con tono
ironico.
Harry doveva essere
di colpo
diventato schizofrenico, altrimenti non sapeva spiegarsi il
perché di un tale
comportamento. Riaccendere la passione con chi? Magari aveva preso un
colpo in
testa, stava dando davvero i numeri.
“Oddio, per
l’amor del
cielo, Harry, di che cazz-”
“Smettila
di fingerti
stupito, sai che sto parlando di Perrie”
“Come lo
sai che Perrie è
tornata?” chiese Zayn, dopo un attimo di silenzio.
“Se speravi
di mantenere il
segreto più a lungo, almeno dovevi assicurarti che non
venisse a prendere Tom
in piscina” incredibile come la sua voce, in pochi attimi,
avesse cambiato
sfumatura una decina di volte, notò Zayn. Da arrabbiata e
poi ironica, ad
amareggiata. E tra la coltre di confusione che aveva in testa,
amareggiato si
sentiva pure Zayn: non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo di
così grave
da stimolare una reazione del genere. Sentiva quella storia a malapena
iniziata
scivolargli tra le dita, come sabbia. E non era possibile, non era giusto, non stava succedendo davvero.
Era quasi spaventato, sentiva il cuore battergli impazzito, le labbra
tremare,
brividi freddi assalirgli la schiena; e non sapeva come rimettere a
posto le
cose, perché Harry non si decideva a parlare chiaramente e
lui non ci stava
capendo più nulla. Non riusciva neanche a pensare bene
perché tutto quello che
il suo cervello sembrava saper formulare era un mantra infinito di nonono intervallato da fanculofanculofanculo,
e se non si fosse
fermato sarebbe scoppiato.
“Ma segreto
di cosa?
Guardami negli occhi! Segreto di cosa?” quasi urlò
per la seconda volta, mentre
afferrava l’altro per le spalle e lo inchiodava al muro.
Harry alzò su di lui
gli occhi che attimi prima erano intenti a guardarsi le scarpe.
“Che
è tornata per stare con
te e con Tom e che ha finito col lavoro e che… oh,
vaffanculo, Zayn” terminò,
cercando di svincolarsi.
Zayn fissò
i suoi occhi in
quelli verdi dell’altro e vi lesse la stessa tristezza che
fino a dieci secondi
prima aveva avvolto anche lui (e questo lo consolò, almeno
sapeva che anche Harry
teneva a loro), ma – anche volendo – non
riuscì a restar serio per più di
qualche momento, e scoppiò a ridere.
Quasi non riusciva a
fermarsi, perché dai!,
ma tra una
boccata d’aria e l’altra il suo cervello
registrò lo sguardo attonito
dell’altro e, mano allo stomaco, si impose contegno. Ora che
aveva più o meno
capito quello che era successo, l’espressione arrabbiata di
Harry invece che
preoccuparlo lo invogliava a baciarlo. Sbatterlo forte contro il muro,
così
imparava a fargli prendere colpi, e baciarlo fino a togliergli
l’anima.
“Questa
è la tua risposta?
Mi ridi in faccia?”
“E questo
chi te l’ha
detto?” giocò un po’, perché
in fondo se lo meritava.
“Che mi
ridi in faccia?”
“No, di
Perrie. Chi te l’ha
detto?” si spiegò Zayn.
“Lei, chi
me lo deve aver
detto, se no” disse Harry, irritato.
“E ti ha
detto proprio così,
che è tornata per restare. Per sempre. Che ha lasciato il
lavoro. Che mi ama e
che senza di me non può vivere” lo
scimmiottò.
“Sì.
No. Quasi, più o meno.
Il senso era quello”
“Oh, vedo
che hai le idee
chiare. No, fammi parlare” aggiunse, vedendo che
l’altro stava per ribattere.
Appoggiò nuovamente le mani sulle sue spalle, questa volta
più delicatamente, i
pollici che accarezzavano circolarmente all’altezza della
clavicola. “Non so da
dove ti sia venuta questa idea, ma Perrie è qui solo per
vedere suo figlio. Non
è qui per restare, ha solo una pausa con il lavoro, e di
certo non è qui perché
mi ama. E anche se fosse, io non amo lei. E…”
prese un respiro profondo, non
sicuro se continuare o meno, perché magari Zayn stava
correndo troppo e era
chilometri avanti rispetto a Harry, ma aveva il bisogno di dirglielo,
di
farglielo sapere. “E poi ci sei tu, sto con te, adesso.
Insomma, se lo vuoi
anche tu” buttò fuori velocemente.
“Davvero?”
soffiò Harry, le
labbra che si stendevano in un dolcissimo sorriso, il primo che vedeva
da
giorni. A Zayn sembrava quasi di tornare a respirare dopo ore di apnea.
“Davvero”
confermò.
“Sei
mio?” chiese sottovoce,
quasi sperasse che l’altro non lo sentisse.
“Se mi
vuoi” confermò,
abbozzando un sorriso.
Non aveva fatto in
tempo
neanche a dire a che Harry
l’aveva
già afferrato per la nuca, intrecciando le sue dita ai suoi
capelli corti e
facendo scontrare le loro labbra in un bacio quasi famelico.
Quando si staccarono
per
riprendere aria, Zayn, prima che l’altro potesse
riavvicinarlo a sé, sussurrò
un magari, la prossima volta non saltare
alle conclusioni così, ché mi hai tolto venti
anni di vita al quale Harry
rispose solo con un rapido movimento di testa e un mi
dispiace sussurrato a fior di labbra.
Si scambiarono un
bacio più
lento e languido di quello precedente, che fece vibrare ogni singola
parte del
corpo di Zayn, mentre il suo cervello esplodeva in un finalmente,
neanche Zayn
fosse stato in astinenza e Harry (le labbra, la risata, i capelli, il
suo
adorabile broncio, il modo in cui si svegliava la mattina, la sua
dolcezza, la
sua premura e basta, basta, o continuo
all’infinito) fosse la sua droga.
“Portami a
casa. A casa tua”
chiese Zayn, con la voce più sexy del suo repertorio.
“Perché
Tom e Perrie-”
iniziò a chiedere Harry.
“No, no,
Tom e Perrie
dormono dai genitori di lei. Ma portami a casa tua, sarà ora
di provare anche
il tuo, di letto”
E Harry gli sorrise
felice e
piacevolmente sorpreso allo stesso tempo. L’aveva messa sullo
scherzo, ma lui
aveva comunque capito che Zayn stava davvero dando un calcio alle sue
ultime
paure, che stava lasciando dietro di sé dubbi e incubi, che
non avrebbe avuto
timore di quello che celavano le porte di Harry, ma che le avrebbe
aperte
tenendolo per mano.
Era vero che la paura
di
perdere qualcuno ti fa capire quanto tu tenga a quella persona, e Zayn,
quella
sera, aveva capito quanto tenesse a Harry; se lo sentiva nelle ossa,
quanto
sarebbe stato importante per la sua vita quel ragazzo dai modi troppo
gentili e
dagli occhi troppo verdi.
A Harry, Zayn avrebbe
lasciato vedere tutto se stesso. Con Harry, Zayn si sarebbe lasciato
andare
completamente.
*
Nel dormiveglia, per
prima
cosa notò un braccio avvolgergli un fianco; poi un petto
premere contro la sua
schiena e gambe incrociate alle sue, piedi caldi intrecciati ai suoi
perennemente freddi; poi, un respiro lieve sulla nuca e un battito in
più,
oltre a quello del suo cuore.
Aveva dormito a casa
di
Harry (casa che era da tutt’altra parte di Londra, rispetto
al suo
appartamento. Quando glielo aveva fatto notare, Harry era arrossito e
se ne era
uscito con un mugugnato ovvio,
l’avevo
detto solo per fare la strada insieme, ed è idiotissimo per
cui finché ho
potuto me ne sono stato zitto) e Harry era ancora
lì ad abbracciarlo (il
che era strano, visto che si svegliava sempre prima di lui); sorrise e
stupidamente
pensò che si sarebbe volentieri abituato a tutto quello, a
quel calore e a quel
senso di appartenenza (il miomiomio che
Harry gli aveva sussurrato per tutta la notte mentre lo baciava, lo
toccava e
lo scopava riverberava ancora nella sua mente).
Sentì un
cambiamento nel
respiro e il corpo dell’altro muoversi, segno che anche Harry
si stava
svegliando. Si rigirò nell’abbraccio, ritrovandosi
così di fronte agli occhi
dell’altro che si stavano aprendo in quel momento.
“Ciao”
gli disse, non appena
l’altro sembrò ricordarsi chi fosse e dove si
trovasse.
“Ciao”
rispose Harry,
sorridendo e sporgendosi per un casto bacio.
“Oggi hai
da fare?” chiese,
senza pensare. Decise che si sarebbe lasciato trasportare dal cuore o
da
qualunque cosa fosse ciò che lo stava rendendo
così bisognoso di stare con
Harry, far felice Harry, amare Harry.
“No, nessun
programma”
rispose, dopo averci pensato un attimo.
“Adesso
sì, con me”
“E cosa hai
in mente?”
chiese, lo sguardo malizioso e le mani che andarono a stringere le
natiche del
compagno.
“Uhm.
Vediamo. Sesso
mattutino. Poi colazione. Doccia. Poi magari ci vestiamo, facciamo
quello che
ti pare, anche vedere quella noiosissima mostra fotografica di cui
blateri da
settimane, e poi andiamo a pranzo da me”
“Ma
è sabato” disse Harry,
dopo un momento di silenzio.
“Lo
so… pensavo che potevo sfruttare
le tue doti culinarie per fare un pasto decente a Tom, tanto per
cambiare, e
che tu potevi far bella figura con mia madre”
Zayn si prese un
secondo per
osservare il volto di Harry accendersi prima di meraviglia, poi di
comprensione
e infine di gioia.
“Davvero?”
chiese, in un
remake della sera prima.
Zayn
annuì. Stava imparando
che il motto se la vita ti volta le
spalle non devi far altro che voltargliele anche tu con lui
non aveva
funzionato e che, anzi, solo se affronti qualche rischio e ti butti in
cose più
grandi di te, se ti fai artefice del tuo destino, puoi sperare che la
sfortuna
smetta di perseguitarti, sperare di aprire gli occhi e renderti conto
che ti
aspetta un mondo, un mondo con possibilità tutte da
scoprire.
E, soprattutto, che
è ancor
meglio se, a scoprirle con te, c’è qualcuno di
speciale.
Fine.
Note:
Buon primo maggio,
gente!
Questa cosa era
sepolta nel
mio pc da un po’, così ho deciso di riesumarla in
questo giorno di festa! È la
primissima cosa che ho scritto per questo fandom, la primissima che
scrivevo da
secoli, in realtà, e ho pure l’impressione che un
po’ si veda, ma va be’.
Mi farebbe tanto
piacere
sapere cosa ne pensiate, dato che è, in pratica, la mia
bimba ed è stata una
mezza faticaccia scriverla ;) quindi, niente, qualsiasi parere
è più che ben
accetto!
A presto!