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Autore: Alphesiboei    01/05/2013    5 recensioni
A vent'anni, la vita di Zayn aveva preso una direzione inaspettata. A venticinque, Zayn era più che certo che tutto fosse colpa della sfiga. Questo, almeno, prima di incontrare Harry.
[Zarry]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Tesoro, c’è uno squalo in piscina.

Pairing: Harry/Zayn (side!Lilo)

Rating: R

Trama: La vita di Zayn, a vent’anni, aveva preso una direzione inaspettata. A venticinque, Zayn era più che certo che fosse tutta colpa della sfiga. Questo, almeno, prima di incontrare Harry.

Note: Per Gre, visto che dici sempre che ti piace (se mentivi o, rileggendola, scopri che ti fa schifo, cavoli tuoi, ormai te l’ho dedicata, muahhaaha) <3

Disclaimer: Gli One Direction non mi appartengono bla bla bla

 

L’edificio era enorme, meno alto del palazzo in cui viveva ma ben più ampio. Non era convinto che valesse la pena di perdere tutto quel tempo e anche tutti quei soldi per quella storia, ma ormai aveva acconsentito: non si sarebbe potuto tirare indietro neanche volendo.

*

Non è che considerasse la sua vita proprio rovinata.

Sicuramente aveva preso delle pieghe non previste, questo sì. Insomma, avere un figlio a soli vent’anni non è tra i desideri che si esprimono di solito spegnendo le candeline della torta del decimo compleanno o avvistando una stella cadente nel cielo d’agosto. Soprattutto quando non si è programmato e non si è preparati a fare il padre, perché sì, aveva tutta la vita davanti e avrebbe voluto fare delle cose (magari non sapeva di preciso cosa, ma tant’è), e invece si era ritrovato con in braccio un fagottino che non sapeva neanche tenere nella giusta maniera e, per grazia di Dio, chi ha rubato il libretto delle istruzioni?

Ed è ancora più difficile se la madre è inesperta quanto, se non più, del padre. E, d’accordo, ci sono i loro, di genitori, ma Thomas è figlio suo e di Perrie, non solo il nipote dei nonni. La cazzata l’hanno fatta, ma gli sarebbe mancato il cuore per fare il disinteressato e scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità.

E così, dopo quattro anni, si ritrovava con un noiosissimo lavoro d’ufficio che di certo non era la sua aspirazione massima, un appartamento nella periferia di Londra che bastava appena per lui e per Thomas e una compagna che non lo era più da quasi tre anni, lavorava fuori città, tornava raramente e ancor più raramente vedeva suo figlio. Non che non lo amasse o non si facesse sentire, anzi. Lo chiamava o videochiamava su Skype tutte le sere, ma Zayn sapeva che non era la stessa cosa che averla davvero accanto, per Thomas, che toccare abbracciare vivere sua madre.

Il primo anno era stato infernale: lui e Perrie avevano preso in affitto un monolocale nello stesso appartamento dove vivevano i genitori di lei, per poter avere tutto l’aiuto possibile; erano sopravvissuti a quei dodici mesi stringendo i denti, facendo orari massacranti al bar dove lavorava a quel tempo, Zayn, e passando tutto il giorno a prendersi cura di Thomas, Perrie. Quando, all’inizio del marzo dell’anno successivo, l’avevano chiamata dicendole che avevano visionato il suo book e che era perfetta e che magari si sarebbe potuta trasferire a Manchester e iniziare a lavorare con la loro agenzia di modelle?, lui aveva capito perfettamente perché avesse accettato. Se avessero chiamato lui, probabilmente avrebbe preso la stessa scelta. Questo non vuol dire che non l’abbia anche odiata un po’ (e le litigate di quel periodo erano una prova tangibile di quanto ce l’avesse con lei, di quanto si incolpassero a vicenda per quello che era accaduto e per dove erano finiti senza volerlo). Forse più di un po’, specialmente all’inizio. Specialmente quando era dovuto tornare a casa, perché, davvero, da solo non ce la faceva a lavorare, a dar da mangiare a Thomas, e pulirlo lavarlo cambiarlo, Thomas che sembrava aver fatto del suo sport preferito svegliarsi ogni notte tra le due e mezza e le tre e un quarto e riaddormentarsi solo dopo infiniti giri in macchina e innumerevoli ninna nanne che Zayn si inventava sul momento. Poi c’aveva piano piano preso la mano, c’aveva fatto l’abitudine, forse anche lui era diventato più bravo, aveva lasciato il lavoro al bar e trovato l’impiego attuale, che gli permetteva di stare con il figlio almeno il tardo pomeriggio e tutta la sera e di mantenersi un appartamento proprio, e l’odio per Perrie si era tramutato in rabbia, poi in invidia, amarezza e infine in tristezza. Tristezza perché, per quanto Thomas non l’avesse voluto nessuno dei due, vederlo crescere era e sarebbe sempre stato il miracolo più grande al quale Zayn avesse mai assistito. Si emoziona sempre un po’ quando ripensa a quanto piccoli fossero i suoi piedini e deboli le sue mani, quando ricorda i suoi primi passi sicuri e le prime parole, quelle intellegibili. E Perrie se l’era perso completamente, quel miracolo.

Dopo quattro anni, comunque, Zayn poteva affermare di aver dato una parvenza di stabilità alla propria vita: le giornate si susseguivano piuttosto simili le une alle altre, la mattina preparava Thomas e lo portava all’asilo, poi si recava al lavoro, e alla fine andava a riprendere il piccolo da sua madre, Trisha, per poi tornare con lui a casa. Era una vita abitudinaria e monotona, scevra da colpi di scena o avvenimenti significativi, ma Zayn sapeva di avere altre priorità, e – davvero – quella non era la vita in cui aveva sperato o che avrebbe scelto per sé, ma era quella che doveva vivere, semplicemente.

*

Era ottobre, a Londra le temperature erano già calate da un po’ e il guardaroba estivo era stato soppiantato da quello invernale, nell’armadio di Zayn. Un tempo era sempre molto attento a cosa indossasse, sempre alla moda e senza un capello fuori posto. A vent’anni indossava jeans stretti e maglie con stampe di vario genere, da quelle dei suoi musicisti preferiti a quelle con turpiloqui indirizzati a nessuno in particolare, braccialetti al polso, scarpe comode e scarpe più eleganti – a seconda delle occasioni. A quel periodo risaliva la serie di tatuaggi che costellava il suo corpo, tra i quali ce ne erano alcuni che, a distanza di tempo, doveva ammettere anche lui di trovare di cattivo gusto. Ma, soprattutto, quattro anni prima aveva la tendenza a sistemarsi i capelli in un ciuffo (che a un certo punto, per colpa di Perrie, aveva colorato di giallo, giallo. A ricordarlo gli venivano i brividi), che sfidava quasi la legge di gravità e che era praticamente inamovibile.

Adesso, invece, per quanto tenesse sempre a presentarsi in ordine e con la camicia abbinata ai pantaloni, i suoi abiti non erano propriamente all’ultima moda, le scarpe erano quelle dell’anno passato e il ciuffo aveva smesso di esistere – così come quella cosa gialla -, in favore a una pettinatura più sobria e adulta, che forse lo valorizzava anche.

L’asilo, per Thomas, era iniziato i primi di settembre e ogni volta tornava a casa tutto allegro, pieno di storie da raccontare su dove il suo migliore amico aveva passato le vacanze o su quali giochi avesse fatto con il suo secondo migliore amico. Il terzo, quarto giorno – Zayn neanche se lo ricorda più con precisione, il che, con il senno di poi, lo rattrista un po’  – Thomas, invece, era tornato a casa con una richiesta ben precisa per il padre. Niente di particolare, Carl gli aveva raccontato di come nuotare fosse superfichissimo, Tom e lui, che aveva messo piede al massimo nella vasca da bagno che c’era a casa della nonna, si era subito emozionato all’idea di imparare e di tuffarsi e anche solo di comprare il costume, a dire la verità. Zayn sapeva che prima o poi suo figlio avrebbe desiderato fare parte di qualcosa di più che una classe o un gruppo d’amici e pensava che, magari, in futuro, avrebbe voluto giocare a calcio o a rugby; il nuoto era perfetto per il corpo e tutto quanto, ma suo figlio non era un po’ piccolo per impegnarsi in uno sport? Uno sport che sarebbe diventato una spesa in più che non era neanche troppo convinto di potersi permettere. E poi lui stesso non sapeva nuotare, probabilmente non avrebbe mai imparato a farlo e comunque viveva benissimo. Insomma, ben presto la richiesta era stata degradata a capriccio e lasciata morire.

Solo che non era morta affatto. Thomas sapeva essere il bambino più adorabile ma anche il più insistente, talmente testardo da portare all’esasperazione chiunque. Ogni sera ripeteva al padre la stessa domanda ‘domani mi porti in piscina, papà?’, il tono che si faceva sempre più lamentoso e gli occhi che si allargavano ogni volta un po’ di più (ma non era possibile, Zayn se lo ripeteva come un mantra, è solo un’illusione data dal mio senso di colpa, un’illusione e basta) e puntualmente ogni sera era più difficile resistere e non cedere. (Perché tutti raccontano delle gioie della paternità e delle responsabilità che ne derivino, ma mai di quanto spezzi il cuore deludere il proprio figlio e sapere che, anche se c’è una valida ragione, la causa del suo dispiacere sei tu? Che poi c’era una valida ragione? Zayn ne era convinto ogni giorno un po’ di meno)

*

Per questo si ritrovava di fronte a quell’edificio immenso, perché non sapeva dire di no e non aveva difese contro gli occhi da cerbiatto di suo figlio, occhi così simili ai suoi (Thomas era praticamente la sua fotocopia, e lui era solo vagamente orgoglioso di ciò). In cuor suo sperava che chiunque fosse incaricato alle iscrizioni gli dicesse che ormai era troppo tardi, che i corsi erano pieni e che magari poteva provare l’anno dopo; intanto avrebbe avuto almeno undici mesi per far dimenticare al figlio l’intera faccenda. Si sentiva un vero stronzo a sperarlo, soprattutto visti il sorriso enorme che si era aperto sul volto del piccoletto e le mani che non riuscivano a stare ferme dalla voglia di indossare per la prima volta il costume nuovo. Invece ‘siete davvero fortunati’ disse una ragazza seduta dietro la scrivania, in quello che doveva essere l’ufficio dell’impianto, ‘di solito in questo periodo siamo sempre al completo, mentre quest’anno ci sono ancora delle classi non del tutto piene’.

Strano come, dopo anni che la fortuna gli aveva voltato le spalle ripetutamente, quest’ultima fosse riapparsa proprio quando meno la stava cercando, pensò Zayn.

*

Lo spogliatoio era piuttosto grande e abbastanza pulito, con giusto qua e là qualche pozza d’acqua che gli iscritti trasportavano direttamente dalle vasche, ma nulla che facesse eccessivamente preoccupare Zayn e gli facesse temere una qualche scivolata di Thomas (che era il bambino più maldestro che lui avesse mai visto, tant’è che sbatteva ovunque, crollava a terra senza che nessuno lo toccasse e innaffiava sempre il tavolo con il contenuto del bicchiere)

La lezione stava quasi per finire, ma quella era la prima volta che Zayn riusciva ad andare a prendere il figlio e la madre gli aveva spiegato passo per passo e con cura infinita, neanche avesse il compito di disattivare una bomba, quello che doveva fare.

Stava proprio cercando bagnoschiuma e shampoo quando un cicaleccio di voci concitate arrivò dallo stretto corridoio che univa le piscine allo spogliatoio. Uno sciame di bambini, più o meno tutti dell’età di Thomas, sgambettavano urlando uno sopra l’altro, mentre contemporaneamente si toglievano la cuffia, cercavano di allacciarsi l’accappatoio e ricercavano con lo sguardo i propri padri.

Zayn assottigliò un po’ gli occhi per individuare la sua piccola peste e alla fine lo vide intendo a parlare animatamente con Carl (o comunque quello che Zayn pensava fosse Carl, non sarebbe mai riuscito a ricordarsi nomi e volti di tutti i compagni di Thomas e si sentiva un po’ ridicolo, perché, invece, per tutti gli altri genitori sembrava essere una cosa del tutto naturale, quasi innata).

Quando anche Thomas lo riconobbe, si lanciò in avanti – oddio, fa’ che non cada – e gli saltò in collo, bagnandolo un po’ e abbracciandolo stretto.

“Papà, sei venuto tu!” costatò l’ovvio con una vocina così eccitata che Zayn non poté fare a meno di sorridere. “Mi sono divertito tantissimo, indovina cosa abbiamo fatto?” Thomas dopo ogni lezione tornava a casa più felice della volta precedente e questo lo faceva vergognare per averci messo così tanto a esaudire il suo piccolo desiderio.

“Dimmelo tu”, disse, consapevole che il figlio non vedeva l’ora di raccontargli per filo e per segno cosa avesse fatto nell’ultima ora.

Thomas si lanciò in un dettagliatissimo resoconto, l’eccitazione che ne aumentava la confusione, e Zayn, mentre lo ascoltava, cercava di prepararlo per la doccia, con poca convinzione e con ancor meno risultati, tant’è che, quando finalmente raggiunsero la zona docce, queste erano praticamente vuote. Il piccolo, che non la smetteva più di ridere per uno scherzo che aveva fatto a Hannan (Hannan? Il nome non gli diceva proprio nulla), si buttò sotto il getto d’acqua schizzando ovunque, anche il padre, che gli regalò un’occhiata ammonitrice, e iniziando a strofinarsi i capelli impregnati di cloro con lo shampoo.

“Sciacquati bene i capelli”, si raccomandò il padre.

“Sì, papà” disse di rimando, aprendo gli occhi, che – inevitabilmente – si riempirono di sapone. “Ahia” urlò, infatti, subito dopo. Zayn avrebbe quasi riso per la ridicolosità della situazione, ma vedere il figlio in preda a quel piccolissimo dolore lo spinse solamente ad avvicinarsi per aiutarlo; senza sapere come riuscì a farlo evitando di infradiciarsi completamente.

“Piccolo Thomas, ancora qui? Oh, vedo che oggi è venuto il papà!” una voce piuttosto bassa e posata lo riscosse dai suoi pensieri e lo indusse a voltarsi, mentre Thomas proruppe in un gridolino contento.

“Harry!”

Zayn si voltò e, seguendo la direzione dello sguardo del figlio, finì per posare gli occhi su un ragazzo che più o meno doveva avere la sua età. Con il solo costume addosso e completamente bagnato, il suddetto Harry tese la mano verso Zayn, con la chiara intenzione di stringere la sua e presentarsi. Era l’insegnante di nuoto di Thomas, venne a sapere mentre, parlando, s’infilava sotto la doccia più vicina e iniziava a lavarsi. Non che fosse davvero riuscito a fare un discorso composto da più di quattro periodi, tra la lentezza congenita della sua parlata e l’incapacità di Thomas di non intervenire ogni trenta secondi.

Tutto quello che aveva capito era che gli spogliatoi degli istruttori si erano allagati e che per questo si trovava lì in quel momento, che il gruppo di Thomas era stato l’ultimo della giornata e che suo figlio sembrava nato per stare nell’acqua, il che era piuttosto assurdo visto i natali. A vedere i suoi occhi già di per sé grandi (e di un verde fantastico, si annotò Zayn) allargarsi a dismisura per il fatto che lui – in quanti anni? – ancora non avesse imparato a nuotare, gli spuntò spontaneo un sorriso e mentre lo ascoltava cianciare di quanto mari, laghi, torrenti e anche pozzanghere fossero eccezionali non poté non rendersi conto di come fosse facile parlare con quel perfetto estraneo, conosciuto non più di dieci minuti prima, e di quanto lo fosse rispetto a come erano invece freddi e difficili i rapporti che negli ultimi tre anni si erano sempre più ridotti all’osso con tutti i suoi conoscenti.

Avrebbe anche perso la concezione del tempo e sarebbe rimasto a parlare con Harry (e a guardarlo, aggiunse una vocina maliziosa nella sua testa) per ore, se non fosse stato per Thomas che lo tirava, quasi lo spingeva, nell’altra sala, quella delle borse – era talmente tardi che ce ne erano rimaste due, la loro e quella che probabilmente doveva appartenere a Harry – perché era affamatissimo e voleva che il padre lo portasse assolutamente da Nando’s a mangiare più pollo possibile.

Stava distrattamente ascoltando il figlio che parlava in quel suo inglese ancora fanciullesco e poco comprensibile, mentre con la testa era tutto rivolto all’immagine dei capelli di Harry che, bagnati, ogni tanto gli si appiccicavano alla fronte, ogni tanto erano rimandati indietro da quelle mani così grandi, mani di cui Zayn avrebbe voluto conoscere il tocco con tutto se stesso. E proprio nel bel mezzo di alcuni pensieri poco pudichi sulle sue spalle ben delineate e sulle sue gambe muscolose, Zayn con la coda dell’occhio lo vide arrivare e dirigersi dalla parte opposta dello spogliatoio, prendere un asciugamano e strofinarsi i capelli con cura; non si perse un movimento e proprio mentre Harry sembrava sul punto di togliersi l’accappatoio e il costume per indossare la biancheria (Slip? Boxer? Zayn sentiva quasi la necessità fisica di sapere cosa preferisse, o forse era solo il desiderio di vedere il suo sedere fasciato dal tessuto leggero), Thomas attirò la sua attenzione, chiamandolo un paio di volte, per farsi allacciare le scarpe.

Quando poté rivoltarsi, l’altro aveva già indossato jeans e maglietta. Con delusione portò Thomas ad asciugare i capelli e poco dopo Harry li raggiunse; quando i loro occhi s’incontrarono, le labbra a cuore dell’altro si distesero in un largo e dolce sorriso, che face apparire sulle sue guance le fossette più adorabili che Zayn avesse mai visto.

Quello che probabilmente era stato un momento magico solo per Zayn venne spezzato per l’ennesima volta da Thomas che con tutto l’entusiasmo del mondo chiese a Harry se magari voleva venire con loro da Nando’s? Zayn si sarebbe dato volentieri uno schiaffo virtuale in fronte, invece si costrinse a guardare il ragazzo, la mente che urlava di’dino-di’dino-di’dino in loop e il cuore in gola in attesa di risposta (oh, ti prego, accetta, che ti costa una misera cena?). Harry sembrava più in difficoltà di lui, evidentemente stava cercando un modo carino per declinare la proposta, e Zayn – con l’amarezza nelle vene – scompigliò i capelli al figlio, come a dargli dello sciocchino, e gli disse che probabilmente era tardi e sicuramente Harry aveva già altri impegni.

“Purtroppo, sì, Tom, stasera non posso… che ne dici se facciamo la prossima volta che viene a prenderti il papà?” Harry aggiunse rivolgendosi direttamente al bimbo, lanciando però di tanto in tanto occhiate al padre come a chiedere va bene così?

“Promesso?” chiese candidamente il piccolo.

“Promesso” ripeté, con tono solenne, Harry.

“Dai Tommy, vai a mettere il giacchetto e a prendere la borsa”

Thomas corse via lasciando i due da soli. “Lo sai che non ti lascerà in pace finché non verrai a cena, sì? Davvero, non avresti dovuto prometterglielo, ho sperimentato più volte che, se lo fai, è la fine. Ti perseguita sino a quando non riesci più a sopportarlo e cedi” disse Zayn, per riempire il silenzio imbarazzante.

Harry liberò una risata genuina, quello che all’altro sembrò il suono più bello di sempre.

“Se a te non scoccia, per me non ci sono problemi” rispose Harry, che nel frattempo si stava sistemando i capelli (Ricci. Perfetti. Zayn se lo sentiva che anche quelli sarebbero stati perfetti) “Stasera davvero ho un altro impegno, ma se la prossima volta Tom se lo ricorda e me lo richiede, per me va bene” finì girandosi per guardarlo negli occhi.

Questi occhi saranno la tua rovina, Malik. Tutto quello che il suo cervello sembrava essere in grado di mettere insieme erano parole a caso, molte delle quali volgari, scollegate tra loro, solo vagamente intelligibili. Si chiese, senza pretesa di risposta, cosa avesse fatto di male in una vita passata per meritarsi un figlio inopportuno che, inconsapevolmente, poteva avergli fatto lo scherzo peggiore e contemporaneamente il favore migliore da qualche anno a questa parte. Non che credesse davvero di avere qualche speranza, perché, siamo seri, come potrebbe un ragazzo del genere non essere impegnato; e non è che avesse un gay-radar o qualcosa di simile che gli permettesse di capire se, anche nell’eventualità fosse stato single, avrebbe avuto una chance; non che ci avrebbe provato, fosse stato il caso. L’ultima volta era andata talmente di merda che aveva deciso che forse era meglio aspettare che Thomas crescesse, ché in fondo rischiare di traumatizzare il figlio facendogli conoscere qualcuno che potesse essere una figura di riferimento, per poi sottrargliela qualora la loro relazione fosse precipitata, non valeva tanto quanto la sua serenità.

Riuscì a dire solo qualcosa che assomigliava a un ‘no, ovvio che non ci sono problemi’ prima che il figlio tornasse, pronto per uscire dal palazzetto, e – proprio come poco prima – cominciasse a spingerlo per affrettarlo verso l’uscita, tanto che a malapena ebbe il tempo di salutare Harry.

*

Come aveva preannunciato, la prima volta che tornò a prendere Thomas, quest’ultimo volle aspettare Harry di fronte al bar che c’era subito dopo l’ingresso della struttura, perché evidentemente avevano riparato le docce degli spogliatoi degli istruttori, lo circuì e gli richiese di unirsi a loro ricordandogli la promessa. Harry sorrise e annuì, con stupore da parte di Zayn, che in fondo non si aspettava che qualcuno che doveva avere la sua stessa età o giù di lì accettasse di andare a cena con un bimbo a cui insegnava a nuotare e con il padre che aveva incontrato solo qualche giorno prima, piuttosto che passare il giovedì sera con gli amici o la ragazza, magari il ragazzo. A dirla tutta Zayn non riusciva a capire neanche perché Thomas l’avesse invitato in primo luogo, ma suo figlio aveva la scusante di essere un quattrenne che sapeva contare solo fino a cinquanta, saltando anche qualche numero nel mezzo, e che scriveva il proprio nome in una calligrafia che cresceva esponenzialmente di lettera in lettera. La sua unica risposta era stata che Harry era bravissimo a nuotare, sapeva fare anche la farfalla che era super difficile. L’aveva preso a mo’ di eroe, insomma, una specie di figura a cui tendere, da imitare, e magari nella sua testolina mangiarci insieme da Nando’s – che era praticamente il suo posto preferito dopo il parco giochi – era un modo per entrare in contatto con lui e poterlo osservare da più vicino? Zayn non ne era proprio sicuro, forse una motivazione non c’era affatto, e comunque aveva evitato di approfondire e ritornare troppo sull’argomento perché suo figlio sembrava dire tutto quello che gli passasse per la testa e non voleva che se ne uscisse raccontando di come suo padre l’avesse assillato con la questione. Per la stessa ragione ovviamente non aveva ricordato al figlio dell’invito, anche perché non riusciva a immaginare una cosa più imbarazzante di Thomas che rivelava a Harry come il papà gli avesse raccomandato di non dimenticarsi della promessa.

Per questo si trovavano da Nando’s, con un Thomas così eccitato che potendo avrebbe ordinato tutto quello che c’era nel menù, Zayn che si sarebbe volentieri tormentato le unghie, non fosse stato per la presenza di Harry, il quale sorrideva a tutta la scena come se Tom fosse il bambino più tenero del mondo e non quello più rumoroso (per Zayn lo era, tenero. Era anche meraviglioso, fantastico, pieno di gioia e di vita, era tutto quello che lo rendeva felice, e pensare a lui lo faceva addormentare con preoccupazione per il giorno seguente, ma lo faceva anche svegliare con la spinta necessaria ad affrontarlo. Ma il punto era quello: Thomas era suo figlio e se la sua voce, la maggior parte delle volte, poteva rallegrare lui, non capiva come potesse avere lo stesso effetto su qualcun altro, qualcuno che a male pena lo conosceva. Eppure Harry sembrava genuinamente divertito. O forse era solo un attore fantastico).

Vedere come Harry si trovasse a suo agio, rese più tranquillo anche Zayn, che progressivamente smise di preoccuparsi della vivacità del figlio e, di conseguenza, sentì il suo corpo – che fino allora era stato in tensione – rilassarsi. Per la seconda volta da quando si erano conosciuti notò come parlare con l’altro ragazzo fosse facile, quasi naturale (quando riusciva a concentrarsi su qualcosa che non fossero le sue dita o le sue labbra), e divertente. Di solito evitava di pensarci troppo, perché lo deprimeva, ma gli mancava essere un normale giovane uomo che aveva come massima preoccupazione riuscire a preparare in tempo l’esame o trovare la persona giusta, quella con la quale, magari, avrebbe passato la vita intera. Una volta ci credeva alla storia dell’amore eterno o, meglio, ci sperava. Adesso, dopo Perrie e dopo Adam, non poi così tanto.

Zayn scosse mentalmente la testa; di certo non voleva pensare ai suoi ex proprio in quel momento, soprattutto perché Harry aveva appena smesso di ridere e scherzare con Tommy (era arrivato il cibo, e suo figlio aveva certe priorità) e si era girato verso di lui.

Per tutta la durata della cena parlarono del più e del meno. Scoprì che aveva ventiquattro anni e che si era trasferito a Londra da Holmes Chapel per motivi di studio. Voleva diventare psicologo, ma la strada non era semplicissima e soprattutto non era tra le più brevi, quindi per non pesare troppo sulle spalle della madre e del patrigno aveva pensato che, dopo anni di nuoto, il minimo che potesse fare era prendere il brevetto per diventare istruttore e guadagnare così quel poco che gli serviva per bere una birra con gli amici, di tanto in tanto.

Zayn, allo stesso modo, come per non sentirsi in debito, gli aveva raccontato di Bradford e di come fosse viverci, del fatto che erano venuti a Londra perché suo padre era stato trasferito lì per lavoro e di come i primi tempi si fosse trovato spaesato – pur non essendo piccola neppure Bradford, Londra era tutto un altro livello. Harry non aveva fatto domande su Thomas (per quanto ne sapesse Zayn, lui poteva anche credere che fosse sposato o che avesse una compagna ad aspettarlo a casa), e di questo gliene fu davvero grato. Un po’ perché non voleva parlarne di fronte a suo figlio, un po’ perché, per quanto Harry gli fosse piaciuto fin da subito fisicamente e stesse iniziando ad apprezzarlo anche come persona, non si conoscevano abbastanza, per parlare di cose così personali. In più Zayn era sempre stato un tipo piuttosto chiuso, anche rispetto ad argomenti meno delicati.

La fine della cena lo lasciò irrequieto. Avrebbe volentieri prolungato la serata, ma Thomas si era addormentato con la testa sul tavolo, e il giorno dopo doveva andare all’asilo. In più trattenere ancor Harry gli sembrava un po’ come derubarlo del suo tempo: era già tanto che per far contento il mostriciattolo fosse andato a cena con loro, in fondo.

“Dovrei andare” si forzò a dire. “Thomas è distrutto e domani c’è l’asilo” spiegò, anche se non ce n’era davvero bisogno.

Harry sorrise e mise mano al portafoglio, ma Zayn lo fermò.

“Ovviamente offro io, è il minimo che possa fare per ringraziarti”

Harry tentò qualche protesta che però fu soffocata sul nascere dalla fermezza dell’altro.

“Non avevi niente per cui ringraziarmi, davvero, anzi grazie a voi per la piacevole serata e per la cena” mormorò Harry a bassa voce, per non svegliare Thomas che beatamente si trovava in braccio al padre, quando furono usciti dal locale. “Hai voglia di venire a bere qualcosa con me a un pub qui vicino?” i battiti del cuore di Zayn iniziarono a correre, impazziti “Alcuni miei amici sono già lì” e poi di botto rallentarono, fino a tornare al loro normale ritmo. Certo che avrebbe voluto. Amici o non amici, sarebbe significato stare ancora in sua compagnia, cosa che – aveva scoperto – era davvero bella, ma non poteva portare Thomas da sua madre a quell’ora, senza neanche un po’ di preavviso, e di certo non poteva abbandonarlo in mezzo alla strada, né portarlo con sé.

“Vorrei,” fu costretto a rispondere “ma… Thomas” Harry annuì.

“Sarà per un’altra volta?” quasi lo chiese e Zayn si affrettò a rispondere che sì, certo, sarebbe stato per un’altra volta.

“Promesso?” fece il più giovane con un’espressione quasi birichina, simile a quella che illuminava il volto di Thomas quando ne aveva combinata una delle sue.

“Promesso” il volto di Harry si aprì in un sorriso sincero.

“Sai, sono un po’ come tuo figlio, con le promesse. Ti perseguiterò finché non la manterrai”

“D’accordo, d’accordo” rise Zayn, che avrebbe alzato le mani in segno di sconfitta, non fossero state occupate a sorreggere Tom. “Allora… a presto” fece Zayn, che avrebbe voluto tutto meno che andarsene ma che, per l’ennesima volta da quando aveva conosciuto Harry, si forzò a fare qualcosa che era diametralmente opposto a quello che voleva.

*

Harry si era dimostrato di parola. La settimana successiva, ancor prima di farsi una doccia e cambiarsi, era andato a cercarlo per chiedergli se quel venerdì andava bene. Sulle prime Zayn era rimasto un po’ confuso. Non perché si fosse dimenticato della promessa – in realtà ci aveva pensato tutto il giorno, consapevole che quella sera forse l’avrebbe rivisto – ma perché non sperava davvero che l’altro l’avrebbe rinvitato. La sera della cena, anche per non costruirsi troppi instabili castelli in aria, aveva accantonato la proposta di Harry iniziando a credere che gliel’avesse fatta più per dovere che per piacere. La figura perfetta e sorridente di Harry di fronte a lui smentiva completamente questa sua convinzione.

“Sì, venerdì va bene” rispose senza pensarci troppo. Perché in fondo andava bene davvero. Sabato lui aveva il giorno libero e Thomas non andava all’asilo e poteva tranquillamente dormire da sua nonna, per una sera. Anzi, Trisha si lamentava sempre di vederlo troppo poco, il che era assurdo visto che Tom passava più tempo con lei che con lui, quindi di sicuro le avrebbe fatto piacere.

Harry gli diede l’indirizzo del pub e appuntamento per le dieci, ma dovette scappare quasi subito perché il martedì aveva un altro gruppo dopo quello di Thomas e se non si fosse sbrigato avrebbe iniziato in ritardo.

“A venerdì! O a giovedì, se vieni a prendere Thomas!” lo salutò, agitando in contemporanea la mano destra, prima di voltarsi definitivamente e affrettare il passo.

*

Il pub non si trovava troppo distante da casa sua, tant’è che poteva arrivarci camminando una mezzoretta, e da fuori appariva come un qualsiasi altro pub. Prima di entrare si accese una sigaretta, vizio che aveva preso a quattordici, quindici anni e che purtroppo non lo aveva mai abbandonato, anche se, dall’arrivo di Thomas, aveva perlomeno cercato di contenerlo, soprattutto a casa. In quel momento, però, sentiva davvero il bisogno fisico di fumarsene una per aiutare i nervi a sciogliersi. Il giorno precedente non era potuto andare a prendere Thomas, dunque non rivedeva Harry da martedì e ovviamente non aveva avuto modo di assicurarsi che la serata fosse confermata (stupido lui a non avergli chiesto neanche un recapito telefonico); ma, più che altro, lo innervosiva l’idea in sé di rivederlo e quella di incontrare i suoi amici. C’aveva pensato, e dopo tre anni in cui, tra alti e bassi, non era riuscito a tener vivo nessun rapporto significativo che escludesse i suoi familiari, questa poteva essere la sua possibilità per ricominciare a vivere come un venticinquenne, a fare le cose che un ragazzo della sua età normalmente fa. E questo c’entrava relativamente col fatto che poteva avere o non avere una cotta per Harry, quanto più con quanto si sarebbe trovato bene con i suoi amici. Dubitava che, se si fossero saltati al collo, Harry gli avrebbe proposto di ripetere l’esperienza, e lui anche da piccolo aveva il problema di metterci del tempo prima di entrare in confidenza con qualcuno, riuscire ad aprirsi ed essere se stesso. Era anche consapevole del fatto che pensarci troppo e sforzarsi di far bella impressione non l‘avrebbe comunque aiutato. Così, dopo aver spento la sigaretta sull’apposito cestino accanto all’ingresso, fece un respiro profondo ed entrò.

Anche l’interno non era poi diverso dal classico pub: un lungo bancone di legno era accostato alla parete dirimpetto all’entrata, qualche alto sgabello gli era stato collocato davanti affinché chi volesse ordinare e consumare lì il proprio drink potesse farlo e vari tavolini erano dislocati per tutta la sala, né troppo grande né troppo piccola, mentre un’apertura ad arco la collegava a una seconda, che sembrava adibita a pista da ballo. Se quest’ultima era completamente vuota, non si poteva dire la stessa cosa della prima. Non sapendo da che parte farsi, si diresse al bancone e ordinò una birra. Si guardò intorno, consapevole che la sua espressione stesse diventando progressivamente più disorientata. Bevve un sorso di birra dietro l’altro, fino a quando qualcuno da dietro appoggiò una mano sulla sua spalla. Sussultò per la sorpresa e, se il suo bicchiere non fosse stato quasi vuoto, probabilmente si sarebbe ritrovato con la maglietta completamente fradicia.

“Zayn, sei arrivato!” ancor prima di voltarsi e guardare in faccia il proprietario di quella mano, riconobbe la voce di Harry. (Che poi, si disse Zayn, chi altro poteva essere?)

Girandosi, si ritrovò ad ammirare un sorriso che faceva da specchio al proprio, e un po’ insicuro della propria voce annuì solamente.

“Vieni, ti presento gli altri” disse con tono incoraggiante e pieno di calore, come se ci tenesse sul serio anche lui a che quell’incontro andasse per il meglio. Zayn svuotò il bicchiere, lo lasciò sul bancone e seguì Harry che lo conduceva tenendolo per un braccio, quasi avesse paura di perderlo. Il più grande percepì un’ondata di protezione riscaldargli lo stomaco e risalire su fino al petto, e di colpo, come se le loro incertezze combinate li avessero resi più forte, si sentì più sicuro di sé.

Arrivati a un tavolo in posizione piuttosto angolare, si fermarono di colpo. Seduti c’erano due ragazze e tre ragazzi, impegnati in una conversazione piuttosto animata che però s’interruppe di botto quando quello che evidentemente stava tenendo banco si accorse del loro arrivo.

“Ehi, ragazzi, questo è Zayn” lo presentò Harry. Fra il casino generale del posto e le voci dei cinque al tavolo che si sovrapponevano l’una all’altra, Zayn riuscì a capire solo che il ragazzo che prima gesticolava tanto si chiamava Louis. Per il resto, piano piano li avrebbe imparati, anche se lui con i nomi faceva proprio schifo.

Si mise a sedere tra Harry e una delle due ragazze, quella mora e liscia, dal sorriso carino e lo sguardo gentile. Scoprì il nome, - Eleanor, si ripeté varie volte dentro di sé per mandarlo a memoria – quando Louis attirò la sua attenzione per indicarle qualcuno tra la folla.

Scoprì anche che era davvero loquace, quando si voltò e intavolò una conversazione con lui, e curiosa, visto che non la smetteva più di fare domande, che comunque non erano mai troppo personali e non lo misero a disagio. Arrivati a metà serata sapeva che Niall, il biondo, era Irlandese, ma che abitava a Londra dalle superiori e che ancora non aveva perso una briciola d’accento, che Louis aveva da poco cominciato a insegnare in una scuola di recitazione in città, che Liam, l’ultimo ragazzo, era un vigile del fuoco e che sapeva essere allo stesso tempo la persona più seria ma anche quella più idiota del mondo e che Danielle era una ballerina di per sé piuttosto affermata. Eleanor, invece, aveva terminato l’università l’anno prima e proprio lì aveva conosciuto Harry e da allora erano inseparabili. Harry, nel frattempo, era perso in una discussione musicale con Niall, anche se, Zayn se ne era accorto, di tanto in tanto gli lanciava delle occhiate come a rassicurarsi che tutto fosse a posto.

“Vado a prendere da bere, volete qualcosa?” Liam si alzò e passò lo sguardo su tutti. Niall urlò birra così forte che anche dall’altra parte del pub lo dovevano aver sentito, provocando un sorriso a metà tra il divertito e il beffardo sul volto di Louis che con gli occhi seguì Liam fino a che non fu inghiottito dalla folla. Poi li alzò su di Zayn e sorrise allo stesso modo pure a lui, che si sentì nervoso per la prima volta da quando si era seduto al tavolo.

“Allora, Zayn” iniziò con tono interessato. “Harry praticamente non c’ha detto nulla di te, se non che hai un bel bimbo con gli stessi gusti culinari e lo stesso appetito del nostro Niall… per il resto?”

Zayn avrebbe voluto chiedere a quale resto si stesse riferendo, ma Louis lo batté nel tempo, “quanti anni hai, lavori o studi, perversioni pericolose, sei sposato? Cose così, insomma”

Sentì la schiena tendersi all’infinito e percepì una tensione simile sprigionarsi dal corpo di Harry che gli stava accanto e non lo toccava neanche. Sentì vagamente un commento un po’ ironico di Niall, ma la sua risata servì a scuoterlo abbastanza da farlo rispondere a quella specie di terzo grado.

“Uhm” balbettò “venticinque, lavoro, no e no” chiaro e conciso. Sperò che l’interrogatorio fosse finito lì; gli sembrò che la sua scarsa loquacità invece di scoraggiare Louis l’avesse incuriosito maggiormente. Per fortuna prima che l’altro riuscisse a formulare altre domande, Eleanor lo tirò per un braccio invitandolo a ballare. Cosa che aveva sempre detestato fare, dal profondo del cuore, ma che in quel momento gli parve un’ancora di salvezza. Se c’era una cosa che voleva evitare, era parlare di Perrie con perfetti estranei, e se questo voleva dire esporsi al pubblico ludibrio si sarebbe volentieri sacrificato.

Ma davvero, si sentiva piuttosto spastico, doveva stare attento a non pestare i piedi a nessuno e a non dare gomitate in giro, cosa difficile se per metà del tempo non riusciva a fare a meno di lanciare sguardi verso il tavolo dove ancora stavano seduti gli altri; notò come Liam fosse tornato e come il corpo di Louis sembrasse tutto proteso verso l’altro ragazzo, che teneva un braccio placidamente appoggiato sulla sua spalla. Il volto di Harry, invece, non riusciva a vederlo bene, colpa degli strani giochi di luce, ma le sue mani stringevano il bordo del tavolo e poi ne lasciavano la presa – quasi andasse a tempo con la musica – quando non erano occupate a sistemare nervosamente i capelli.

Dopo un altro paio di canzoni, anche Eleanor ne aveva avuto abbastanza di quella sottospecie di tortura, e i due decisero che si sarebbero concessi un meritato drink e che poi sarebbero tornati con gli altri.

Il momento era perfetto per fare qualche ricerca, si disse Zayn, che iniziò a informarsi in un modo che sperava disinvolto su come si fossero conosciuti tutti quanti.  Così, venne a sapere che i suoi genitori e quelli di Danielle erano amici da sempre, lei e Louis abitavano nello stesso quartiere, erano sempre andati nelle stesse scuole ed erano praticamente cresciuti insieme, per loro essere diventati migliori amici era stato quasi una logica conseguenza, Harry l’aveva conosciuto all’università e Niall era coinquilino di Liam, ma fondamentalmente amico di chiunque, e Liam era amico di Harry e Louis. Disse quest’ultima cosa con un tono tenero e allo stesso tempo forzato, rafforzando il dubbio che, come Zayn aveva pensato sin dal primo momento, quei due fossero più che semplici amici.

Con un sorriso, Eleanor fece cenno di seguirla e quando tornarono al tavolo Danielle stava indossando la giacca, quasi pronta ad andarsene.

“Oh, eccovi” disse appena furono abbastanza vicini. “Devo proprio scappare. Mi ha fatto molto piacere conoscerti, Zayn” in realtà non ci siamo scambiati più di tre parole, avrebbe voluto rispondere lui, che invece optò per il classico anche a me. “Spero di rivederti presto” aggiunse poi lei. Zayn annuì, semplicemente.

“Anche noi ce ne andiamo” si accodò Liam, riferendosi a se stesso e a Louis. A effetto domino, anche gli altri si preparano per uscire, e quando furono fuori si salutarono e tutti si augurarono di rivedere presto Zayn. Evidentemente non era andata così male, si auto-complimentò Zayn, dandosi una virtuale pacca sulla spalla. Era riuscito a conversare senza troppi problemi, se si escludeva la breve parentesi con Louis, e aveva addirittura ballato. Avrebbe segnato la data sul calendario, era un evento epocale.

Avrebbe voluto sgusciare via senza scambiare altre parole con Harry; si sentiva in imbarazzo senza un motivo preciso, o forse per più ragioni insieme che non voleva neanche iniziare a esaminare.

“Sei in macchina?” Harry ruppe il silenzio, impedendogli la fuga.

“No, a piedi. Abito piuttosto vicino” rispose, indicando con la mano una generica direzione alla sua destra.

“Davvero? Vado da quella parte anch’io, possiamo fare la strada insieme. Magari scopriamo che siamo vicini di casa e non ce ne siamo mai accorti” disse Harry, il sorriso nella voce e le gambe che avevano preso a muoversi.

Zayn pensò che, se così fosse stato, se ne sarebbe di sicuro accorto. Sarebbe stato come avere un Adone redivivo a un palmo del naso, ma di certo non glielo avrebbe detto.

Chiacchierarono un po’ di questo e un po’ di quello, scoprendo di avere gusti quasi opposti in fatto di musica, ma piuttosto simili in letture e film. Quasi a metà via, calò un silenzio confortante, tanto che Zayn neanche si accorse di aver allentato il freno che teneva a bada la sua curiosità fino a quando non sentì la domanda – che gli ronzava in testa da più o meno l’inizio della serata – uscirgli fuori di bocca.

“Ma tra Louis e Liam… insomma, sì… stanno insieme o che?” chiese impacciato. Guardò di sottecchi Harry, l’espressione guardinga e un poco incerta, come se non sapesse che pesci prendere.

“Sei un acuto osservatore, eh?” commentò, infine, rimanendo sul vago senza negare l’ipotesi di Zayn.

“Sembrano felici, insieme” Zayn non sapeva cosa dire per far capire all’altro di non aver alcun tipo di problema se non qualcosa come ehi, non preoccuparti, gioco per la stessa squadra pure io, più o meno oppure uscirsene con qualche parola banale che arrivasse allo stesso obiettivo; aveva scelto la seconda opzione.

Harry gli raccontò da quanto stessero insieme e di come non si facessero troppi problemi a essere loro stessi in pubblico, cosa che per Louis si traduceva semplicemente in essere sempre un po’ sopra le righe, e per Liam essere serio e teneramente assurdo allo stesso tempo.

“E come si sono conosciuti?” sua madre lo diceva sempre, dategli un dito e si prenderà tutto in braccio…

Harry gli parve per un attimo ancor più in difficoltà di prima, ma in un secondo il suo viso si aprì in un piccolo sorriso. “Li ho presentati io”

“E tu come li hai conosciuti?” Zayn stava iniziando a interessarsi ancora di più, ora che nell’equazione era entrato anche l’altro ragazzo. Harry, d’altro canto, pur non sembrando preso in contropiede non appariva troppo sicuro di quello che doveva dire. Cosa che parve un po’ strana, agli occhi di Zayn, almeno fino a quando, dopo un grosso respiro, l’altro non si decise a rispondere. “Io e Liam andavamo allo stesso liceo, ma lui è più grande di un anno per cui non abbiamo mai frequentato le stesse lezioni. Poi, una sera ci siamo rincontrati a una festa e abbiamo iniziato a conoscerci, praticamente. Louis, invece, me l’ha presentato Eleanor, che ho conosciuto all’università e” qui si fermò un attimo e prese un altro respiro profondo, come a volersi infondere coraggio “e siamo usciti per qualche tempo insieme, ma da subito è venuto fuori che siamo troppo simili per essere compatibili in quel senso; siamo rimasti amici, in realtà potrei dire che, anche se non ci conosciamo da tutta la vita o che so io, lui è la persona più fidata che ho. E nulla, l’ho presentato a Liam perché era palese che fossero perfetti l’uno per l’altro e si è scoperto che sono un Cupido nato”

Ecco. Zayn non sapeva che dire. Era un po’ sconcertato, sinceramente. Insomma, dalla volta delle docce aveva fantasticato su Harry, su come sarebbe stato toccarlo baciarlo morderlo, ma mai si era concesso di sperare veramente di avere anche una sola possibilità di farlo davvero. Certo non poteva dirgli bene, visto che ho tutto quello che occorre perché non sali da me e ne parliamo meglio… o anche no? Non sapeva se era ancora capace a flirtare, figurarsi a fare una proposta esplicita. Ma di certo non poteva stare zitto se no chissà Harry cosa avrebbe pensato.

“Evidentemente era destino o cose così” gli sorrise il più grande, che, più che nel destino, credeva nel potere della sfiga.

Harry rispose al sorriso, le fossette più profonde che mai. Zayn ebbe l’improvviso impulso di toccarle e, senza riuscirsi a fermare, lo fece. Se possibile, il sorriso dell’altro si fece ancora più ampio e nei suoi meravigliosi occhi verdi passò un lampo di quello che Zayn non seppe decifrare con sicurezza. “Lo credi? Credi davvero nel destino?” gli domandò con reale interesse, la voce che non portava sfumature canzonatorie con sé, come invece Zayn si sarebbe aspettato. Gli rispose con la teoria della sfiga, alla quale Harry rise di gusto.

“No, davvero” stava dicendo “quando le cose vanno male, sta’ attento ché possono andare pure peggio”

“Non sarai un po’ troppo tragico?”

“No, te lo giuro, è comprovato!”

“Allora dovresti darmi dimostrazioni se no questa tesi mi rimane campata in aria”

“Be’, a vent’anni la mia ragazza è rimasta incinta, e per quanto Thomas sia fantastico puoi capire come un figlio fosse tutto quello che non desideravo, a quell’età. Primo punto messo a segno dalla sfiga – o dalla nostra stupidità, ma noi faremo finta che è colpa della sfiga. Ovviamente questo ha comportato una serie di cose, tra cui la necessità di interrompere gli studi per poterci mantenere, perché i nostri genitori ci potevano dare una mano fino a un certo punto. Sinceramente avevo altri progetti lavorativi, contavo di continuare gli studi, forse diventare insegnante, ma questa la considererò come conseguenza del punto uno. Secondo punto: io e Perrie, la madre di Thomas, non è che stessimo insieme da molto, l’idea di sposarci non ci è mai passata per l’anticamera del cervello e per lei la maternità è stata più pesante di quanto non lo sia stata per me la paternità. Non so perché. Fatto sta che, dopo un anno, la chiamano da un’agenzia di modelle di Manchester. Destino? No, sfiga. Lascia baracche e burattini, prende il primo volo da Londra e addio Perrie. Devo continuare? Salterò tutte le mie disavventure come padre, che non basterebbe fare una passeggiata per tutta Londra per raccontarle” Zayn aveva attaccato una sottospecie di flusso di coscienza che lo spingeva a continuare a parlare senza essere sicuro di dove il discorso lo avrebbe portato, alla fine. “C’è stato un periodo buio, in cui ho dovuto capire dove e come mettere le mani con Thomas e più o meno un anno fa ho conosciuto Adam” si accorse a malapena di aver nominato il suo unico ex maschio e di essersi praticamente dichiarato bisessuale davanti a Harry. La cosa assurda era che si sentiva tranquillo, Harry non lo avrebbe giudicato (lui e i giudizi della gente non erano mai andati troppo d’accordo), e aveva la lingua talmente sciolta che gli venne spontaneo ignorare completamente i messaggi che il cervello gli stava mandando – lo conosci da quanto?, dieci  giorni? È praticamente uno sconosciuto, per quanto ne sai potrebbe rapirti per scuoiarti e prendersi le tue ciglia oppure potrebbe essere uno di quei pazzi adepti di religioni ancora più pazze sempre in cerca di nuova gente! E tu che fai?, gli racconti roba di cui neanche tua madre è a conoscenza? – “e, beh, era una vita che non uscivo con qualcuno, quando l’ho incontrato, ed è finita talmente male che dopo di allora questa è la prima sera che passo in compagnia”

Harry gli sorrise, lasciando cadere il discorso. Sembrava sempre capire quando poteva approfondire qualcosa o quando Zayn preferisse non essere pressato troppo. O era un bravo psicologo oppure era davvero empatico.

“Mi dispiace per Louis. Al pub, intendo. Lui tende a essere invasivo con tutti, non lo fa per mettere in difficoltà, o comunque quello non è l’intento principale” si corresse con una smorfia accennata “è solo curioso come un bambino”

Zayn scrollò le spalle e invece disse “Piuttosto, grazie della serata. A prescindere dalla curiosità di Louis, è stata piacevole. Eleanor è adorabile”

“Vero? Lo penso anch’io!”

Fecero qualche altro metro e poi Zayn iniziò a rallentare. “Io vado da quella parte”

“Oh, allora no, non abitiamo nello stesso quartiere” costatò Harry.

Un vago momento di silenzio scomodo li avvolse. Se avesse seguito il suo istinto, o meglio, il suo desiderio, Zayn l’avrebbe baciato, ma sinceramente voleva evitare anche solo il rischio di essere respinto in malo modo, e stringergli formalmente la mano gli sembrava ridicolo.

Ancora una volta Harry lo trasse fuori dall’impaccio.

“Noi ogni venerdì ci vediamo… come hai visto non facciamo nulla di che, passiamo giusto la serata fra noi, bevendo qualcosa e chiacchierando del nulla. La prossima settimana non so ancora dove andremo – facciamo che ogni volta a giro uno di noi sceglie il locale – ecco, se vuoi puoi lasciarmi il tuo numero e se ti va magari puoi venire” il tono a metà tra una proposta e una domanda.

“Certo!” rispose con entusiasmo, forse con troppo “Certo” ripeté con più calma.

“Allora ci sentiamo” bastava come congedo?, si chiese Zayn. Evidentemente sì, perché Harry gli sorrise di rimando scuotendo la testa e la mano contemporaneamente, per poi allontanarsi dalla parte opposta a quella dove era diretto Zayn.

Poco dopo gli squillò il telefono.

Questo è il mio numero, fanne buon uso. Harry (:

Il ragazzo citava Harry Potter. Doveva essere la sua anima gemella. Forse era la volta buona, la sfiga sembrava essersi presa una vacanza.

*

E Zayn l’aveva preso alla lettera: lui, timido per natura, in poco tempo era riuscito a trovarsi bene in un gruppo unito da tempo. Si sentiva accettato come mai gli era successo. E in più, le ragazze erano fantastiche, Niall riusciva sempre a metterlo di buon umore, Liam sapeva ascoltare come nessun altro e con Louis condivideva un’anima malvagia.

E poi c’era Harry, ovviamente. E, davvero, anche se tra loro non era mai successo nulla che potesse fargli sperare in qualcosa di più dell’amicizia, Zayn non poteva fare a meno di incantarsi quando gli stava di fronte, e di pensare a lui in ogni altro momento. Qualche volta, invece, gli sembrava quasi che Harry provasse le sue stesse sensazioni. Capitava, per esempio, che Zayn si girasse di scatto verso Harry, che non faceva in tempo a nascondere una strana luce negli occhi, un lampo che però si spengeva troppo velocemente per essere decifrato ma che di certo era qualcosa. Non sapeva cosa, ma era qualcosa. E c’era quella volta che, un po’ ubriaco, Harry aveva giocato teneramente con le dita della sua mano, stringendogliele e accarezzandole alternativamente, mano che teneva appoggiata sul tavolino, incurante del fatto che tutti gli altri potessero vederli e trovarlo strano, o forse consapevole che erano troppo occupati a cercare di non vomitare tutto l’alcol ingerito per interessarsi davvero a qualcos’altro.

Ma probabilmente era tutto frutto della sua immaginazione, e sperare il contrario l’avrebbe solo portato ad alimentare i suoi sentimenti e poi a soffrire per l’ennesima delusione.

Da tempo, Zayn era arrivato alla conclusione che non ne valeva quasi mai la pena.

*

Un venerdì, un mese dopo, stavano di nuovo percorrendo la stessa via per tornare a casa. Durante quei giorni, Harry si era fatto sentire spesso e, anche se i suoi messaggi erano di natura del tutto amichevole, questo non aveva fermato le labbra di Zayn dall’aprirsi in un sorriso e il suo cuore dal battere impazzito ogni volta che ne leggeva uno. Non si sentiva così stranamente felice da un sacco di tempo.

Era felice anche in quel momento, ma probabilmente c’entrava il bicchiere di birra di troppo che si era bevuto poco prima. Si consolò col fatto che anche quella sera Tom era da Trisha e che quindi, anche se fosse tornato a casa un po’ barcollante, non ci sarebbe stato ad aspettarlo nessun testimone indesiderato.

Stavano ridendo di qualcosa d’idiota che un amico di Harry aveva fatto da piccolo, quando si ritrovarono al solito bivio. Anche questa volta Zayn non sapeva come accomiatarsi, ma Harry, spontaneo e disinibito, si sporse e gli lasciò un lieve bacio all’angolo della bocca. Quel contatto effimero bastò a mandare scariche elettriche lungo tutto il corpo di Zayn, ad arrossargli le gote ma anche a dargli abbastanza coraggio da guardarlo negli occhi. Se non era diventato improvvisamente analfabeta, quelle che vi leggeva erano emozioni simili alle sue. Rassicurato, in uno slancio d’intraprendenza si avvicinò all’altro, passò una mano dietro al collo del più piccolo, e con una lentezza infinita, come a volergli lasciare la possibilità di sottrarsi, accompagnò il volto di Harry fino a un respiro dal suo. Spazientito, Harry eliminò ogni distanza, facendo scontrare le loro labbra in un bacio lento e insicuro, ma che, man mano che presero confidenza, diventò bisognoso e appassionato.

Con le sue mani tra i capelli di Harry e i suoi fianchi stretti da quelle grandi dell’altro, Zayn perse la cognizione di spazio e tempo, la mente offuscata dal profumo di Harry, incurante come mai era stato della gente che gli passava accanto.

Quando si staccò per riprendere fiato, tuffò i suoi occhi in quei mari verdi che brillavano di eccitazione e aspettativa e di alcool tutto insieme.

“Tom non c’è” disse semplicemente.

“Oh” mormorò Harry, vagamente confuso. “Oh” ripeté, qualche istante dopo, gli occhi e la bocca spalancati. “N-non so se è una buona idea” biascicò, la parlata ancor più lenta del solito.

“Lo è” non lo è, gli disse una vocina che scacciò mentalmente. “Lo è”

 L’altro annuì e basta, si abbassò a lasciargli un leggero bacio sulle labbra e, quando si staccò, fissò i suoi occhi in quelli nocciola di Zayn. Annuì una seconda volta, con più convinzione e Zayn gli afferrò il polso, come rassicurato da quel semplice movimento, e lo guidò fino al suo appartamento. Sperava di apparire calmo e sicuro di sé, ma dentro bruciava, la gola gli si era seccata improvvisamente e il cuore aveva iniziato a battere come avesse appena corso per quattro cinque sei chilometri ininterrottamente.

E poi, in quello che gli parve un battito di ciglia, si ritrovarono di fronte al portone, e poi alla porta – con la chiave che non voleva collaborare ed entrare nella serratura – e poi in casa, con Harry stretto tra lui e il muro più vicino, le mani che toccavano dappertutto e gemiti che scappavano da labbra gonfie e lucide per tutti i baci che si erano scambiate.

Avevano bisogno di più pelle da toccare senza l’impaccio dei vestiti e di una superficie sulla quale stendersi, se no nel giro di qualche minuto si sarebbero ritrovati per terra.

“Let-” provò a dire senza risultati, con Harry che non gli dava tregua e che accennò solo un vago uhm?

“Dicevo che ho un letto e tutto in camera” si complimento tra sé e sé, forse era riuscito a mettere insieme qualcosa che avesse senso. Harry era troppo impegnato a mordergli leccargli succhiargli il collo e allo stesso tempo a cercare di togliergli la maglietta senza rompere il contatto tra le sue labbra e la pelle del più grande, ma Zayn lo prese per un ok e iniziò a indietreggiare verso la propria camera.

Corridoio, porta, letto. Oh, letto. Finalmente. Si liberò delle scarpe e dei calzini, mentre con la coda dell’occhio vide Harry seguire il suo esempio, poi lo afferrò per le spalle, facendo scontrare per l’ennesima volta in quella sera le loro labbra. Si lasciò spingere sul letto, con Harry sopra di sé, i corpi che combaciavano perfettamente, neanche fossero stati creati in vista di quel preciso istante, e le mani che si affaccendavano a scoprire il corpo dell’altro, fino a quando sparirono anche i boxer e diventò necessario sentire di più, appena un po’ di più.

Zayn sapeva che non c’era nulla di poetico in quella loro prima volta insieme, non una parola dolce pronunciata a fior di labbra, né tocchi delicati o sguardi adoranti, ma solo movimenti frenetici e lingue roventi e occhiate infuocate. Ma la testa gli pulsava troppo e tutto quello che non voleva fare, in quel momento, era pensare. E non importava, davvero, mentre Harry lo portava all’orgasmo con la bocca; era perfetto lo stesso.

*

Aveva la gola secca e una fame da lupi, ma per il resto stava piuttosto bene. Se non fosse stato per la luce che entrava dalla persiana che si era dimenticato di chiudere starebbe ancora dormendo.

Si stropicciò gli occhi e si rigirò dall’altra parte.

Una schiena nuda, lunga e muscolosa lo salutò accendendo tutti i ricordi della sera precedente.

Porco cazzo.

Fece un respiro. Era andato a letto con Harry. Respiro. Ed era stato fantastico toccare quel corpo che aveva desiderato sin da subito, ma porco cazzo, adesso? Come doveva comportarsi, come se fosse stata solo una botta e via o un errore o un bel modo di concludere un serata? Oh ti prego, no. Avrebbe voluto riaddormentarsi e svegliarsi con la risposta chiara e lampante, e c’avrebbe anche provato se Harry non si fosse voltato, non avesse aperto gli occhi e non li avesse fissati nei suoi proprio in quel momento.

Era pronto a dire una cosa del tipo ehi, non deve significare niente, se non vuoi, anche se il suo cuore dava pugni massacranti al suo cervello solo a pensarla, una cosa del genere, quando l’altro gli sorrise il suo sorriso più bello e si sporse a stampargli un bacio leggero sulle labbra, prima di dargli il buongiorno con voce più roca del solito.

Zayn avrebbe ricominciato daccapo tutto quello che avevano fatto durante la notte.

Guardò l’orologio.

Le 11:34? “Devo andare a prendere Tom. Mia madre mi avrà dato per disperso” si lamentò passandosi una mano fra i capelli, che di sicuro erano sparati in mille direzioni diverse.

“Oh. Certo” gli sorrise lievemente alzandosi dal letto e raccogliendo i suoi vestiti sparsi un po’ovunque per infilarseli, mentre Zayn di malavoglia si accingeva a fare lo stesso.

“Vuoi qualcosa da mangiare?” chiese, infilandosi una camicia pulita. Non che avesse molto, se non i cereali preferiti del figlio, ma di sicuro qualcosa poteva mettere insieme senza rischiare di bruciare la cucina.

“No, non preoccuparti” rispose Harry che con l’uso delle sole mani stava cercando di combattere alcuni ricci particolarmente ribelli.

“Sicuro?”

“Sicuro” gli riservò un altro dei suoi sorrisi tutto fossette, e una volta in più Zayn si trovò a chiedersi come dovesse comportarsi. Non voleva che tra di loro le cose si facessero strane, ma di certo avrebbe mentito se avesse detto di non volere nulla di più che semplice amicizia, dall’altro.

Radunò chiavi, cellulare e portafoglio mentre Harry indossava il giubbotto e si ritrovò a mordersi inconsciamente il labbro inferiore. Odiava le situazioni potenzialmente imbarazzanti, perché non sapeva mai come gestirle.

“Credo… credo che dovremmo parlarne?” domandò, più che affermare, Harry.

Zayn annuì impercettibilmente. Si schiarì la gola. “Quando? Oggi e domani c’è Tom, e…”

“Tu mi piaci” lo interruppe, le mani strette nervosamente a pugno e i piedi che sembravano non trovare pace.

“Anche tu mi piaci” rispose Zayn, perché non c’era davvero altro da dire.

*

“Oh, finalmente!” esclamò Louis, non appena li vide entrare. Zayn non avrebbe saputo dire a cosa si stesse riferendo, ma l’occhiata maliziosa che rivolse sia a lui che a Harry gli diceva che probabilmente non c’entravano nulla i quindici minuti di ritardo che avevano.

Era passata a malapena una settimana da quando erano stati a letto insieme, ma quel mi piaci reciproco che si erano scambiati aveva messo in fuga qualsiasi dilemma ronzasse nella sua testa, e già dal pomeriggio stesso erano iniziati brevi chiamate post pasto e scambi di messaggi per la gran parte privi di senso. Erano andati a fare colazione insieme, una volta, e una sera erano andati a vedere The Avengers, perché Zayn era fissato con i supereroi e a Harry eccitavano i luoghi al buio, tant’è che gli avrebbe fatto una sega già dopo dieci minuti dall’inizio del film, se non fossero stati circondati da bambini.

E anche se tutto quello era nuovo, Zayn non poteva fare a meno di sorridere quando la sera, sdraiato a letto, ripensava a quello che lì sopra avevano fatto, o quando Harry gli mandava un messaggio particolarmente incomprensibile, o quando ricordava la voce dell’altro dirgli non era ovvio che tu mi sia piaciuto da subito? Anche Niall l’aveva capito.

*

Poi era diventato quasi tradizione cenare insieme almeno un paio di volte alla settimana, di solito a casa di Zayn, più raramente in qualche pub nei dintorni. Quelle sere Thomas dormiva da Trisha e la cosa gli piaceva talmente tanto che non faceva troppe domande. La madre, invece, aveva capito qualcosa, aveva lanciato occhiate sapute ma non si era intromessa. Dio, quanto l’amava.

Stava apparecchiando la tavola mentre Harry gli tirava delle palline di carta e, ogni volta che lo colpiva, Zayn gli diceva di smetterla e Harry rispondeva che l’avrebbe fatto solo in cambio di un bacio.

“Sei un bambino, Styles” lo canzonava, ma poi si avvicinava e lo baciava comunque.

Le sue mani andarono ad accarezzargli la schiena, mentre quelle di Harry gli strizzarono il sedere, ed era così perso nelle labbra dolcissime dell’altro che quasi non si rese conto del rumore di una chiave che girava nella serratura. La voce allegra di suo figlio lo risvegliò del tutto, però, e in un attimo si allontanò dal corpo di Harry, mettendo fra loro una distanza insospettabile.

“Papà, papà, ci sei! Harry!” esclamò sorpreso, le r che sembravano, piuttosto, l. Zayn guardò come suo figlio, dopo avergli lasciato un piccolo bacio sulla guancia, si fosse fiondato su Harry, costringendolo a farsi prendere in collo, e lo stesse abbracciando con tutta la forza delle sua braccia da bambino. Una fitta allo stomaco lo prese un po’ impreparato, ma non ebbe il tempo di capire se fosse di gelosia o di tenerezza, perché sua madre gli si parò davanti.

Guardandolo fissa, le braccia incrociate al petto, sembrava quasi volesse leggere la sua anima.

“Eravamo al parco che c’è qui dietro e si sta facendo più freddo. Siamo passati solo a prendere una felpa” Zayn annuì e andò a recuperare l’indumento.

Thomas stava ancora in braccio a Harry e non la smetteva di parlare, le guance tutte accaldate e le manine che gesticolavano senza posa. Sembrava aver superato senza difficoltà lo stupore iniziale di essersi ritrovato l’istruttore di nuoto, così, in casa.

“Tom, andiamo che la nonna deve preparare la cena!”

Tutto triste, ma ubbidiente, ritornò coi piedi a terra, diede un abbraccio al padre e si lasciò spingere fuori dell’appartamento.

“Loro lo sanno?” chiese Harry a bruciapelo, non appena la porta si fu chiusa.

“Cosa?”

“Di me e di te… che ci frequentiamo, insomma” spiegò un po’ tentennante.

“No. No, non lo sanno” rispose Zayn, gli occhi fissi sulla parete, che era diventata improvvisamente interessante. “E non so se voglio che lo sappiano, ancora” aggiunse dopo qualche istante. Spostò gli occhi sul volto di Harry, di colpo oscuratosi. Vedendo la sua espressione, Zayn si rese conto di come dovesse essere sembrata infelice la sua ultima uscita. Era come se tra di loro aleggiasse un silenzioso non ne vale la pena, il che non aveva senso, Zayn stesso sapeva di non pensarlo nemmeno un po’.

“E con ancora cosa intendi? Ben inteso, non sono uno di quei ragazzi che, se non conosce immediatamente tutto il parentado della persona con cui esce, muore, e capisco che Tom sia ancora piccolo e che magari sarebbe diffici-”

“Non è questo” lo interruppe. E, davvero, non lo era. Se c’era una cosa su cui era sempre stato attento era che suo figlio non crescesse con pregiudizi. “Però è vero che c’entra il fatto che è piccolo”

Sembrava che Harry non avesse intenzione di aprir bocca, che aspettasse che continuasse lui, e Zayn non era molto affezionato all’idea di parlare del suo passato, ma sapeva pure che, se voleva anche solo sperare nella possibilità che tra loro due le cose funzionassero, doveva essere sincero e aperto e raccontare all’altro quello che gli stava impedendo di portare il loro rapporto a un livello successivo.

“Possiamo sederci, per favore?”

*

“Ti ho nominato Adam, ricordi? Be’, lui è un socio dell’azienda in cui lavoro, che vive un po’ fuori Londra e che ogni tanto faceva un salto a parlare col mio capo. Ha una decina d’anni in più di noi ed era… è – si corresse – bello da fare schifo. Una mattina me lo ritrovo in ascensore e, per farla breve, mi invita a prendere un caffè. E poi a cena fuori e poi a vedere una mostra. E ovviamente io gli parlo di Tom e glielo faccio conoscere. In sei mesi, Tom gli si era così affezionato che per poco non chiamava papà anche lui. E chiamami idiota o inesperto o come vuoi, ma in quel momento ho davvero creduto che qualcosa stesse iniziando ad andare nella giusta direzione. Poi, un venerdì prendo un giorno libero. Sapevo che lui sarebbe partito il giorno dopo e sarebbe tornato a Londra solo la settimana seguente, quindi penso bene di fargli una sorpresa, andare a casa sua – dove non ero mai stato, ma di cui mi ero procurato l’indirizzo – e , non lo so, passare la serata insieme”

Harry era tutto concentrato ad ascoltarlo, e Zayn si accorse che dopo le prime due o tre frasi parlarne era diventato più facile, quasi liberatorio. A sua madre non aveva mai spiegato nulla, le aveva solo addotto scuse vaghe. Era come se finalmente fosse in grado di disfarsi di quel macigno che comprimeva il suo amor proprio e il suo cuore.

“Solo che quando citofono alla sua porta, invece che lui, ad aprirmi viene una bimba che avrà avuto più o meno sei o sette anni, che mi guarda un po’ stranita perché non mi conosce, ovviamente, e che chiama la mamma che mi informa che suo marito è a Londra, solo che non sarebbe dovuto essere a Londra, me l’aveva detto lui. E, cavolo, probabilmente è la storia più trita e ritrita di sempre, il cliché più grande di tutti, e il bello è che ero davvero innamorato di Adam e credevo davvero che lui provasse lo stesso per me. E Tom… Tom impazziva per lui, e dirgli che non lo avrebbe più rivisto e vederlo piangere per questo e sentirsi, giorno dopo giorno per un mese, chiedere dove quello stronzo fosse, è stato quasi più duro che scoprire che aveva una moglie e che io ero solo l’altro e che mi aveva preso per il culo tutto il tempo”

Terminò il racconto con un sospiro leggero, gli occhi bassi sul tavolo. Li alzò solo quando sentì la mano di Harry toccare delicatamente la sua, come a rassicurarlo che lui c’era ancora, era ancora lì. Non disse nulla per un po’, non gli regalò parole vane come io non ti farò mai soffrire o dichiarazioni d’amore eterno, e di questo Zayn gliene fu grato, perché già troppo spesso era stato testimone di promesse infrante e non pensava di poter sopportare l’idea che prima o poi anche Harry, Harry con le sue premure e le frasi senza senso, se ne sarebbe andato, l’avrebbe lasciato solo. Zayn aveva come l’impressione di non essere mai abbastanza, di non essere mai una valida ragione per restare.

Ma per adesso, Harry – le dita intrecciate a quelle di Zayn e gli occhi inabissati in quelli dell’altro – era ancora lì, con lui. Per adesso poteva bastare.

*

Zayn era felice. Tom si trovava bene all’asilo, sua madre sembrava ringiovanire un po’ di più ogni giorno che passava con il nipote, si era fatto nuovi amici, – soprattutto Eleanor e Liam, che sentiva quasi di conoscere da una vita –, e da quando aveva raccontato di Adam a Harry si era come sbloccato. La paura che tutto potesse finire da un momento all’altro era sempre lì, pronta a divorargli il cervello, ma si attenuava ogni giorno di più e pian piano imparava a controllarla, a metterla a tacere, permettendo al compagno di conoscere il vero Zayn. Compagno, gli piaceva il suono. Non che si fossero dati un’etichetta precisa, ma se qualcuno glielo avesse chiesto, così lo avrebbe definito. In fondo, anche se non avevano davvero parlato, erano esclusivi, capitava che si tenessero per mano quando passeggiavano, andavano a cena fuori e a letto insieme. Non si sarebbero sposati dopodomani, ma, con una certa sicurezza, chiunque avrebbe potuto dichiararli una coppia.

Sì, era felice, e questa volta Zayn aveva come la sensazione, all’altezza dello stomaco, che nulla – neanche la sempreverde sfiga – sarebbe arrivato a distruggergli quel momento.

*

Gli piacevano i giovedì; presto la settimana lavorativa sarebbe terminata e questo voleva dire avere più tempo da passare con Tom e, adesso, anche con Harry, ovviamente. Harry che, però, non riusciva a contattare da tutta la sera, il che era strano, perché finito in piscina almeno un messaggio idiota glielo mandava sempre.

Rientrò in casa, armeggiando con le chiavi e tenendo in bilico la cena che aveva preso al cinese all’angolo, allo stesso tempo. Quando ormai aveva trovato una specie di equilibrio, Perrie aprì la porta e lo alleggerì delle varie buste e scatole che aveva in mano. La madre di suo figlio, avendo un paio di settimane libere da impegni lavorativi, la mattina stessa aveva fatto le valige, lasciato Manchester ed era tornata a Londra per passare un po’ di tempo con Tom e con i suoi genitori. Era stata una cosa un po’ improvvisa, e quando – tornato dal lavoro – se la era trovato in casa, così, senza preavviso, era rimasto perplesso e stupito, ma la gioia di Tom era stata così grande da aver troncato sul nascere qualsiasi protesta.

Aveva anche cercato di convincerla a dormire lì, ma Perrie aveva rifiutato, perché in fondo non vedeva mai neanche i suoi genitori, e avanzato la proposta che magari Tom può dormire qualche volta con me? Anche in questo caso avrebbe voluto protestare, ma, per la seconda volta di seguito gli occhioni del figlio lo avevano fermato. E poi sarebbero stati quanti, al massimo, quindici giorni? E non è che non lo avrebbe visto mai, ovviamente. Anche perché, in caso, sarebbe impazzito dopo le prime trentasei ore. Aveva poi riflettuto che non tutti i mali vengono per nuocere, e che ne avrebbe approfittato il più possibile per stare con Harry.

Che però, appunto, ancora non si era fatto vivo.

*

La mattina dopo, aveva sperato di trovare un messaggio, un segno che l’altro fosse ancora su questo mondo, ma niente. E, ok, se la sera precedente non era preoccupato, adesso gli stava crescendo un leggero groppo allo stomaco, ma non voleva sembrare una di quelle persone super apprensive che si allarmano subito, per cui gli aveva solo scritto se era successo qualcosa e se magari mi fai sapere per stasera?

*

All’ora di pranzo, stava per arrabbiarsi. Perché se fosse successo qualcosa a Harry, di sicuro qualcuno l’avrebbe avvertito. Dunque rimanevano poche opzioni e di queste, a meno che non avesse perso il cellulare, non gliene piaceva neanche una.

*

Alle sei, decise di prendere il toro per le corna, che se Maometto non fosse andato dalla Montagna, la Montagna sarebbe andata da Maometto e tutte quelle cose lì.

Chiamò Louis. E il fatto che gli avesse risposto con tono piuttosto incerto non lo aiutò a liberarsi dalle brutte sensazioni che da ore ormai lo stavano assillando. Ma, comunque, gli disse dove si sarebbero visti, e tanto bastava a Zayn.

*

Il pub era affollato e la musica alta, ma Zayn non si curò né di dare un’occhiata all’aspetto del luogo né, a malapena, di scusarsi con tutte le persone a cui andava addosso, troppo preso com’era a ricercare Harry e gli altri.

Gli sembrava di essere arrivato da secoli, quando finalmente avvistò la familiare testa riccia, e – coi i pugni serrati per evitare che le mani tremassero (Zayn non saprebbe neanche dire se dalla rabbia o dall’ansia, ma probabilmente a causa di un mix delle due), si avvicinò al tavolo e tutti lo salutarono con il solito calore. Solo Louis sembrava diverso dal solito, più preoccupato di quanto non lo avesse mai visto e magari vagamente triste? E proprio mentre cercava di capire di più dal suo sguardo, Harry si voltò e, davvero, se i suoi occhi avessero avuto il potere di uccidere, Zayn si sarebbe ritrovato cenere, sul pavimento, in un battito di ciglia.

“Cosa ci fai qui?” ecco, che era arrabbiato l’aveva capito benissimo. Provò a rispondere, ma l’altro non gli diede tempo.

“Gliel’hai detto tu? Non potevi farti gli affari tuoi, per una volta?” quasi ringhiò, rivolto al suo migliore amico.

“Dovete parlare, Harry” cercò di farlo ragionare Louis.

“Non abbiamo nulla-”

“Per favore, Harry” iniziò Zayn, implorando. Avrebbe voluto appoggiare una mano sulla spalla dell’altro, ma aveva la strana impressione che anche un così lieve tocco avrebbe bruciato entrambi.

Vide Harry prendere un respiro profondo, alzarsi e afferrare il giacchetto, precederlo verso l’uscita. Almeno è già qualcosa, pensò amaramente Zayn, è più di quanto non abbia ottenuto negli ultimi due giorni.

Alla luce dei lampioni, Harry, se possibile, appariva ancor più arrabbiato. E nervoso, se era indicativo il numero di volte che le sue mani si erano ritrovate impigliate nei suoi capelli. E triste abbattuto deluso? A Zayn sembrava di leggere tutto questo e anche più, nel suo sguardo stanco, ma non era sicuro di dove finisse la realtà e iniziasse la sua immaginazione.

“Cosa vuoi?”

Zayn gli avrebbe volentieri dato un pugno sul naso, perché davvero aveva il coraggio di chiedere una cosa simile?

“Scherzi, vero? Perché cazzo non mi hai risposto o richiamato ma sei come scomparso dalla faccia della terra?” girare intorno alla questione era l’ultima delle cose che Zayn voleva, per cui andò subito dritto al punto.

“Non saprei, prova a pensarci!” le labbra strette e le braccia incrociate al petto, Zayn non lo aveva mai visto più chiuso.

“Che cazzo ho fatto?” ok, non riusciva a capire come la colpa potesse essere la sua, adesso. E poi un minuto prima andava tutto bene, bene, e quello dopo era un disastro e Zayn non sapeva neanche dove avesse sbagliato.

“Quanto sei stronzo”

Doveva aver fatto qualcosa di enorme senza rendersene conto, perché in tutto quel tempo non aveva mai sentito Harry imprecare. Per nulla. A malapena diceva stupido.

“Che cazzo ho fatto?” si rese conto di averlo praticamente urlato, perché, anche se Harry sembrava non essersi scomposto affatto, per un attimo il cicaleccio che li avvolgeva si era silenziato e tutti gli sguardi delle persone intorno si erano fissati su di loro.

“Harry, cosa ho fatto?” ripeté, sottovoce, per quella che gli parve la millesima volta. Si sarebbe dato una botta in testa, perché lui non implorava mai nessuno e invece in quel momento la sua voce era tutta una preghiera. Era così strana che quasi non la riconosceva.

“Non lo so, prova con è tornata la mia non moglie, credo che me la terrò e tanto che ci sei vai a quel paese, Harry?” disse tutto d’un fiato, gli occhi che gli si allargavano progressivamente e la voce che si ruppe al tanto.

“Non moglie? Ma di che cazzo stai parlano, quale non moglie?”

“Non so, dimmelo tu. Quante non mogli hai? Forse sarebbe meglio se tu adesso fossi a casa, no? Sai, a riaccendere la passione e tutto il resto” fece, con tono ironico.

Harry doveva essere di colpo diventato schizofrenico, altrimenti non sapeva spiegarsi il perché di un tale comportamento. Riaccendere la passione con chi? Magari aveva preso un colpo in testa, stava dando davvero i numeri.

“Oddio, per l’amor del cielo, Harry, di che cazz-”

“Smettila di fingerti stupito, sai che sto parlando di Perrie”

“Come lo sai che Perrie è tornata?” chiese Zayn, dopo un attimo di silenzio.

“Se speravi di mantenere il segreto più a lungo, almeno dovevi assicurarti che non venisse a prendere Tom in piscina” incredibile come la sua voce, in pochi attimi, avesse cambiato sfumatura una decina di volte, notò Zayn. Da arrabbiata e poi ironica, ad amareggiata. E tra la coltre di confusione che aveva in testa, amareggiato si sentiva pure Zayn: non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo di così grave da stimolare una reazione del genere. Sentiva quella storia a malapena iniziata scivolargli tra le dita, come sabbia. E non era possibile, non era giusto, non stava succedendo davvero. Era quasi spaventato, sentiva il cuore battergli impazzito, le labbra tremare, brividi freddi assalirgli la schiena; e non sapeva come rimettere a posto le cose, perché Harry non si decideva a parlare chiaramente e lui non ci stava capendo più nulla. Non riusciva neanche a pensare bene perché tutto quello che il suo cervello sembrava saper formulare era un mantra infinito di nonono intervallato da fanculofanculofanculo, e se non si fosse fermato sarebbe scoppiato.

“Ma segreto di cosa? Guardami negli occhi! Segreto di cosa?” quasi urlò per la seconda volta, mentre afferrava l’altro per le spalle e lo inchiodava al muro. Harry alzò su di lui gli occhi che attimi prima erano intenti a guardarsi le scarpe.

“Che è tornata per stare con te e con Tom e che ha finito col lavoro e che… oh, vaffanculo, Zayn” terminò, cercando di svincolarsi.

Zayn fissò i suoi occhi in quelli verdi dell’altro e vi lesse la stessa tristezza che fino a dieci secondi prima aveva avvolto anche lui (e questo lo consolò, almeno sapeva che anche Harry teneva a loro), ma – anche volendo – non riuscì a restar serio per più di qualche momento, e scoppiò a ridere.

Quasi non riusciva a fermarsi, perché dai!, ma tra una boccata d’aria e l’altra il suo cervello registrò lo sguardo attonito dell’altro e, mano allo stomaco, si impose contegno. Ora che aveva più o meno capito quello che era successo, l’espressione arrabbiata di Harry invece che preoccuparlo lo invogliava a baciarlo. Sbatterlo forte contro il muro, così imparava a fargli prendere colpi, e baciarlo fino a togliergli l’anima.

“Questa è la tua risposta? Mi ridi in faccia?”

“E questo chi te l’ha detto?” giocò un po’, perché in fondo se lo meritava.

“Che mi ridi in faccia?”

“No, di Perrie. Chi te l’ha detto?” si spiegò Zayn.

“Lei, chi me lo deve aver detto, se no” disse Harry, irritato.

“E ti ha detto proprio così, che è tornata per restare. Per sempre. Che ha lasciato il lavoro. Che mi ama e che senza di me non può vivere” lo scimmiottò.

“Sì. No. Quasi, più o meno. Il senso era quello”

“Oh, vedo che hai le idee chiare. No, fammi parlare” aggiunse, vedendo che l’altro stava per ribattere. Appoggiò nuovamente le mani sulle sue spalle, questa volta più delicatamente, i pollici che accarezzavano circolarmente all’altezza della clavicola. “Non so da dove ti sia venuta questa idea, ma Perrie è qui solo per vedere suo figlio. Non è qui per restare, ha solo una pausa con il lavoro, e di certo non è qui perché mi ama. E anche se fosse, io non amo lei. E…” prese un respiro profondo, non sicuro se continuare o meno, perché magari Zayn stava correndo troppo e era chilometri avanti rispetto a Harry, ma aveva il bisogno di dirglielo, di farglielo sapere. “E poi ci sei tu, sto con te, adesso. Insomma, se lo vuoi anche tu” buttò fuori velocemente.

“Davvero?” soffiò Harry, le labbra che si stendevano in un dolcissimo sorriso, il primo che vedeva da giorni. A Zayn sembrava quasi di tornare a respirare dopo ore di apnea.

“Davvero” confermò.

“Sei mio?” chiese sottovoce, quasi sperasse che l’altro non lo sentisse.

“Se mi vuoi” confermò, abbozzando un sorriso.

Non aveva fatto in tempo neanche a dire a che Harry l’aveva già afferrato per la nuca, intrecciando le sue dita ai suoi capelli corti e facendo scontrare le loro labbra in un bacio quasi famelico.

Quando si staccarono per riprendere aria, Zayn, prima che l’altro potesse riavvicinarlo a sé, sussurrò un magari, la prossima volta non saltare alle conclusioni così, ché mi hai tolto venti anni di vita al quale Harry rispose solo con un rapido movimento di testa e un mi dispiace sussurrato a fior di labbra.

Si scambiarono un bacio più lento e languido di quello precedente, che fece vibrare ogni singola parte del corpo di Zayn, mentre il suo cervello esplodeva in un finalmente, neanche Zayn fosse stato in astinenza e Harry (le labbra, la risata, i capelli, il suo adorabile broncio, il modo in cui si svegliava la mattina, la sua dolcezza, la sua premura e basta, basta, o continuo all’infinito) fosse la sua droga.

“Portami a casa. A casa tua” chiese Zayn, con la voce più sexy del suo repertorio.

“Perché Tom e Perrie-” iniziò a chiedere Harry.

“No, no, Tom e Perrie dormono dai genitori di lei. Ma portami a casa tua, sarà ora di provare anche il tuo, di letto”

E Harry gli sorrise felice e piacevolmente sorpreso allo stesso tempo. L’aveva messa sullo scherzo, ma lui aveva comunque capito che Zayn stava davvero dando un calcio alle sue ultime paure, che stava lasciando dietro di sé dubbi e incubi, che non avrebbe avuto timore di quello che celavano le porte di Harry, ma che le avrebbe aperte tenendolo per mano.

Era vero che la paura di perdere qualcuno ti fa capire quanto tu tenga a quella persona, e Zayn, quella sera, aveva capito quanto tenesse a Harry; se lo sentiva nelle ossa, quanto sarebbe stato importante per la sua vita quel ragazzo dai modi troppo gentili e dagli occhi troppo verdi.

A Harry, Zayn avrebbe lasciato vedere tutto se stesso. Con Harry, Zayn si sarebbe lasciato andare completamente.

*

Nel dormiveglia, per prima cosa notò un braccio avvolgergli un fianco; poi un petto premere contro la sua schiena e gambe incrociate alle sue, piedi caldi intrecciati ai suoi perennemente freddi; poi, un respiro lieve sulla nuca e un battito in più, oltre a quello del suo cuore.

Aveva dormito a casa di Harry (casa che era da tutt’altra parte di Londra, rispetto al suo appartamento. Quando glielo aveva fatto notare, Harry era arrossito e se ne era uscito con un mugugnato ovvio, l’avevo detto solo per fare la strada insieme, ed è idiotissimo per cui finché ho potuto me ne sono stato zitto) e Harry era ancora lì ad abbracciarlo (il che era strano, visto che si svegliava sempre prima di lui); sorrise e stupidamente pensò che si sarebbe volentieri abituato a tutto quello, a quel calore e a quel senso di appartenenza (il miomiomio che Harry gli aveva sussurrato per tutta la notte mentre lo baciava, lo toccava e lo scopava riverberava ancora nella sua mente).

Sentì un cambiamento nel respiro e il corpo dell’altro muoversi, segno che anche Harry si stava svegliando. Si rigirò nell’abbraccio, ritrovandosi così di fronte agli occhi dell’altro che si stavano aprendo in quel momento.

“Ciao” gli disse, non appena l’altro sembrò ricordarsi chi fosse e dove si trovasse.

“Ciao” rispose Harry, sorridendo e sporgendosi per un casto bacio.

“Oggi hai da fare?” chiese, senza pensare. Decise che si sarebbe lasciato trasportare dal cuore o da qualunque cosa fosse ciò che lo stava rendendo così bisognoso di stare con Harry, far felice Harry, amare Harry.

“No, nessun programma” rispose, dopo averci pensato un attimo.

“Adesso sì, con me”

“E cosa hai in mente?” chiese, lo sguardo malizioso e le mani che andarono a stringere le natiche del compagno.

“Uhm. Vediamo. Sesso mattutino. Poi colazione. Doccia. Poi magari ci vestiamo, facciamo quello che ti pare, anche vedere quella noiosissima mostra fotografica di cui blateri da settimane, e poi andiamo a pranzo da me”

“Ma è sabato” disse Harry, dopo un momento di silenzio.

“Lo so… pensavo che potevo sfruttare le tue doti culinarie per fare un pasto decente a Tom, tanto per cambiare, e che tu potevi far bella figura con mia madre”

Zayn si prese un secondo per osservare il volto di Harry accendersi prima di meraviglia, poi di comprensione e infine di gioia.

“Davvero?” chiese, in un remake della sera prima.

Zayn annuì. Stava imparando che il motto se la vita ti volta le spalle non devi far altro che voltargliele anche tu con lui non aveva funzionato e che, anzi, solo se affronti qualche rischio e ti butti in cose più grandi di te, se ti fai artefice del tuo destino, puoi sperare che la sfortuna smetta di perseguitarti, sperare di aprire gli occhi e renderti conto che ti aspetta un mondo, un mondo con possibilità tutte da scoprire.

E, soprattutto, che è ancor meglio se, a scoprirle con te, c’è qualcuno di speciale.

 

Fine.

 

 

Note:

Buon primo maggio, gente!

Questa cosa era sepolta nel mio pc da un po’, così ho deciso di riesumarla in questo giorno di festa! È la primissima cosa che ho scritto per questo fandom, la primissima che scrivevo da secoli, in realtà, e ho pure l’impressione che un po’ si veda, ma va be’.

Mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensiate, dato che è, in pratica, la mia bimba ed è stata una mezza faticaccia scriverla ;) quindi, niente, qualsiasi parere è più che ben accetto!

A presto!

  
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