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Autore: blackmiranda    01/05/2013    9 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Field trip Field trip




Ade rischiò seriamente di perdere la pazienza, ma resistette stoicamente, rimandando l'incinerazione dei vasi e del loro contenuto ad un momento più opportuno.

Doveva tenersela buona ancora per qualche giorno. Ormai aveva ceduto: gran parte del piano era completata. Mancava solo quell'ultimo, insignificante dettaglio del matrimonio; fortunatamente, nonostante le avesse fatto credere il contrario, il suo assenso non era necessario.

Certo era irritante, con quella sua vocina stridula. Non faceva altro che sputare sentenze e tenergli il broncio. E quel cappello a forma di fiore che si ostinava a tenere in testa era davvero un pugno in un occhio.

Di sicuro era figlia di sua madre. Si augurava che la somiglianza non diventasse ulteriormente evidente col passare dei secoli.

“Dunque,” esordì nel suo tono più cordiale, “vogliamo iniziare il giro turistico?”

Persefone faceva la sostenuta. Era ancora in ginocchio, alle prese con i fiori che aveva fatto sbocciare pochi secondi prima. “Quanto ci vorrà?” chiese senza degnarlo di uno sguardo.

Ade fece un sorriso tirato. “Ehi, quarantotto ore me le hai promesse. Prima iniziamo, prima finiamo.”

La dea sospirò, alzandosi in piedi.

La guidò fino all'uscita della sala del trono. Una corrente d'aria gelida li travolse mentre si affacciavano alla lunga scalinata dai gradini umidi e scivolosi.

Persefone rabbrividì. “Dove stiamo andando?” gli domandò alzando gli occhi al soffitto, da cui pendevano grosse stalattiti.

Ade iniziò a scendere le scale. “Ho pensato che una gita in barca fosse l'ideale per rompere un po' il ghiaccio.” Lei lo seguì, riluttante.

Per essere una dea era davvero infantile. Era evidente che l'Oltretomba la spaventava. La cosa sarebbe stata alquanto patetica, se non si fosse trattato esattamente di ciò di cui Ade aveva bisogno.

Caronte li attendeva sulla sponda dell'Acheronte. La scricchiolante barca si muoveva appena, sospinta dalle onde.

Fece salire Persefone per prima. La dea si aggrappò al bordo dell'imbarcazione con entrambe le mani. “Che succede se cado nel fiume?” domandò spalancando gli occhioni rosa.

“Meglio evitare l'esperienza.” rispose lui cupamente. “Non è molto piacevole.”

“Non avevo dubbi.” commentò lei.

Caronte iniziò a remare lentamente, il corpo scheletrico piegato in due per lo sforzo.

“Eccolo qui, comunque. Acheronte. Tutto intorno all'Oltretomba. Le anime ci finiscono dentro dopo essere state centrifugate nello Stige, per cui di solito sono vecchie di qualche secolo quando arrivano qui. E' un fiume geriatrico, se mi passi il termine.”

Continuarono ad avanzare. Stranamente, nessuna delle anime dell'Acheronte sembrava essere attiva come quelle nello Stige. I loro lamenti erano fiochi e solo due o tre tentarono, invano, di afferrare la chiglia della barca.

Superata un'ansa del fiume, si avvicinarono al posto di guardia di Cerbero.

Il cagnone a tre teste latrò, le labbra rosse tirate sulle zanne affilate.

“Cerbero, figlio di Echidna. Buon cane da guardia, tutto sommato.”

Persefone fissò il mostro, una smorfia di disgusto stampata sul volto. “Non si può andare più veloci?” chiese rivolta al nocchiere.

Non ricevette risposta.

“Non può sentirti. E anche se potesse, non riuscirebbe a risponderti. Non è molto brillante, l'amico. Infatti, per quanto io stesso a volte faccia fatica a crederci, Pena e Panico sono dei geni, in confronto.”

La dea si sedette, titubante. “Se sono così stupidi, perché continui a usarli?”

Ade si strinse nelle spalle. “Convenienza, per lo più. Sono costretti a servirmi. E poi, a volte sono utili. Ad esempio, mia cara, non saresti qui se non fosse stato per i loro poteri mutaforma.”

Persefone lo guardò, confusa. “In che senso..?” Poi, all'improvviso, capì. “I conigli!” Si nascose il viso tra le mani. “Non posso crederci!” esclamò indignata. Sollevò il viso. “Sei un essere spregevole, Ade.” disse stringendo i pugni, la voce carica d'odio.

Il dio le sorrise, mellifluo. “Sapevo di piacerti, fiorellino.”

***
Hermes atterrò sul suolo di Nysa poco dopo mezzogiorno. Si guardò attorno. Sembrava tutto tranquillo.

Non aveva idea del perché Kore fosse sparita, ma non era preoccupato. In fondo, era pur sempre una dea. Non c'erano molte creature in grado di fare del male a una divinità.

Tutto sommato, l'ipotesi che più gli sembrava plausibile era quella della fuga. Probabilmente si era stufata di stare sempre su quell'isola semi deserta; francamente, non se la sentiva di biasimarla.

Svolazzò in giro per qualche minuto, cercando di prestare attenzione ai particolari.

L'unica cosa vagamente fuori posto era un grosso ramo di ulivo per terra. Sembrava fosse stato violentemente strappato dal tronco. Una prova? Ma di cosa?

Gli passò nella mente la fuggevole immagine della giovane dea che si aggrappava al ramo dell'albero per non venire trascinata via da un indefinito rapitore.

Scosse la testa. Quella era senza dubbio l'immagine che Demetra aveva in testa.

Si impose di rimanere razionale. Kore era una dea. Non c'era mostro sulla terra in grado di farle del male. Un'altra divinità, certo, avrebbe potuto. Ma chi? E perché?

L'idea del rapimento gli sembrava alquanto sconclusionata.

Tuttavia quel ramo spezzato gli comunicava un senso di inquietudine che non riusciva a scrollarsi di dosso.

“Non bastava il casino dei Titani...” mormorò tra sé e sé. Il pensiero di quei tremendi giganti lo faceva ancora rabbrividire, suo malgrado. C'era mancato davvero poco, quella volta.

Tutta colpa di quel maledetto di Ade. Si augurava che ci marcisse, nell'Oltretomba.  

Per lo meno lui era sistemato. Ci mancava solo che combinasse altri disastri. Fosse dipeso da Hermes, non avrebbe avuto il minimo scrupolo a rinchiuderlo nelle prigioni del Tartaro.

Decise di perlustrare l'isola. Magari Kore si era nascosta da qualche parte. Forse avrebbe potuto chiedere alle Oceanidi che abitavano lì vicino se avevano visto o sentito qualcosa.

***
Si avvicinarono ad uno spiazzo piuttosto grande, in cui era ben visibile un piccolo lago dalle acque bianche, quasi fosforescenti.

La barca di Caronte approdò dolcemente sulla riva.

Ade scese per primo, tendendo la mano a Persefone per aiutarla a fare lo stesso.

La dea ignorò il gesto. “So scendere da sola, grazie.” disse in tono altezzoso.

Ade sospirò in modo teatrale. “Uno cerca di essere gentile...” disse, melodrammatico.

Persefone incrociò le braccia. “Che freddo fa qui...” la sentì mormorare.

“E' normale, siamo sulle sponde del Lete. Le sue acque sono le più insidiose che troverai in tutto l'Oltretomba. Se le tocchi o ti ci immergi, svieni. Se le bevi, basta un sorso per farti perdere la memoria. Non importa che tu sia un mortale o un dio... Tabula rasa, non ricordi nemmeno il tuo nome.” spiegò lui con una punta d'orgoglio nella voce, mentre entrambi osservavano la polla d'acqua argentata.

La dea sussultò, come svegliatasi da un incubo. Distogliendo lo sguardo dal Lete, riprese un'espressione imbronciata. “Quanto è grande il tuo regno?” chiese.

Ade ghignò. “Piuttosto grande. Ma cerco sempre di espandermi, quando mi capita l'occasione.”

Persefone scosse la testa. “Non capisco perché Zeus dimostri così tanta clemenza nei tuoi confronti. Fosse per me...” disse con voce petulante.

Il dio le si avvicinò, improvvisamente di cattivo umore. “Forse”, fece abbassando la voce in tono minaccioso, “forse il tuo caro Sputafulmini ha bisogno di me. Forse non ha l'autorità per sbarazzarsi di me. Forse stai parlando con uno dei tre dèi più importanti di tutto il cosmo, e forse dovresti evitare di farmi arrabbiare.”

Persefone era indietreggiata e si teneva una mano alla gola. “M-mi dispiace.” sussurrò impaurita.

Ade fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.

Non era sicuro che spaventarla a morte fosse il modo migliore di procedere.

Doveva ammettere che tutta quella situazione iniziava ad essere pesante. Insomma, c'era un motivo se non aveva mai neanche provato a prendere moglie, in tutti i suoi secoli di onorata carriera.

Rimasero in silenzio per un bel po' di tempo.

Persefone sembrava paralizzata dallo shock. Aveva lo sguardo fisso a terra e le mani serrate vicino al cuore.

Lontano, si udivano fiocamente i lamenti delle anime dello Stige.

Infine, Ade le mise un dito sotto il mento, facendole alzare lo sguardo. “Devi perdonarmi, fiorellino. E' che sono, come dire, sensibile a questo tipo di argomenti. Ma non è successo niente di grave, non preoccuparti. Solo, cerchiamo di non menzionare più mio fratello e i suoi allegri compari. Intesi?” disse, sforzandosi di suonare il più gentile possibile.

La dea annuì, poi, all'improvviso, scoppiò in lacrime.

Ade si ritrasse di scatto, come punto da un serpente.

“Ti prego,” lo supplicò lei tra i singhiozzi, “ti prego, lasciami andare. Lo vedi anche tu che così non può funzionare, che siamo troppo diversi, e io non voglio rimanere qui per il resto della vita. Ti prego, non riesco a capire, perché proprio io? Neanche ti conoscevo prima che mi portassi qui! Perché non ti sposi quella dea con cui parlavi stamattina..?”

Ade, che alle suppliche di Persefone aveva alzato gli occhi al cielo per l'esasperazione, li abbassò all'improvviso. “Stai parlando di Eris?” chiese stupito.

“Non so chi fosse, non l'avevo mai vista prima.” rispose lei, asciugandosi gli occhi gonfi.

Il dio dei morti sbuffò, infastidito. “Eris non è il tipo di dea con cui voglio avere a che fare. Per lo meno, non ora.”

Persefone inspirò profondamente. “Davvero non capisco cosa possa interessarti di me, comunque.” protestò stancamente.

Ade la condusse verso la barca, che era rimasta ormeggiata presso la riva ad attenderli. “Oh, sono certo che un giorno capirai, riccioli d'oro.” disse in tono lugubre.

***
Diverse ore dopo, Persefone era riuscita a congedarsi e a trascinare nella sua stanza una decina di vasi pieni di terra scura e umida, nei quali aveva prontamente fatto spuntare centinaia di fiori colorati.

Far crescere piante e fiori era ciò che sapeva fare meglio, e in quel particolare frangente si era dimostrata l'unica occupazione in grado di rinfrancarla.

Al momento era calma, nonostante lo spavento di quel pomeriggio; si sentiva una stupida, e si odiava per essersi dimostrata così debole e vulnerabile di fronte al dio dei morti.

Durante l'interminabile traversata dell'Acheronte, aveva avuto modo di riprendersi e di riflettere seriamente sulla propria condizione: se davvero Ade aveva fatto in modo di non lasciare tracce che potessero ricondurre a lui, per sua madre non sarebbe stato facile trovarla.

Era ancora convinta di aver fatto la scelta giusta ad accettare il patto delle quarantotto ore, ma non riusciva a fidarsi di Ade. Temeva che avrebbe trovato un modo per rendere il patto nullo: una scappatoia o qualcosa del genere.

Doveva stare attenta, non farsi raggirare dal suo rapitore, ma allo stesso tempo temeva la sua ira.

Si disse che avrebbe evitato di fare commenti maligni (per quanto meritati essi fossero) e che si sarebbe limitata ad ascoltare quello che aveva da dirle e ad osservare ciò che voleva mostrarle.

Dopodiché, allo scadere delle quarantotto ore promesse, gli avrebbe ripetuto che non voleva essere sua moglie.

Un brivido le attraversò la schiena. Il pensiero di essere legata per l'eternità ad un essere così spregevole la disgustava.

Non succederà, si disse con decisione mentre faceva sbocciare un narciso giallo e arancio. Non può succedere. Non a me.

Se fosse stata una ragazza mortale, in quel momento avrebbe maledetto gli dèi per quel crudele scherzo del destino.

Finì per addormentarsi solo in tarda notte, impaziente di consumare quelle poche ore che, credeva, la separavano dalla libertà.

Purtroppo per lei, le Parche tenevano in mano i fili del destino di tutti, mortali e divinità. E, purtroppo per lei, le Parche avevano un debole per Ade.











Buondì, gente! :D Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. ^^ Dal mio punto di vista, qualsiasi interazione tra Seph e Ade è uno spasso. ;) Lascio la parola a voi: al mio segnale, scatenate l'inferno! xD
Spero di riuscire ad aggiornare nei tempi previsti: purtroppo Maggio è mega sessione di esami, ma farò del mio meglio.
Un abbraccio a tutti voi. :D 


   
 
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