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Autore: Emerson    02/05/2013    2 recensioni
Martina ha quasi 15 anni, Leonardo quasi 18.
Leonardo è uno degli amici più fidati di Riccardo, fratello di Martina.
Martina dice sia una cosa sbagliata, ed impossibile, a volte lo dice anche Leonardo. Ma sbagliando s’impara, forse no.
Forse in amore anche se si sbaglia non si impara mai. Leonardo e Martina non imparano.
‘’Forse è una cosa sbagliata, forse insieme siamo sbagliati.’’ Dissi, mentre le lacrime incominciavano a salire, e gli occhi già lucidi.
Lui si girò e mi guardò, perso. Io intanto mi persi nei suoi occhi. Poi si girò nuovamente e rivolse il dito al panorama dinanzi, buio ma tempestato da tante piccole luci appartenenti a sua volta a tante piccole case. Martina aveva sempre amato quel posto, e Leonardo ce la portava spesso. Poi rivolse il dito in alto, e indicò l’imponente cielo e le innumerevoli stelle. Rivolse il capo verso di me, e mi guardo negli occhi.
‘’Noi siamo molto, molto di più, di tutto questo.’’
E’ un romanzo, scritto dalla stessa Martina, la stessa quattordicenne, con la fantasia e l’immaginazione un po’ fuori limiti. Martina, ama sognare.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Bondage
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‘Ciao!’
Presi il mio zaino in spalla e uscii dall’aula.
Ero totalmente rincoglionita dal mal di testa, nelle ore precedenti si era tenuta l’assemblea d’istituto e non era stato tutto poi così silenzioso, qualcuno mandò anche affanculo la rappresentante e io avevo una voglia estrema di mettermi delle dannate cuffie ed estraniarmi da tutti quei coglioni che mi davano ai nervi, mi sembrava però sempre troppo maleducato allora mi ostinavo a non metterle, o a leggere. Dio quanto avrei voluto mettere le cuffie, aprire il mio libro e leggere. Non sentire tutti quei brusii e quella stancante, noiosa e fottuta assemblea d’istituto. Starmene in pace.
Attraversai velocemente il corridoio, mentre le mie mani cercavano di sfilare i fili delle cuffie incastrate tra loro, nonostante l’opprimente mal di testa non riuscivo a rinunciare alla musica, alle cuffie, al mondo silenzioso che si ricreava nella testa con una estrema colonna sonora che ti portava ovunque, nonché fuori dalla sporca realtà. Dove a renderla sporca contribuivo anche io.
Attraversato il grande arco che costeggiava l’entrata e adesso l’uscita, mille piccolissime pietre di ghiaia finirono sotto le mie suole, osservai per un attimo quelle piccole pietre che saltavano all’impatto. Cercai un piccolo posto tra la folla che dava calore quasi quanto quel sole che nel dì splendeva in un modo assurdo, mi scostai ancora un altro po’ e poi riuscii ad uscire.
Ancora un po’ e potrai mettere le cuffie, solo un altro po’.
Abbassai la testa, per evitare di inciampare tra tutte le scarpe, scesi gli scalini..
‘BUONGIORNO MARTI!’ Mi chiesi chi era l’idiota che mi gridava il buongiorno alle dodici e mezza. Amplificando di gran lunga il mal di testa. Amplificò anche il mio nervosismo.
Mi girai, e, il mio respiro si fermò. Leonardo, era davanti a me, con il suo solito, largo, e bellissimo sorriso. Inutile dire che cercai di rimangiarmi l’ultimo aggettivo che gli avevo attribuito.
‘Buongiorno’ risposi sgarbata, e frastornata.
Ride. E il suo sorriso si allarga ancora, e i suoi occhi si infittiscono, le guance si sollevano, e io perdo un altro respiro, un altro battito.
Senza aspettare altro mi giro, e continuo a camminare.
‘Aspetta, dovrei venire a mangiare a casa tua oggi, tuo fratello mi ha detto che esce all’una, quindi dovrei venire solo… e potremo andare insieme!’
E’ una cattiva idea, è una cattiva idea.
‘Okay, va bene.’ Avevo l’amaro difetto di essere timida, e avevo paura sbagliassi e sembrassi stupida qualsiasi cosa dicessi. Così molte volte mi limitavo all’indispensabile.
Sorrise di nuovo, un altro battito andato via.
Mi scrollai da quel sorriso e incominciai a camminare, senza aspettarlo.
‘Dove vai?’
Mi chiesi se mi prendeva in giro. ‘A casa?’
‘A piedi? Ho la vespa, sali!’
Presa anche dall’imbarazzo andai verso di lui, mi bloccai, davanti la vespa.
‘E se ti dico che non mi fido?’ Dissi, guardandolo negli occhi. Quanto è bello.
Rise quasi di gusto, alzò un sopracciglio, e arricciò le labbra, diventando buffo. Pensai che dopotutto mi divertiva.
‘Eddai, ma sei tremenda. Fidati, prometto che non vado veloce.’’ Si mise una mano sul cuore, che stupido. Questa volta risi anche io.
‘Quello tremendo sei tu. Mi fido, ma se perdo qualcosa, abbi la decenza di tenermi sulla coscienza per la vita.’ Dissi, sorridendo. Incominciavo ad essere felice come una pasqua.
‘Offerta accettata.’ Si sedette allora sulla vespa, spinse in avanti facendo scattare il cavalletto e introdusse le chiavi nella serratura ormai rovinata e trasandata. Si tolse il casco che teneva sul braccio e me lo porse.
‘Mettilo.’
‘E tu?’
‘Quante storie, mi terrai sulla coscienza anche tu. Mettilo!’
Feci una smorfia e misi il casco.
La moto tossì, e partì. Il mio cuore no.
Tutto, tutto era fermo, ma allo stesso tempo sembrava tutto girasse intorno a noi.
Il suo profumo sembrava mi confondesse, e a me piaceva. Piaceva quella confusione, piaceva lui. Era la prima volta che lo dicevo, e forse mi spaventai, non perché non volevo provare sentimenti, né perché me ne volevo stare solo e soltanto per i cazzi miei, senza problemi, anche perché sapevo benissimo che i problemi arrivavano comunque, ma perché sapevo sarebbe stato una merda, insomma, lui è uno degli amici più stretti di mio fratello Riccardo, e non sarebbe potuto mai succedere niente. Non volevo aspettare, non a lungo, come ho sempre fatto, perché nel mentre non mi rendevo conto che intanto che aspettavo, lui viveva la sua vita, senza di me, comunque sia.
Mi distrassi da pensieri inutili e mi accorsi in tempo che non stava prendendo la strada giusta, la direzione giusta, casa mia! Entrai in confusione e le mani presero a tremare leggermente.
‘Lo sai che dovevamo scendere per andare a casa mia, vero?’ Urlai, cercando di farmi sentire tra tutto il frastuono, mentre l’aria ci spostava i capelli e ci dava freschezza.
‘Si.’
‘Allora torna indietro..!’
Mosse il capo da una parte all’altra mentre rideva divertito. ‘No.’
‘E’ uno scherzo?’
‘No.’
‘Fammi scendere.’
‘Eh va bene.’
‘Davvero?’ Non pensavo sarebbe stato tanto facile, meglio così.
‘Si, siamo arrivati.’
Spense il motore e scese. Mi guardò ridendo: ‘Tu non volevi scendere?’
‘Sei uno stronzo!’
‘Sei piccola per dire queste parole, sai?’
‘Sei grande, eppure sei un idiota, sai? Mentre io ho quindici anni, e sembro molto più intelligente di te.’
‘Sembri.’ Disse ridendo. Io feci una smorfia.
‘Scendi, o ti prendo in braccio.’
Scesi in un attimo, mai stata più agile.
Si avvicinò, e tese le mani sul cinturino del casco mentre mi guardava fermamente negli occhi. Credevo fermamente che a poco sarei ceduta, tutto dentro di me era in subbuglio, metteva in subbuglio tutto, con quel verde accesso. Pensai quanto fosse stato dolce quel gesto.
Me lo sfilò e io, se pure a scatto ritardato, mi affrettai ad aggiustare i capelli arruffati ed elettrizzati.
Fece qualche passo e aprì un piccolo e basso cancello, seguito da un corto viale, poi da qualche gradino e infine da un grande portone marrone scuro.
‘Prego signorina!’ Allungo un braccio con tanto di mano composta facendo poi un piccolo inchino, io lo guardai storto mentre mi sfuggiva un sorriso a labbra chiuse.

Mi fermai sull’entrata, quando ormai la porta era già stata aperta e spalancata.
La casa era molto bella. Un grande salone ben arredato era dinanzi a me, due divani di pelle neri formavano un angolo mentre davanti loro, al muro, era sistemato un grande televisore a schermo piatto. Dietro i divani era posta una grande cristalliera, e intorno varie piante.
‘Entra, su.’ Mi disse allargando un sorriso.
Lo guardai storto, come per ricordargli che era stato ingiusto.
Roteò gli occhi: ‘Eddai, sono solo, vuoi farmi mangiare solo?’
‘Ecco, non volevi mangiare in solitudine, adesso capisco tutto, sembrava strano!’ Dissi con espressione ovvia e sarcastica.
‘Non ho detto questo, non fraintendermi.’ Rispose serio, come ad evidenziare che non gli piaceva pensassi questo neanche sarcasticamente.
Lo ignorai, feci un sospiro arreso, ed entrai.
‘Permesso.’
‘Ma se ti ho appena detto che non c’è nessuno!’ Disse ridendo.
Lo guardai e risi, mentre seguivo i suoi passi. Entrammo nella cucina, i mobili erano di un bianco candido, era sistemata tutta su una parete, e davanti, era sistemato il tavolo, di un chiaro legno beige.
‘Hai una bella casa.’ Ammisi. Lui si girò, e mi sorrise: ‘Grazie.’ Ammiccò sorridendo a labbra chiuse.
Osservai un altro po’ intorno mentre lui tirava fuori una pentola che riempì d’acqua e posò sul fuoco.
Bip, bip, bip, bip.
‘Mh, il telefono.’ Come avvisato presi il mio telefono: ‘’Mamma’’ 
‘Ciao mamma.’
‘Martina, mi ha chiamato tuo fratello, come mai non sei ancora a casa per mangiare?’ Oh, merda. Me n’ero completamente dimenticata.
‘Mh, si, ecco, mangio da Carolina! Mi sono dimenticata di chiamarti, scusami.’ Leonardo si girò, soffocando una piccola risata. Arrossii.
‘Quando pensavi di chiedermelo?’ ‘Mh, adesso. Posso?’ ‘Va bene, ormai ci sei. Ma torna subito.’ ‘Okay, ciao mamma.’
Schiacciai il piccolo bottone rosso, e un po’ di ansia svanì.
Sentii subito dopo la risata di Leonardo. ‘E così mi chiamo Carolina, eh?’
‘Simpatico, vuoi per caso che la richiami e le dica che sono qui?’
Il sorriso gli morì, di colpo. Io risi. ‘No.’ Disse secco.
‘Ti piace pasta e tonno?’
‘Potrei vivere solo di pasta e tonno, non potrei vivere senza!’ Dissi immediatamente, tanto da non rendermi subito conto della frase idiota.
‘Oh.’ Disse fingendosi sbalordito. Avanzò verso di me, erano pochi metri quelli che ci dividevano e adesso erano ancora di meno. Arrivò a poco, pochissimo da me.
Le gambe incominciarono a tremare, e il cuore a scalciare e martellare contro la gabbia toracica, la cucina sembrò incominciare a girare.
Nel panico appoggiai una mano sul tavolo, e una sul davanzale, deglutii forte quando a poco i nostri nasi potevano sfiorarsi e feci un passo indietro. Lui fece un passo in avanti.
‘E potresti vivere senza di me?’ Disse piano. Feci di nuovo un passo indietro. Mi ripetevo di scappare, ma nessun muscolo aveva la forza di muoversi. Mise una mano sulla mia schiena impedendomi di fare un altro passo allontanandomi così da lui. Fece un passo in avanti. Chiuse gli occhi, si avvicinò. I nostri nasi si ormai sfioravano, chiusi gli occhi anch’io.
‘A-assolutamente s-si.’ Dissi con poco fiato e sminuzzando e balbettando le parole. Mi mancava l’aria. Mi venne in mente che forse lui era il mio ossigeno.

                          
                                                                    ‘’Tu sei il mio ossigeno, potrei mai vivere senza ossigeno?’’


‘Davvero?’ Disse, avvicinandosi. Sentivo il suo respiro soffiare su di me.
‘P-probab..’ Deglutii. Le parole mi si spezzarono in gola quando aprii gli occhi e vidi i suoi a pochissimi centimetri da me aprirsi, sfoggiare così i bellissimi e caldi occhi verdi che mi lasciarono senza fiato. Cercai di deglutire nuovamente per prendere un minimo di forza. Si avvicino ancora di più.
Adesso anche le nostre bocche si sfioravano.
Ero sicura, ero sicura della mia instabilità, ero sicura che a poco sarei potuta cadere, le mia gambe non avrebbero potute resistere ancora per molto.
Si avvicinò ancora, ancora un altro po’.
Abbassò e rialzò lievemente il capo facendo toccare il suo labbro inferiore con il mio.
La mia mente sembrava offuscata, un brivido percorse tutto il mio corpo.
Chiusi gli occhi, chiuse gli occhi. Poi soffici labbra si posarono leggere sulle mie, circondai anch’io la sua schiena con il mio braccio.
Fece schioccare un bacio, un piccolo bacio sulle labbra. Un bacio soffice, ingenuo e leggero.
Fu il più bello, il più bello di sempre. Non avevo mai baciato nessuno, ma ero sicura, ero sicura quello fosse il più bello.
Ci allontanammo di poco, e tutti e due sorridemmo, sorrisero gli occhi, sorrise la bocca. Ripetei a me stessa di non aver mai visto tanta bellezza.
Mi distrasse un leggero rumore, anche se difficilmente spostai lo sguardo e vidi l’acqua bollire forte e subito dopo, dietro Leonardo, l’acqua bollente incominciare a scendere, molto probabilmente a pochissimi metri da lui.
‘Cazzo!’ Dalla mano che avevo ancora dietro la sua schiena lo spinsi subito contro di me, e come a  reazione a catena inciampammo tra i nostri piedi bloccati tra il poco spazio che era presente tra il tavolo e la cucina, perdemmo equilibrio e cademmo all’indietro.
Il suo viso era confuso, e forse un po’ divertito. Il mio solo divertito. Scoppiai in una fragorosa risata. ‘Ma che..’ Girò lo sguardo verso di me e sorrise. Pensai che forse sorrideva per la mia felicità e la mia risata. Poi guardò verso la pentola, guardò l’acqua, e scoppiò a ridere anche lui.
Si alzò veloce e spense il gas, poi tornò e mi tese la mano e guardandomi mi disse divertito: ‘Alzati mia eroina.’ Presi la sua mano che notai fredda. Anche con il mio aiuto mi tirò su di peso dalla mano, di slancio finii a poco da lui e veloce mi diede un altro piccolo bacio, che fece saltare il mio cuore. Ancora con le mani unite si allontanò, sorrisi mentre le mie guance prendevano un colorito quasi porpora, sorrise guardando le mie guance.
‘Hai delle mani fredde.’
‘Oh, scusami.’ Adesso quello che arrossì fu lui.
‘Ma non ho mai detto mi diano fastidio.’ Dissi allargando un sorriso.
‘Allora grazie, mia signorina.’ Scherzò con tono nobile.
‘Mi sa che è meglio un panino per pranzo.’ Dissi ridendo.
‘Oh, bhè, lo credo anch’io.’ Disse ridendo. ‘Sicura che non vuoi la pasta?’ ‘Sicura.’ Dissi sorridendo.
‘Tu?’ ‘Sicuro.’ Disse ridendo.
‘Allora vada per il panino.’
‘E per un altro bacio?’ Finii sorpresa e spiazzata da quella domanda. Alla fine sorrisi:
‘Vada per un altro bacio.’
Mi avvicinai, e si avvicinò, un altro soffice bacio mi venne stampato sulle labbra. Mi sembrava di essere leggera, come una piuma, senza alcun pensiero tra la testa affollata, adesso affollata da lui.
  
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