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Autore: Lady Vibeke    21/11/2007    20 recensioni
Un anno intero tra me e il ricordo di quella foto, di quel luogo, del dolore bruciante che ancora mi consuma.
Un anno di solitudine e lacrime mai versate, un anno di giorno e notte che abitano nello stesso buio, un anno di cambiamenti e tentativi falliti di vivere ancora.
Un anno con metà cuore, metà respiro, metà forza, metà anima. Metà di me stesso ad arrancare senza uno scopo attraverso giorni infiniti e soli, apatici, ad esistere ricordando il sapore di vivere che da troppo tempo non sento più.
Un anno. Un fottuto anno di merda senza di te, Bill.
L’inferno.
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'Autrice: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.

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All of my memories keep you near
In silent moments
Imagine you'd be here
All of my memories keep you near
Your silent whispers, silent tears

(Within Temptation, Memories)


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È qualcosa di vergognosamente patetico il modo in cui mi sforzo di tenere gli occhi aperti e continuare a guardare. Rigido ed impettito, immobile sotto la pioggia gelida, e i miei occhi puntati in avanti, fissi su un punto indefinito nel vuoto. Vuoto come la mia espressione, vuoto come le mie mani, vuoto come ogni singolo battito di ciglia su occhi che non vedono più altro che grigio senza sfumature.

Vuoto come me.

Sembra quasi un perfido tiro mancino del destino, ritrovarsi da soli il giorno del proprio compleanno, a pensare alle cose passate, a quelle presenti, e a quelle future. Utopie.

Ricordo eventi già accaduti ma mai sepolti, penso al tempo che mi scorre addosso come se io non esistessi più, come se fossi uno spettro di luci e ombre riflesso nel vetro di una fotografia sbiadita che mi somiglia da far male. Da uccidere.

Un anno intero tra me e il ricordo di quella foto, di quel luogo, del dolore bruciante che ancora mi consuma.

Un anno di solitudine e lacrime mai versate, un anno di giorno e notte che abitano nello stesso buio, un anno di cambiamenti e tentativi falliti di vivere ancora.

Un anno con metà cuore, metà respiro, metà forza, metà anima. Metà di me stesso ad arrancare senza uno scopo attraverso giorni infiniti e soli, apatici, ad esistere ricordando il sapore di vivere che da troppo tempo non sento più.

Un anno.

Dodici mesi d’incubo, cinquantadue settimane di agonia, trecentossessantacinque giorni per morire lentamente.

Un anno. Un fottuto anno di merda senza di te, Bill.

L’inferno.

E non profuma d’estate, questa pioggia, non profuma di sole e di calore, ma è qui per mascherare il mio pianto, cancellando il velo d’acqua e di sale che sfiora il mio viso freddo. Un anno fa ho perso me stesso il quel punto preciso dell’universo, con un addio che aveva sembianze di esecuzione capitale.

Io, in piedi davanti ad una voragine, e la mia essenza dentro, perduta.

E poi il nulla.

Te ne sei andato in una livida mattina estiva che pareva d’autunno, al cospetto di un cielo in lacrime che sembrava aspettare solo te, riflesso senza luce nei tuoi occhi spenti, vacui, esanimi.

Al di fuori di te, al di fuori di noi, il mondo urlava.

Volevo morire, volevo piegarmi e lasciarmi schiacciare dall’agonia. Volevo urlare ed uccidere ogni singolo essere vivente sulla faccia della terra. Volevo afferrarti la mano e ritrascinarti indietro, perché era folle, e insensato, e inaccettabile, lasciarti andare così, senza combattere.

Invece no.

Piansi.

In silenzio, perché il silenzio è padre del rispetto e della sofferenza, e lasciai che tutta la mia fragilità di umile essere umano si riversasse al di fuori di me come una bandiera bianca da mostrare al mondo.

Era la mia resa, l’accettazione impotente, l’esalazione del mio ultimo respiro. Senza di te.

Mi manchi, lo sai?

Cazzo se mi manchi.

Non so più quante volte mi sono ritrovato a parlare al tuo letto vuoto, seduto a terra nell’oscurità assoluta, a chiederti ragioni che nessuno mi darà mai, a ridere con te senza che tu ci fossi, ad abbracciare un vuoto che tu avresti dovuto riempire, e cantare, cantare, cantare.

Insieme nella notte.

Mai più.

Il buio ti ha preso.

Il buio ci ha preso. Io qui, tu là, ovunque ‘là’ sia, qualunque cosa tu stia facendo.

Pensami, ogni tanto.

Georg e Gustav non sono qui, oggi, e nemmeno Andreas, e so che li perdonerai, perché hanno le loro buone ragioni.

Andreas aveva l’esame di laurea, e in questo momento probabilmente già stringe tra le mani il suo dottorato in Medicina.

La nonna di Gusti è morta stanotte, un ictus. Lui e la sua famiglia sono insieme ora, e tu forse sei con nonna Schäfer, adesso.

Georg… Be’, lui è stato senz’altro più fortunato. Di me, di te, di Gustav. Di tutti.

Questa mattina è nata Silke, la sua bambina. Ci crederesti? Georg è papà.

Ricordi Maike, quella ragazza di Francoforte che avevamo assunto tre anni fa come tecnico del suono? Uscivano già insieme da un pezzo, quando tu ci hai lasciati, ma lo abbiamo scoperto solo dopo. Sono fidanzati da un anno, ora, e tra due mesi si sposano.

Incredibile, vero?

La vita va avanti, tutto continua. Io invece sono sempre qui, a sentire la tua mancanza e a piangermi addosso per non essere stato in grado di costruire qualcosa sopra alle macerie che ti sei lasciato indietro.

Porto fiori bianchi sulla tua tomba, in ginocchio davanti al tuo sguardo sereno, e mi chiedo quanto tempo dovrà ancora passare prima che qualcun altro faccia lo stesso per me.

Insieme, sempre. È una promessa che né tu ne io abbiamo saputo mantenere. Sono un codardo, Bill.

Non so più per che cosa combattere, per che cosa valga la pena di vedere l’alba di domani, e vorrei tanto che tu fossi qui, adesso, a prendermi per mano e farmi coraggio, come facevi anni fa. Come hai sempre fatto.

Mi sono tagliato i rasta, il giorno del tuo funerale. Te li sei portati via assieme a tutto ciò che sapevo di felicità e speranza, e anche se ora i capelli sono di nuovo lunghi, ho deciso che non li rifarò mai più.

Era una cosa tutta nostra, quella dello stile, e ci piaceva guardarci a vicenda, identici ma così diversi, e ridere davanti ad uno specchio di quanto sembrassimo ridicoli l’uno all’altro.

L’ho dimenticato, Bill. Ho dimenticato come si ride.

Ho intenzione di andare da Gustav, ora, e stargli vicino almeno per un po’, poi passerò a trovare Georg e Maike e la loro piccola Silke, e chissà mai che riesca a ritrovare un minimo di calore umano in loro e nella loro gioia.

Credo di avere bisogno dei miei amici più di quanto loro abbiano mai avuto bisogno di me.

Vorrei poterti salutare con la promessa che andrà tutto meglio, un giorno, e che troverò la mia strada anche senza di te, ma non riesco a mentire, né a te, né a me stesso, né a nessuno.

Forse avverrà il miracolo, prima o poi, e magari anch’io troverò il mio posto nel mondo, e mi laureerò come Andreas, e imparerò a dire addio come Gustav, e forse avrò anche una famiglia come Georg.

Forse.

Fino ad allora, Bill, veglia su di me e proteggimi da tutto quello che non so combattere da solo.

Ricorda, per me tu sarai sempre sacro.

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A/N: Orbene, so che ho appena cominciato una nuova ff, ma questa mi frullava in testa da un po', e siccome sono la regina dell'Angst, ho deciso di darle vita. E' triste, lo so, ma abbiate pazienza con questa povera sadica squilibrata che ama tanto torturare (virtualmente, s'intende) chi ama di più. ^^
Al solito, i commenti sono i benvenuti, ci tengo a sapere cosa pensano le persone delle mie piccole follie scritte. Danke in anticipo.
   
 
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