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Autore: Disvaloue    02/05/2013    13 recensioni
In alcuni momenti, Harry era più acido di una ragazza con il ciclo. E come una ragazza mestruata, irrimediabilmente lunatica. E affamata. Ma se solitamente le ragazze hanno voglia di gelato, o di cioccolato, Harry sentiva la necessità di qualcosa di ben più sostanzioso. Non a caso quella sera, alle tre di notte passate, gli era venuta voglia di pollo arrosto, e ora si lanciava sul divano davanti a Louis per mangiarselo in santa pace.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Louis era appena ritornato nel tour bus dopo aver subito l’ennesima ramanzina del management, che, anche quella sera, anche se lontani da casa e dall’Inghilterra, non era mancata. Se non ci stava a pensare troppo, quella situazione era decisamente ridicola. Tragicomica, avrebbero detto i libri di scuola. Era stato un bel concerto, quello di quella sera; certo, come le decine di concerti che avevano fatto fino ad allora e probabilmente come sarebbero stati tutti quelli a venire. E si era comportato bene, tra l’altro. Niente di male, niente di anormale. Anzi, pensava Louis, quella sera nessuno avrebbe potuto dirgli che aveva esagerato. Perché si era trattenuto. Aveva evitato Harry in tutti modi, non l’aveva guardato, non gli aveva dedicato attenzioni particolari. Insomma, si era comportato come un alunno modello; e come un pessimo fidanzato, ma questa era un’altra storia. Era stata forte la tentazione di sorridergli come uno scemo per tutto il tempo. Ma forse ancora più forte era, nel suo petto, la convinzione che non avevano ancora chiarito del tutto la situazione che aveva reso le cose tra loro un po’ più freddine del solito. L’aveva perdonato, certo, quando mai non lo faceva? ma ancora gli teneva un po’ il muso, giusto per fare il fidanzato offeso, l’amante geloso. Qual era, tra l’altro. I capi, quella sera, potevano essere orgogliosi di lui. Eppure, perfino quella volta, avevano trovato il modo per rimproverarlo e farlo sentire in colpa, come al solito. Per cosa poi? Per una cosa che aveva solo migliorato la situazione, dalla loro prospettiva. Ripensandoci, a Louis scappò una risata fuori dalla gola. Il problema è che non era riuscito a rimanere indifferente a quello striscione che aveva visto dalla pedana volante, durante Moments. Quella bella scritta colorata, quell’ invitante “Fuck Modest!”, sembrava lì apposta per farlo ridere un po’ durante una canzone fin troppo triste, per i suoi gusti. E fu un attimo, quello in cui aveva guardato la ragazza che, orgogliosa e sfacciata, teneva ben teso lo striscione sopra la sua testa. Un attimo, un secondo, in cui con l’indice aveva indicato la scritta, senza un vero perché in realtà, forse solo per far capire alla ragazza che aveva visto e, non lo dicesse a nessuno, condivideva. Poi si era rigirato, e neanche ci aveva più pensato, preso da altre cose, preso da Harry che continuava a puntargli i suoi occhi addosso, preso dai suoi stessi tentativi di rimanergli indifferente, preso dalle orecchie che avevano ricominciato a fischiargli. Insomma, un concerto come tanti altri. Solo dopo, gli avevano detto che quel suo gesto innocente di tacita approvazione era stato letto, dal pubblico ma specialmente da quella stessa ragazza, come un chiaro e simpatico ‘Vaffanculo.’ ‘Ma io non lo farei mai! E poi non ho usato il medio.’ Louis non se capacitava: non capiva come la gente potesse pensare che lui fosse così poco riconoscente ad ogni singola persona che riempiva quell’arena, in particolare a quelle che avevano capito tutto della loro vita, e non capiva perché il management se la potesse prendere con lui, lui che era passato come loro paladino, ineluttabile difensore. Invece si era preso, e aveva incassato in silenzio, tutta la sfuriata dei grandi capi.
“Tomlinson, sei il solito. Questa potevi benissimo evitartela.”
“Tomlinson, da quella pedana non devi far altro che salutare le ragazzine, non commentare ciò che illegalmente si portano dietro!”
“Tomlinson, sei un cazzone, non la smetterai mai con le bambinate.”
Ne aveva sentite abbastanza, il rimbombo del suo cognome risuonava insistente tra le pareti del suo cervello. Per questo si era lanciato sul divanetto del tour bus e non aveva la minima intenzione di muoversi da lì per il resto della vita. O almeno, della notte. Da sdraiato, con le orecchie immerse nei cuscini, sembrava che tutti i pensieri si placassero, e si sarebbe anche beatamente addormentato se non avesse sentito scattare la serratura della porta, e non avesse visto una figura avvicinarsi a lui. Una figura che riconobbe fin troppo bene.
“Harry…?”
Dal semibuio gli giunse, chiara e roca, dannatamente sexy, la sua voce.
“Lou? Bene, sei tu.” Senza un minimo di tatto, usò il gomito per premere un interruttore e accendere la luce.
“Cazzo Harry, ma non vedi? Stavo dormendo…”
“Stavi, appunto. Senti, io ho fame, e se vuoi dormire, sali! Abbiamo i letti, ricordi?” In alcuni momenti, Harry era più acido di una ragazza con il ciclo. E come una ragazza mestruata, irrimediabilmente lunatica. E affamata. Ma se solitamente le ragazze hanno voglia di gelato, o di cioccolato, Harry sentiva la necessità di qualcosa di ben più sostanzioso. Non a caso quella sera, alle tre di notte passate, gli era venuta voglia di pollo arrosto, e ora si lanciava sul divano davanti a Louis per mangiarselo in santa pace.
Louis lo fissava dall’altro capo del tour bus. Dio, com’era bello con quella canottiera nera scollata, larga e maledettamente sexy. Aveva un’assurda voglia di prendere la confezione contenente il pollo e lanciarla fuori dal finestrino alle sue spalle. E poi saltare addosso a quell’altro polletto, quello riccio e con i tatuaggi. Quel polletto che era stato un cagnolino per tutto il concerto, un cagnolino con la bava all’angolo della bocca, un cagnolino che fissava il suo padrone con una voglia naturale eppure inspiegabile. Quel cagnolino che aveva evitato in tutti i modi, adesso era lì, davanti a lui, con le mani unte di grasso, che non lo guardava neanche in faccia, semplicemente buttava in corpo pelle e carne del pollo, e leccava, non si sa quanto inconsapevolmente, le ossa del povero volatile.
“Dio Harry, che schifo.” A Louis le parole uscivano di bocca prima che avessero il tempo di passare per il filtro, anche se minimo, del cervello. Ma in quel caso, parlare era l’unico modo per non cedere agli istinti. All’istinto. Quello di fare qualcosa al ragazzo che gli stava davanti. Essenzialmente, di sbatterselo su quel divano. Finchè parlava, le parole lo distraevano, e non pensava. Scambiare battute con lui, poi, gli ricordava che quello che voleva da lui non era solo il suo corpo, non era solo il sesso. Fosse stato solo quello, sarebbe stato tutto molto più facile. Invece, lo amava così tanto, che non era disposto a cedere alla sua stupida eccitazione già pulsante. Stuzzicarlo, ecco quello che voleva fare, adesso; certo, non sapeva che Harry stava facendo esattamente la stessa cosa, ma in quel momento la sua gli parve come un’ottima idea, una trovata geniale. ‘Tra un po’ sarà lui a saltarmi addosso.’ Ridacchiò al pensiero.
“Ne vuoi un po’ anche tu?” Ora Harry lo guardava, tendendo il braccio e il pollo verso di lui.
“Non fare complimenti, Lou.” Riprese a mangiare, mordendo con gli incisivi un lembo di pelle della coscia del pennuto, tirandolo piano fino a staccarlo, fino ad averlo preso tutto in bocca, e indugiando un po’ con la lingua tra i denti. A Louis cadde letteralmente la mascella. La sua mente girava in tondo. ‘La sua bocca. La. Sua. Bocca.’  Voleva impossessarsene. Senza se e senza ma. ‘Ma i tuoi piani di seduzione dove sono andati a finire?’ Com’era possibile che Harry mangiando un cazzo di pollo glielo facesse diventare duro mentre lui anche impegnandosi non riusciva neanche a fargli alzare gli occhi? Si sentiva così piccolo, così insignificante, vicino a lui! Forse solo rispondendogli a tono, tenendogli testa, avrebbe migliorato la situazione.
“Curly, non ho fame. Sono le tre di notte.”
“Mhh, quindi?”
“Nulla, mangia pure.”
“E tu intendi stare lì a fissarmi?”
“Non ti sto fissando.”
“Se lo dici tu.” Smise di parlare per continuare il suo spuntino non-della-mezzanotte a base di pollo arrosto. Dio, com’era unto quel coso! Harry si stava strafogando con tale foga che goccioline di olio sfuggivano alle sue labbra rosse e impegnate e calavano lente sul mento, rendendolo lucido alla luce debole del bus. In un momento, Louis si ritrovò sull’altro divano, in ginocchio vicino al ragazzo. Finalmente aveva un contatto col suo corpo: le loro gambe finalmente si sfioravano, finalmente i loro respiri si intrecciavano. ‘Lou, il tuo cervello si spegne quando lui si trova nella tua stessa stanza.’ Il suo corpo, le sue azioni, rispondevano in modo strano agli stimoli, se si parlava di Harry. Per questo, senza neanche sapere come, aveva abbandonato la sua posizione di spettatore, per diventare protagonista attivo di quello strano gioco, di quella strana danza di seduzione.
“Allora ne vuoi un po’ anche tu, si?”
“No che non lo voglio, Haz!” Lo guardò negli occhi, gli venne un piccolo capogiro perdendosi nelle scaglie verdi che circondavano i suoi iridi, al buio notevolmente dilatati. Anche il suo iride gli parlava: non era un nero usuale, era un nero denso eppure così profondo! un nero che di terrore non aveva nulla. Un nero puro, eppure eccitante. E, in effetti, in Harry gli opposti riuscivano, in qualche strano quanto improbabile modo, a trovare una conciliazione: Harry era buono, ma era stronzo; Harry era dolce, ed era vendicativo; Harry era candido, eppure era il sesso. Quegli occhi, adesso, esigevano qualcosa da lui. Louis pensò di aver capito cosa gli stessero tacitamente chiedendo. E allora, senza sbattere le ciglia, mantenendo il contatto con i suoi occhi, avvicinò i loro visi, e all’ultimo tirò fuori la lingua, che lentamente, si posò sul suo mento unto, leccando via lo sporco olioso del pollo. Harry, dal canto suo, non gli staccò gli occhi di dosso e lasciò fare. Permise semplicemente alla lingua di Louis di pulirlo con la sua saliva, come se fosse stata la cosa più normale del mondo, e neanche replicò quando la sua lingua, ormai salata, seguì il contorno delle sue labbra, accarezzandole in modo estenuantemente lento. Solo dopo averle esplorate interamente, Louis si staccò un po’, e Harry riprese, come se nulla fosse, a mangiare. Poi un sorriso, bastardo perché così maledettamente dolce, innocente come quello dei bambini, gli comparve sul volto, facendogli comparire le rughette intorno agli occhi e le fossette sulle guance, quelle che classificavano la vera felicità.
“E dai Lou che lo vuoi anche tu, questo bel polletto.”
“E che cazzo, Haz, non lo voglio il tuo pollo!” ‘Non voglio quel pollo, lo sa bene.’ Louis non ce la faceva più, specialmente dopo essere stato così vicino, così dentro alla sua bocca, aveva più che mai voglia di baciarlo. Era così tanto che non si davano un bacio di quelli come si deve! Era passata più di una settimana, cristoddio. Prima che quello stronzo del suo fidanzato non decidesse che i giorni di riposo dal tour aveva voglia di passarli a Los Angeles, chissà con chi e, specialmente, lontano da lui. L’aveva perdonato per questo, Louis, l’aveva perdonato non appena l’aveva rivisto, ma la litigata non era mancata, così come non era mancata la riappacificazione. Eppure, né un bacio, né una scopata, né una carezza. Niente, Harry lo fissava da lontano, e lo distraeva in questo modo. E ora gli porgeva pure un pezzo di pollo, tenendolo stretto tra le dita!
“Dai, mangialo.” E Louis non se lo fece ripetere due volte. Aprì la bocca e prese pollo e dito in bocca. Deglutì il pezzo di carne, mentre mantenne i denti ficcati nella pelle unta di quel dito, leccando anch’esso, quasi a volerlo inghiottire con il polletto, esalando tutto il salato che esso portava. Lo fece sbattere contro le pareti delle guance, contro la pelle dura del palato, poi lo fece scivolare via dalle sue labbra. Si stava eccitando un po’ troppo. E pensare che gli era bastato un suo dito in bocca… Bhè, gli dava di che preoccuparsi.
“Lou?”
“Mh…?”
“Lou, hai appena fatto un pompino al mio indice.” Ed era serio Harry, mentre lo diceva. Louis non potè che scoppiare a ridere.
“Lo so.”
“E cosa ridi?”
“Sei bello, amore.”
“Se credi che ti perdonerò perché cederò ai tuoi inutili tentativi di adulazione… Bhè, ti sbagli.” Alzò le spalle, a supportare la cosa che per lui era la più ovvia del mondo. Louis sorrise, non poteva evitarlo. ‘Scemo, piccolo Cupcake.’
“Haz, vedi che dovrei essere io a dover perdonare te.” Harry, con in mano un piccolo ossicino, fece un cenno di disapprovazione, poi tirò via da esso quel po’ di carne che era rimasta e se la mise in bocca. ‘Basta, dio, Harry. Smettila.’
“Pff, Lou, dettagli. E poi tu mi avevi già perdonato, o sbaglio?” ‘Bastardo.’
“Si che ti ho perdonato. Ma non significa che non sia stato arrabbiato!” Ora che il pollo era finito, Harry rivolgeva a Louis tutta la sua attenzione, gli puntava addosso tutta l’intensità dei suoi occhi. Louis pensava a quanto fosse frustrante la cosa, il suo fidanzato non aveva reagito né alla sua lingua sulla pelle, né alla sua bocca così esplicita. Fece per alzarsi. Forse era veramente il caso di andare a letto, e di rassegnarsi al fatto che era stato esagerato, quella volta, troppo geloso della sua bellissima principessa. Forse Harry aveva ragione: era ossessivo, era oppressivo. Forse doveva veramente imparare a lasciargli i suoi spazi, a concedergli spazio e aria per respirare. Forse doveva lasciarsi andare, certe volte, e lasciarlo andare. Quella notte ci avrebbe pensato, e domani gli avrebbe chiesto scusa, scusa per tutto, scusa veramente. In quel momento, sarebbe stato inutile, per questo fece per alzarsi dal divano. Ma Harry fu più veloce. Lo inchiodò sui cuscini, sotto il suo bacino, stringendo i suoi fianchi tra le ginocchia, poggiandogli le mani sporche e unte sulla pancia, sotto la maglietta.
“E ora dove vuoi andare, Lou?”
“A dormire, Haz, me lo hai detto…”
“Zitto. Ora ti stai qui.” Gli sfilò la maglia, e ricominciò a premergli le mani lungo il petto, sui fianchi, sul basso ventre. Lo fissava negli occhi, come prima, e in quegli occhi continuava ad esserci tutto: c’era il desiderio, certo, la voglia di sesso, ma c’era anche tanto amore, tanta dolcezza.
“Vedi Lou? Ora sei tu ad essere sporco! Non vorrai andare a letto conciato in questo modo, vero?” E Louis finalmente si sentì bene. Perché con Harry non doveva fingere, e il simulare, con lui vicino, era strano, totalmente innaturale. Con lui poteva scherzare, ridere mentre facevano l’amore, poteva fare battute sicuro che lui avrebbe riso a prescindere da quanto stupida fosse la cosa che aveva detto, con lui poteva giocare all’ x-box e essere felice di perdere, poteva vivere. Louis seppe che con Harry sarebbe sempre valsa la pena vivere. Con Harry, e non necessariamente vicino ad Harry. Louis seppe che non importava dove andasse Harry in vacanza, con chi si divertisse in quelle serate americane. Gli bastava sapere che lui sarebbe tornato, innamorato più di quanto non lo avesse mai amato prima, così attratto dal suo corpo e legato alla sua mente in modo così indissolubile. Allora sospirò, e sorrise, appoggiando la sua fronte sul naso di Harry.
“Colpa tua, amore, se sono sporco.”
“Ti pulisco io, Lou. Ti pulirò sempre.” E dicendo questo, abbassò la testa sulla sua pancia, e su ogni scia d’olio iniziò a lasciare baci, seguiti da poco caste leccate bagnate. Louis, a occhi chiusi e bocca spalancata, ripensò all’immagine di Harry come fedele cagnolino, e si sentì in dovere di spiegare, di scusarsi col cuore in mano.
“Scusa, Haz, sono stupido.”
“Io scherzavo, amore. Non mi devi nulla, tu. Non mi devi nulla, se non tutto te stesso.”
“E allora, di questo, non devi mai dubitare. Se chiedi solo tutto me stesso, sono disposto a dartelo.” Solo Harry poteva fargli uscire certe parole anche in un momento del genere, con l’erezione stretta nei pantaloni e la lingua del piccolo bastardello lungo la linea di peluria sul basso ventre. Solo Harry gli faceva convivere in testa le parole sesso e amore, due parole che lui, non solo con la sua presenza ma con la sua identità faceva armonizzare in modo pressoché perfetto. E quando la bocca di Harry si impossessò, avventandosi dolcemente, delle sue labbra sottili così desiderose, capì il significato dell’espressione fare l’amore. ‘Voglio fare l’amore, con te, Curly. Come se ogni volta fosse l’ultima, come se ogni volta fosse la prima.’ Voleva dirglielo, avrebbe voluto urlarglielo addosso. Ma si limitò a ricambiare il bacio, perché in fondo, era quello il linguaggio con cui comunicavano le loro anime.






Ehy, buonsalve (alle elementari mi hanno insegnato che salutare con 'Salve è maleducazione, ma io sono una ragazza educata e vi metto il 'buon' davanti u.u) :3
Che dire, quel pollo in mano a Styles era una miniera d'oro per la mia mente troppo fervida. Ho scritto per cinque ore filate, non sono neanche soddisfatta di ciò che ho scritto, ma è fatta, eccovi questa os che poteva essere più spinta, ma insomma, non sono proprio il tipo ;) Altro? Louis geloso, un classico, insomma, stiamo parlando di Tomlinson, il suo fidanzato è Styles, come si fa a non essere gelosi di un essere così? Sto sclerando, me ne rendo conto, quindi la smetto. Recensite, leggete in silenzio, fate quel che volete, magari in qualche modo fatemi sapere che ne pensate, ne sarei molto felice, e molto grata. Detto ciò, pace amore e Larry a tutti <3
   
 
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