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Autore: POPster    03/05/2013    2 recensioni
Innanzi tutto, devo avvertirvi.
La storia che vi sto per raccontare andrà oltre i limiti dell'ordinario. Probabilmente molti di voi non crederanno alle mie parole, e penso che sia più che giusto. Ognuno ha il diritto di credere a ciò che preferisce.
Comunque, io vi ho avvertito.
Dovrei precisare che io non sono una persona come le altre. Anzi, io sono unica.
Lo so, dicendo questo perdo già parecchi punti in partenza, perché ora penserete che sono una di quelle ragazze che si sentono delle fighe assurde e cose del genere. In mia difesa, posso dirvi che non è così. Non sono affatto una figa assurda, se è quello che vi state chiedendo. E poi, dovrei spiegarmi meglio: non sono proprio unica, diciamo che sono unica nel mio genere.
Ora, avendo fatto le mie premesse, dovrei cominciare col raccontare che questa storia iniziò con un'esplosione, anche se, sinceramente, non è andata proprio così, ma giuro che ci arriveremo presto.

Killjoys!, Superpoteri e un sacco di altra roba.
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

    Quando mi risvegliai eravamo di nuovo in macchina, in viaggio verso casa.
Ero distesa sui sedili posteriori, accanto a Party Poison. Mi sollevai passandomi una mano sulla fronte, sentendomi nauseata.
    Lui non era Party Poison. Lui era Gerard Way. Desiderai quasi di svenire di nuovo, perché mi sentivo davvero a pezzi.
Non credevo di essere in grado di affrontare una situazione simile. Era davvero troppo.
Improvvisamente, mi resi conto di non sapere più chi fossi. No, non solo non ero più sicura di chi fossi io realmente. Non ero più sicura nemmeno di chi fossero le persone che avevo intorno.
    Avevo vissuto una vita a metà, e la consapevolezza di tutta quella situazione mi faceva una tale rabbia che avrei voluto andare ad armarmi ed uccidere tutti. Tutti quelli che mi avevano manipolata, che mi avevano mentito, che mi avevano cancellato, modificato, distorto la memoria.
    Pensai con amarezza che non sapevo nemmeno da dove cominciare. Non sapevo nemmeno chi voleva aiutarmi e chi no. Non sapevo nemmeno perché proprio io dovessi trovarmi in una situazione così assurda.
    Fino a qualche ora prima avevo un'idea di mio padre completamente diversa. Pensavo che fosse un grande uomo, con delle grandi responsabilità, che si era preso cura di me nel migliore dei modi, cercando sempre di accontentarmi e proteggermi.
    Ed ora, invece, sapere che  era tutta una messa in scena, che lui non era nemmeno il mio vero padre ma semplicemente un... sentivo la testa scoppiare. Da un lato c'era la consapevolezza che era stato proprio lui a farmi tutto questo, ma dall'altra c'erano i bei ricordi che avevo di lui. Quelli più vividi, quelli che nessuno aveva rimosso. Quelli con i quali ero cresciuta.
    Alla fine era pur sempre l'uomo che mi aveva cresciuta. Come potevo ritrovarmi a detestarlo, così di punto in bianco?
    Ma poi mi tornavano in mente le immagini che lui aveva fatto rimuovere dalla mia testa. Quelle in cui lui mi portava via dalla mia vera famiglia, in cui lui era tutto tranne l'uomo amorevole che credevo.
    Così sentivo il cervello pulsare, la testa scoppiarmi, mentre mi altalenavo tra sentimenti contrastanti tra loro.
    Forse stavo vivendo uno stato psicologico tipo la Sindrome di Stoccolma. Forse sentivo di non poter odiare Crow per quello che aveva fatto, perché per tutti quegli anni lo avevo visto come l'unico interessato a proteggermi.
    Forse tutta questa storia mi avrebbe portato ad un esaurimento nervoso.
    Forse avrei dovuto evitare di indagare, di cercare delle risposte. Perché ora che alcune risposte le avevo avute, sembrava tutto dannatamente più difficile.
    E d'un tratto mi resi conto che l'auto si era fermata.
    Eravamo di nuovo a Belleville. Nessuno di noi aveva detto una parola durante tutto il viaggio di ritorno. Ed ora eravamo tornati a Belleville ed io mi sentivo incredibilmente nervosa. Avrei preferito continuare a viaggiare, anche senza una meta, piuttosto che tornare a casa.
    Eravamo poco distanti da casa mia. Frank scese dall'auto ed aprì la portiera al mio fianco facendomi cenno di scendere.
    Gerard si mise alla guida e dopo aver dato un'occhiata veloce prima a me, poi a Frank, rimise in moto l'auto e se ne andò con Mikey.
    «Tra poco tuo padre-» Frank si schiarì la gola «Crow, intendo. Tra poco Crow tornerà a casa...» disse, stringendo la mia mano. Prese a camminare, con aria preoccupata, verso casa mia. Sentii una strana sensazione e guardai le nostre mani. Stavamo diventando invisibili, di nuovo.
    Ovviamente. Probabilmente quell'uomo che mio padre aveva messo di guardia di fronte casa pensava che stavamo ancora in camera a fare chissà cosa, non poteva certo vederci tornare.
    Arrivammo sotto la finestra della mia camera. Facemmo il percorso inverso, scalammo la parete con non poca fatica ed entrammo dalla finestra che avevamo lasciato aperta.
    Non pensavo, dopo tutta quella valanga di emozioni che avevo provato dal momento in cui quella tipa mi aveva ridato la memoria, di poter provare ancora dell'altro, una volta a casa.
    Invece, appena mi ritrovai nella mia stanza, nella mia mente riaffiorarono altre immagini, altre scene della mia infanzia delle quali ero stata privata per tutto quel tempo, altri ricordi che facevano male.
    Non sapevo più chi ero.
    Avevo letto un libro, una volta, in cui c'era scritto che tutto cambia. Che se la mattina quando ti svegli sei una persona, la sera, quando torni a casa, sei una persona diversa, perché inevitabilmente le esperienze che hai vissuto, anche le più minime, ti hanno cambiato, ti hanno dato delle consapevolezze differenti, o ti hanno lasciato dei dubbi, o comunque ti hanno in qualche modo riempito, così, tutti siamo sempre una persona diversa, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
    Ed io mi resi conto che era esattamente così. Io ero una persona diversa, incredibilmente diversa, ora.
    Perché avevo, in poche ore, riavuto tutte le esperienze che Crow mi aveva fatto eliminare dalla mente. Tutto il passato che non sapevo nemmeno di aver vissuto, ora era tornato vivido come non mai, ed io per forza non potevo essere più la stessa Candice.
    Quella con una bella casa, un buon padre, tanti soldi, una guardia del corpo, Frank.
    Io ora ero Candice con un sacco di dubbi, di ricordi, di paure.
E Frank era così stranamente distante che sentivo il disperato bisogno di stringermi a lui, perché in tutto questo lui era l'unica certezza che avevo. O che almeno credevo di avere.
    Scossi la testa. Non potevo dubitare di Frank. Anzi, per essere sinceri, io avevo bisogno di fidarmi di lui.
    Così mi ritrovai ad abbracciarlo. A stringere le mie braccia così forti intorno al suo corpo.
    Eravamo ancora invisibili. E pensai che avrei voluto chiedergli di restare così, per sempre.
    Potevamo scappare da Belleville, restare invisibili agli occhi del mondo, vivere senza che nessuno sapesse di noi. Senza la paura di dover affrontare dei demoni che non sapevo nemmeno esistessero.
    Mi resi conto che avevo paura. Ma paura sul serio.
    Paura di quello che sarebbe successo.
    Perché se Crow mi aveva rapita, manipolata ed usata; se Party Poison era in realtà Gerard Way; se Frank era stato addestrato da mio padre; mia madre era stata indotta alla follia da lui... allora quante altre cose, potevano succedere?
    Quali altre cose, sarebbero successe?
    Così sentii il bisogno di piangere.
    Ma non ne ebbi la possibilità.
    Frank slacciò l'abbraccio, facendo un passo indietro.
    Guardai il mio corpo riprendere colore. Più velocemente, anche il suo.
    Sentimmo la porta di casa aprirsi. Poi la voce di mio Crow chiamare il mio nome.
    Sussultai. Non avevo voglia di vederlo. Avevo paura di lui.
    «Fingi di non sapere nulla!» sussurrò Frank.
    Mi strofinai gli occhi, feci un respiro profondo.
    Deglutii. I passi di mio padre si facevano sempre più vicini.
    Cercai di sembrare tranquilla, di non tremare.
    Crow bussò alla porta, prima di aprirla ed entrare «Ehi... come stai?» mi chiese.
Dovetti fare un altro respiro profondo, cercando di calmarmi e di scacciare via dalla mia testa tutti quei ricordi e quelle immagini di lui che Maya mi aveva ridato.
    Cercai di sembrare la solita Candice. Cercai di continuare a vederlo come avevo fatto fino a poche ore prima, semplicemente come mio padre. Come lui voleva che lo vedessi.
    Accennai un sorriso, probabilmente poco convincente, ma fu il meglio che riuscii a tirare fuori «Bene, sto molto meglio, ora...» dissi con poca convinzione.
    Lui mi guardò, fece un passo verso di me e mi accarezzò la testa. Come un vero padre che vuole coccolare sua figlia «Bene, ero davvero preoccupato...» disse sorridendo. Eppure non riuscivo a credere che il suo sorriso fosse finto. Era decisamente più bravo di me, a fingere. Guardò Frank con aria seria «Avete risolto le vostre questioni personali?» gli chiese, e forse se non fossi stata a conoscenza di tutto ciò che c'era dietro alla mia vita, probabilmente avrei pensato davvero che non ci fossero doppi sensi in quella frase.
    Invece ce ne erano, lo capii anche quando Frank fece un cenno deciso con la testa «E' tutto sotto controllo» disse serio, guardandolo negli occhi.
    «Posso stare tranquillo, allora?» chiese ancora mio padre. Crow. Guardando ancora Frank.
    Lui annuì senza aggiungere altro. Allora mio padre dichiarò che la sua giornata a lavoro era stata più stancante del solito e che aveva bisogno di riposare.
    Prima di uscire dalla stanza però, Frank lo fermò «Ho chiesto a Candice di tornare a casa nostra...» disse senza nemmeno guardarmi.
Non era vero, ovviamente. Non mi aveva chiesto di tornare a casa. Ma fui grata di sentirglielo dire, perché l'ultima cosa che volevo era starmene in quella casa con Crow.
    Mio padre lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi scrollò le spalle «E' nelle tue mani, Frank, sai che ho piena fiducia in te...».
Altri significati nascosti. Non era un modo per dire "Ok, ma mi raccomando fate sesso sicuro e non metterla incinta", era un modo per dire "Confido nel fatto che manterrai il mio segreto e continuerai a farle credere che non stia accadendo assolutamente nulla".
    Anche se, supposi, non ci avrebbe messo troppo a chiedere a Maya di cancellarmi di nuovo la memoria, se ce ne fosse stato bisogno.

    «Mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo...» disse Frank, dopo quello che mi era sembrato un secolo di silenzio, mentre camminavamo fianco a fianco verso casa nostra.
    Sospirai, stringendomi nelle spalle «E a me dispiace che tu debba affrontare tutto questo, per colpa mia e di mio padre...» mormorai.
    Mi rendevo conto di quanto fosse assurda tutta quella situazione. Di quanto fosse assurdo il fatto che mio padre avesse coinvolto tutte quelle persone in una missione per... ecco, era assurdo anche il fatto che non riuscissi a capire perché, comunque, aveva fatto tutto questo casino.
    Cosa voleva? Impossessarsi del mio potere? Impossessarsi del mondo? Impossessarsi del mondo sfruttando il mio potere?
    Frank mise un braccio intorno alle mie spalle e mi strinse a sé. Era un abbraccio bellissimo. Forse perché era proprio quello di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di sentire la sua presenza. Di sentirlo al mio fianco.
    «...le cose saranno sempre più complicate, da ora in poi...» disse, con poco entusiasmo. Mi stampò un bacio sulla fronte, stringendomi a sé ancora di più «...ma ti prometto che farò il possibile per salvarti da tutto questo» aggiunse.
    Pensai che era incredibilmente dolce. Che mi era mancato.
    Pensai un mucchio di cose.
    Solo dopo qualche tempo mi resi conto di quanto peso avessero quelle parole.

 

- - -

Anche qui, mi scuso per la lunghissima assenza ma come per Le tue paure, i motivi sono sempre gli stessi e blah blah.
XO

A presto
POPst

   

   
 
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