Capitolo 10
Quando mi risvegliai eravamo di nuovo in macchina, in viaggio verso casa.
Ero distesa sui sedili posteriori, accanto a Party Poison. Mi sollevai
passandomi una mano sulla fronte, sentendomi nauseata.
Lui non era Party Poison. Lui era Gerard Way. Desiderai quasi
di svenire di nuovo, perché mi sentivo davvero a pezzi.
Non credevo di essere in grado di affrontare una situazione simile. Era davvero
troppo.
Improvvisamente, mi resi conto di non sapere più chi fossi. No, non solo non ero
più sicura di chi fossi io realmente. Non ero più sicura nemmeno di chi fossero
le persone che avevo intorno.
Avevo vissuto una vita a metà, e la consapevolezza di tutta
quella situazione mi faceva una tale rabbia che avrei voluto andare ad armarmi
ed uccidere tutti. Tutti quelli che mi avevano manipolata, che mi avevano
mentito, che mi avevano cancellato, modificato, distorto la memoria.
Pensai con amarezza che non sapevo nemmeno da dove
cominciare. Non sapevo nemmeno chi voleva aiutarmi e chi no. Non sapevo nemmeno
perché proprio io dovessi trovarmi in una situazione così assurda.
Fino a qualche ora prima avevo un'idea di mio padre
completamente diversa. Pensavo che fosse un grande uomo, con delle grandi
responsabilità, che si era preso cura di me nel migliore dei modi, cercando
sempre di accontentarmi e proteggermi.
Ed ora, invece, sapere che era tutta una messa in
scena, che lui non era nemmeno il mio vero padre ma semplicemente un... sentivo
la testa scoppiare. Da un lato c'era la consapevolezza che era stato proprio lui
a farmi tutto questo, ma dall'altra c'erano i bei ricordi che avevo di lui.
Quelli più vividi, quelli che nessuno aveva rimosso. Quelli con i quali ero
cresciuta.
Alla fine era pur sempre l'uomo che mi aveva cresciuta. Come
potevo ritrovarmi a detestarlo, così di punto in bianco?
Ma poi mi tornavano in mente le immagini che lui aveva fatto
rimuovere dalla mia testa. Quelle in cui lui mi portava via dalla mia vera
famiglia, in cui lui era tutto tranne l'uomo amorevole che credevo.
Così sentivo il cervello pulsare, la testa scoppiarmi, mentre
mi altalenavo tra sentimenti contrastanti tra loro.
Forse stavo vivendo uno stato psicologico tipo la Sindrome di
Stoccolma. Forse sentivo di non poter odiare Crow per quello che aveva fatto,
perché per tutti quegli anni lo avevo visto come l'unico interessato a
proteggermi.
Forse tutta questa storia mi avrebbe portato ad un
esaurimento nervoso.
Forse avrei dovuto evitare di indagare, di cercare delle
risposte. Perché ora che alcune risposte le avevo avute, sembrava tutto
dannatamente più difficile.
E d'un tratto mi resi conto che l'auto si era fermata.
Eravamo di nuovo a Belleville. Nessuno di noi aveva detto una
parola durante tutto il viaggio di ritorno. Ed ora eravamo tornati a Belleville
ed io mi sentivo incredibilmente nervosa. Avrei preferito continuare a
viaggiare, anche senza una meta, piuttosto che tornare a casa.
Eravamo poco distanti da casa mia. Frank scese dall'auto ed
aprì la portiera al mio fianco facendomi cenno di scendere.
Gerard si mise alla guida e dopo aver dato un'occhiata veloce
prima a me, poi a Frank, rimise in moto l'auto e se ne andò con Mikey.
«Tra poco tuo padre-» Frank si schiarì la gola «Crow,
intendo. Tra poco Crow tornerà a casa...» disse, stringendo la mia mano. Prese a
camminare, con aria preoccupata, verso casa mia. Sentii una strana sensazione e
guardai le nostre mani. Stavamo diventando invisibili, di nuovo.
Ovviamente. Probabilmente quell'uomo che mio padre aveva
messo di guardia di fronte casa pensava che stavamo ancora in camera a fare
chissà cosa, non poteva certo vederci tornare.
Arrivammo sotto la finestra della mia camera. Facemmo il
percorso inverso, scalammo la parete con non poca fatica ed entrammo dalla
finestra che avevamo lasciato aperta.
Non pensavo, dopo tutta quella valanga di emozioni che avevo
provato dal momento in cui quella tipa mi aveva ridato la memoria, di poter
provare ancora dell'altro, una volta a casa.
Invece, appena mi ritrovai nella mia stanza, nella mia mente
riaffiorarono altre immagini, altre scene della mia infanzia delle quali ero
stata privata per tutto quel tempo, altri ricordi che facevano male.
Non sapevo più chi ero.
Avevo letto un libro, una volta, in cui c'era scritto che
tutto cambia. Che se la mattina quando ti svegli sei una persona, la sera,
quando torni a casa, sei una persona diversa, perché inevitabilmente le
esperienze che hai vissuto, anche le più minime, ti hanno cambiato, ti hanno
dato delle consapevolezze differenti, o ti hanno lasciato dei dubbi, o comunque
ti hanno in qualche modo riempito, così, tutti siamo sempre una persona diversa,
giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto.
Ed io mi resi conto che era esattamente così. Io ero una
persona diversa, incredibilmente diversa, ora.
Perché avevo, in poche ore, riavuto tutte le esperienze che
Crow mi aveva fatto eliminare dalla mente. Tutto il passato che non sapevo
nemmeno di aver vissuto, ora era tornato vivido come non mai, ed io per forza
non potevo essere più la stessa Candice.
Quella con una bella casa, un buon padre, tanti soldi, una
guardia del corpo, Frank.
Io ora ero Candice con un sacco di dubbi, di ricordi, di
paure.
E Frank era così stranamente distante che sentivo il disperato bisogno di
stringermi a lui, perché in tutto questo lui era l'unica certezza che avevo. O
che almeno credevo di avere.
Scossi la testa. Non potevo dubitare di Frank. Anzi, per
essere sinceri, io avevo bisogno di fidarmi di lui.
Così mi ritrovai ad abbracciarlo. A stringere le mie braccia
così forti intorno al suo corpo.
Eravamo ancora invisibili. E pensai che avrei voluto
chiedergli di restare così, per sempre.
Potevamo scappare da Belleville, restare invisibili agli
occhi del mondo, vivere senza che nessuno sapesse di noi. Senza la paura di
dover affrontare dei demoni che non sapevo nemmeno esistessero.
Mi resi conto che avevo paura. Ma paura sul serio.
Paura di quello che sarebbe successo.
Perché se Crow mi aveva rapita, manipolata ed usata; se Party
Poison era in realtà Gerard Way; se Frank era stato addestrato da mio padre; mia
madre era stata indotta alla follia da lui... allora quante altre cose, potevano
succedere?
Quali altre cose, sarebbero successe?
Così sentii il bisogno di piangere.
Ma non ne ebbi la possibilità.
Frank slacciò l'abbraccio, facendo un passo indietro.
Guardai il mio corpo riprendere colore. Più velocemente,
anche il suo.
Sentimmo la porta di casa aprirsi. Poi la voce di mio Crow
chiamare il mio nome.
Sussultai. Non avevo voglia di vederlo. Avevo paura di lui.
«Fingi di non sapere nulla!» sussurrò Frank.
Mi strofinai gli occhi, feci un respiro profondo.
Deglutii. I passi di mio padre si facevano sempre più vicini.
Cercai di sembrare tranquilla, di non tremare.
Crow bussò alla porta, prima di aprirla ed entrare «Ehi...
come stai?» mi chiese.
Dovetti fare un altro respiro profondo, cercando di calmarmi e di scacciare via
dalla mia testa tutti quei ricordi e quelle immagini di lui che Maya mi aveva
ridato.
Cercai di sembrare la solita Candice. Cercai di continuare a
vederlo come avevo fatto fino a poche ore prima, semplicemente come mio padre.
Come lui voleva che lo vedessi.
Accennai un sorriso, probabilmente poco convincente, ma fu il
meglio che riuscii a tirare fuori «Bene, sto molto meglio, ora...» dissi con
poca convinzione.
Lui mi guardò, fece un passo verso di me e mi accarezzò la
testa. Come un vero padre che vuole coccolare sua figlia «Bene, ero davvero
preoccupato...» disse sorridendo. Eppure non riuscivo a credere che il suo
sorriso fosse finto. Era decisamente più bravo di me, a fingere. Guardò Frank
con aria seria «Avete risolto le vostre questioni personali?» gli chiese, e
forse se non fossi stata a conoscenza di tutto ciò che c'era dietro alla mia
vita, probabilmente avrei pensato davvero che non ci fossero doppi sensi in
quella frase.
Invece ce ne erano, lo capii anche quando Frank fece un cenno
deciso con la testa «E' tutto sotto controllo» disse serio, guardandolo negli
occhi.
«Posso stare tranquillo, allora?» chiese ancora mio padre.
Crow. Guardando ancora Frank.
Lui annuì senza aggiungere altro. Allora mio padre dichiarò
che la sua giornata a lavoro era stata più stancante del solito e che aveva
bisogno di riposare.
Prima di uscire dalla stanza però, Frank lo fermò «Ho chiesto
a Candice di tornare a casa nostra...» disse senza nemmeno guardarmi.
Non era vero, ovviamente. Non mi aveva chiesto di tornare a casa. Ma fui grata
di sentirglielo dire, perché l'ultima cosa che volevo era starmene in quella
casa con Crow.
Mio padre lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi
scrollò le spalle «E' nelle tue mani, Frank, sai che ho piena fiducia in te...».
Altri significati nascosti. Non era un modo per dire "Ok, ma mi raccomando fate
sesso sicuro e non metterla incinta", era un modo per dire "Confido nel fatto
che manterrai il mio segreto e continuerai a farle credere che non stia
accadendo assolutamente nulla".
Anche se, supposi, non ci avrebbe messo troppo a chiedere a
Maya di cancellarmi di nuovo la memoria, se ce ne fosse stato bisogno.
«Mi
dispiace che tu debba affrontare tutto questo...» disse Frank, dopo quello che
mi era sembrato un secolo di silenzio, mentre camminavamo fianco a fianco verso
casa nostra.
Sospirai, stringendomi nelle spalle «E a me dispiace che
tu debba affrontare tutto questo, per colpa mia e di mio padre...» mormorai.
Mi rendevo conto di quanto fosse assurda tutta quella
situazione. Di quanto fosse assurdo il fatto che mio padre avesse coinvolto
tutte quelle persone in una missione per... ecco, era assurdo anche il fatto che
non riuscissi a capire perché, comunque, aveva fatto tutto questo casino.
Cosa voleva? Impossessarsi del mio potere? Impossessarsi del
mondo? Impossessarsi del mondo sfruttando il mio potere?
Frank mise un braccio intorno alle mie spalle e mi strinse a
sé. Era un abbraccio bellissimo. Forse perché era proprio quello di cui avevo
bisogno. Avevo bisogno di sentire la sua presenza. Di sentirlo al mio fianco.
«...le cose saranno sempre più complicate, da ora in poi...»
disse, con poco entusiasmo. Mi stampò un bacio sulla fronte, stringendomi a sé
ancora di più «...ma ti prometto che farò il possibile per salvarti da tutto
questo» aggiunse.
Pensai che era incredibilmente dolce. Che mi era mancato.
Pensai un mucchio di cose.
Solo dopo qualche tempo mi resi conto di quanto peso avessero
quelle parole.
- - -
Anche qui, mi scuso per la
lunghissima assenza ma come per Le tue paure, i motivi sono sempre gli stessi e
blah blah.
XO
A presto
POPst