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Autore: Billie_Jean    03/05/2013    4 recensioni

La seconda volta che aveva salvato la vita a Harry Styles, Louis si era quasi fatto scoprire. Erano passati appena quattro giorni da quando aveva messo KO il borseggiatore nel vicolo, e mentre si slanciava in avanti per allontanarlo dalla traiettoria dell’autobus che slittava sull’asfalto bagnato, gli venne da chiedersi come avesse fatto a sopravvivere fino ad allora, senza il suo intervento.

Spiderman!Louis, scritta per il #thegaysfactor organizzato dal #THEGAYSHAVEGAYEDAGAIN
Genere: Fluff, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Dietro la maschera è il mio ultimo prodotto, una one-shot piuttosto lunga scritta per il #thegaysfactor organizzato dal #THEGAYSHAVEGAYEDAGAIN: era un contest in cui quattro storie sono state selezionate come vincitrici. Questa non è passata - senza molte sorprese - ma io mi sono divertita a scriverla, e spero vi piaccia! Louis è Spiderman in questa one-shot, non chiedetemi come la mia mente malata abbia concepito qualcosa del genere: non riesco più a guardare nessun film senza immaginarmi come potrei rileggere la storia in chiave larry :P
Comunuqe! Spero vi piaccia, e se volete dirmi cosa ne pensate, sarò più che felice di sentire la vostra opinione!
Buona lettura :)



Dietro la maschera

 
La parte peggiore dell’essere un supereroe mascherato dalla doppia identità era senz’altro il non poter dire a nessuno chi fosse. Non che qualcosa glielo impedisse formalmente; ma allora non avrebbe avuto senso tutta la segretezza dei pomeriggi passati rinchiuso nella sua stanza che puzzava di chiuso, calzini e cibo cinese, con ago e filo alla mano, cercando di cucirsi da solo il passepartout per l’anonimato su cui aveva tanto lavorato.
 
Dopo il fallimento del cotone elasticizzato, aveva riposto le sue speranze nella lycra: ma anche quella si era rivelata una clamorosa delusione. Louis non ne poteva più di grattarsi sotto i jeans anche durante le ore di scuola e, per di più, il continuo prurito lo distoglieva dallo stato di costante allerta in cui lo tenevano i suoi sensi da ragno.
 
Aveva bisogno di Spandex, non c’era dubbio: perciò, dopo una breve ricerca online sui fornitori della zona, si era diretto verso il numero 5 di Web Street dove, incastrato tra una panetteria aperta solo tre ore al giorno e un centro di tatuaggi gestito da un ragazzo mezzo pakistano che fumava all’entrata, si trovava un negozietto che aveva un’unica vetrina sporca, incorniciata da una struttura in legno. La vernice verde era in gran parte scrostata, proprio come l’insegna su cui era scritto, in lettere dorate che avevano visto tempi migliori “Fabrics and Tailors – Since 1894”.
 
Louis entrò senza far caso al tatuatore che lo seguiva con lo sguardo finché non scomparve all’interno del locale. Era piccolo, buio e polveroso, ma il soffitto era altissimo; c’erano scatoloni ovunque, ricolmi di tessuti di ogni fattura e colore, perlopiù affastellati su file di scaffali in legno che correvano per tutta la lunghezza del muro e si arrampicavano fino al soffitto, almeno quattro metri più su. Dietro al bancone, accanto all’entrata e alla vetrina che forniva anche l’unica fonte di luce del locale, stava un ragazzo dotato di un’impressionante massa di capelli ricci che Louis ricordava di aver visto nei corridoi a scuola.
 
Si fece avanti per far notare la sua presenza, quando quello alzò la mano e, con espressione concentratissima e senza alzare lo sguardo dallo smartphone che teneva in mano, disse:
 
 -Quattordici secondi e arrivo- fece scivolare il pollice sullo schermo e unì sei lettere per formare la parola MARITO, quarantasei punti –Sto finendo il terzo round-.
 
Louis attese paziente che il ragazzo terminasse la partita a Ruzzle (TOMI, RINOMATA, MORTE, MORTI, MORE, MOTORE, MOTO, per un totale di ottocentoventisei punti), e si ricordò che il ragazzo si chiamava Harry ed era al quarto anno; quando Harry, quarto anno e ottocentoventisei punti a Ruzzle aveva sollevato lo sguardo per concedergli la sua attenzione, i cinque sviluppatissimi sensi di Louis gli avevano già fatto una radiografia completa a spalle, bicipiti, mascella, labbra, occhi e ciglia lunghissime.
 
 -Posso aiutarti?- chiese Harry, quarto anno, ottocentoventisei punti a Ruzzle e voce roca da cantante indie rock. Louis annuì e gli porse il foglio su cui aveva scritto la lista di materiali di cui aveva bisogno; lo osservò mentre leggeva, le sopracciglia leggermente aggrottate e l’espressione concentrata che aveva già visto poco prima.
 
 -Spandex- disse, soppesando attentamente la parola, arrotolandosela sulla lingua –Spandex, spandex, spandex-.
 
Alzò gli occhi verso il soffitto e la sua espressione si accigliò ancora di più; seguendo il suo sguardo, Louis vide uno scatolone più in alto degli altri, su cui qualcuno aveva scritto, con un pennarello rosso, il nome del tessuto che gli serviva. Guardò Harry scuotere la testa e dirigersi con passo incerto verso l’altissima scala a pioli che scorreva lungo gli scaffali come quelle delle vecchie librerie, trascinarla fin dove gli serviva e poi fermarsi, come bloccato da una forza maggiore.
 
 -Va tutto bene?- Louis si fece avanti e Harry lo guardò; fece una risatina nervosa, si morse un labbro e chinò il capo, mentre le sue guance si tingevano di un leggero rossore.
 
 -Non mi piacciono le altezze- mormorò pianissimo, ma l’udito ipersensibile di Louis non ebbe problemi a cogliere quello, o il battito accelerato del suo cuore. Non ebbe bisogno di vedere le nocche bianche della mano che stringeva spasmodicamente la scala, per avvicinarsi, sorridergli rassicurante e iniziare ad arrampicarsi con un’agilità fuori dal comune. Giunto così in alto che gli sarebbe bastato allungare il braccio per toccare il soffitto, Louis afferrò lo scatolone con una mano sola e scese, balzando a terra quando ebbe raggiunto il terzultimo piolo.
 
La bocca di Harry era schiusa a formare una o perfetta, e i suoi occhi erano sgranati come piccole lune piene che sormontavano le sue guance paffute e ancora infantili. Lasciò cadere la mano lungo il fianco e Louis si limitò a fargli un occhiolino, voltando i tacchi e posando il grosso scatolone sul bancone in legno.
 
 -Allora- fece, con tono leggero –Spandex-.
 

 
***

 
In cima alla lista dell’odio mondiale, appena sotto Hitler e Kony, Louis era certo che si trovassero i piovigginosi lunedì mattina di metà autunno, quando ogni fibra del corpo bramava il calduccio e la comodità del letto sfatto, ma i muscoli indolenziti si sforzavano per mettersi in moto e iniziare un’altra normale giornata di un’altra banale vita.
 
Eppure, quel lunedì mattina, Louis si sentiva invincibile con la sua tuta nuova di spandex che avvolgeva gambe, torso e braccia come una seconda pelle e non si sentiva, non prudeva né gli impediva alcun movimento. Era la sua muta riutilizzabile e raffinatissima, perfino bicolore; aveva in mente rosso e bianco all’inizio, ma Harry gli aveva detto che il blu si sarebbe abbinato meglio – ai suoi occhi, aveva aggiunto in un sussurro che Louis, sprovvisto dell’udito formidabile che si ritrovava, non avrebbe dovuto sentire.
 
Finalmente, con la sua maschera nascosta nella borsa di tela che portava a tracolla, Louis si sentiva un vero supereroe: camminava con passo sicuro per i corridoi e celava un sorriso, perché era l’unico a sapere la verità sul tizio misterioso del video di Youtube, quello che si era arrampicato a mani nude sul Big Ben; e più che mai la frase che gli aveva sussurrato sua zia tra le lacrime, quando lo aveva visto rientrare con un livido violaceo ad adornargli lo zigomo, gli parve priva di senso.
 
“I segreti hanno un costo, Louis” aveva detto, supplicandolo con gli occhi di spiegarle l’accaduto “Non tenerli tutti per te, o ti schiacceranno”.
 
In quel momento, Louis si era limitato a darle un bacio sulla fronte e invitarla ad andare a dormire; ora invece si crogiolava, nel suo segreto: perché era proprio da quello che prendeva la sua forza e la sua invincibilità, che gli permettevano di fare qualsiasi cosa. Anche di andare dritto da quel coglione strafottente di Liam Payne, spintonarlo ed iniziare una rissa; farsi sospendere forse non era nei piani, ma si sarebbe accontentato.
 
Uscendo da scuola scortato da sua zia, vide Harry fissarlo da lontano, oltre il vetro dell’aula di scienze; Louis sostenne il suo sguardo finché non fu il ragazzo a distoglierlo, distratto da una gomitata del suo compagno di banco.
 
Non aveva mai pensato di avere una possibilità con lui. Louis Parker era fin troppo introverso, orfano e traumatizzato per poter stare con una persona come Harry; eppure, Spiderman no. Spiderman poteva fare tutto, a patto che nessuno scoprisse chi si celava dietro la sua maschera.
 
Così quella notte, dopo aver immobilizzato con una fitta rete di ragnatele resistentissime il borseggiatore dilettante ma pericoloso nel vicolo dietro il numero cinque di Web Street, Spiderman si era voltato verso la figura tremante di Harry, ancora sconvolto dopo essersi visto aggredire con un coltello e poi salvare da un misterioso figuro, e alla domanda:
 
 -Chi sei?-
 
aveva risposto, assaporando ogni parola come un discorso della vittoria, provato e riprovato davanti allo specchio:
 
 -Il tuo amichevole Spiderman di quartiere-.
 
Volando tra un palazzo e l’altro attraverso l’insonne centro di Londra, Louis non si era mai sentito così leggero.
 
 

***

 
La seconda volta che aveva salvato la vita a Harry Styles, Louis si era quasi fatto scoprire. Erano passati appena quattro giorni da quando aveva messo KO il borseggiatore nel vicolo, e mentre si slanciava in avanti per allontanarlo dalla traiettoria dell’autobus che slittava sull’asfalto bagnato, gli venne da chiedersi come avesse fatto a sopravvivere fino ad allora, senza il suo intervento.
 
Erano rotolati entrambi sul marciapiede, e Louis era certo di aver battuto forte la testa, perché gli ci vollero un paio di minuti per riprendersi. Quando aveva smesso di vedere lucine colorate dietro le palpebre aveva aperto gli occhi, battendo le ciglia per mettere a fuoco.
 
Sopra di lui, illuminato appena dalla luce intermittente di un vecchio lampione rotto, Harry lo fissava con la fronte corrugata, così vicino che Louis poteva sentire il suo respiro sul viso anche attraverso la maschera. O meglio, attraverso lo squarcio della maschera; perché cadendo doveva essersi ferito, e ora, oltre alla pioggia gelata, anche il sangue caldo gli bagnava la guancia.
 
Louis era immobilizzato, sotto lo sguardo carico di preoccupazione del ragazzo riccio; l’asfalto era duro e scomodo sotto di lui, e sentiva il midollo delle ossa ghiacciarsi sotto il battere incessante dell’acquazzone autunnale. Tuttavia, quando Harry allungò una manica della felpa e, con la mano che tremava, prese a tamponargli delicatamente la ferita, il ragazzo esalò il fiato che non si era accorto di aver trattenuto, e ogni desiderio di andarsene da lì evaporò come neve al sole.
 
Era ferito, gelato, scomodo e terrorizzato che Harry potesse scoprire la sua identità: eppure sarebbe rimasto a guardarlo per sempre, mentre curava il suo taglio con espressione concentrata, zuppo di pioggia e con i capelli che gocciolavano attorno al suo viso.
 
Louis tastò il terreno sotto di sé e fece forza con il braccio per alzare almeno la schiena; si raddrizzò faticosamente e si mise seduto, per guardare negli occhi il ragazzo inginocchiato accanto a lui sul marciapiede. Harry lasciò cadere la mano che lo stava tamponando, fissandolo con sguardo grave, e pieno di gratitudine.
 
 -Mi hai salvato la vita- sussurrò, appena percettibile sopra lo scroscio della pioggia che batteva –Di nuovo-.
 
Louis annuì di riflesso, udendolo a malapena. Aveva una pelle liscissima e bianca, le narici larghe e le labbra piene ma screpolate, come se non avesse fatto altro che torturarsele con i denti da giorni. Era talmente bello, sotto la fioca luce del viottolo londinese, che non si accorse neppure di essersi avvicinato a lui.
 
Il tocco di Harry sulla pelle scottava come il fuoco, nonostante le sue dita fossero gelate e uno strato di sottile stoffa separasse le loro epidermidi. Louis era come paralizzato mentre le dita affusolate di Harry s’insinuavano sotto la sua maschera, solleticandogli la pelle del collo e producendo una rete di brividi che percorsero il ragazzo per tutto il corpo, come una serie di potentissimi impulsi elettrici in un circuito. Le dita del ragazzo continuarono a muoversi, accarezzandolo mentre, con delicatezza, sollevava la maschera; scoprì il collo, si arrampicò oltre il mento facendo schioccare la stoffa bagnata: con il pollice accarezzò le sue labbra, e infine scoprì anche quelle.
 
Louis impiegò meno di un decimo di secondo per afferrargli il polso, e bloccarlo prima che andasse oltre; Harry puntò gli occhi nei suoi – o almeno, dove credeva si trovassero - e il ragazzo deglutì, trattenendo il respiro.
 
Louis aveva volato sui tetti di Londra, si era lasciato cadere in picchiata verso l’asfalto cambiando rotta all’ultimo secondo, aveva scalato perfino il Big Ben a mani nude; eppure niente di quello che aveva provato allora, nessuna scarica di adrenalina che aveva percorso il suo corpo era anche solo lontanamente paragonabile alla sensazione di avere le labbra di Harry premute sulle sue.
 
Il loro bacio era caldo, umido, morbido, gelido, duro, famelico, dolce. Era un’esplosione e un prato silenzioso, un fulmine un temporale un uragano un terremoto. Era diverso da qualunque cosa avesse mai provato prima e più lo baciava più voleva baciarlo, e non era in grado di separarsi da lui neppure per il tempo necessario a prendere fiato.
 
Un clacson strombazzò nell’aria, i fari di un’auto li accecarono; e prima ancora che Louis stesso potesse rendersene conto i suoi muscoli erano già scattati, le sue ragnatele già dispiegate e lui stava volando di nuovo, sotto la pioggia che non avrebbe mai potuto lavare il sapore di Harry dalle sue labbra.
 
Sul marciapiede, accanto al ragazzo ancora inginocchiato e proteso in avanti, rotolava il rullino di una macchina fotografica; Harry lo prese fra le dita e lo sollevò, per vederlo meglio.
 

***

 
La busta bianca era gonfia e pensante tra le mani tremanti di Louis. L’aveva trovata nel suo armadietto quella mattina, ma non aveva ancora avuto il coraggio di aprirla, così si era chiuso in camera sua, ignorando lo sguardo di sua zia che sembrava supplicarlo con gli occhi di spiegarle il perché del taglio che gli adornava lo zigomo. Seduto sul letto a gambe incrociate Louis prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e fece scorrere il dito sotto il lembo cartaceo che sigillava la busta.
 
Non si era accorto di aver perso il rullino, ma vedere le sue foto stampate era un indizio sufficiente a fargli supporre che qualcuno doveva averlo trovato e sviluppato; non era molto difficile indovinare chi poteva essere stato. Louis osservò le fotografie in bianco e nero una ad una; l’ultima, che ritraeva uno dei rocchetti di filo da cucire che sua zia teneva in soggiorno, recava una scritta in penna blu sul retro.
 

13 Lewton Road
Interno 51D
Quinto piano, terza finestra da sinistra
 
Non suonare - H.

 
Louis non si chiese come aveva fatto a trovarlo, mentre s’infilava una felpa e un paio di vecchie Converse sdrucite; in fondo, quanti cretini giravano con una Canon analogica nel 2011? Inoltre, rifletté mentre si rannicchiava per passare dalla finestra e usciva sul davanzale, raggiungendo il tetto di casa, era stato proprio Harry a vendergli la stoffa con cui aveva cucito la sua uniforme da supereroe; non ci voleva un genio per fare due più due, e riordinare i termini di un’equazione dalle incognite fin troppo semplici da ricavare.
 
Il numero tredici di Lewton Road non era che un brutto palazzo di cemento nella periferia di Londra, poco distante da un Tesco e la stazione locale della Polizia. Louis rimase appollaiato sulla scala antincendio per una buona dozzina di minuti, prima di decidersi e scendere la rampa che lo separava dal piano di Harry, accompagnato solo dal cigolio della struttura in metallo e il suono delle suole di gomma sui gradini bagnati.
 
Si accoccolò accanto alla finestra, felice di essere passato inosservato, e scrutò oltre il vetro. La stanza era piccola e semplice, come quella di un qualsiasi adolescente medio; spiccavano un poster dei Beatles appeso alla porta, un grosso stereo sulla parete di sinistra e un copriletto dall’improbabile tinta verde pisello. Harry era chino alla scrivania, situata proprio sotto la finestra; sembrava intento nello studio, ma aveva gli occhi fissi sullo stesso schema di un nucleolo cellulare da almeno cinque minuti.
 
Louis levò il pugno, esitò e trattenne il fiato; poi picchettò delicatamente contro il vetro, e la testa di Harry scattò verso l’alto. Non gli era chiaro cosa prevalesse, nello sguardo indecifrabile che lo stava perforando: forse la sorpresa, il sollievo, il trionfo o la soddisfazione; Louis non ne era certo. Avvicinò il volto alla finestra ancora chiusa, senza emettere un suono e senza interrompere il contatto visivo; se non ci avesse pensato Harry ad aprirla entro tempi molto brevi, avrebbe fatto irruzione nella stanza.
 
Il ragazzo s’inumidì le labbra, chiuse il libro con un tonfo e si sporse in avanti, per sollevare l’intelaiatura in legno e alzare il vetro; il suo volto era così vicino che Louis poté vedere le rughette della sua fronte arricciarsi nello sforzo di aprirgli un varco.
 
Sentiva il cuore battere all’impazzata contro la sua cassa toracica, mentre lasciava scivolare le mani su quelle di Harry per aiutarlo ad aprire la finestra: strinse la lingua tra i denti e si accucciò per passare, mentre lui si ritirava per fargli spazio. La sua mano destra, però, era rimasta intrecciata a quella di Louis che la strinse saldamente, lasciandosi guidare nella sua cameretta.
 
In piedi al centro della stanza, Louis non aveva occhi che per Harry: non desiderava che sentire di nuovo le sue labbra carnose sulle proprie, mentre il suo profumo di bagnoschiuma e shampoo all’arancia gli invadeva le narici, stuzzicando i suoi sensi di ragno; eppure non si mosse, aspettando che fosse il ragazzino a fare la prima mossa.
 
Dopo quello che parve un tempo interminabile, e dopo averlo divorato con lo sguardo come se avesse voluto imparare a memoria ogni centimetro della sua pelle, Harry parlò.
 
 -Sei venuto- sussurrò, e aveva gli occhi così grandi e così verdi, e le guance così rosse, che Louis annuì, come ipnotizzato –Ero certo che saresti venuto-.
 
Il ragazzo piegò il capo, studiando per un attimo la sua espressione di genuina meraviglia, come se non potesse credere che Louis si trovasse davvero lì, nella sua camera.
 
 -Non potevo non venire- mormorò, e la tentazione di toccarlo era talmente forte che sollevò una mano e accarezzò la pelle soffice della guancia nivea; Harry chiuse gli occhi e sospirò, stringendo le dita attorno al polso di Louis e premendo il palmo contro il suo viso, strusciandosi leggermente.
 
 -Perché?- mugolò, contro la sua pelle; lui non rispose, troppo impegnato ad osservare il modo in cui la sua mano riusciva a contenere completamente la guancia imberbe del ragazzo. Quando non ottenne risposta Harry aprì gli occhi, inchiodandolo sul posto come faceva ogni volta che lo guardava così –Perché, Louis?-
 
Anche volendo, anche se ogni facoltà cerebrale di Louis non si fosse azzerata al suono del suo nome pronunciato dalla voce bassa e melodica di Harry, non avrebbe saputo dargli una risposta. Non sapeva come, quando o perché si fosse innamorato di lui; ma era successo, e non aveva senso far finta che fosse un altro, il motivo per cui seguiva ogni suo spostamento come un'ombra, dall'alto dei tetti di Londra. Non era bravo con le parole, non quanto lo era con i numeri; perciò decise di piegarsi in avanti, avvicinando a sé il volto di Harry e baciandolo sulle labbra socchiuse.
 
Più tardi, quando le loro bocche erano stanche e indolenzite, ma le loro mani non volevano saperne di sciogliere il loro intreccio, Harry smise di combattere la curiosità. Erano sul suo letto, lui seduto con la schiena contro il muro e Louis sdraiato, il capo posato sul suo petto. Gli stava massaggiando lo scalpo quando, a voce bassa, chiese:
 
 -Com'è successo?-
 
Louis aprì gli occhi, e per un po' non disse nulla. Poi, dapprima lentamente, iniziò a raccontare tutta la storia. Di come aveva trovato gli appunti di suo padre, dell'esperimento segreto, del suo tentativo di rimetterlo in piedi; e infine, del fatidico morso di ragno che aveva cambiato la sua vita, mutando per sempre il suo patrimonio genetico. Harry ascoltava in silenzio mentre parlava, e gli accarezzava lo scalpo dolcemente; quando ebbe finito, le sue dita si spostarono, leggere come farfalle, e saggiarono la piccola protuberanza che gli marcava il polso destro.
 
 -Sapevo che c'era qualcosa di strano in te- sussurrò infine, senza staccare lo sguardo dai ghirigori invisibili che stava tracciando sulla sua pelle -quando ti sei arrampicato sugli scaffali al negozio, quel giorno. Non avevo mai visto nessuno che fosse così agile e disinvolto, a cinque metri d'altezza-.
 
Louis si accigliò, stringendo più saldamente la sua mano nella propria, mentre immagini di quel pomeriggio piovigginoso riaffioravano alla sua mente come da un sogno.
 
 -Non ti piacciono, le altezze- ricordò, e mentre parlava soppesava un'idea che gli era germogliata in mente; un’idea forse avventata, ma senz'altro accattivante. Harry scosse il capo, e le sue guance si fecero un po' più rosse mentre diceva:
 
 -No. A te sì, invece-.
 
Louis si raddrizzò, sedendosi sul letto, e prese entrambe le mani di Harry tra le sue, accarezzando i dorsi con i pollici. Il ragazzo piegò lateralmente il capo, incuriosito dalla luce improvvisa che si era accesa nel suo sguardo.
 
 -Posso aiutarti- propose, con la voce che tremava leggermente per l'emozione -Dobbiamo aspettare il momento giusto, però-.
 
Harry si morse il labbro, indeciso. Forse aveva intuito quello che aveva in mente, e immaginava cosa Louis volesse fare; perciò il ragazzo si sentì in dovere di aggiungere, stringendogli forte le mani e facendogli alzare lo sguardo.
 
 -Non ti capiterà nulla di male. Puoi fidarti di me-.
 
Ed Harry, le guance in fiamme e gli occhi spalancati e grandi come lune, annuì.
 

***

 
Ci volle un po' perché giungesse il momento propizio, quello che Louis stava cercando. Passarono quasi due settimane in cui i due ragazzi si videro a scuola, baciandosi in segreto tra una lezione e l'altra e pranzando insieme, nell'angolo del cortile sotto la quercia, anche quando pioveva; lì non li disturbava mai nessuno e Louis poteva raccontare a Harry delle sue avventure senza timore di essere ascoltato. Il ragazzino tratteneva sempre il fiato fino alla fine della storia, perché lui aveva una teatralità nel modo in cui raccontava che lo faceva pendere dalle sue labbra; poi si baciavano, e s’innamoravano.
 
Pioveva da quasi due settimane, quando finalmente il cielo si era schiarito e tra le nuvole era timidamente ricomparso il sole; Louis non ci aveva pensato due volte, e si era presentato alla finestra di Harry poco prima del tramonto. Quando lo aveva visto, il ragazzo aveva sorriso, e si era sporto per aprire la finestra; Louis però non si mosse dalla sua posizione accucciata, con le mani intrecciate davanti alle ginocchia.
 
 -Non entri?- chiese Harry, invitandolo con un cenno; Louis scorre il capo, e gli tese una mano oltre il davanzale.
 
 -Vieni tu- disse, rivolgendogli un sorriso rassicurante. Harry occhieggiò la mano che gli veniva tesa con diffidenza, mordicchiandosi un labbro; infine si decise, e lasciò che le sue dita s’intrecciassero a quelle di Louis mentre si arrampicava sulla scrivania, poi fuori dalla finestra. Si raddrizzò, aggrappandosi alle spalle di Louis per mantenere l’equilibrio, e lo guardò negli occhi mentre lui lasciava scivolare le mani attorno alla sua vita.
 
 -Vedrai- sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarlo –Andrà tutto bene-.
 
Harry annuì con il cuore che batteva a mille contro la gabbia toracica; Louis lo condusse su per tutta la scala antincendio, fino al tetto del palazzo. Tirava un po’ di vento e Harry si strinse nella giacca che Louis gli porse, guardando fisso il ragazzo accanto a lui per non farsi prendere dal panico; non era mai stato così in alto in vita sua e si sentiva oscillare, incapace di stare dritto.
 
Louis strinse saldamente la sua mano e si avvicinò al bordo del tetto; sulla strada le automobili viaggiavano veloci, venti metri più in basso. Harry strizzò gli occhi e deglutì, terrorizzato: non poteva, non sarebbe riuscito a fare quello che Louis gli chiedeva, perché si sentiva cadere anche restando fermo e gli girava la testa e aveva la nausea e stava per morire.
 
 -Ehy- mormorò Louis, stringendolo a sé e prendendogli il viso tra le mani, per fissarlo negli occhi –Andrà tutto bene. Non lascerò che ti accada nulla di male, Harry, mi hai sentito?-
 
Harry aprì gli occhi in quelli di Louis, che erano più determinati di come li avesse mai visti; deglutì e mugolò piano una risposta incomprensibile. Il ragazzo allora posò la fronte contro la sua, facendo sfiorare i loro nasi.
 
 -Ti fidi di me?- sussurrò. Harry si sforzò di inghiottire il groppo che gli si era formato in gola, e annuì; Louis allora prese i suoi polsi e li guidò a intrecciarsi saldamente dietro il suo collo, mentre stringeva un braccio attorno alla sua vita.
 
 -Tieniti forte- disse solo, prima di gettarsi nel vuoto.
 
Harry non era certo se avesse urlato davvero o se la voce gli fosse rimasta bloccata in gola, mentre precipitavano verso il suolo a una velocità spaventosa; sentiva solo le lacrime bagnargli le guance, e fu certo che sarebbe morto. Si ancorò a Louis con tutte le sue forze, nascondendo il volto nel suo collo ed emettendo un singhiozzo strozzato; poi ci fu uno strattone, e cambiarono traiettoria.
 
Louis rideva come un matto, stringendo a sé il corpo tremante del ragazzo; allora Harry si fece coraggio, sollevò il viso di un paio di centimetri e aprì gli occhi.
 
 Stavano volando.
 
Il mondo era una macchia sfocata di colori, luci e suoni; il cielo era capovolto e l’unico punto di riferimento di Harry era Louis, che lo teneva stretto a sé come un magnete con una graffetta. Con il vento che gli frustava il viso e i capelli che vorticavano dietro di lui, Harry si sentiva vivo, e si unì alla risata di Louis prima piano, poi sempre più forte, finche il suo corpo fu scosso da tremiti incontrollabili: volavano verso il centro della città, e il ragazzo intuì la loro destinazione non appena ne distinse il profilo all’orizzonte.
 
Finì tutto troppo presto, per i suoi gusti. Ancora scossi dalle risate, i due si raddrizzarono sulla cima della Shard Tower, il grattacielo più alto di Londra. Non sciolsero il loro abbraccio prima di essersi scambiati un lungo bacio, così terribilmente romantico che a Harry veniva da ridacchiare solo a pensarci; poi, stupendosi della sua stessa audacia, di separò da Louis e si avvicinò al bordo con piccoli passi tremanti. Trecento metri più in basso, le automobili non erano che minuscoli francobolli colorati, e il Tamigi un nastro d’argento che serpeggiava verso il tramonto.
 
Forse tutto quello era troppo romantico e surreale, per essere vero. Forse Louis non era che un sogno prodotto dalla sua mente e presto si sarebbe svegliato, gelato e terrorizzato a trecento metri d’altezza; o forse si sarebbe schiantato al suolo, e l’avrebbero ritrovato maciullato sotto un autobus. Comunque dovesse andare, a Harry non importava molto: era così felice, seduto fra le gambe di Louis con la schiena reclinata contro il suo petto, che non gli sarebbe importato molto se fosse morto in quel momento.
 
 -Qual è- chiese a un tratto, mentre Louis gli accarezzava distrattamente gli avambracci –la parte peggiore dell’essere un supereroe mascherato?-
 
Louis sorrise quasi impercettibilmente, e rispose senza guardarlo negli occhi, ma tenendo lo sguardo fisso sul sole che tramontava all’orizzonte.
 
 -Il segreto- rispose, con una punta di amarezza nella voce. Harry se ne accorse, e storse il collo per guardarlo negli occhi.
 
 -Non lo sa nessuno?- sussurrò, emozionato. Un po’ se ne vergognava, in realtà, perché era evidente che Louis ne soffrisse; ma c’era una parte del suo cuore che si era ingigantita fino a occupare tutto il suo torace, al pensiero di essere davvero speciale per lui. Louis scosse il capo, e lo guardò con un sorriso un po’ triste. Doveva aver indovinato i suoi pensieri, perché posò la mano sulla sua guancia e accarezzò il suo zigomo con il pollice.
 
 -Nessuno- confermò –Farai meglio a tenere la bocca chiusa, ragazzino- aggiunse, severo. Salvo poi sorridergli, e baciarlo sulle labbra chiuse, come a voler sigillare il loro segreto con il lucchetto più saldo del mondo. Harry sorrise divertito, e annuì; poi si sedette più comodamente, e proseguì la sua inquisizione.
 
 -E la cosa migliore?- domandò, con gli occhi che brillavano. Louis lo guardò negli occhi ed arrossì, poi chinò il capo e prese a giocherellare con un filo tirato del suo maglione.
 
 -Sarebbe troppo sdolcinato se dicessi… te?- rispose, piano. Quando alzò lo sguardo, Harry stava sorridendo e i suoi occhi brillavano di una luce tutta loro.
 
 -Sì- disse –Sarebbe decisamente pacchiano, sdolcinato e imbarazzante- sussurrò sulle sue labbra –Ma sarebbe anche la cosa più bella che mi hanno mai detto-.
 
La parte peggiore dell’essere un supereroe mascherato coincideva con la migliore, rifletté Louis mentre abbracciava Harry per l’ennesima volta, quel giorno. Dover mantenere il segreto sulla sua identità era un peso gravoso, che s’ingigantiva ad ogni sguardo disperato di sua zia; ma poterlo condividere con Harry, sapere che c’era qualcuno di cui poteva fidarsi senza riserve era un sollievo, un vero e proprio salto nel vuoto che sembrava non avere mai fine. Forse era stato avventato, forse erano solo due ragazzini che giocavano a fare i supereroi senza rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni; ma era una bella sensazione, e Louis ci sarebbe volentieri rimasto avviluppato per sempre.
 
La vita non va mai come speriamo, però. Una volta ci morde e ci trasforma in supereroi, una volta ci fa incontrare la persona giusta e un’altra volta ci schiaccia, strangolandoci in una fitta ragnatela che non stessi abbiamo tessuto. Louis non sapeva come quel morso di ragno avrebbe effettivamente stravolto la sua esistenza, rivelandosi per quello che era: una maledizione e una benedizione allo stesso tempo, un grande potere e una grande responsabilità.
 
Non sapeva cosa ne avrebbe fatto, di quel segreto che avrebbe finito per corroderlo; tutto quello che sapeva sul suo futuro, era che voleva affrontarlo con Harry. All’improvviso, l’idea di rivelare al mondo che era lui, Louis Parker – il ragazzino sfigato che prende A in matematica e fisica – a celarsi dietro la maschera di Spiderman, non sembrava più così allettante.
 
Prima prudeva sotto la pelle come la lycra sintetica della sua prima tuta, era un gong che non taceva mai e continuava a battere, martellandolo con l’impulso di uscire dall’anonimato ed essere acclamato, finalmente, per la celebrità che era.
 
Ora, in cima alla Shard Tower sotto un tramonto che minacciava pioggia, stretto tra le braccia ancora infantili ma robuste di Harry, Louis non desiderava che essere lasciato in pace. Finché Harry lo considerava il suo supereroe, il resto del mondo non contava.
   
 
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