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Autore: Dragon_Flame    03/05/2013    5 recensioni
Una guerra civile ha scosso Johto e strappato Mia dai suoi amici e dalla sua famiglia. E' fuggita da Ebanopoli, dicendo addio a tutti coloro che ha amato in vita sua. Non potrà mai più avere una vita normale. Quel Team Omega che ha distrutto la sua vita ora si è impadronito del mondo grazie ad un esercito imbattibile, feroce e distruttivo. Lei è caduta dentro un mondo d'oblio e disperazione, distrutta e lacerata dalla perdita della sua felicità.
Ma Mia è una Domadraghi, ha un'indole combattiva e determinata, risoluta e coraggiosa. Si è rifugiata a Evon ma è pronta a ricominciare. L'unico modo per combattere il Team Omega e il suo comandante Zlatan è la resistenza partigiana. E tra le sue file ci sarà anche lei. Perché quella strage non può rimanere impunita, e neanche quella dei congiunti di Darius, di Artigliopoli. I destini dei due giovani si incroceranno e si legheranno indissolubilmente, nonostante l'antica avversità tra i loro Clan, i loro caratteri diversi, la lotta partigiana. Perché a questo mondo non c'è spazio per odio e disprezzo, solo per amicizia e affetto. E l'amore.
[OC: MiaxDarius]
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Flame
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: N, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Manga
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Una goccia di sangue, un'altra, un'altra ancora. Sangue, sangue dappertutto. Vermiglio e atroce. Anche sulle sue mani, quelle mani sottili che avevano convulsamente stretto l'avambraccio di suo padre Lysander mentre questi le diceva di fuggire, la incitava a scappare e salvarsi.

“Non posso lasciarti qui!” aveva gridato disperata Mia, osservando il padre agonizzante. Lui le sorrideva nonostante il dolore che provava alla spalla, dove un proiettile di mitra l'aveva colpito, perforando la carne fino all'osso. Si era rialzato caparbiamente in piedi e stentava a camminare, ma voleva che la figlia, la sua unica, preziosa figlia se ne andasse. Dopo aver saputo che fosse stata al sicuro sarebbe potuto morire in pace. La sola cosa che desiderasse in quel momento era la sua salvezza. Cynthia era deceduta pochi minuti prima, spirando davanti al marito e a Mia dopo essere stata colpita da un frammento del vetro della finestra del salotto. Quel vetro era improvvisamente esploso dopo una granata che era caduta vicino alla casa, scuotendone le fondamenta. Dopo il lieve momento di confusione iniziale, si erano sentiti spari e l'incursione di alcuni soldati nella dimora dei vicini, i signori Locket. Altri spari, e le urla disumane provenienti da quell'abitazione si erano smorzate in un pianto straziato, fino a cessare a un'altra mitragliata. Poi i soldati che avevano compiuto il massacro erano corsi verso la casa di Emmalin Blake, da cui la giovane vicina di casa di Lysander, Cynthia e Mia Sheridan era stata portata via e condotta chissà dove, ferita e sotto shock. Non avrebbe fatto una bella fine.

Nessuno degli oppositori all'avanzata del Team Omega faceva una bella fine. Ebanopoli si era dichiarata libera dal giogo nemico tre mesi prima e da allora erano cominciato il lento declino di quella meravigliosa città montana, distesa nella verde vallata che l'ospitava. Dapprima sporadiche lettere di minaccia, poi discontinue bombe, granate. E a un certo punto anche le incursioni dell'esercito nemico. Sì, perché il Team Omega aveva un esercito, un esercito sconfinato, imbattibile. Le regioni della Federazione Tetraregionale di Cyan, Arx, Nim e Fehn erano cadute in mano ad esso pochi mesi prima, dopo una stregua e valorosa resistenza. Molti dei mercenari di quelle milizie erano stati relutati, o meglio dire rastrellati, nelle regioni già conquistate, cioé Sinnoh, Hoenn, Unima, il Settipelago Orange e ovviamente le regioni della Federazione.

Il Clan di Ebanopoli era stato l'ultimo tra le città di Johto a cadere nelle mani del nemico, circa due giorni prima; da allora essa era andata svuotandosi dei suoi abitanti perché era risaputo che il terribile comandante del Team Omega, Zlatan di Nubepoli – nella regione più a nord della Federazione, Nim – non avrebbe esitato a deportarli tutti e a sbarazzarsi di loro. Per lui, tutti i cittadini di Ebanopoli dovevano subire una punizione esemplare in quanto contestatori della sua occupazione e strenui difensori dell'ideale di un mondo libero e dominato solo dalla pace. Il regime che Zlatan voleva instaurare avrebbe messo fine alla loro libertà. E adesso pagavano le conseguenze di quella resistenza.

Il primo a pagare era stato il capoclan, Sebastian Drake, uno degli ultimi rappresentanti della dinastia che da trecento anni deteneva il comando di quel Clan. Lo avevano ucciso per primo, rifiutandosi testardamente di cedere alle imposizioni umilianti e inique di Clizia, il capitano della spedizione che aveva conquistato Ebanopoli. Dopo di lui erano stati uccisi gran parte dei membri del Consiglio del Clan che avevano recisamente respinto le condizioni di Clizia e Zlatan, condannandosi a morte pur di salvaguardare l'onore della città. Le loro convinzioni esprimevano l'opinione dei cittadini sulla faccenda, che si erano preparati a resistere con tutte le loro forze, fino alla fine; altri avevano preferito andarsene, abbandonando il Clan.
Fine. Questa parola percorse le membra di Mia come un brivido, ripercuotendosi all'infinito. Era una parola che ora le incuteva terrore. Era la parola aveva segnato l'addio di sua madre al mondo terreno lasciando lei e il padre soli e affranti. La scheggia di vetro le aveva reciso per un caso fortuito la carotide e la donna era morta dissanguata, tra i singhiozzi e le lacrime amare della figlia e lo sgomento addolorato del marito. Pochi secondi dopo un soldato aveva fatto irruzione nella loro abitazione, un mitra semicarico in mano e un'espressione di eccitazione e odio negli occhi scuri. La violenza e la ferocia distruttiva dell'incursione lo avevano sovraeccitato e, in preda a una scarica di adrenalina pura, sparò dei colpi davanti a sé: due colpirono di striscio Mia, uno fu deviato dal lampadario pendente dal soffitto e gli altri tre furono incassati da Lysander, che si afflosciò a terra con un mugugno di sofferenza. Mia era caduta a terra per lo spavento e cercava freneticamente una piccola botola sotto il tappeto del salotto dove i suoi genitori le avevano confidato di aver nascosto una pistola per difendersi in caso di un'incursione del nemico nella città, previsione che si era sfortunatamente avverata.

Con la mano tremante aveva preso la pistola e mirato al petto del soldato, che aveva sparato il colpo letale a Lysander, quello che penetrandogli nella spalla aveva quasi raggiunto la spina dorsale. Non si sarebbe salvato. Era là, steso a terra, agonizzante, aspettando il colpo di grazia che mettesse fine ai suoi tormenti; poi il pensiero di sua figlia, che si sarebbe trovata completamente sola in un mondo pieno di violenza e terrore, l'aveva trattenuto dal proposito di lasciarsi morire, di spirare. Un proiettile fu sparato dalla pistola che Mia teneva stretta nella mano destra, colpendo il milite nemico al cuore. Un urlo di strazio gli soffocò in gola mentre la morte lo accoglieva nelle sue gelide spire fatali.

Mia si precipitò al fianco del padre. Gli strinse l'avambraccio destro, quello della parte illesa del suo corpo appesantito, tentando ostinatamente di farlo levare in piedi. Dopo un po' di riluttanza l'uomo si era finalmente alzato, ma non aveva mosso un solo passo, restando nella stessa posizione. La figlia lo guardò incredula: si stava arrendendo! Non era quello il papà che conosceva. Anche di fronte alla più difficile situazione che potesse affrontare non si sarebbe mai tirato indietro. Ma allora perché non fuggiva? Perché se ne stava lì impalato nel mezzo della stanza a osservare il pavimento?

Mia abbassò lo sguardo e vide il corpo della madre giacere a terra, privo di vita e in una pozza di sangue. Un tremito scosse il mento della ragazza, di appena sedici anni, e le si appannò la vista tutt'a un tratto. Sentiva la testa che le girava vorticosamente, sempre più veloce; lo stomaco era in subbuglio e sentiva come se avesse dentro di sé un rumoroso e caotico sciame di Beedrill.

“Mamma!... Mamma!!” aveva singhiozzato, cadendo in ginocchio al fianco del corpo inerte. Diede sfogo alle violente emozioni che aveva represso in quei pochi istanti che le erano sembrati un'eternità. Non poteva essere morta. Non lei. Non sua madre.

“Mia” l'aveva chiamata il padre con voce flebile e rassegnata. La figlia aveva volto gli occhi lucidi verso il volto del padre, osservandolo interrogativamente. Nella sua espressione si leggeva la morte. Gli occhi erano sbarrati, il viso terribilmente pallido, esangue. Stava per andarsene pure lui.

“No!” strillò istericamente la figlia, scattando in piedi e abbracciandolo con impeto. Non poteva arrendersi, non poteva! Doveva lottare, vivere, andare avanti. Per lei, per prendersi cura di lei che era orfana di madre adesso...

“Mia” ripeté con voce risoluta seppur fatalista. “Io sto per andarmene. Il destino ha voluto che io e Cynthia ti lasciassimo da sola molto prima che tu potessi aprire le ali da sola e spiccare il volo verso una vita indipendente da noi. Ma ricorda, anche se io e mamma non ci saremo più, tu ci avrai sempre al tuo fianco. E' una promessa, una promessa solenne e infrangibile, inviolabile. Ti prometto che ti staremo accanto per sempre, Mia. Ma adesso promettimi anche tu una cosa: che te ne andrai di qui, che ti rifugerai a Fortedomino da tua zia Ellen... la regione di Evon è l'unica rimasta libera dall'occupazione delle truppe di quel bastardo di Zlatan. Lì sarai al sicuro. Ma devi fuggire prima che arrivi qualche altro soldato, presto!” la incitò, evitando lo sguardo incredulo e sgomento della figlia. Sapeva che non avrebbe avuto la forza di dirle quelle parole se avesse incrociato i suoi occhi.

“Ma papà, io non posso lasciarti qui! Non voglio perderti! Ho già perso la mamma, proprio adesso! Non abbandonarmi pure tu, ti scongiuro!...” lo pregò disperatamente Mia, stringendosi a lui fortemente. Un rantolo di dolore scosse il respiro affannoso che proveniva dal suo corpo martoriato: il proiettile era penetrato nel collo e si era frantumato; una di quelle schegge sottilissime era scivolata tra due vertebre e stava per raggiungere il midollo spinale. Era solo questione di tempo prima che morisse.

“Mia, adesso basta!” esclamò piuttosto rudemente, delle lacrime di tristezza che solcavano i suoi zigomi sporgenti e un contrastante sorriso affettuoso che appariva sulla sua bocca. “Io ti voglio bene, ti amo come un padre ama la propria figlia. E voglio la tua sicurezza, il tuo bene. Adesso prendi la mia cintura, ci sono le pokeballs con i miei tre draghi che ti saranno vicini e d'aiuto in questo momento e nel futuro” e gliela porse, quindi con un grande sforzo di chinò a togliere alla moglie la sua cinta “e prendi pure la cintura con le pokeballs dei draghi di Cynthia. Avrai bisogno di più amici possibili intorno. Va' e prendi anche i tuoi Pokémon, e fa uno zainetto con poche cose: documenti, un po' di soldi, qualche cambio d'abito... il minimo che ti serva per fare un lungo viaggio fino a Evon. Anche del cibo. Usa l'atlante che teniamo nella libreria dello studio per orientarti in viaggio, ti servirà molto. Prendi con te la pistola: ti servirà per difenderti se dovessi subire qualche attacco da parte di quei traditori che hanno abbracciato la causa di Zlatan... non voglio che ti capiti nulla, tesoro. Nulla.”

Mia piangeva ininterrottamente alle parole del padre: sapeva che egli si arrendeva solo se sapeva che non avrebbe potuto fare più niente che fosse in suo potere. Questo significava che era certo del suo destino. Sarebbe morto... il pensiero del corpo del padre senza vita la ferì come una pugnalata. Ma la consapevolezza che la cosa si sarebbe presto avverata le arrivò come una stilettata al cuore, inferta con maggior vigore e crudeltà. Infine annuì alle parole del padre e accettò le cinture e le pokeballs che Lysander le porgeva. Stava per voltarsi e andare a svolgere il volere dell'uomo, quando questi la fermò. Mia sentì le labbra del padre sfiorarle delicatamente la fronte e i mossi capelli castani, quindi le ultime parole di suo padre.

“Ricorda, Mia, tu sei una Sheridan. Una Domadraghi. Il membro di un Clan forte e fiero, valoroso e retto. Non dimenticare chi sei.” Le mise al collo un ciondolo: era una fiamma carminica con un cristallo verde smeraldo nel mezzo.

“Questo ciondolo appartenne a una nostra antenata, una donna fiera, saggia, leale e intrepida. Che la forza sia con te, Mia. Non dimenticare mai le tue origini” l'ammonì con un ultimo sorriso paterno. “Non dimenticare chi sei...”

L'uomo fu scosso da una brutale convulsione, quindi s'irrigidì. Il frammento di proiettile aveva raggiunto il midolo spinale, provocando una paralisi.

“Fuggi, Mia! Fuggi!” esclamò Lysander in preda al dolore. La ragazza gli strinse le mani su un avambraccio, osservando devastata l'agonia del padre. Il sangue che fuoriusciva dalla ferita alla spalla dell'uomo le aveva macchiate.

“Non posso lasciarti qui!” gridò angosciata, lottando contro il tremore e il panico che la stavano invadendo.

“Mettiti in salvo, Mia, fa come ti dico! Fuggi!” mormorò l'uomo flebilmente, accasciandosi a terra. Esalò l'ultimo respiro.

“Nooooo!” gridò Mia con tono straziato a quella macabra scena. Era sola, completamente sola al mondo, ora.

 

Mia sobbalzò sul letto, trattenendo a stento un grido. L'improvviso movimento la fece capitombolare giù da lì, andando a cadere sul duro pavimento di pietra della stanza. Era a casa di sua zia Ellen. Zlatan non aveva potuto attaccare Evon perché il suo esercito non aveva l'inclinazione né le risorse adatte a continuare le conquiste. Mancavano all'appello anche Almia, Oblivia, Kanto, Fiore e Auros, oltre a Evon. Lysander aveva scelto bene il rifugio per la figlia: il Clan di Fortedomino, dove viveva la sorella di Cynthia con il marito Raphael, il figlio Luke e le figlie gemelle Ariadne e Zoe, era un posto sicuro.

Distrutta, avvilita, desolata come era ogni volta che faceva quell'incubo, Mia si levò in piedi, tremante per il freddo mattutino e per le sconvolgenti emozioni che il sogno le suscitava, lacerando la sua esistenza di tutti i giorni e la sua tempra.

Osservò fuori della finestra: i tiepidi raggi solari accarezzavano la terra delicatamente come petali di rosa e la irradiavano di luce e calore, mentre il mare spumeggiante s'infrangeva dolcemente contro la costa frastagliata. Era un paesaggio tranquillo e sereno; a Mia tuttavia apparve vuoto, privo di senso ed emozioni positive, come tutto ciò che la circondava. Era l'alba di un nuovo giorno, un altro giorno che allontanava quella maledetta data da lei. Ma il ricordo no, quello restava vivido e incancellabile nella sua memoria, come se fosse marchiato a fuoco.

Per colpa di Zlatan non sarebbe più tornata ad essere felice, avrebbe sempre convissuto con la paura e il terrore che quel nome le arrecava, con l'odio impotente che si sentiva bruciare dentro contro di lui... no, non sarebbe stata con le mani in mano a lasciar scivolare via lentamente la sua vita nell'abisso dell'oblio da cui non sarebbe più uscita altrimenti. Era una Sheridan, una fiera Sheridan. Una Domadraghi capace e abile. Una giovane piena d'iniziativa e sventatezza, ma anche di coraggio e spirito di sacrificio. Suo padre aveva dato la vita per lei, si era sacrificato per sua figlia. Mia non lo avrebbe mai dimenticato, quel gesto. Mai. Una nuova consapevolezza s'accese in lei. Guardò il ciondolo a forma di fiamma che brillava alla timida luce solare che s'affacciava dalla finestra, gettando prismi iridescenti sulle pareti della camera da letto.

Aveva deciso. Aveva perduto tutti i suoi cari, il suo mondo a causa di Zlatan, e lui avrebbe pagato con la vita questo affronto a Ebanopoli e alla sua famiglia. Lo spirito di abnegazione la condusse a fare una scelta importante: lottare per la libertà, per vincere l'invasore e tornare alla sua città natale da cui era stata brutalmente strappata. Lottare significava ribellarsi e rischiare la vita, ma non le importava: l'avrebbe sacrificata comunque a quello scopo, se serviva a ridarle la forza di andare avanti. Avrebbe combattuto per la liberazione del mondo Pokémon da quel parassita velenoso del Team Omega. Si sarebbe opposta al suo regime dittatoriale.

Sì, era convinta e irremovibile sulla sua scelta: sarebbe entrata nei gruppi di liberazione di Johto, tra le file della Resistenza. Sarebbe diventata partigiana.



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Ciaooooo!! :D questo è un testo di prova, per cui gradirei i vostri commenti (costruttivi) e delle recensioni con le vostre opinioni ^.^ per il resto, non posso fare altro che augurarvi buona lettura!!! u.u Non prendetemi per una sadica ma i miei personaggi soffrono un po' tutti, chi per un motivo chi per un altro, quindi se la storia vi deprime o vi fa schifo (spero di no!!) cambiate >.>"
A presto con le mie storie tormentose!! :')
-Dragonflame-

  
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