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Autore: Keros_    03/05/2013    5 recensioni
[Future!Seblaine]
Blaine, dopo anni di matrimonio con Sebastian e aver messo su una famiglia, decide di divorziare dal marito a causa di un tradimento subito da quest'ultimo. Così va a vivere con suo fratello Cooper e la sua compagna Elizabeth, facendo fare ai bambini avanti e in dietro da una casa all'altra; ma affrontare un divorzio non è mai così facile come si pensa, sopratutto se si provano ancora dei sentimenti profondi verso colui che dovrebbe diventare l'ex.
Abbiamo: Cooper che è stufo d'avere il fratello in giro per casa, Elizabeth che non ne può più di ascoltare i suoi monologhi depressi, Grant che è furioso con entrambi i genitori, Juliette che vuole la felicità dei due uomini, Sebastian che decide di riconquistare Blaine, Tony innamorato di Sebastian, John che vorrebbe creare una relazione con Blaine e quest'ultimo che vorrebbe continuare ad andare avanti con il divorzio.
Ma lo sappiamo tutti, ottenere ciò che si vuole non è mai così facile.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9


 

Grant non vedeva l’ora che Elizabeth tornasse a casa per poterla invitare alla sua partita di Football che si sarebbe svolta la settimana successiva. Era molto orgoglioso di essere stato scelto dall'allenatore, era uno degli attaccanti e voleva che tutti si accorgessero di quanto fosse migliorato da quando aveva varcato per la prima volta la soglia del campo da gioco.

Aveva deciso d’invitare tutti, pure i due papà. Gli andava così. Più semplicemente voleva dimostrare a se stesso di essere un bravo giocatore e che la loro separazione non aveva nulla a che fare con lui e che quindi non aveva avuto nessun calo nello sport.

Ovviamente era tutta una scusa che si ripeteva a se stesso, non vedeva l’ora di vedere la faccia di suo padre illuminarsi e la mascella arrivare al pavimento per poi fargli un complimento distaccato; non che ne avesse bisogno, sapeva di essere fantastico in qualsiasi caso, dopo tutto era un Anderson-Smythe per come gli ripeteva sempre suo padre, ma sperava anche in un semplice e banalissimo: “Anche se il calcio fa schifo, sei migliorato.”

Non gli interessava che gli dicesse: “Sono fiero di te” e tutto il resto. Grant non era fiero di lui, quindi che gli importava?

Per quello c’era Blaine. Lui sicuramente lo avrebbe guardato con gli occhi sognanti per tutta la partita e poi si sarebbe avvicinato per poi abbracciarlo forte, nonostante le sue imprecazioni e poi lo avrebbe baciato sulla guancia blaterando cose come “Sei stato meraviglioso,” “Eri il migliore di tutti,” “Sono così orgoglioso di te! Sei stato fantastico.”

Voleva vedere Juliette indicarlo dall’alto delle scalinate e dire a tutti “Quello è il mio fidanzato,” e che gli chiedesse di spostarlo; anche se erano fratelli. Tanto poi gli avrebbe detto di no perché papà Sebastian si sarebbe ingelosito troppo.

La persona che voleva far felice era Elizabeth. Se lo meritava, lo stava aiutando molto da quando ebbero la famosa chiacchierata al parco; gli stava insegnando molte cose sul mondo degli adulti e su come andassero davvero le cose. Avrebbe voluto fossero stati i suoi papà a farlo, ma in quel momento non li riteneva all’altezza visto come si stavano comportando e così si era imposto categoricamente di non chiedere aiuto a loro. Sapeva che era l’orgoglio a parlare, ma si era promesso che quando se lo sarebbero meritati, avrebbe iniziato a parlarne anche con loro.

Per il momento Elizabeth gli andava più che bene, quindi era lei l’invitata d’onore. Sperava che almeno per un giorno si potesse rilassare. Da quando i suoi genitori avevano preso la decisione di divorziare, insieme a loro c’era andata di mezzo anche lei, dovendosi sopportare i lunghi monologhi di Blaine, fare la babysitter ventiquattro ore su ventiquattro, non poter stare tranquillamente con Cooper e dovendo rinunciare a moltissime e semplicissime cose che prima era abituata a fare.

Grant, inoltre aveva anche notato che il suo nervosismo era peggiorato drasticamente negli ultimi giorni, lei diceva che era a causa di un nuovo incarico lavorativo, ma lui l’aveva vista nascondere nella borsa due riviste da sposa; non si fermò molto a riflettere, il suo cervello fece due più due da solo.

Grant venne risvegliato dai suoi pensieri quando la porta di casa dello zio Cooper venne aperta e richiusa con un colpo sordo. Sentì un paio di tacchi camminare sul parquet e non ci volle molto per capire che era proprio Elizabeth a essere tornata a casa.  

Si alzò in piedi dal pavimento su cui era comodamente sdraiato, ma prima che potesse avvicinarsi e raggiungere la donna, Cooper  uscì dalla cucina, facendogli passare un braccio alla vita e spingerla a se per baciarla con passione, sorprendendola.

Grant trattenne a stento il vomito.

Spostò lo sguardo, facendolo cadere sul pavimento per ammirare i graffi sul legno, notando che erano molto più numerosi di quando lui, suo padre e Juliette erano andati a vivere con loro. Capì che i due adulti si erano staccati, grazie a uno schiocco, così ritornò a guardarli e vide la sorella posta dietro di loro che li guardava come le donne guardano un anello di diamanti.

“Ho un provino tra due giorni e devo ancora imparare le ultime battute, mi aiuti?” le chiese speranzoso Cooper, lasciandole un altro bacio a fior di labbra.

Lei si allontanò leggermente, passandosi una mano sul viso stanco. “Va bene.” Gli concesse in fine, alzando una gamba per levarsi in malo modo le scarpe e Cooper la afferrò dai fianchi per darle equilibrio e non farla cadere.

“El, stai bene?” Chiese lui preoccupato, togliendole la borsa e le scarpe dalle mani.

“Si, ho soltanto un po’ di mal di testa.” Lo liquidò, prima di avvicinarsi a Juliette e chinarsi leggermente per lasciarle un bacino sulla fronte “prendo un’aspirina e poi passa.”

“Vado a prendertela io!” Propose subito Grant, sentendosi angosciato dentro per qualche strano motivo nel vederla così. “Tu siediti sul divano.”

“Si, zia, vieni!” Disse la bambina, prendendola per una mano e trascinandola con sé.

Grant andò in cucina e aprì lo sportello delle medicine per prendere una pillola effervescente . Prese un bicchiere pulito vicino al lavandino e lo riempì d’acqua prima di tornare in cucina e darlo alla donna, per poi sedersi sul pavimento  a gambe incrociate, facendo scivolare lo sguardo tra i tre seduti sul divano, cercando di capire di cosa stessero parlando i due adulti.

“…certo che è stato Blaine con i suoi monologhi.”

“Ancora su Sebastian?”

“Insomma, diciamo che adesso ha un po’ cambiato repertorio. Parla anche un po’ di John.”

Grant si morse il labbro per non interromperli con un’imprecazione. Entrambi sembravano non fare caso a lui e alla sorellina mentre parlavano e lui stava ricevendo troppe informazioni succulente per farne a meno.

“Com’è finita l’altra sera?”

“E’ questo il punto!” Rispose lei, prima di prendere un sorso dal bicchiere. “Non hanno fatto niente” rimarcò l’ultima parola con disgusto e Grant rabbrividì al solo pensiero di suo padre potesse fare quel genere di cose.  “Ma non è questo il problema. Sarebbe stato fin troppo semplice, quindi no. Quando gli ho chiesto perché non è salito a casa sua, sai cosa mi ha risposto?”

Grant, Cooper e Juliette scossero la testa con la bocca aperta e totalmente presi dal racconto.

L’ho fatto per Sebastian. Questa è stata la sua risposta! L’ha fatto per Sebastian! Anzi, non l’ha fatto per Sebastian. Che risposta è?”

“Beh-“ Iniziò Cooper, ma lei lo interruppe.

“Io non capisco niente! Vuole divorziare da lui, ma poi non fa assolutamente niente perché pensa a lui. Perché lo ama.” Elizabeth disse le sue parole facendo il verso a Blaine, prima di poggiare il bicchiere ancora pieno sul tavolino e continuare a parlare. “Capisco che lo ama, però a me scoppia la testa! Ho pensato a lui e non ho potuto farlo, andare a letto con John sarebbe stato solo un modo per vendicarmi di Sebastian o per ferirlo. Non me la sono sentita.” Continuò ancora, citando le testuali parole dell’amico.

“Ma è fantastico!” dissero in coro gli altri tre.

“Si ma il mal di testa viene a me!” li rimproverò lei, prima di riafferrare il bicchiere e bere tutto in un sorso per poi fare una faccia schifata. “Ci serve qualcosa per farli stare da soli.”

“Ancora?” Chiese Cooper, sconsolato.

“Tutto quello che abbiamo già fatto non è bastato?” Continuò Grant e lei scosse la testa.

“Sono più cocciuti e cretini di quanto credessimo.”

“Ma hanno dormito pure insieme! Mi stavano pure per schiacciare!” Ribadì la piccola, chiedendosi mentalmente come fosse possibile.

“Non è bastato nemmeno John?” Chiese sconsolato Grant, sperando che a qualcuno venisse un colpo di genio, magari uno di quelli acuti che riuscisse a far risolvere tutti i problemi.

“Sei sicura che una volta rimasti soli, si risolverà tutto?”

“Si! Blaine ha praticamente ceduto, anche se non lo sa ancora.”

Tutti e quattro sorrisero e Juliette batté anche le manine. Scese il silenzio nella stanza, ognuno troppo preso a pensare a un modo per far restare soli i due adulti facendolo apparire come una cosa casuale. Ma mentre pensava, la mente di Grant tornò alla partita di calcio a cui non aveva ancora invitato Elizabeth.

La partita di calcio.

Doveva comprare i biglietti per la partita di calcio, visto che erano a pagamento per finanziare l’eventuale trasferta della squadra.

Erano a pagamento e lui non li aveva ancora comprati.

Erano a pagamento, lui non li aveva ancora comprati e poteva scegliere quelli che voleva.

Erano a pagamento, lui non li aveva ancora comprati, poteva scegliere quelli che voleva mettendo vicino chi voleva.

E lui voleva mettere vicino Blaine e Sebastian.

“Io un modo ce l’ho.” E tutti gli diedero l’attenzione che meritava. 

 


 

 

Blaine scrutò attentamente il figlio, chiedendosi se stesse per fare la scelta giusta.

Ma non sul completino che stava indossando per scegliere quella taglia a un’altra più grande, che tra l’altro era l’unico motivo per cui era lì, ma era indeciso se comunicargli la sua decisione o meno.

“Papà, penso che questa misura mi stia bene, che ne dici?”

“Humm-humm.”Rispose senza nemmeno pensarci, troppo immerso a pensare a qualcos’altro.

“Sarebbe un sì o un no?” Gli domando il figlio, spazientito, che rifece un giro su se stesso poco convinto.

“Non lo so...” Rispose Blaine, ancora vago con tono assente.

“Papà sei gay! Aiutare le persone a scegliere i vestiti adatti, dando un parere distaccato, è il tuo mestiere per natura.”

Il moro lo guardò facendo una smorfia di confusione, non sapendo da dove uscisse quel commento senza senso e offensivo. Forse era l’agitazione per la partita, o forse era solo il DNA Smythe a parlare per lui. Comunque non rispose, si limitò a rimproverarlo con lo sguardo e lui rientrò nel camerino con un ghigno e l’aria trionfante.

Blaine scosse la testa, cercando di trattenere un sorriso. Guardò intensamente la tenda dietro cui era sparito il figlio, come se volesse vederci attraverso, anche se in realtà la fissava senza nemmeno vederla. Decise che gli avrebbe parlato, non gli avrebbe detto la sua decisione, ma soltanto che il prima possibile dovevano fare una chiacchierata di famiglia, magari parlando con tono rassicurante, tanto per fargli capire che non c’era nulla di cui aver paura. Perché infondo, non ce n’era, no?

“…Mi stai ascoltando?”

Blaine sobbalzò alla domanda del figlio. Non si era accorto che era uscito dal camerino. “Si, dicevi?”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, prima d’imprecare sottovoce. “Mi sta meglio questa misura? E’ quella più grande.”

Il genitore lo guardò un attimo, tentando di ricordare la taglia precedente. “Prendiamo questa, l’altra era troppo precisa.”

Grant fece cenno di sì con la testa, prima di rientrare nel camerino. Stava per tirare di nuovo la tenda e sparirci dietro quando si voltò verso di lui a guardarlo, facendo sgretolare tutte le speranze di Blaine sul fatto che non si fosse accorto di niente.

“Che mi devi dire?” Gli chiese, dopo un lungo istante nel quale si fissarono negli occhi.

“I-io..” Blaine boccheggiò un attimo, non sapendo cosa rispondere. Possibile che tutti lo riuscivano a capire anche solo con uno sguardo? Evidentemente sì.

Sbuffò sconsolato. “Io e tuo padre dobbiamo parlarvi, a te e a tua sorella.”

Silenzio.

“Non è nulla di grave, riguarda il nostro divorzio.”

Grant lo fissò e quegli occhi gli diedero un brivido lungo tutta la schiena. Erano dello stesso verde di Sebastian, avevano la stessa forma degli occhi di Sebastian. E come quelle di Sebastian, quelle iridi lo guardavano incolore, senza emozione, fiero anche se quelle parole lo stavano facendo sentire male dentro.

“Volete separare anche me e Juliette, non è vero?”

Adesso era Blaine a rimanere in silenzio.

“Papà me l’ha già detto. Non ti preoccupare, non m’importa.”

“Sebastian te l’ha già detto?” Chiese Blaine con gli occhi sbarrati.

“Si, ma non è un problema. Fa’ come credi.” Detto questo, Grant chiuse la tenda, sparendo dietro il camerino e la cosa incuriosì molto il moro.

Si era aspettato qualche imprecazione, una sceneggiata, un insulto di rabbia, un qualcosa che gli facesse capire che stava facendo la scelta sbagliata e invece non ricevette niente, solo un tono menefreghista e il totale disinteresse. Aveva sentito la sua voce inclinarsi leggermente, ma era per la sorpresa di sentirselo dire un’altra volta, probabilmente.

Blaine era confuso più che altro. E in quel momento anche abbastanza infastidito, visto che Sebastian ne aveva parlato con il figlio senza aspettarlo. Si morse il labbro, sentendo la rabbia salire.

Pochi minuti dopo, Grant uscì dal camerino vestito di tutto punto come quando erano entrati nel negozio, la mano destra con le nocche arrossate, ma Blaine fece finta di non notarle. Si diressero alla cassa dove una commessa giovane gli sorrise cordiale mentre il ragazzo le porgeva il completino.

“Tu vieni a vedermi, vero, papà?” Chiese con nonchalance Grant, continuando a guardare la commessa che prendeva il codice a barre sull’etichetta.

“Certo che vengo! Non mi perderei mai una tua partita, per nulla al mondo.”

Un ghigno gli delineò le labbra e Grant  sperò soltanto che in quel nulla, ci fosse compreso anche suo padre.

 



 

Sentì Sebastian arrivare a casa e immediatamente si scostò le coperte di dosso e spense la televisione, si alzò in piedi e cercando di fare meno rumore possibile cercò di rifare il letto matrimoniale su cui, fino a pochi secondi prima, era comodamente rintanato sotto al piumone.

Fece il più in fretta possibile, ma, purtroppo, il padre andrò nella camera aprendo la porta di scatto senza troppe cerimonie, cogliendolo in fragrante.

Grant avrebbe voluto scomparire.

“Ah, sei qui.” Esordì Sebastian, poi guardandolo meglio scoppiò a ridere. “Che stavi facendo?”

“Niente,” borbottò lui irritato, lasciando andare le coperte con poca grazia e cercando le ciabatte.

“Niente? Grant, non prendermi in giro.” Lo rimproverò secco il padre. “Mi spieghi perché hai addosso il pigiama di tuo padre e mi stai rifacendo il letto?”

“Ti stavo mettendo l’orticaria tra le lenzuola, contento?” Ribatté lui acido.

“Ma davvero? E di grazia, mi spiegheresti perché hai il pigiama di tuo padre, adesso?” Domandò tagliente Sebastian, con un ghigno compiaciuto in volto.

“Per farti sentire in colpa.”

Silenzio.

Il silenzio più totale cadde nella stanza. Entrambi con gli occhi bassi che evitavano ogni singolo contatto. Grant non sapeva nemmeno perché glielo aveva detto. Era pure una bugia; l’unico motivo per cui aveva indosso il pigiama di Blaine era perché l’aveva trovato sopra al letto e lo aveva indossato soltanto per vedere se ormai prendevano la stessa taglia o era ancora troppo piccolo. Insomma, tutti i suoi coetanei lo facevano e alla sua età era pure plausibile. I pantaloni gli stavano un po’ corti dalle caviglie, di conseguenza poteva prendere in giro suo padre quanto voleva. Non era mica un reato.

Ma, con tutto quello, la frase che aveva pronunciato non c’entrava niente. Ormai era talmente abituato ad attaccare Sebastian, che alla minima cosa scattava. Che poi, a dirla tutta, non aveva mica torto. Una parte di lui voleva davvero che suo padre si sentisse tale.

La cosa che però lo sconvolse di più, fu la reazione di quest’ultimo. Solitamente lo rimproverava, gli diceva di dovergli portare rispetto, che era suo padre e poi finivano per litigare; invece quella volta non fece niente di tutto questo. Semplicemente la sua faccia si trasformò in una maschera indecifrabile, non facendo capire se fosse arrabbiato, divertito, amareggiato o altro.

Solamente, l’uomo camminò fino al letto come uno zombi, facendo sgranare gli occhi al figlio, ma senza badarci troppo; sistemò il piumone e si ci sedette sopra.

Grant non ebbe il coraggio di fiatare.

Sebastian si tolse le scarpe prima di stendersi supino e guardare il soffitto. Grant non disse una parola.

Dopo quasi un minuto che sembrò non trascorrere mai, il padre gli fece cenno con la mano di stendersi accanto a lui nel materasso.

Grant non si mosse.

“Papà?” Lo chiamò dopo un lunghissimo minuto di silenzio, che sembrava opprimerlo come se ci fosse un sacco di duecento chili sopra la sua testa.

Chi l’avrebbe mai detto, che quello a sentirsi in colpa, il quel momento era lui?

“Chiamami Sebastian...” Sussurrò flebilmente l’uomo, facendogli di nuovo cenno con la mano di stendersi accanto a lui e Grant capì.

Non era nulla di grave, sicuramente stava solo avendo un infarto.

“Papà stai bene? Perché se devi andare all’ospedale, io non ti ci porto.”

Sebastian rise amaro, facendo preoccupare seriamente il figlio.

“Stavo scherzando, ok? All’ospedale ti ci porto.” Disse avvicinandosi a lui, per poi fermarsi accanto a letto. “E non voglio nemmeno che ti senta in colpa, ok? Tanto è successo tanto tempo fa, chi se ne frega. Se vuoi tolgo pure il pigiama.” Avrebbe voluto dire che gli dispiaceva, ma il suo orgoglio non glielo permise, così portò per un imbarazzante: “Chiamo l’ambulanza?”

“Grant, sto bene. Mi stai sembrando l’amica di tuo padre, Elizabeth. Sono solo stanco per il lavoro.”

Lui sapeva che stava mentendo, prima che lo vedesse e dicesse quelle parole sembrava ok, adesso, invece, sembrava Ko. Senza che Sebastian glielo chiedesse di nuovo, Grant salì sul letto di sua spontanea volontà, sdraiandosi accanto al padre ma restando sempre un po’ distante.

Dopo qualche minuto, dove l’unico rumore furono i loro respiri regolari, sentì il padre iniziare a giocherellare con la maglia che indossava, prendendo un lembo di stoffa e facendoselo passare tra le dita, prima di stringerlo forte e poi lasciarlo andare, per poi ricominciare dall’inizio. Capì subito che stava pensando al marito, ma non disse niente, rimase in silenzio, perché era così che parlava suo padre con lui, con il silenzio.

Poi lo sentì tirare forte su col naso e allora la sua testa scattò in alto, per guardarlo meglio. Non poteva piangere, insomma, era suo padre, Cuore-di-pietra e poi non c’era nemmeno un motivo. Ma se lo doveva aspettare infondo; Sebastian non stava piangendo, anche se aveva gli occhi arrossati, un volto incolore e le narici dilatate per respirare a fondo.

Si sentì il cuore pensante, nonostante avesse voluto per tanto tempo vederlo in questo stato o magari che piangesse disperato.  
Istintivamente, il suo cervello, gli suggerì di sollevargli il morale; anche se infondo non se lo meritava. Così decise d’invitarlo alla partita, forse si sarebbe arrabbiato, ma almeno poteva dire l’averci provato.

“Papà?”

“Sebastian.” Lo corresse lui, un po’ irritato e Grant si sentì più confuso che mai.

Prima perché lo chiamava per nome perché non lo credeva degno di essere chiamato papà, si lamentava e adesso che se lo meritava, non voleva più? Chi lo riusciva a capire, era proprio bravo.

Ma di certo, Grant non poteva sapere che suo padre non se lo meritava affatto.

Sebastian,” Ripeté lui, chiamandolo all’attenzione e il padre si volto.

“Questo fine settimana ho la prima partita importante di Football. Farò l’attaccante, è un ruolo importante e mi farebbe piacere se venissi a vedermi. So che non ti piace e che volevi facessi Lacrosse, però, boh, fa come vuoi. Se non vuoi venire fa niente.”

Sebastian lo guardò per un attimo e Grant credette che stesse per mandarlo a quel paese o scoppiargli a ridere in faccia.

“Anche se mi annoierò a morte, verrò a vedere il mio campione battere gli avversari.” Poi Sebastian alzò un pugno, lasciandolo a mezzaria e lui ci sbatté contro il suo, sorridendo nel gesto.

“Mi dispiace.”

 “Vado a prendere il termometro.”  Disse in fine Grant, stufo di non capirlo neanche un po’, quel giorno.  Ma di una cosa era sicuro:Sebastian Stava delirando.  






 


Tranquilli, non siete voi a delirare è proprio il capitolo ad essere così! Se avete letto il precedente allora capirete il comportamento di Sebastian sennò.. beh non vi viene male a capire se saltate i capitoli?! LOL 
 
E quindi, so che questo capitolo forse non era quello che vi aspettavate perché i Seblaine neanche si vedono, ma questo serviva perché nel prossimo ci sarà *rullo di tamburi*  La Partita LALALALA. E basta, non vi voglio dire più niente.
 
Spero tanto vi sia piaciuto, un bacione!
 
   
 
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