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Autore: Hermes    04/05/2013    4 recensioni
Ero una ragazza come le altre, niente di strano in questo.
E come tutte le altre avevo i miei difetti ed i miei pregi.
E so cosa state per chiedermi…no, non mi sono innamorata di lui.
Innamorarsi vuol dire essere legati ad un’altra persona e ciò non è successo.
Mi chiedo solo quali strade abbia intrapreso e basta, non voglio andare oltre.

[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Science-fiction, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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There'll be no better time
There'll be no better way
There'll be no better day to save me
Save me
Yeah, save me

And the world don't stop
There is no time for cracking up
Believe me friend
'Cause when freedom comes
I'll be long gone
You know it has to end

I hope you see what I see
I hope you feel what I feel
The Verve ~ Weeping Willow

Stavo dormendo meravigliosamente, se non fosse stato per la lama di sole che mi bruciava la schiena ogni momento che passava.
Avevo cacciato la testa sotto il cuscino ma per quanto mi rigirassi mi sentivo solo uno spiedo.
Mentre recuperavo la voglia di alzarmi ed iniziare un’altra giornata notai che Linds non c’era più.
Non è una novità…ma chissà perché ieri si è comportato a quel modo. Avevo intenzione di fare un discorso serio…
Ormai so per esperienza che è meglio non sciropparsi il cervello cercando di capirlo.
È una missione impossibile ed il massimo che si può fare è accettarlo così com’è, con i suoi difetti ed i suoi comportamenti.
Mi alzo, grattandomi il capo e strizzando gli occhi alla luce del sole.
Saranno le otto…ecco l’inizio di un nuovo giorno. Primo pensiero: speriamo che ci sia del caffè avanzato!
Poi li sento.
Una sequela di passi non rumorosi ma inequivocabili, provenienti dal salotto.
È ancora qui?
Mi infilo nella mia camicia di alcune taglie più grandi ed esco in corridoio a piedi nudi, abbottonandola e cercando di rendere un po’ più presentabile la mia chioma di rovo.
Sulla soglia della stanza però mi blocco.
I passi sono indubbiamente di Linds che sta riempiendo la tracolla del portatile.
Linds non mi ha ancora notato ed ho il tempo di registrare che è vestito molto diversamente dal suo solito con un completo molto classico; sembra davvero un professore adesso.
Si è accuratamente sbarbato cosa che non accadeva da giorni e giorni a questa parte ed è vestito completamente di nero, come un becchino.
Dalla camicia, alla cravatta, il gilet, la giacca ed i jeans. Il colletto è tenuto fermo da una sottile spilla d’argento, di quelle in uso almeno un secolo fa, che sottolinea solo il suo pallore, il volto ossuto e la sua figura secca ed allampanata.
C’è un borsone ai piedi del divano ed una sacca lì vicino con tutta l’aria di essere pieni.
La valigetta metallica degli alcaloidi fa bella mostra di se, chiusa sul tavolino.
“Cosa sta succedendo?” non so nemmeno perché l’ho fatta questa domanda, ciò che ho davanti è clinicamente chiaro.
“Oh…ti sei svegliata.” mi lancia un’occhiata disinteressata, non sorride. Non sembra nemmeno il topo a dire il vero.
Sbatto le palpebre, non riuscendo a connettere i vari particolari che mi stanno davanti e Linds ne approfitta per continuare con tono impersonale “Stavo giusto per andarmene, così mi salvo il tempo di lasciarti un biglietto.”
Fulmine a ciel sereno.
Aspetta…cosa?!
La nozione mi scende addosso come una doccia gelata, m’immobilizza sul posto.
“Che faccia da pesce lesso, Michelle.” mi canzona tranquillo, infilando alcuni documenti nella borsa e controllando di avere tutto, poi chiude la zip “Non mi dire che non te l’aspettavi, dai.”
Linds…
Lo seguo con lo sguardo mentre fa un piccolo giro della stanza, fermandosi alle vetrate ed osservando il panorama, la luce del giorno rimbalza solo sul suo volto, per il resto viene assorbita dal completo nero.
“Non l’avevo mai notato ma questo posto ha una vista davvero stupenda, non credi anche tu?”
Sta bleffando.
Continuo a rimanere in silenzio, forse il mio è un comportamento istintivo più che di stupore.
Perché se continuo a farlo parlare magari…non fa sul serio, non può essere!
Ha uno sguardo sereno e calmo mentre continua a guardare fuori.
“Potresti aiutarmi a tenere una conversazione civile, almeno.” lamenta, voltandosi ed infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Sono ancora troppo stupefatta però una domanda riesco a tirarla fuori dalla ridda dei miei pensieri.
“Dove?”
Linds abbassa gli occhi sul tappeto, scuote la testa.
Non risponde ma il messaggio è chiaro.
Non ti voglio fra i piedi, Michelle.
“Perché?” tento ancora, mentre sento distintamente qualcosa pizzicarmi gli angoli degli occhi, sto sorpassando lo shock iniziale, ciò vuol dire che sto per reagire con il mio solito meccanismo di autodifesa: la rabbia.
Non gli darò la soddisfazione di vedermi piangere…mai!
Linds sbuffa, alzando gli occhi al cielo “Perché sono annoiato. Questa città è un buco inutile, farebbero meglio a cancellarla dalle carte!”
“Ed i tuoi affari a San Francisco?! Perché saresti venuto qui allora?!”
“Michelle…se la questione per te si minimizza ad una scelta del luogo allora ti accontento. Mi serviva questo posto. Era l’ideale. Di certo non sono venuto qui solo per portarmi a letto una laureanda con la brutta abitudine di ficcare il naso negli affari altrui. Le schiave a letto non mi sono mai piaciute e sei stata un intermezzo piacevole, nulla più.” risponde esauriente, fissandomi penetrante e senza alcun tatto.
Con tutto quello che abbiamo passato? Con come ti sei comportato ieri? Vuoi prendermi in giro, Linds?!
Legge la mia espressione come un libro aperto, e risponde senza alcun rimorso.
“Ho sempre detto che non ne valeva la pena e se hai deciso di chiudere un occhio non è affar mio. Ti ho forse mai dato l’impressione di volere qualcos’altro da te oltre un po’ di compagnia?” la sua voce è gelida, irritata “Lo vedi il tuo errore? Pensi di essere il centro del mio mondo solo perché siamo finiti a letto. Sbagli.”
Il centro del suo mondo? Quando mai lo sono stata?!
“Pensavo che fossimo amici!” esclamo ostinata.
“Ci sono cose da fare e persone da vedere. A differenza di molti io la vivo la mia vita e questa conversazione sta solo rallentando l’inevitabile.” la mia risposta lo ha preso in contropiede ma si è ripreso immediatamente, stringendo le labbra “E poi scusa ma gli amici di certo non scopano come i conigli ad ogni occasione, la tua definizione mi era parsa chiara e non ti ho mai promesso niente.”
L’ultima frase l’ha pronunciata con insofferenza, utilizzando tutte le armi più subdole per i suoi colpi bassi.
“Perché te la sei presa con Will, allora?” continuo sbigottita “Che senso aveva?!”
Linds sorride, ma non c’è nessun conforto in quel gesto.
“Non pensi che forse ti ho mentito? Che forse godo davvero nel distruggere la vita altrui? Naturalmente no, hai delle certezze così radicate Michelle che accarezzeresti un gatto abbandonato non prevedendo di rimanere graffiata.” fa una pausa, sfila una mano dalla tasca e mi fa un cenno “Per quanto mi riguarda, io pago sempre i miei debiti.”
La sua voce ha assunto una rigidità artica.
Ci stiamo fissando ma non riesco a trovare qualcosa da ribattere, i miei pensieri vanno tutti a sbattere contro una lastra di vetro immaginaria e sigillata stagna, si perdono nella distanza.
Sta succedendo sul serio…
Sto sfoggiando la mia faccia da poker migliore ma l’unico sentimento che sento è il panico.
Posso continuare a mentire ma Linds non è più il solito Linds allegro e sarcastico, quella che mi sta davanti è un’altra versione del topo che fino a questo momento avevo solo intravisto raramente ed adesso mi sta fronteggiando in full-blow come un carro armato per distruggermi senza alcuna pietà.
È cristallino che non gliene frega assolutamente niente se mi merito questo trattamento o no.
Desidera il mio male, quindi fa tutto quello che è necessario.
“Ammetto però che è stato…bello.” il suo sorriso è sterile, formale.
“Sei uno stronzo.”
“Certo che lo sono. Su questo non ti sei mai sbagliata.” ridacchia, tornando indietro verso le sue valigie e frugando nelle tasche “Ah, un’ultima cosa.”
Ha fra le mani i mazzi di chiavi dell’appartamento, su uno è ancora agganciato il Rubik.
Linds lo sfila e se lo mette in tasca poi dice, agganciando i due mazzi per gli anelli.
“Fammi un piacere…quando te ne vai consegna le chiavi dell’appartamento al portiere.” mi lancia il mazzo e, in un gesto istintivo, lo afferro al volo. Volessi ben alzare un bicchiere non avrei la coordinazione motoria necessaria.
Recupera la sua roba con l’aria di esserci abituato e cammina fino alla porta d’ingresso.
Posa la mano sulla maniglia ma prima di spingerla esita.
“Buona fortuna, Michelle.” lo dice e se ne va, tutto senza guardarmi.

La breccia fra le sue mura si chiuse e rimasi fuori.
Caddi dal precipizio, spezzandomi il collo mentre lui prese il volo.
Così grandi onori per aver avuto il coraggio di buttarmi…che ingenua.

È come in uno di quei film western.
Due pistoleri in piedi uno davanti all’altro in mezzo ad una strada impolverata sotto il sole cocente, pronti ad estrarre la pistola al primo rintocco del mezzogiorno e sparare.
Non mi sono mai piaciuti quei film, hanno sempre finali facili da immaginare.
In qualunque modo la trama si svolga…uno dei due pistoleri mangia invariabilmente piombo e sparisce dall’inquadratura.
Per sempre.
Il silenzio è assurdamente forte.
Mi fa sentire piccola.
Mi fa impazzire.
Fisso le chiavi che mi ha lanciato: prima e seconda copia delle chiavi dell’appartamento ed un altro di chiavi che trovo incredibilmente familiare, su un anellino diverso da quello principale. Le ho strette cosi forte che le scanalature si sono impresse sul palmo della mano.
“Fammi un piacere, ma belle…quando te ne vai consegna le chiavi dell’appartamento al portiere.”
Quello stronzo…mi lascia pure i compiti a casa.
Torno indietro in camera, raccogliendo il resto dei miei vestiti che la sera prima sono finiti dappertutto.
Non guardo il letto, sono troppo tesa e potrei finire per distruggere qualcosa.
Cinque minuti dopo la blindata si è chiusa con un scatto metallico dietro le mie spalle.
Mai più…non voglio nemmeno ricordarmi che esiste questo posto.
Quando arrivo al gabbiotto del portiere gli tendo il mazzo ed il suo sorriso si disfa quando nota la mia espressione.
La sua attenzione torna tutta sulle chiavi, controllandole; sto per andarmene quando mi ferma.
“Scusi…ma queste chiavi non sono dell’appartamento, Mister Lagden non ha-?” si blocca quando lo fulmino.
“...”
L’uomo sfila l’anellino incriminato e lo lascia sul bancone “Mi dispiace ma non posso ritirarle.”
La luce soffusa dell’atrio fa brillare le chiavi piccole ed argentate, su una sono incise delle ali ma la parte centrale è consumata.
Sembra lo stesso simbolo di…no, è impossibile.
Infilo un dito dell’anellino e lo riprendo “Ha qualcosa in contrario se le tengo io?”
“No, signorina. Le auguro una buona giornata.”
“Altrettanto.”
Esco in strada osservando ancora le due chiavi, perplessa.
“…pago sempre i miei debiti.”
Al limite della mia vista periferica vedo un acceso giallo canarino e mi volto, curiosa.
È un normale carro attrezzi che esce dal garage interrato lentamente.
L’uomo al volante segue con cautela i segnali di un ragazzetto con una tuta da meccanico.
Alzo gli occhi e rimango cementificata sul posto.
La Ferrari?!
Non c’è dubbio, l’auto caricata è proprio quella che conosco con il suo colore metallizzato nero petrolio che brilla al sole.
Mossa da una forza che non penso di avere, mi avvicino al ragazzetto, facendo finta di dover passare per proseguire e faccio “Che macchina!”
“Puoi dirlo forte, bellezza…cosa non darei per fare una prova al volante!”
“Cosa le è successo? Non sembra incidentata.” continuo con un sorriso e la migliore interpretazione di bambola scema che riesco a fare.
“Assolutamente niente! Ci credereste?! Il proprietario ha deciso che non gli andava più e l’ha rivenduta a meno di quella che l’ha pagata alla concessionaria dove lavoro proprio ieri!” alza le spalle “Certa gente non sa davvero cosa farsene dei soldi. Doveva avere molta fretta di disfarsene, io una bestiola così carina non l’avrei mai lasciata!”
“Immagino…” commento, osservando mentre il ragazzetto mi augura un buongiorno e sale sul camion che si immette in carreggiata e se ne va portando via con se la macchina di Linds.
La decisione di partire non l’ha presa di punto in bianco dunque. Questa è stata un’azione più che premeditata.
Torno indietro verso l’entrata dell’edificio, non posso fare diversamente dato che il campus se ne sta dall’altra parte. Quasi davanti all’entrata, vedo quello che il topo ha voluto mettermi in bella vista ma che io non ho nemmeno degnato di uno sguardo in favore della dipartita della Ferrari.
Parcheggiata lì vicino c’è la Jackal, ritornata dal mondo dei morti più in forma che mai.
Ci vogliono trenta secondi prima di connettere l’implicazione con le chiavi che mi sembravano tanto familiari.
All’inizio non voglio crederci in fondo ci sono milioni di moto come la mia in giro, però…
Ho ancora in mente l’ultima volta che ho visto la mia moto prima di averla portata dallo sfasciacarrozze.
Infradiciata di vernice bianca, con i fanali rotti, il sellino trucidato con una lama e i carburatori presi a mazzate. Per non parlare del principio d’incendio dei copertoni…se ci penso vedo ancora rosso.
Poso una mano sulla cromatura dei fanali dietro, se davvero è la Jackal di un mese e mezzo fa non saprei dirlo.
Il lavoro fatto deve essere costato una piccola fortuna, mentre do un’occhiata alla cromatura dei cerchioni e dei tubi di scappamento. I carburatori sono nuovi, ed il serbatoio deve essere stato raschiato, verniciato e ritrattato.
Monto sul sellino e sfilo le chiavi, preparandomi a fare la prova del nove.
Per ora ignoro il post-it giallo appiccicato sul tappo del serbatoio, piegato a metà.
Schiacciò il pulsante dell’accensione.
Infilo la chiave nel nottolino senza alcun problema e giro.
Il motore prende vita subito con un ringhio soddisfacente.
Non c’è dubbio questa è la mia vecchia Jackal appena uscita da una ristrutturazione totale.
Mentre il motore gira e si scalda prendo coraggio e stacco il biglietto, aprendolo.
Ci sono due parole sopra. Senza firma.

All yours.
La carta scricchiola nel mio pugno mentre la appallottolo.
Maledetto…
Non mi aspettavo questo.
Non volevo la Jackal indietro se questi erano i patti.
Mi sento usata, pronta a piangere dalla rabbia.
Ma anche se il motore acceso della moto mi culla, non provo gioia.
Sei uno stronzo Linds.
Un uomo danneggiato ed agghiacciante.
Credevo di poterti aiutare ma a questo punto penso proprio che non ci sia modo.
Non hai niente al posto del cuore.

E se ti potessi odiare sarebbe tutto, immensamente, più facile.

Aggiusto gli occhiali sul naso e spolvero la giacca, rimanendo in attesa.
Rinfilo le mani in tasca, giocando con il cubo e dando un’occhiata al binario ancora vuoto.
Odio le ferrovie…mai puntuali, nemmeno completamente computerizzate.
Sposto lo sguardo sulle scale che portano al sottopassaggio e la vedo salire gli scalini con attenzione per non versare il contenuto dei bicchieri.
La soluzione non sta avendo effetti collaterali e lei sembra stabile e perfettamente in salute…penso che sarebbe meglio fare ancora due controlli al giorno, tanto per andare sul sicuro.
Il fischio del treno sibila da lontano, iniziando a frenare.
La ragazza mi affianca e recupero i nostri bagagli.
“Le mancherà San Francisco, dottore?” domanda gentilmente.
Gli assistenti della prima classe si prestano ad aiutarmi e leggono le prenotazioni che passo loro, faccio salire lei e poi la seguo. Guardo indietro mentre il portellone della carrozza si richiude. Dall’oblò vedo solo la piattaforma, la città da qui è invisibile.
Con un piccolo tremolio il treno riprende a muoversi, lasciando indietro la stazione.
“No, non particolarmente.” rispondo con calma, seguendo lei ed gli assistenti per il corridoio della prima classe ed il vagone dell’espresso notte “Troppa pioggia ed umidità. La nebbia poi era tremenda!”

~ Una settimana dopo
So tutto adesso.
No, non avevo capito niente.
Proprio nulla.
Mi aveva detto di non fidarmi.
“Michelle…” era un sibilo, una richiesta nell’ombra della stanza. Un richiamo. Un addio.
Il suo numero, il suo nome magari anche la sua faccia è stata una bugia.
Non lo odio per questo.
Per quanto ho tartassato il portiere dello stabile non ne ho ricavato niente.
L’appartamento non era di sua proprietà ma l’uomo si rifiutava di darmi il nominativo.
Non era un problema dato che lo sapevo…
Paul Girsham.
Quando quello stesso giorno tornai al campus e scesi a due a due le scale per il laboratorio trovai la porta spalancata e due donne intente a lavare il pavimento.
Le sorpassai, prendendo in esame ogni stanza, sorda alle loro proteste.
Non era rimasto più nulla se non dei vecchi terminali, qualche fiala da laboratorio, ed i macchinari che due addetti dell’Università stavano imballando.
Mi teneva stretta, le sue braccia sotto la mia schiena, le dita bianche che seguivano la curva delle mie clavicole. C’era un bisogno in quell’atteggiamento proprio come le mie mani, affondate in mezzo ai suoi capelli biondi.
Anche il suo ufficio del secondo piano in Facoltà era deserto, come se non ci fosse mai stato.
In segreteria la donna di mezz’età dietro al bancone all’inizio mi fissò turbata dal mio fare agitato poi cercò di tranquillizzarmi.
Il professore aveva consegnato tutti i voti dello scritto il giorno prima e no, aveva deciso che l’orale l’avremmo dato con un sostituto da lui designato quindi aveva lasciato la cattedra. Non c’era alcun problema per la continuità del corso!
Me ne andai senza dirle grazie.
Ogni punto, ogni collegamento porta ad un vicolo cieco.
Anche con Raph.
Aveva incastrato il volto nell’incavo del mio collo, riprendendo fiato. Non mi aveva ancora lasciato un attimo da quando mi aveva afferrata, appena entrato in casa. Feci per parlare e mi chiuse la bocca, strappandomi solo un gemito di sorpresa. Qualsiasi cosa volesse c’era disperazione…
Incontro il biondo all’orale quattro giorni dopo, rispondo senza alcun problema alle domande che mi pone.
Poi esco dall’aula ed attendo fino alla conclusione di quella sessione d’orale. I voti finali saranno pubblicati solo tra una settimana.
Quando Raphael esce dall’aula mi guarda e sospira amaramente “Vuoi fare quattro passi, Michelle?”
Lo seguo fuori senza domande, finché non ci fermiamo in una caffetteria ai limiti del campus.
Ancora non domando, è lui a parlare.
“Se né andato di colpo, vero?”
Annuisco e chiedo “Sai dov’è?”
“No, come al solito non ha reputato necessario dirmelo. L’altro ieri mi è arrivato il suo bonifico per la consulenza.”
…e rabbia, voglia di essere amato nonostante tutto. La mente/cassaforte si era aperta riversando lentamente fuori il contenuto come un vaso di Pandora. Letale e dolceamaro. Sale e veleno. Perché il sapore del sudore e delle lacrime è lo stesso al buio. Ogni movimento era una lacerazione. La luce di una supernova che ti abbaglia, alimentata da se stessa, ed esplode. Ed il calore aumentava esponenziale…
“Fa sempre così…appare di colpo e poi sparisce senza una parola, non è la prima volta.” dice il biondo, ovviamente messo a disagio dal mio silenzio.
“Un mago nelle relazioni interpersonali…” commento acida, forse meno di quanto vorrei.
“Michelle…dimmi che tu e lui non-” inizia impacciato.
“Sì, Raph. Siamo finiti a letto più volte, compresa quella notte.” replico indifferente, proprio come farebbe Linds se fosse qui.
Raphael si passa le mani fra i capelli, alla fine della sua corda “Oh merda…”
“Mi hai tolto le parole di bocca.”
I suoi onesti occhi azzurri si fissano su di me “Ma allora…”
“Illuminami.”
La temperatura di quella stanza ondeggiava ed il calore era soffocante ma voluto, desiderato. Non staccava i suoi fianchi dai miei nemmeno quando il desiderio se ne andava. Rimaneva dov’era.
Quella non era più una notte, erano mesi e settimane condensate in silenzio. Un lento film muto fatto di gesti e carezze, di sguardi invisibili e sibili fra le lenzuola attorcigliate. E poi veniva il freddo, quando torreggiava sopra di me, guardandomi senza realmente vedermi, sfiorandomi con la punta delle dita, aspettando. Come la pioggia.

“Non so cosa dirti, Michelle. Non è da lui tornare indietro per…per poi andarsene.”
“Il Linds che conosci tu sarebbe partito subito?”
“Sì.”
“Stai cercando una maniera gentile per dirmi che le sue avventure erano sempre ‘una-botta-e-via’?”
“Mic-” il suo tono piagnucoloso mi fa perdere le staffe.
“Raph! Porco cane! Non ti ho chiesto un miracolo!”
“Sì! Sì!” il biondo crolla sotto la pressione e mi lascio andare sullo schienale del booth mentre Raphael aspetta la mia reazione.
Non reagisco.
È abbastanza inutile ora che se n’è andato.
In fondo gli avevo già detto cosa pensavo di lui.
Sbatto le palpebre, guardando in alto.
Raph si era sbagliato, per Linds non ero niente di speciale se non un corpo caldo.
L’imbecille di turno fra le sue lenzuola che il mattino dopo avrebbe dimenticato.
Aveva la pazienza di un certosino ed il tocco di un orologiaio. Attendeva senza sorrisi. Senza malizia. Era inevitabile, ricominciavamo da capo, come un disco rotto. Non avevo capito che stava cercando di rimuovermi dalla sua testa come un brutto sogno. Per cambiare pagina ed andare avanti con la sua vita fatta di lavoro e ricerca. Di niente. Sterile ed in parvenza perfetta. Mutava pelle proprio come un serpente.
“Mi sono comportata come la scema del villaggio.” la mia voce è sorda.
“Non è vero…”
“Il tuo migliore amico è uno stronzo danneggiato con la sfera emotiva di un cestino dell’immondizia.”
Raphael sobbalza quando riposo lo sguardo su di lui e nota che ho gli occhi umidi.
“Non credo di avere argomenti validi per contrattaccare.” replica con un sorriso debole che si spegne “Michelle, non sono qui per difendere Linds. Non c’è difesa che possa reggere.”
Ho la netta impressione che Raph non sappia niente dell’intera faccenda dei Grisham…sarebbe da Linds.
“Ora che i vostri segreti sono spariti dalla faccia della terra, mi dirai cosa stavate cercando di fare?” domando, affamata di informazioni nonostante tutto.
“Stava, Michelle. L’unica cosa in cui l’ho aiutato era la programmazione, non sono mai andato più in là di quello.”
“Allora?”
“Dai dati, lavorava sugli impulsi del cervello e come riprodurli.”
“E…?”
Scuote la testa, Linds non gli aveva mai detto della donna in coma.
La verità l’aveva solo rivelata a me.
Lo disse ancora, ma stavolta non stavo sognando.
“Tu sarai la mia rovina.”

Ero la rovina.
Non appena ha capito che mi stavo innamorando di lui…è fuggito a gambe levate.
Piuttosto che affrontarmi aveva deciso di andarsene e lasciarsi tutto alle spalle.
Abbandona prima di essere abbandonato.
Era una bella idea la sua e quindi anch’io lasciai perdere, semplicemente.
Facevo finta di non ascoltare il rumore che la sua sparizione improvvisa aveva creato fra i miei compagni di corso. Soprattutto Max e Richard che si erano lanciati in una serie di ipotesi da film sci-fi.
Ignoravo il vuoto che aveva lasciato, era la cosa migliore che potessi fare dato che non mi era rimasta altra scelta.
La vita andava avanti lo stesso, forse sarebbe stata anche meno caotica senza scienziati pazzi, stronzi e con un autocontrollo da suicidio intorno.
Passai Fisica a pieni voti ed mi trasferii a Santa Monica per il mio anno di specializzazione.
Mi tengo ancora in contatto con Raph saltuariamente ma non parliamo mai di Linds.
Penso che l’informatico c’è l’abbia con il genio.
La mia unica domanda è: cosa è successo a Beatriz?

Il treno corre traballando sugli scambi, il paesaggio che passa dietro ai finestrini è da favola.
I profili delle colline ondeggiano sotto il sole estivo ma non ci spreco il mio tempo.
Sono occupato con il notebook, sulle mie lenti si riflette un lungo documento di testo che leggo e correggo più volte.
Chiuso un paragrafo sospiro, sollevando gli occhiali dal naso e sfregando gli occhi, stancamente.
La porta dello scompartimento si apre, rivelando una giovane donna sui venticinque che tiene in mano un bicchiere di carta.
“Mi dispiace di aver tardato tanto, dottore. La carrozza ristorante era molto affollata.” dice, offrendomi la bevanda.
“Grazie.”
“Siete stato molto gentile ad accompagnarmi.”
“È un piacere.” replico, sorseggiando il caffè, riesco appena a sopportarle le sue buone maniere...sono vuote e prive di senso alcuno.
La donna seduta sul sedile opposto si appoggia al bracciolo, guardando fuori “Mi chiedo se è rimasto tutto come quattro anni fa…sono un po’ nervosa.”
“Non si preoccupi, Miss Beatriz. La sua famiglia non vede l’ora di riabbracciarla, mi creda.” mi strofino di nuovo gli occhi, non li ho ancora chiusi da quando abbiamo lasciato la California e la caffeina inizia ad non fare più effetto sul mio cervello.
I gentili occhi nocciola di lei m’osservano con tatto, spostandosi poi sul tavolino dov’è poggiato il portatile e, lì accanto, un portachiavi con un cubo di Rubik che afferro istintivamente come per nasconderlo alla vista.
“Immagino che mio fratello Paul l’abbia ricompensata largamente ma vorrei invitarla a stare da noi per qualche giorno. Ne sarei davvero felice.”
“No, mi dispiace. Credo che mi prenderò una vacanza…”
Intanto ho preso a giocare con il cubo, facendolo rotolare fra le dita mentre leggo.
Beatriz sorride appena e continua “Immagino che le manchi molto.”
Mi blocco e la fisso “Mi scusi?”
“Intendevo la vostra casa.”
“Non ho una dimora fissa, preferisco essere libero di spostarmi a seconda dei miei gusti.”
“Pubblicherà la sua ricerca, dottor Lagden?”
“Non ho ancora deciso.”
Per fortuna Beatriz smette di interrogarmi, accontentandosi di guardare il paesaggio.
In meno di un’ora il treno si fermerà al suo capolinea: Richmond.
Anche questo lavoro concluso.
Non ho mentito. Probabilmente prenderò un volo per qualche destinazione tropicale a caso, pronto a perdermi sia pure solo per qualche giorno.
Miami, Canarie, El Salvador, Tijuana…un lancio di dado che lascio nel momento che alzerò lo sguardo sul tabellone delle partenze, libero come il vento.
Poi la vita ricomincerà da zero.
Sembra che a New York ci sia un gran fermento per una ricerca sul sistema nervoso, magari passerò a dare un’occhiata.
Stringo gentilmente il cubo fra le dita mentre lo schermo finisce in modalità standby, sposto lo sguardo sul finestrino.
La mia insonnia è tornata più punitiva che mai.
Meglio così.
Non voglio vederla…
Non ho tempo per lei né per nessun’altro, non posso fermarmi.
È stato bello.
Chiusa parentesi.
Non so cosa ci sia di diverso dalle altre volte, Michelle.
Continuo ad averti in mente come un’ossessione, qualsiasi cosa faccia.
Un’equazione irrisolta dove tu eri la variabile impazzita, darling.
Deve essere il caffè che mi fa parlare così…
Sì, sarebbe ridicolo il contrario.
Sei come me.
Non avrai problemi a rimetterti in sesto, ma belle.
Stammi bene e dimenticami.
Addio.

Someone to stand beside me
Beside me, now is not the time to cry
Whether you see or whether you don't - beside me
Whether you feel or whether you won't - beside me

Weeping willow
The pills under my pillow
Weeping willow
The gun under your pillow

I got to learn to leave the pain,
Walk through the door and kiss the rain - beside me
The Verve ~ Weeping willow

THE END

~~~

Canzone del capitolo: The Verve ~ Weeping Willow.

Le note di questo capitolo sono:
- Richmond è la capitale dello stato Virginia. È il primo porto utilizzabile sul fiume James ed è centro di lavorazione del tabacco, della carta, manifatture tessili, alimentari e chimiche. La città è servita da un aeroporto internazionale ed è anche sede di interessi governativi a livello federale.

E con uno scatto secco il cubo di Rubik torna nella sua posizione d'origine...
*Hermes non dice nulla, perché non c'è molto da dire e pensa di essere stata esaustiva con il capitolo*
*Hermes spera nella magnanimità dei lettori ma ha dei seri dubbi che riuscirà ad uscire viva dal fuoco incrociato*
Se comunque volete farmi la pelle io rimango qui per ringraziare calorosamente i recensori del penultimo capitolo: ParoleDiGhiaccio, abracadabra e Petitecherie;
e...
Tutti quelli che hanno inserito questa storia nei loro elenchi (e siete tanti! O.o);
Tutti quelli che sono passati a recensire a random;
Chi recensirà in futuro;
E chi ha solamente letto per vedere come andava a finire! xD
Ricordate sempre che siete voi e solo voi che fate girare la mia voglia di mettermi davanti ad una pagina bianca e scrivere.

Ovviamente se avete delle domande sul finale o quesiti a cui non ho risposto prima per via degli spoiler potete lasciarmeli ora e sarò ben felice di rispondere senza tralasciare niente, la storia è finita.
ASTTL nella sua interezza, Linds, Michelle, Raph, San Francisco mi mancheranno parecchio...=(
Ancora grazie a tutti voi.
Hermes

  
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