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Autore: boobearandhiscurly    04/05/2013    1 recensioni
Quando si fu sistemata al suo fianco, rannicchiandosi un po’, la nonna continuò. Nella stanza aleggiava una sorta di aura mistica, come se da un momento all'altro presente e passato si sarebbero fusi, rivelando memorie nascoste.
"Non ho una grande memoria, ma ricordo ancora bene quando incontrai per la prima volta il mio Harry."
[..]
"Ricorderò per sempre la prima volta che lo vidi, i capelli ricci leggermente bagnati da quella pioggia di Dicembre e quegli occhi, quegli occhi che risplendevano nel buio dell'entrata. Ricorderò per sempre la prima volta che lo vidi, perchè la mia testa sembrò smettere di funzionare e il tempo fermarsi."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la canzone che ha ispirato questa intera cosa, se volete sentirla…
http://www.youtube.com/watch?v=9yKk-3TD7tk
 
 
 
 

 

 
La ragazza si sedette pensierosa sulla grande poltrona comoda di fronte al caminetto, il rumore del fuoco scoppiettante e lo sferruzzare dell'uncinetto di sua nonna a tenerle compagnia.
Lentamente rivolse lo sguardo su quest'ultima, gli occhiali a mezzaluna abbassati lievemente sul suo naso e la fronte rugosa corrugata in un'espressione concentrata.
Amie aveva sempre avuto con lei un rapporto speciale, se così si può dire. Era cresciuta nella sua casa sin da piccola, i genitori troppo occupati all'estero per portarsi appresso una ragazzina così giovane. Da quando il nonno se n'era andato in cielo, poi, il loro legame si era come amplificato: le raccontava qualunque cosa, a partire da quello che aveva fatto a scuola, per poi finire quasi sempre a parlare di come le mancassero i suoi genitori e di quanto, a volte, si sentisse sola e dimenticata.
 
"Nonna?"chiese tentativamente a bassa voce, come se avesse paura di interromperla da ciò che stava facendo.
Questa, nel sentire il richiamo della sua piccola ed unica nipote, si fermò immediatamente, appoggiando il lavoro a maglia che aveva intrapreso quella mattina sul piccolo tavolino accanto alla grande poltrona, che una volta era la poltrona del nonno. Con lentezza si portò le mani in grembo e, dopo essersi sistemata gli occhiali che le erano precedentemente scivolati, finalmente rispose.
"Piccola Amie, qualcosa ti preoccupa?" Il suo volto si corrugò in un sorriso un po’ sdentato, tenero.
Perchè le persone anziane sono un po’ tutte così, pelle decadente e sorrisi sdentati che ti mettono una grande tenerezza addosso. A volte ti fanno addirittura venire da piangere, perchè vorresti davvero abitarci, dentro a quel sorriso che profuma di casa, cioccolata calda e un mare di ricordi nostalgici.
Le labbra di Amie si incurvarono in un sorriso affettuoso, consapevole com'era di quanto sua nonna riuscisse a leggere nei suoi occhi ogni sua singola emozione, anche la più piccola, anche quella di cui non conosceva neppure lei l'esistenza.
"Mi chiedevo.." cominciò, indecisa se porre o meno quella domanda che le ronzava da tanto tempo in testa. "..una volta mi hai detto che l'amore brucia, che il tuo primo amore ti ha bruciata, ma a quanto mi hai sempre ripetuto tu e il nonno avete sempre avuto una vita felice." Si interruppe, le mani che giocherellavano con le punte dei suoi lunghi capelli castani.
"Mi chiedevo, insomma... il nonno è stato il tuo primo amore?"
 
Silenzio.
 
"No." Dopo minuti che sembrarono ore, ecco la sua risposta. E un po’ Amie ci rimase male, perchè in fondo aveva sempre visto i suoi nonni come esempio di primo amore, quello vero, quello che dura anche quando la famiglia si disgrega e quando arriva la malattia, quello che giorno per giorno rinasce. Perchè lei vedeva che era così, lo vedeva quando la nonna, bastone alla mano e passi incerti, ogni mattina aiutava il nonno ad alzarsi dal letto. L'aveva visto nei loro sorrisi, nelle piccole battute come se fossero ancora giovani, nei 'Cuore mio' con cui ogni giorno il nonno le dava il buongiorno. L'aveva visto il giorno del suo funerale, quando la nonna aveva posato un dolce bacio sulla fronte del nonno prima che la bara fosse chiusa e non lo potesse rivedere mai più.
"C'è una storia che non ti ho mai raccontato, Amie." si fermò, chiedendole con lo sguardo di raggiungerla sulla poltrona accanto a lei. Amie lo fece perchè qualcosa negli occhi azzurri come i  non-ti-scordar-di-me della nonna le aveva suggerito che quella era una cosa importante.
Quando si fu sistemata al suo fianco, rannicchiandosi un po’, la nonna continuò.
Nella stanza aleggiava una sorta di aura mistica, come se da un momento all'altro presente e passato si sarebbero fusi, rivelando memorie nascoste.
 
"Non ho una grande memoria, ma ricordo ancora bene quando incontrai per la prima volta il mio Harry."
 
 


1943, 3 Dicembre, Kingston upon Hull 

 
 
"Meredith! Scendi di sotto e vai a servire i clienti, per l'amor del cielo." Mi urlò mia madre dal giardino sottostante alla finestra su cui ero comodamente appollaiata, i capelli raccolti in un artificioso chignon e un libro alla mano.
 Mi era sempre piaciuto sedermi sul davanzale e leggere, accompagnata dal leggero ticchettio della pioggia sulla terra non battuta dei nostri campi. 'Non si addice ad una signorina quale sei, Meredith'  ripeteva sempre mia madre quando la sera ci ritrovavamo a tavola a discutere di quello che loro, i miei genitori, avrebbero voluto per il mio futuro. A diciotto anni appena compiuti avrei già dovuto essere sposata, mi ripetevano, invece di allontanare tutti i giovanotti che mi venivano presentati.
"Come desiderate, madre." Risposi, sistemandomi la camicia e la lunga gonna a vita alta di un beige rovinato dal tempo che, data la mia posizione improponibile, si era leggermente alzata arrivandomi poco sopra alle caviglie.
Riposto il libro sullo scaffale della libreria, con passo lento percorsi le scale che mi avrebbero dovuta portare al piano di sotto della mia abitazione, nel quale per idea di mio padre era stato buttato su un piccolo chiosco.
Erano gli anni della guerra e, seppur la nostra Inghilterra si tenesse ai ripari più che mai, non di rado il paese era affollato da truppe di giovani che di lì a breve sarebbero poi salpati verso l'Italia, per liberarla dal demonio nazista.
I miei occhi vagarono nella penombra dell'atrio, notando una figura alta e scura sostarvi nei pressi. Era di spalle, scrutava qualcosa fuori dalla finestra. Abbassai gli occhi, mi avevano insegnato a non fissare le persone, soprattutto quando queste non potevano vedermi. Solo quando fui a metà rampa un fruscio di vesti mi indicò che l'uomo doveva essersi finalmente accorto della mia presenza. Con lentezza calcolata il mio sguardo si puntò sulle sue scarpe, leggermente sporche di fango, per poi passare all'addome e, dopo svariati secondi, posarsi finalmente sul suo viso.
 
Ricorderò per sempre la prima volta che lo vidi, i capelli ricci leggermente bagnati da quella pioggia di Dicembre e quegli occhi, quegli occhi che risplendevano nel buio dell'entrata.
Ricorderò per sempre la prima volta che lo vidi, perchè la mia testa sembrò smettere di funzionare e il tempo fermarsi.
 
L'uomo sembrò osservarmi con la stessa aria sognante che, molto probabilmente, avevo assunto anche io. C'era qualcosa in quegli occhi, qualcosa di ignoto, e morivo dalla voglia di immergermi nei segreti che il verde delle sue iridi celava.
Continuammo a guardarci, mentre mi apprestai a scendere gli ultimi gradini rimasti a separarci. Lo vidi avvicinarsi e non capii quali fossero le sue intenzioni fino a che, in prossimità dell'ultimo scalino, in un gesto elegante mi porse la sua mano, invitandomi ad appoggiarmi.
Non ero una ragazza timida, non lo ero mai stata. Eppure, in quel particolare momento, toccare quella mano mi sembrò la cosa più difficile con cui mi fossi dovuta confrontare in diciotto anni di vita. Era soffice, grande, mi trasmise una sicurezza quasi inappagabile. I suoi occhi ancora scavavano dentro ai miei, senza che manifestasse la benché minima intenzione di muovere le sue labbra piene, incurvate in un sorriso indecifrabile.
Con un movimento deciso e, allo stesso tempo, garbato si portò la mia mano vicino al viso per poi lasciare che le sue labbra, le stesse che avevano suscitato in me una curiosità mai provata prima, incontrassero la pelle pallida sul dorso.
 
Brividi.
 
"Mi permetta di presentarmi. Il mio nome è Harold, Harold Styles." soffiò ad un centimetro dalla mia mano, ancora incastrata nella sua presa tutt'altro che spiacevole. Lentamente, come se si fosse accorto di averla stretta per troppo tempo, allentò la presa fino a che non riuscì più a sentire il calore delle sue dita avvolte intorno alle mie.
"E' un piacere averla alla nostra locanda, Mr. Styles." dissi accennando un modesto inchino.  L'imbarazzo che provavo era tangibile, e mi sentii come se l'aria intorno a me si fosse improvvisamente fatta più rarefatta e soffocante.
"Se vuole seguirmi..." proseguì, destandomi da quella trance. Dandogli le spalle mi mossi in direzione del bancone, dietro al quale mi posizionai.
Qualcosa nel retrò della mia mente mi suggerì che, quando mi sarei di nuovo voltata, avrei trovato i suoi grandi occhi ancora fissi su di me. E così fu. E anche se lo sapevo, anche se me l'aspettavo, non potei trattenermi dall'arrossire.
Mi vergonai talmente tanto di me stessa da non accorgermi minimamente del fatto che questi aveva cominciato a ridere sommessamente.Rideva di me?
"Stavo pensando," disse, facendomi notare come il timbro della sua voce fosse roco e basso. "che forse dovreste presentarvi, signorina." Il suo tono era fintamente offeso, come se si divertisse nel leggere il disappunto e l'imbarazzo crescere in me.
La mia faccia sicuramente assunse un'espressione corrucciata, perchè in quel momento ne ebbi la conferma: si stava divertendo nel mettermi in difficoltà, avendo sondato la mia diffidenza e la mia vergogna.
"Non ne vedo il motivo, Mr. Styles. Dopottutto non penso che, francamente, avremo più occasione di rivederci." dissi, il tono altezzoso di una persona che è stata ferita profondamente nell'orgoglio.
I suoi occhi luccicarono, mentre con un gesto disinvolto si appoggiò leggermente con le braccia sul bancone che ci divideva.
"Sino a che non saprò il vostro nome, Miss, temo dovrà abituarsi alla mia presenza in questa locanda." asserì.
"La prego, non starà cercando di spaventare una povera ragazza? Inoltre, devo informarla che il titolo Miss non mi appartiene, come vede le mie origini sono piuttosto umili." lo presi in giro, consapevole che quello non fosse il comportamento che si addicesse ad una ragazza.
"La vera nobiltà è quella che risiede nel cuore, Miss, e qualcosa nei vostri occhi mi sta sussurrando di essere di fronte ad una vera principessa."
E se ne andò, lasciandomi frastornata, lo spettro di ciò che aveva appena detto ad oscurarmi la mente.
 
 
Come mi aveva quasi promesso, il giorno dopo si ripresentò alla locanda. E così il giorno seguente e quello dopo ancora.
In sua presenza nessuno mi chiamava per nome ed io, certamente, mi ostinavo a non volerglielo rivelare.
Mi piaceva la sua presenza, mi piacevano le sue gentilezze, il modo in cui mi guardava scendere le scale, il modo in cui ogni giorno mi porgeva la mano per sorreggermi nello scendere l'ultimo scalino. Mi piaceva il modo in cui mi ero innamorata di lui senza neppure accorgermene.
 
 
                                                                            |   Ricorderò per sempre il suo sorriso, mia dolce Amie. Mi faceva sentire viva.   |
 
 
Erano passati quattro mesi dal nostro primo incontro, quattro mesi in cui avevo imparato a conoscere ogni suo più piccolo particolare. Adoravo le fossette ai lati della sua bocca, e quel sorriso che spesso sembrava troppo grande per esaurirsi sul suo viso. Adoravo passare pomeriggi con lui, semplicemente parlando.
E amavo passare ore ad ascoltare il suono della sua voce, Dio quanto lo amavo, mentre mi sussurrava all'orecchio i suoi sogni.
'Voglio essere utile al prossimo, portare speranza dove non c'è nemmeno più il coraggio di piangere.' aveva detto, una volta. 'Ve lo riuscite ad immaginare l'oceano, Miss? ...voglio girare il mondo, voglio un sole sulla pelle diverso ogni giorno'.
Ed io intanto lo fissavo e sorridevo, perchè non si poteva non sorridere alla vita che, come la primavera, sbocciava nei suoi occhi.
Poi si era chinato su di me e mi aveva baciata dolcemente sulle labbra. "Venite con me.."
"...Meredith. Mi chiamo Meredith." Avevo sussurrato contro le sue labbra. Lo avevo sentito sorridere sotto al nostro morbido tocco come uno stupido.
"Mi dispiace deludervi, Miss, ma ne ero già a conoscenza."
Avevo sorriso a mia volta, tornando a baciarlo.
 
 
Non era tornato ogni giorno per sapere il mio nome, come se quella fosse diventata una questione di orgoglio. Era tornato per me, solo per me. 
E la sicurezza che niente avrebbe potuto portarmi giù mi investì.
 
 
Passarono altri due mesi tra baci appassionati, sole tra le dita e amore nell'aria e nei nostri respiri all'unisono.
                                        
                                                           
                                                             |  Ma le favole non esistono per tutti, o almeno non sarebbe potuta esistere per noi. E lo capii anche io, un giorno. |        

 
 
Era arrivato in anticipo, una luce strana brillava nei suoi occhi, il sorriso di chi ti guarda e sa che quella potrebbe essere l'ultima volta. E me lo sentivo nel petto, in profondità, che stavo per perdere tutto in un secondo.
"Domani partitò" Aveva detto mentre un piccolo alone di tristezza gli macchiava gli occhi. "Salperò con le armate inglese per l'Italia, vogliamo liberarla."
E allora avevo fatto l'unica cosa che potessi fare: avevo afferrato la sua mano e l'avevo portato al piano di sopra, cercando di non incontrare i suoi occhi.
E avevamo fatto l'amore tra lacrime e sospiri pesanti, promettendoci che noi ce l'avremmo fatta, giurandoci che non c'era guerra, non c'era cielo che ci potesse separare davvero.
Prima che se ne andasse, quella sera, ci guardammo profondamente negli occhi.
E lo sentì, in quel momento. Sentivo quanto bruciasse, quanto mi stessi disintegrando dall'interno. Sentivo che un fuoco inestinguibile stava lentamente inghiottendo il mio cuore.
 
Piansi tutta la notte.
 
 
Capii che se n'era andato davvero quando non si presentò al nostro appuntamento quotidiano, il giorno dopo.
  E rimasi tutto il giorno lì, sulle scale, incapace di muovermi da quell'ultimo gradino che da mesi aveva cominciato ad avere il suo sapore.
  Perchè tutto aveva il suo sapore, tutto portava il suo nome ed il segno inconfondibile che solo i suoi occhi avrebbero potuto lasciare. Ogni cosa mi raccontava di un amore che mi era scivolato tra le dita.
     Scivolato come il vento freddo di Dicembre aveva lentamente lasciato il posto ad una leggera frescura estiva.
 
 
                                                                             _______________________________________
 
 
 
 
 
La stanza era caduta in un silenzio assordante.
 
Amie abbracciò Meredith, sua nonna, con le lacrime agli occhi. Non avrebbe mai potuto immaginare cosa ci fosse davvero dietro ai suoi occhi color del cielo in estate.
Il dolore, la sconfitta, la disperazione. L'amore?
 
Dopo interminabili sospiri, alzò la testa dal grembo della nonna e si sorprese di non vederla piangere. Sul suo volto, invece, era dipinto un sorriso sereno.
"Ma non l'hai più sentito?" Chiese in preda alla tristezza, scuotendola leggermente.
Meredith la guardò con fare materno e proprio come farebbe una madre, decise di tenere il resto della storia chiuso a chiave nelle viscere più profonde del suo cuore.
Perchè era lì che conservava Harry ed i suoi occhi verdi.   
Solo nel suo cuore quel ragazzo dai folti capelli ricci ed un sorriso smagliante era ancora vivo, la sua bellezza incontaminata dalla guerra e dalla morte.
 
"Qualche anno dopo ho incontrato tuo nonno, piccola Amie. E l'ho capito subito che avrebbe curato tutte le mie cicatrici. Perchè un cuore rotto non è da buttare. Un cuore rotto a solo bisogno di un pò d'amore in più, e di qualcuno che sia risposto a raccogliere i suoi pezzi e a rimetterli insieme."
 
"E il nonno l'ha fatto?" L'ombra di un sorriso cominciava a crescere sul viso di Amie.
 
"Tutti i giorni della nostra vita, Amie. Tutti i giorni." 







Author's note.
Non so neanche cosa dire, solo "se trovate degli errori mi dispiace, ditemelo, ma io non trovavo la forza di rileggerla perchè mi fa venire da piangere".
Ebbene, questa è la mia prima OS in cui non parlo del Larry (perchè ne ho fatte altre tre, in cui però l'argomento è quello..) e mi sento davvero soddisfatta, perchè mi piace tantissimo e ho fatto piangere mia sorella, per cui adesso posso morire in pace (sto scherzando lol).
Grazie per aver letto questa breve cosa che è venuta fuori circa due settimane fa ma mentre riascoltavo vecchie canzoni sul mio pc e che, per paura di postare un disastro, non ho postato sino ad ora.
Buona giornata :)

  
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