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Autore: Arya Destiny98    04/05/2013    1 recensioni
Un ragazzo popolare ma solo nell'anima;una ragazza introversa,con un passato pieno di demoni:il liceo li costringerà ad incontrarsi e li catapulterà in un mondo del tutto nuovo per loro. Scopriranno l'importanza di avere qualcuno a cui dire 'A domani' prima di addormentarsi,qualcuno che li rende felici anche quando tutto sta andando a farsi fottere...
Dalla storia:
"Ti terrò stretta,tranquilla"
“Anche quando vorrò morire?”
“Ti darò una ragione per vivere o morirò con te.”
“E quando griderò per il dolore fino a non avere più voce?”
“Griderò con te e poi staremo in silenzio. Ad aspettare che le voci ritornino.”
“E se non succede?”
“Ci ameremo in silenzio.”
“Allora mi ami.”
“Sì,ti amo.”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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                  CAPITOLO UNDICI

                                  After the party

Gabe’s POV

Nausea. Dolore immenso alla testa. Freddo. Fame . Sete. Mi svegliai con tutte queste sgradevoli sensazioni. Avevo la guancia sinistra premuta contro il freddo pavimento di un bagno. Mi stropicciai gli occhi e mi misi seduto:il mio organismo non gradì quel movimento repentino. Mi accasciai sul water ancora prima di accorgermene. “Ehi,amico. Bella festa ieri,eh?” biasciò un tizio dalla vasca da bagno. Io gli mostrai una mano con il pollice in su mentre finivo di vomitare l’alcol. “Bravo,amico. Questo è lo spirit …”non terminò la frase perché fu anche lui sopraffatto dai conati. Mi alzai e uscii da lì,cercando di mettere in ordine le idee. Prima cosa:ero a casa di qualcuno che non conoscevo. Seconda cosa:ero rimasto a torso nudo. Terza cosa:cazzo,era la mia maglietta preferita. Quarta cosa:la guancia destra mi doleva come se le avessi dato fuoco. Quinta cosa:stavo subendo i postumi di una grossa sbornia. Sbadigliai come un gatto e barcollai fino in cucina. A parte qualche ragazzo svenuto,la casa era deserta,per cui non ebbi problemi a prepararmi la colazione. “Scusa,amico.”grugnii mentre toglievo la maglietta a uno steso sul divano. Infilandomela scoprii che mi andava bene ma puzzava di sudore,vomito e metamfetamina. Ancora assonnato camminai fino a casa mia,un isolato più avanti. “GABRIEL JACOB THOMAS!Dove diavolo sei stato fino ad ora,si può sapere?!Sono le sette del mattino!”tuonò Lori,incazzata come una biscia. Non avrebbe ascoltato nessuna delle mie patetiche scuse nemmeno se avessi avuto la forza di farle. “Non uscirai mai più di qui,mi hai sentito?!E la paghetta te la puoi scordare per un mese!E …”Continuò la sua predica per ore prima di lasciarmi andare a fare una doccia. L’acqua bollente era un toccasana per i miei muscoli indolenziti. Dio solo sapeva come mi sarei sentito l’indomani agli allenamenti. Non volevo nemmeno pensarci. Uscendo dalla doccia notai una cosa che prima mi era sfuggita:sulla mia guancia destra erano comparse cinque dita bianche,tatuate sulla pelle gonfia e rossiccia. Emisi un verso di ripulsa quando mi ricordai chi era il responsabile di quel bel marchio e quasi stramazzai al suolo non appena mi resi conto del perché mi fossi meritato non uno,ma ben due schiaffi dalla mia ragazza. Ormai ex ragazza,temevo. Avevo. Baciato. Abigail. Cazzo. In un sol colpo mi ero giocato un’amica e una fidanzata. Probabilmente anche il mio migliore amico Pitt e tutti gli amici di Liz,tra cui il caro vecchio pusher Lucas Dewayne. Che schifezza. E in più mi sentivo di merda perché quei cinquanta secondi erano stati i più belli della mia vita. Sperai che fosse tutto un incubo,che le ultime ore me le fossi soltanto sognate. Ma purtroppo c’era più di una prova tangibile che mi dimostrava il contrario. Primo fra tutti il potentissimo mal di testa da dopo sbronza. “Gabe,tutto bene lassù?”mi chiamò Lori,preoccupata. “Sì,mamma,sto bene.” le urlai,quasi infastidito. Non connessi subito. L’avevo chiamata ‘mamma’ per la prima volta da quando lei e Josh mi avevano adottato. Oh,wow. Il bello era che era stato un riflesso involontario,non una cosa programmata nella quale non credevo. Quando emersi dalla doccia la trovai che mi fissava con una padella umida di schiuma in mano e gli occhi lucidi. “Oh,Gabriel”sospirò mettendosi a piangere. Io coprii la distanza che ci separava in pochi passi e la strinsi a me. “Gabe,tesoro mio. Allora io sono la tua mamma …”singhiozzò. “Certo,mamma,certo che lo sei.” Cantilenai mentre l’abbracciavo. Josh,probabilmente svegliato dal casino,scese di sotto e si sorprese nel vederci così. “Vieni anche tu,papà.”lo invitai. Lui aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di venire a circondarci entrambi con le braccia. E poi accadde. Chissà come mai qualcuno aveva deciso che quella domenica era il giorno dei miracoli. “Ehi!Io?”strillò una vocetta poco familiare,irritata. Tutti e tre ci voltammo verso il piccolo Aaron,in piedi davanti alle scale,con le braccine incrociate e una smorfia corrucciata dipinta sul faccino d’angelo. Lori svenne e Josh fu costretto a lasciarmi per sostenerla. “Cos’hai detto,pulce?!”Ero totalmente spiazzato. Lui tese le braccia scheletriche verso di me e ripeté,forte e chiaro: “IO!” Non so se mi misi a frignare prima di averlo preso in braccio o dopo. “Aaron,Aaron,Aaron.”canticchiai mentre lo facevo girare per la stanza. Lui rideva come un forsennato senza più riuscire a smettere. Alla fine Lori me lo strappò dalle mani e iniziò a tempestarlo di baci. “Lo sai dire ‘mamma’, pulcino mio?”Lo riempì di domande simili per tutto il resto della giornata ma lui seppe dire poco o niente. Ad un certo punto mi fissò intensamente con i suoi occhietti color nocciola,concentratissimo. “Gabe” mi disse,quasi come un ordine. Lori,cioè la mamma,scoppiava di felicità solo per il fatto che Aaron avesse capito chi fossi. “Domani porterò Aaron a fare delle analisi dal dottor Pinkman.”annunciò Josh dopo che il bambino si fu profondamente addormentato sul suo seggiolone dopo la cena. “Caro,secondo te …” sussurrò Lori lasciando in sospeso la frase. “Non lo so,amore. Solo il dottore ce lo dirà.” “Lo porto a dormire.”annunciò la mamma caricandosi il piccolo dormiglione sulle spalle,sbuffando. “Quanto pesa. Sta diventando grande.”commentò sulle scale. “Ehi,Gabe. Faresti il favore di avvisarci prima di stare fuori tutta la notte?Lori … la mamma si è preoccupata fino allo sfinimento”mi sgridò papà mentre lo aiutavo a lavare i piatti. “Scusa. Non avevo in programma di passare la notte da Pitt … mi sono addormentato sul divano e ho dimenticato di chiamare.” Mentii sperando che se la bevesse. Era abbastanza bravo a scoprire le mie bugie. Per fortuna ci cascò. Erano circa le nove quando mi resi conto che forse,dico forse,avrei dovuto scusarmi con Abi. Non con Lizzie per aver baciato un’altra,no. Con Abigail. Sapevo che se avessi anche solo formulato il pensiero di chiedere ai miei di uscire a quell’ora,un fulmine mi avrebbe incenerito lì su due piedi. Presi la saggia decisione di andare a dormire. Dopo quelli che mi  parvero pochi minuti un fastidioso ticchettio mi svegliò da un sonno leggero e nervoso. Tic. Tic. Tic. Grugnii di disappunto e mi tirai il cuscino sulla testa. Tic. Tic. Mi resi conto che quel rumorino molesto proveniva dalla finestra della mia stanza,perciò mi alzai e la spalancai. “Ah,era ora,cazzo!Sono qui sotto da mezz’ora a gelarmi le chiappe,Thomas!”sibilò una figura avvolta in una giacca di pelle nera, vecchio stile e troppo larga. Abi. Chissà come mai me l’aspettavo. “Cosa diavolo ci fai tu qui?!”borbottai,insonnolito. “Beh,non è molto gentile da parte tua trattarmi in questo modo dopo che la tua schifosa linguaccia ha fatto un giretto panoramico nella mia bocca!”sbottò,quasi dimentica del volume da conversazione civile. Aveva ragione,merda. “Va bene,adesso scendo!”Mi misi un paio di pantaloni della tuta,la giacca del basket e le Vans e scesi di sotto muovendomi come un ninja. “Finalmente!Credevo che ti fosse rimasto qualcosa bloccato nella lampo dei jeans.” Disse prontamente col suo solito(e adorabile) sarcasmo. Senza proferire parola camminai fino al cancello che delimitava la proprietà dei miei e lo saltai con facilità. Abi tentò di imitarmi,ma finì dritta distesa per terra. Ah,santo cielo,quella ragazza era un pericolo pubblico! “Ce la faccio da sola.” Si lagnò alla vista della mia mano protesa in suo aiuto. Io sbuffai roteando gli occhi verso il cielo e attesi che mi spiegasse cosa cavolo ci faceva lì a quell’ora. “Volevo mettere in chiaro una cosa.”annunciò spazzolandosi i jeans dalla polvere. Poiché non spiccicai verbo andò avanti. “Io sono impegnata,come certo saprai, e non mi va che la tua plateale cotta per me mi si ritorca contro.”disse,fredda. Io trasalii. “Io non ho una cotta per te.”blaterai,piuttosto incoerente. Non ce l’avevo no … oppure sì? “Se lo dici tu … Basta che la pianti di seguirmi e soprattutto non ripeti la scenetta di ieri sera,capito?”  Ricordavo ben poco della festa. Il particolare del bacio,però,era ancora abbastanza vivido. Rabbrividii e scattai: “Io non ti seguo!E non ho una cotta per te,scorbutica egocentrica ragazzina!Esci dalla mia vita e fattene una!” Me ne andai a grandi passi giurando a me stesso che non le avrei mai più rivolto la parola.

  
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