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Autore: Melpomene Black    05/05/2013    7 recensioni
Una mattina di Dicembre la routine quotidiana di Remus fu spezzata da uno strano incontro. Uscito da scuola, infatti, non aveva trovato sua madre ad attenderlo, bensì uno sconosciuto. Era un uomo sulla ventina, anche se ne dimostrava molti di più. Dall’aspetto trasandato e i capelli selvaggi, non sembrava affatto un tipo raccomandabile. Ma si sa come sono fatti i bambini; basta dir loro “Sta’ lontano dagli estranei!” e subito spariscono con qualche omicida. L’uomo aveva semplicemente dichiarato di essere “un amico di papà” e Remus si era fidato ciecamente. Perché papà ha sempre avuto un sacco di amici bizzarri, laggiù al Ministero.
Di come Remus Lupin divenne un Licantropo.
Sesto posto al contest "Dalla parte dei cattivi" indetto sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fenrir Greyback, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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YOUNG BLOOD 



A causa del crescente numero di Licantropi nel Regno Unito, con il seguente Decreto si sanciscono le regole per una civile convivenza tra questa specie e maghi. 

 


Così comincia il voluminoso plico di pergamene del Decreto Ministeriale per la Regolamentazione delle Creature Magiche n° 45, firmato dal direttore del reparto Raymond Pilchard e dal suo vice John Lupin. 
Tale Decreto, calorosamente accolto dall'intera comunità magica, non trovò riscontro positivo tra i Licantropi. Le restrizioni cui essi erano sottoposti erano fin troppo rigide, secondo loro. Tra le altre regole, queste creature avevano l'obbligo di dichiararsi al Ministero, in modo da essere sempre ritracciabili e controllabili. Dovevano vivere in apposite riserve naturali e non superare mai i confini. Le notti di luna piena sarebbero dovute diventare un loro problema; se avevano sete di sangue, che si sarebbe anche potuti scannare a vicenda! 
Ottenere un lavoro non era contemplato nel Decreto, ovviamente. Erano previsti sussidi di disoccupazione pagati in alimenti: adorabili coniglietti e scoiattolini da sbranare. 
Quando Pilchard e Lupin, accompagnati da una squadra di Auror specializzati, commisero l'errore di recarsi nella più grande comunità di Licantropi inglese per la controfirma del documento, furono cacciati a suon di incantesimi. A causa dell'inconveniente, il Ministero fu costretto a ritirare ogni tentativo di soppressione e ad archiviare la faccenda. 
Se da una parte il tutto fu insabbiato, dall'altra c'era ancora gente che covava rancore nei confronti dei "Cacciatori di Lupi". 
I Licantropi non dimenticano. 

 


***** 

 


Quella mattina per John Lupin si prospettava come tutte le altre. Ma ancora non poteva immaginare l'inferno che lo avrebbe presto inghiottito. 
La sua segretaria personale gli passò distrattamente una pila di documenti e gli consigliò con una certa noncuranza di leggere la Gazzetta del Profeta. Lupin prese a sfogliare il quotidiano con la medesima noncuranza, ma fu ben presto attratto dalla notizia in prima pagina. 


RAYMOND PILCHARD UCCISO DAI LUPI MANNARI 

 


Lupin trasalì. I Licantropi possono essere pericolosi, ma uccidere per vendetta era decisamente eccessivo. 
Il vecchio Pilchard aveva soltanto cercato di tenere al sicuro le varie comunità, mai avrebbe avuto intenzione di far torto a qualcuno. Non meritava certo una fine tanto orribile. 
Poi l'impiegato realizzò che, se non si erano fatti alcuno scrupolo a sbranare l'ideatore del Decreto, quegli esseri avrebbero presto trovato il modo di far fuori anche lui. 
L'uomo, terrorizzato dall'idea di morire, si era barricato nel proprio studiolo in casa Lupin, e la cosa era andata avanti per due settimane. 
Non poteva immaginare che la persona in pericolo fosse un'altra... 

 


***** 

 


Il piccolo Remus era sempre stato abbastanza intelligente. Frequentava una modesta scuola cittadina, come gli altri bambini, anche se lui attendeva una lettera di ammissione per il più prestigioso istituto del Regno Unito: Hogwarts. Lettera che, purtroppo, non sarebbe arrivata prima di cinque anni. 
Una mattina di Dicembre la routine quotidiana di Remus fu spezzata da uno strano incontro. Uscito da scuola, infatti, non aveva trovato sua madre ad attenderlo, bensì uno sconosciuto. Era un uomo sulla ventina, anche se ne dimostrava molti di più. Dall’aspetto trasandato e i capelli selvaggi, non sembrava affatto un tipo raccomandabile. Ma si sa come sono fatti i bambini; basta dir loro “Sta’ lontano dagli estranei!” e subito spariscono con qualche omicida. L’uomo aveva semplicemente dichiarato di essere “un amico di papà” e Remus si era fidato ciecamente. Perché papà ha sempre avuto un sacco di amici bizzarri, laggiù al Ministero. 
Mano nella mano, i due si erano allontanati senza destare il minimo sospetto. 
E, quando arrivò a scuola per portare suo figlio a casa, la signora Lupin si sentì dire: « È sparito nel nulla. » 

 


***** 

 


L’uomo disse di chiamarsi Fenrir. Fenrir Greyback. E Remus trovò che fosse davvero un brutto nome, ma non glielo disse solo perché era un bambino educato. Certi pensieri è sempre meglio tenerli per sé. 
Fenrir gli avrebbe tenuto compagnia per tutto il pomeriggio, perché John aveva un mucchio di lavoro da sbrigare. 
Remus era un bambino vivace e curioso. Correva nel parco e volava sull’altalena, poi tornava indietro dal suo nuovo amico e gli poneva numerose domande. “Dove vivi?” “Hai tanti amici?” “Ti piace giocare?” 
L’uomo si mostrava accondiscendente e gli rivolgeva sorrisi falsi, ma il bimbo sembrava non accorgersene. E a Fenrir bastava così; avrebbe potuto correre fino allo sfinimento e divertirsi un mondo, ma una volta calata la sera non ci sarebbero state vie di fuga. 
Dopo aver ucciso Pilchard, Greyback aveva pensato di uccidere Lupin, anche se questa prospettiva non lo aveva allettato più di tanto. Morti i due uomini, la faccenda sarebbe stata nuovamente sepolta. Il piccolo Lupin si era rivelato una benedizione. Uccidere lui avrebbe lasciato un segno indelebile nella mente dei maghi e nel cuore di quello stupido impiegato. 
Greyback non aveva mai sopportato la propria condizione. Doversi trasformare a ogni luna piena e rimettersi in sesto nel giro di poche ore dissimulando il dolore e la fatica per mimetizzarsi con gli altri maghi non era facile. L’unica soluzione per convivere con la licantropia era cedere a essa, scivolando in un baratro di solitudine e vita selvaggia. 
Ma quel che più gli dava fastidio era il fatto che nessuno sembrava comprenderlo. “È un mostro, non sarà mai uno di noi. Deve morire.” Nessuno si era ma sforzato di stargli vicino, sorreggerlo, accettarlo per quello che era. E, inevitabilmente, si era trasformato in vero mostro. 
Uccideva bambini o li trasformava in licantropi, perché solo così – creando un esercito di emarginati – i maghi avrebbero capito. O per lo meno avrebbe sofferto come ha sofferto lui. 
Remus gli si avvicinò trotterellando per l’ennesima volta. « Giochi con me? » 
Fenrir sospirò. Mancavano solo poche ore al tramonto. 

 


***** 

 


Seduti su una panchina, Remus e Fenrir attesero il calar del sole. 
« Sei felice? » chiese con candida innocenza. 
L'uomo lo guardò con un misto di curiosità, sorpresa e seccatura. 
« Che razza di domanda è? » replicò, forse un po' troppo bruscamente. 
« Mi sembri triste.» 
« Non sono triste. E non sono affari tuoi. » borbottó duramente. 
« Non devi aver paura di essere triste. Domani sarai più felice. » 
"Non puoi neanche immaginare dove sarai domani." pensò, anche se si trattenne dal dirlo. 
Pochi minuti dopo, Remus pose l'ennesima domanda: « Quando arriva papà? » 
La luna sarebbe sorta nel giro di pochi minuti. « Manca poco. » sibilò, pregustando il sapore del sangue. Non avrebbe avuto alcun ripensamento o senso di colpa per quello che sarebbe accaduto; non era certo la prima volta che divorava un bambino, e di certo non sarebbe stata l'ultima. 
Remus era spensierato, ma lo sarebbe stato ancora per poco. Fenrir si rese conto di quanto gli fosse simile. Anche lui si era fidato del proprio aggressore, anche lui aveva ceduto al fascino di un Lupo Mannaro. Anche lui aveva pagato per gli errori commessi da suo padre.
Poi non ci fu più tempo per pensare. Improvvisamente le ossa cominciarono a scrocchiare sotto la pelle. Faceva male, faceva male sentirle allungarsi e accorciarsi. Una tortura che mai avrebbe avuto fine, mai. 
Il piccolo era spaventato dalla visione che aveva davanti: una figura per metà uomo e metà lupo dalle fauci spalancate e dagli occhi pieni del desiderio di carne. 
Non tentò nemmeno di scappare, paralizzato com'era dal terrore; si limitò a fissare lo strano animale. 
Il Lupo Mannaro si avventò sul bambino tremante e indifeso. Con calma, senza alcuna fretta, fece scorrere il muso sul suo collo, per poi scendere verso il petto. Poteva sentire il battito frenetico del piccolo cuore, fremeva al pensiero di spegnere quel fastidioso ticchettio con i suoi denti affilati. Un morso. Solo questo sarebbe bastato. 
Affondò le zanne nella tenera carne, e il corpicino tra le sue braccia pelose smise di contorcersi. 
Una pietra lo colpì sul capo. E poi un’altra, e un’altra ancora. 
Il Licantropo, infastidito, si guardò attorno e vide alcuni abitanti avvicinarsi di corsa. Non avrebbe potuto continuare a gustarsi la propria cena, la cosa migliore da fare era scappare. 
Si dileguò nell’oscurità, si rifugiò nella foresta. 
E nella notte echeggiarono le urla disperate di una madre piangente. 

 


***** 

 


In paese non si faceva altro che parlare del figlio di Lupin. Ai Babbani venne raccontato che era stato aggredito da una belva del bosco, ma tra i maghi la verità era sulla bocca di tutti: "I Lupi Mannari si sono vendicati." 
Greyback aveva fatto un giro al villaggio, facendo attenzione a non farsi riconoscere. Si compiacque nel sapere che “non c’era più stato niente da fare”. 
La sua gioia fu ancor più immensa quando seppe che Lupin non era morto, bensì ricoverato al San Mungo. 
Ora quello stupido impiegato avrebbe finalmente capito cosa significava doversi trasformare ogni mese, subire gli effetti di una maledizione senza fine. E poco importava se un bimbo indifeso aveva pagato un prezzo troppo alto. Si paga sempre il prezzo della propria innocenza.








NdA: Il nome del sergente Pilchard è ispirato alla canzone I Am The Walrus dei Beatles.

  
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