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Autore: MorwenGwen    05/05/2013    22 recensioni
Dopo avermi riferito le sue ultime parole si portò la sigaretta alla bocca,ne assaporò ogni minima parte come se quella fosse la sua unica consolazione al momento;poi tossì,tossì così forte come se stesse per vomitare l'anima.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Chaz , Justin Bieber, Ryan Butler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cigarette'
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Alla terza ora scolastica del giorno seguente mi ritrovai intrappolata nell'aula di biologia, osservai un'altra volta la lavagna ricca di scritte: che cazzo è sta roba.
Qualcuno bussò alla porta dell'aula facendo girare tutti i presenti, il bidello si affacciò scrutando ogni banco, poi si soffermò indeciso sul mio volto:
< Warren? In presidenza > wtf...
< Cosa ha fatto? > domandò prontamente l'insegnante saettando lo sguardo da me al collaboratore scolastico, quest'ultimo scrollò le spalle: < Non lo so, il preside ha richiesto la sua presenza in ufficio > aspettai che il professore mi facesse cenno con la testa di uscire poi ripresi il mio materiale, mi caricai la sacca in spalla e seguì l'uomo bassoccio fuori dall'aula.
Arrivati davanti alla porta dell'ufficio il bidello mi fece cenno di bussare: < Entra da sola > mi disse prima di alzare i tacchi ed uscire dalla segreteria, gentilissimo grazie. Bussai ed immediatamente sentii un "Avanti" proveniente dalla stanza; abbassai la maniglia ed entrai a sguardo basso, osservandomi le scarpe, < Oh signorina Warren, la stavamo aspettando! > mi salutò il preside con un tono assolutamente felice, gioioso; alzai il viso incarnando- confusa - le sopracciglia, e fu proprio in quel momento che vidi loro due: lui con i capelli perfettamente pettinati e le basette ai lati del volto perfettamente simmetriche, le labbra sottili e gli occhi marrone- verde contornate dalle corte ciglia nere;
indossava un abito elegante e sembrava piuttosto tranquillo. Lei, invece, seduta al suo fianco era molto più pallida di quel che ricordassi, gli occhi azzurri contornati da due profonde e viola occhiaie, le labbra carnose perfettamente idratate e curate lasciate tuttavia nude, prive di qualsiasi rossetto sgargiante che ne esaltasse le dimensioni, nonostante fosse il chiaro ritratto della stanchezza il suo sorriso trasmetteva un tranquillità, sicurezza, disarmante. Erano entrambi rimasti essenzialmente uguali, escluso il fatto che gli anni - e la situazione- li avessero resi più stanchi; dovetti reggermi al pomello della porta per non cascare per terra: < Mamma. Papà. > sussurrai guardandoli incredula.
Il preside rise osservando la mia reazione, che cazzo ti ridi!?  Battei due o tre volte le palpebre, giusto per non farle atrofizzare, < Prego signorina, si accomodi > mi invitò l'uomo dopo essersi ricomposto, mi indicò una sedia al centro dei miei genitori ed immaginai fosse stata aggiunta appositamente per me; annuii grata ed in due grandi passi raggiunsi la sedia.
Mi accomodai e guardai i miei genitori: da vicino mi sembravano ancora più inverosimili, volevo abbracciarli, piangere, stritolarli ma non potevo farlo per il semplice fatto che mi sentivo tradita, fuori dalla famiglia. Il preside osservò, con i gomiti poggiati sulla scrivania ed il mento sui palmi delle mani, l'adorabile quadretto: < Sono felice che siate potuti venire a trovare vostra figlia, fa sempre piacere incontrare le famiglie dei nostri studiosi alunni >, alzai un sopracciglio: era ovvio che quello non era un elogio a me - io ero tutt'altro che un'alunna modello, dai- bensì alla sua scuola. Mio padre sorrise cortesemente, poi si alzò: < Grazie mille per l'ospitalità signor preside, non ruberemo Elysabeth a nessuna lezione della scuola, la verremo a trovare ogni pomeriggio, spero non sia un problema > e così dicendo tese la mano verso l'uomo pelato seduto dall'altro lato, < Nessun problema Dottor Warren. Arrivederci signora, signorina > ci salutò infine.

*Justin*

< Non bastano questi soldi per pagare il tuo ordine. > dissi ributtando la mazzetta al ragazzo di fronte a me, odiavo essere preso per il culo: se volevi la droga dovevi pagarla a prezzo intero, senza troppe prese in giro. Questo cominciò ad allontanarsi lentamente ed in modo furtivo: < Oh si, dobbiamo aver dimenticato gli altri soldi in camera > biascicò incitando i suoi due compagni a darsela a gambe ma Tom e Christian  li bloccarono il passaggio: < Andate da qualche parte? > domandò ironico Tom mostrando la sua dentatura perfetta; non so ne come, ne cosa, ne quando accadde ma Tom fu spinto al suolo da un forte pugno sullo zigomo, afferrai il ragazzo con il quale stavo inizialmente trattando:
< Come cazzo vi permettete di venire nel vicolo 13, senza pagare e di scatenare una rissa?? > ringhiai mentre i miei due compagni incassavano facilmente i colpi di quei due idioti, restituendo loro pugni molto più potenti. Il ragazzino tra le mie mani cominciò a tremare e cominciai a pensare di poter mollare un attimo la presa sul suo maglione, scelta sbagliata: questo mi rifilò immediatamente un gancio nello stomaco, facendomi chinare su me stesso alla ricerca di aria, poi un' altro sullo zigomo < Figlio di puttana > ringhiai sputando un po' di sangue prima di fiondarmi su di lui, ribaltando la situazione: la sua corporatura era più esile rispetto alla mia pertanto riuscì a portare le mie ginocchia ai lati del suo bacino e a sovrastarlo:
< Ti concerò così male che neanche i tuoi professori riusciranno a riconoscerti > gli dissi prima di tartassargli, in maniera alterna, il viso di pugni e schiaffi; la sua guancia cominciò ad assumere un colore violaceo ed il suo occhio destro cominciò a gonfiarsi, alzai lo sguardo per vedere come se la stessero cavando Tom e Christian: loro due erano in perfette condizioni, a differenza delle loro due povere vittime. Quando decisi di averlo menato abbastanza mi alzai in un balzo lasciandolo steso lì, gli diedi un piccolo calcio incitandolo a contorcersi dal dolore: < Fatevi vedere ancora da queste parti e vi giuro che non vedrete più il sole battere. > avvisai i tre stesi per terra, poi sputai su uno dei suoi compagni e li vidi strisciare fuori dal vicolo imprecando.

Tornai in camera e mi catapultai immediatamente nel bagno, sperando che con un po' d'acqua fredda lo zigomo assumesse una forma ed un colore più naturale, ma non ci speravo neanche più; mi guardai allo specchio: zigomo violaceo e gonfio, labbro inferiore leggermente spaccato ma per il resto ero intatto, ringraziai mentalmente Tom e Christian: senza di loro sarei stato massacrato di botte da 3 persone contro 1.
Tom e Christian erano dei miei vecci amici che, anche in passato, si erano rivelati abili nell'aiutarmi con le vendite e lo spaccio nel vicolo 13; mi fidavo di loro ed a quanto pareva sembrava che avessi fatto la scelta giusta rivolendoli con me. Sentii qualcuno bussare alla porta della mia camera, mi asciugai velocemente il viso e corsi ad aprire: Elysabeth aspettava sul ciglio della porta con gli occhi lucidi, tirò su col naso: < Piccola, vieni qui > mi limitai a dire aprendo le braccia ed aspettando che ci si catapultasse dentro, sentii il suo minuto corpo stringere il mio, < Sono arrivati, sono nell'istituto Justin ed io li ho già incontrati > le sentì dire contro la mia gabbia toracica, le accarezzai i capelli ed arretrai, trasportandola con me completamente dentro la mia camera poi chiusi con la punta del piede la porta isolandoci dal mondo esterno. La ragazza alzò lo sguardo su di me, prima di paralizzarsi alla vista del mio viso: < Cosa hai fatto Justin.. > sussurrò accarezzandomi lo zigomo e mi dovetti mordere il lato del labbro ancora sano per non gemere dal dolore, < Justin > mi richiamò con tono più fermo, aprì gli occhi vedendo quanto vicina fosse e le rubai un veloce bacio: < Non è successo niente > risposi aggiustandomi i capelli, afferrò il mio viso e lo voltò nuovamente verso il suo:
< Hai il viso di nuovo sfigurato. Cosa- è - successo. > questa volta scandì perfettamente ogni parola < Niente di che Elysabeth! Soliti problemi a lavoro >, arricciò il naso:
< Sai quanto mi infastidisca il fatto che chiami quella cosa "lavoro". >
< Scusa >
ridacchiai notando quanto fosse infantile, ma a me piaceva così. Mi raccontò del suo incontro con i suoi genitori e del fatto che il giorno seguente lei sarebbe dovuta andare a cena con loro, < Bene > dissi leccandomi le labbra < Quando li incontrerò? > domandai molto tranquillamente, El si irrigidì: < Io... io... non lo so. Ma di certo non domani viste le tue condizioni! > < Andiamo, cosa c'è di male in questo faccino? Non trovi che le ferite mi rendano sexy? > domandai girando il mio volto di profilo, mi tirò uno schiaffo sul braccio: < Per carità Bieber sono arrapanti, non c'è dubbio ma vorrei presentare ai miei genitori un comune ragazzo che studia alla Quoter e che non spaccia droga ritrovandosi ogni 2 per 3 il viso sfigurato. > arricciai le labbra in segno di protesta e lei me le baciò, ridacchiando:
< Anche se è terribilmente sexy > aggiunse in un sussurro per alleggerire la situazione.

*Elysabeth*

Il giorno seguente i miei genitori mi vennero a trovare nel pomeriggio, quando me li ritrovai di fronte alla porta della camera non riuscii più a contenermi: scattai tra le braccia di mio padre e cominciai a piangere, stringendolo forte e squalcendogli la maglia, < La mia bambina > sussurrò accarezzandomi la schiena < Ci sei mancata così tanto > continuò e sentii qualcosa incrinarsi nel suo tono di voce, la sua stretta si fece più forte e mi sentii di nuovo a casa. Quando sciolsi il nostro abbraccio osservai mia madre: un foulard, come il giorno precedente, le copriva la nuca e ricadeva leggero sulla sua spalla sinistra,
dove erano finiti quei  meravigliosi ricci castano chiaro che avevo ereditato da lei?
Se li era portati via la malattia, ecco dove erano finiti.
Ebbi il terrore che potesse volare via, che potesse scomparire da un momento all'altro e la strinsi forte: < Perchè non mi hai detto niente? > le domandai tra le lacrime; non ricevetti risposta ma cominciai a sentire anche il suo petto fremere come il mio: stava piangendo. Poggio entrambe le mani sulle mie spalle e mi allontanò lo stretto necessario per guardarmi negli occhi, mi sorrise e parlò: < Siamo venuti qui perchè volevamo che stasera ci portassi un tuo caro amico o amica a cena. Vogliamo conoscere una persona o qualcuno, in generale, che ti è vicino all'interno dell'istituto. > la sua era una richiesta normalissima, assolutamente innoqua. peccato che l'unica persona che amavo in quell'istituto aveva da poco avuto a che fare con una rissa; mi grattai la nuca: < Non credo sia possibile > ridacchiai nervosa
< Oggi purtroppo tutti i miei amici sono impegnati e non vorrei disturb- > < Oh sciocchezze! > mi interruppe mio padre con un gesto poco interessato della mano: < Uno di sicuro troverà l'opportunità di venire! El se non si fosse capito è un ordine: pretendiamo che tu ti presenti con qualcuno > chiarì alzando le sopracciglia ed in quel momento notai quanta testardaggine avessi preso da lui; annuii e mia madre mi poggiò un bacio sulla nuca: < Perfetto, stasera passeremo noi con la macchina davanti all'istituto, alle 20.00, puntuali > mi sorrise poi prese mio padre sottobraccio e si incamminarono insieme verso l'uscita.

Tamburellai con la matita sul libro di storia, fissando la libreria di fronte a me: i miei genitori, per un qualsiasi motivo random, riuscivano sempre a mettermi in difficoltà fin dal principio; poggiai la matita tra le pagine del libro essendo consapevole del fatto che non sarei riuscita a studiare una pagina in più e poggiai i gomiti sul lungo tavolo della biblioteca al quale, fortunatamente, ero seduta solo io; portare Justin in quelle condizioni a cena era fuori questione ma era l'unica persona che avevo nell'intero istituto oltre... scossi la testa cercando di cancellare quella sbagliata idea che mi era appena balenata in testa: Justin non me lo avrebbe perdonato mai o, ancora peggio, mi avrebbe impedito in tutti i modi di realizzarla. Afferrai il telefono scorrendo la mia piccola, quasi vuota, rubrica soffermandomi sulla "C", mi morsi il labbro guardandomi intorno cercando qualche appiglio: i libri della biblioteca di certo non mi sarebbero corsi in aiuto; decisi di tentare, Justin non era per forza obbligato a venirlo a sapere, no? E poi si trattava di una semplice cena alla quale ero stata obbligata - e sottolineo, obbligata - a portare qualcuno. Avviai la chiamata, aspettando che rispondessero dall'altro capo del telefono: < Pronto? > risposero ed in sottofondo sentii il rumore di tazze e piatti, mi morsi l'interno della guancia < Chaz, vorresti venire a cena con me ed i miei genitori stasera? > domandai di botto, senza troppi giri di parole.
< Elysabeth... diamine... che richiesta > notò imbarazzato Chaz e sentì i rumori della cucina farsi sempre più distanti
< Come mai questa richiesta? Insomma... Justin... >
< Non posso portare Justin, purtroppo. Ed i miei genitori mi hanno obbligato a portare qualcuno con me, oh si: se te lo stavi chiedendo, sono tornati i miei genitori >
< Io... El voglio aiutarti, sai quanto bene ti voglio... forse fin troppo >
ridacchiò ma feci finta di non sentirlo < Ma ho paura di Justin, sinceramente > continuò, annuii a me stessa: mi aspettavo una risposta simile, in effetti Justin incuteva una certa paura... no, non paura, ma terrore, <  Ti posso capire ma ti assicuro che Justin non lo verrà a sapere, almeno non da me e non credo tu ci ricaverai qualcosa nel dirglielo. Quindi se entrambi manteniamo il segreto possiamo stare tranquilli > mi sentivo una stronza, una zoccola, sebbene stessi facendo tutto quel casino per i miei genitori e senza doppi fini < Va bene El, a che ora? > < Alle 20.00 davanti all'ingresso dell'Istituto > < Va bene a stasera > e detto questo congedammo la chiamata; guardai davanti a me, sospirando profondamente: che cazzo di situazione.


Mi spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi guardai un'ultima volta allo specchio: il tubino nero al di sopra del ginocchio mi stava uccidendo e la visuale del mondo, sopra a quei tacchi, era decisamente diversa; non ero stata obbligata a vestirmi in maniera così formale a dirla tutta, ma volevo che i miei genitori si accorgessero che la loro bambina l'avevano persa già da un bel po' e che ero finalmente cresciuta. Lanciai uno sguardo all'orologio sulla scrivania e notando che erano le 20.00 in punto afferrai la pochette nera  e brillantinata - troppa femminilità tutta insieme, per i miei gusti- e mi precipitai all'ingresso dell'istituto.
Con mia grande fortuna, poggiato all'enorme vetrata, c'era Chaz < Chaz! > lo richiamai facendolo voltare verso di me e sventolai la mano nella sua direzione cercando di raggiungerlo il più velocemente possibile, come cazzo si cammina su ste scarpe dannazione, < Hai bisogno di una mano? > domandò lui sogghignando osservando il mio scarso equilibrio, arricciai il naso: < Simpatico. > questa volta si lasciò andare in una limpida risata prima di mettermi un braccio intorno alle spalle ed avvicinare il mio orecchio alle sue labbra: < Sei bellissima, come sempre > mi sussurrò facendomi sobbalzare; mi apprestai a muovere un passettino verso destra, l'indispensabile per riacquistare una distanza di sicurezza ma Chaz mi precedette ed immediatamente, in maniera molto disinvolta e tranquilla tornò alla sua posizione iniziale, guardandomi: < Allora, quando arrivano i tuoi genitori? > domandò aggiustandosi la cravatta, estrassi il mio telefonino dalla borsa osservando l'orario: < Dovrebbero arrivare a momenti, sono sempre punt- > il suono di una macchina parcheggiata proprio di fronte alla strada mi interruppe < Come stavo dicendo. > conclusi quanbdo vidi mia madre abbassare i finestrini e salutarci entusiasta.
Salimmo e ci accomodammo nei posti posteriori: < Ciao mamma, ciao papà > li salutai sporgendomi quanto possibile per lasciare loro un veloce bacio sulla guancia, mio padre osservò Chaz dallo specchietto retrovisore: < E lui chi è? > domandò assottigliando gli occhi ma con un sorriso assolutamente rassicurante, mi morsi il labbro: < Un amico > spiegai in maniera evasiva, così evasiva che nessuno mi avrebbe mai creduto < Certo... > mi assecondò mio padre alzando un sopracciglio ,poi tornò a guardare la strada, ecco appunto.

Parcheggiammo di fronte ad un ristorante illuminato e piuttosto ben frequentato ( lo potetti dedurre dal tipo di abbigliamento che tutti i presenti indossavano ) e ringraziai mentalmente Dio per avermi spinto ad indossare qualcosa di decente quella sera. Chaz scese dalla portiera di sinistra e quando si apprestò ad aprire anche la mia rifiutai, lanciandogli nel frattempo uno sguardo assassino: non potevo permettere che i miei genitori si facessero un'idea strana su noi due e lui non mi aiutava per nulla.
Appena entrati mia madre rilasciò il nostro cognome ed il cameriere ci accompagnò al nostro tavolo, facendoci sfilare tra la marea di persone già accomodate ai loro posti,
< Papà non hai badato a spese vedo > dissi in un sussurro guardandomi intorno, mia madre mi sorrise e solo in quel momento notai il suo abbigliamento: indossava un vestito nero con una lunga coda dietro, mentre la parte anteriore non superava nemmeno il ginocchio; sulle labbra vi era un velo di rossetto rosso che ne esaltava il gonfiore e le ciglia erano marcate dal mascara mentre in testa portava un foulard nero che bendava la maggior parte della nuca scoperta. Immaginai quanto dolore provasse nel vedere il suo corpo così distrutto rispetto a quello che era un tempo, nel vedere la sua nuca priva dei meravigliosi capelli color cioccolato che aveva.
Ci accomodammo ad un tavolo relativamente più isolato, < Allora Chaz... > cominciò mio padre attirando sia la sua che la mia attenzione, < Mi dica signore >
< Da quanto tempo conosci mia figlia? >
domandò accennando nella mia direzione con la testa, oh che grande considerazione nel dialogo, grazie;
< Da parecchi anni signore, ma siamo solo amici > < Oh andiamo giovanotto, anche se El non vuole dirmelo tu puoi benissimo dirmi la verità > ridacchiò alzando ripetutamente le sopracciglia, incarnai le sopracciglia: < Papà! Lui non è il mio fidanzato, te lo assicuro > ed in quel momento dovetti mordermi la lingua per non farmi scappare il nome di Justin, altrimenti avrei dovuto dare fin troppe spiegazioni. Dopo aver preso le nostre ordinazioni tornammo a discutere di qualsiasi cosa ci capitasse a tiro; poggiai lo sguardo su mia madre che fino ad all'ora non aveva aperto bocca: < Mamma parla un po' con noi > la incitai sorridendole amorevolmente, ricambiò: < Scusa El, è che mi stavo godendo questo momento, mi mancava vedere una scena come questa... e credo mi mancherà anche in futuro > sospirò tristemente aggiustandosi il tovagliolo sulle ginocchia, mio padre si incupì di colpo: < Non dire queste sciocchezze Marie. > la riprese borbottando, mia madre rise intenerita: < Non devi aver paura di afferontare la realtà Carl- > < Non ho paura di niente. Tu ti stai arrendendo ancor prima di finire la tua battaglia > solo in quel momento capii quanto mia madre si fosse rassegnata alla sua malattia, a differenza di mio padre < Io la mia battaglia l'ho affrontata e conclusa e ne vado fiera. Non ho rimorsi. > osservai con la coda dell'occhio Chaz e lo vidi parecchio spiazzato visto che era all'oscuro di tutto, più tardi gli avrei fatto un riassunto. Decisi di placare gli animi: < Non mi sembra ne il momento ne il luogo per discutere. State parlando di qualcosa che non dipende dalla volontà di nessuno di voi due e guardatevi: vi amate così tanto da litigare per difendervi a vicenda. Non fate i bambini. > osservai e quel discorso mi riportò alla mente me e Justin: anche noi litigavamo sempre ma la maggior parte era per paura, se non terrore, di perderci. Forse era un problema di famiglia.
La serata trascorse serena, i miei genitori impararono a conoscere Chaz - non che fosse prettamente necessario - ed io imparai a conoscere loro.
Il telefono poggiato sul tavolo vibrò: un nuovo messaggio.

Justin: Dove sei finita? Sono passato in camera tua e non c'eri.
Risposta:  Sono a cena con i miei genitori :)
Justin: Ow okay, salutameli
mi morsi l'interno della guancia prima di rispondergli:
Risposta: lo farò! cazzata
Justin: Buon divertimento piccola, a domani.
Risposta: a domani Biebs.

e così scrivendo potetti ripoggiare nuovamente il telefono sul tavolo. Osservai prima Chaz, poi il display scuro e sentii qualcosa attanagliarmi lo stomaco: era una sensazione strana, un malesse non prettamente fisico ma ugualmente doloroso. Mi sentii improvvisamente a disagio ed ebbi voglia di scappare via e lasciare tutti i presenti così, con le mani in mano.
Poi improvvisamente trovai un nome a quell'orribile sensazione: Sensi di colpa.

Finita la cena precedetti i miei genitori e Chaz ed uscii fuori lasciando che il freddo serale mi pizzicasse il viso, aria pura, era ora. Carl mi si avvicinò e mi passò un braccio intorno alla vita:
< Allora signorina, dove vogliamo andare adesso? > domandò guardandomi con una strana luce negli occhi, era qualcosa di meraviglioso vederli così felici nonostante tutto, feci spallucce: < Dove vuole lei, signore. > ridacchiai reggendo il suo gioco; mi tirò un buffetto sulla testa poi si voltò dietro verso sua moglie e.... l'intruso, si ecco Chaz
< Chaz ti rilascio la tua dama, facciamo a cambio > e così dicendo mi indicò aspettando che Chaz prendesse il suo posto, sbuffai seriamente irritata: < Papà smettila. E' dall'inizio della serata che ti dico che non stiamo insieme. > ed il mio tono fu così glaciale da riuscire a convincerlo < Okok, scusa principessa >. Chaz mi raggiunse e sebbene in maniera impacciata e quasi impaurita poggiò una mano sul mio fianco: < Ti stai divertendo? > domandò cullandomi mentre camminavamo, annuii guardandomi le scarpe:
< E' bello rivederli, soprattutto felici >
< Già. Si vede che si amano molto. >
< Mia madre ha un tumore. l'ho scoperto da poco e mio padre la ama più di prima, è una cosa meravigliosa. Voglio avere anche io un futuro come il loro... tumore escluso >
cercai di irnozziare ma l'unica cosa che uscì fuori dalle mie labbra fu una risatina forzata ed irritante, Chaz mi strinse maggiormente a se e poggiò il suo mento sulla mia nuca:
< Mi spiace così tanto El... io non lo sapevo ma immagino che adesso la loro discussione a tavola abbia un senso. Andrà tutto bene- > scossì la testa: < Niente può andar bene adesso. Mia madre ha pochissimo tempo, non so quanto e non so perchè ma oramai è tutto segnato. La chemio non ha fatto effetto ed il suo tempo è scaduto, credo > la tranquillità nella mia voce poteva risultare adirittura disumana. < Elysabeth > mi sentii chiamare da una voce che in quella serata avevo sentito ben poco, mi voltai verso mia madre: aveva un viso tre volte più stanco dell'inizio della serata, uno sguardo più spento ed una camminata più stentata, mio padre sembrava reggesse tutto il suo peso sul braccio che le teneva intorno alla vita, < Si mamma? > dissi correndo verso di lei, mi sorrise dolcemente e prese una mia mano, < Carl andresti a prendere la macchina per favore? Vi aspettiamo qui > lo incitò ed entrambi capimmo che volesse rimanere da sola con me. Mio padre annuì e prontamente si trascinò via Chaz dandoci un'ultima e preoccupata occhiata.

 Vi consiglio di seguire il resto del capitolo con Skynny Love -Cover by Birdy- in sottofondo http://www.youtube.com/watch?v=aNzCDt2eidg

A differenza mia lei era completamente tranquilla, sebbene fisicamente distrutta < Mamma vuoi sederti? > domandai cercando con lo sguardo una panchina, scosse la testa:
< Sono solo stanca ma niente che non possa sopportare, sono pronta a tutto. Mi stanco con molta più facilità adesso. > spiegò ridacchiando, annuii poco convinta poi la sentii continuare: < Amo tuo padre con tutta l'anima. >
< Me ne sono resa conto >
< Visto? Beh, non mi pento di nessun istante passato con lui. Non nego che in questi anni il nostro rapporto è stato una continua montagna russa: a volte urlavamo fino allo sfinimento, non ci parlavamo per giorni ma lui era sempre pronto ad accompagnarmi OVUNQUE, ogni visita medica, ogni viaggio, ogni seduta di chemio... lui c'era. Non voglio mentirti... mi spiace, mi spiace per tutto perchè mi sono resa conto di non essere la madre modello che pensavo. >
< Mamma non- >
< Non interrompermi. E non negarlo perchè dal primo mento che ti ho vista,dopo tanto tempo, ho capito di aver perso la mia bambina. Guardati -
mi indicò con i palmi delle mani aperti- ora sei una donna, non so chi ami ma di certo non è Chaz. Chi era al telefono? > aprii la bocca ad "o" alla ricerca di aria: < C.cosa?... > domandai sorpresa, rise vedendo la mia reazione: < Hai sentito bene. In questi anni ho imparato a stare zitta,a parlare di meno ed a risparmiare le parole. Ho imparato a sentire ed osservare per ricordare in miglior modo i volti e gli atteggiamenti delle persone e stasera, piccola mia, io ho osservato te: così bella, così combattuta tra la felicità e la tristezza, così a disagio quando tuo padre affermava che fossi la fidanzata di Chazx. Così felice quando ti è vibrato il telefono. >  mi accarezzò i capelli:
< Elysabeth man mano sento che tutto ciò che ho mi sta scivolando via dalle mani. Tu, tuo padre, la mia vita.... ma non sono triste. Hoi avuto 6 anni per piangermi addosso ma ora basta, perchè non credo che le mie lacrime cambieranno di certo qualcosa. Voglio però una promessa da te,non negarmela. >
< Tutto ciò che vuoi. >
annuii sicura, era mia madre, come potevo pensare di negarle una promessa?
< Voglio che tu ami qualcuno con tutta te stessa. Qualcuno che però ti faccia vivere una vita meravigliosa, tranquilla, che non ti metta in pericolo. Non voglio preoccuparmi anche dopo la morte, voglio stare serena e sapere che sei in buone mani... e se mai dovesse accadere qualcosa io appoggio Chaz: mi sembra un ragazzo assolutamente dolce, protettivo e per bene. Non credo sia un tipo pazzo, ti renderebbe la vita meravigliosa tranquilla e poco spericolata- >
< Mamma non capisco il perchè di questo discorso, perchè dovrei avere una vita spericolata? >
domandai ridacchiando nervosa e mi passai una mano tra i capelli,
quando cazzo arrivava quella macchina?!
< Lo dico perchè so come gira il mondo oramai, e cosa si fa alla tua età. So come sono i ragazzini ed in che casini si mettono, so cosa vogliono e cosa fanno per i soldi e per scopare - quel termine detto da lei mi fece ridere- e tu non meriti niente di tutto questo. Promettimelo >
ci pensai su, i suoi occhi chiari mi perforarono l'anima anche nel buio del viale. Finalmente, ad interrompere quel momento così scomodo, arrivò mio padre con l'automobile; cercai di allungarmi verso la portiera ma mia madre mi strattonò con una strana forza: < Promettimelo Elysabeth. > < Te lo prometto mamma. > buttai fuori innervosita dall'argomento. Mi catapultai in macchina al fianco di Chaz, lo osservai un attimo: con il suo sorriso smagliante, il suo vestito impeccabile ed il viso pulito e privo di lividi risalenti a qualche rissa... non mi sorprendeva il fatto che mamma lo amasse così tanto visto il suo aspetto e visto che avevo saltato di raccontarle di aneddoti poco piacevoli come il crollo della discoteca e della sua fuga a gambe levate.
Quando finalmente intravidi le luce dell'istituto dai vetri della macchina tirai un sospiro di sollievo: tutta quella tortura era finalmente finita.
Carl parcheggiò davanti all'ingresso permettendoci di scendere, con mia grande sopresa notai che anche mia madre si era apprestata ad aprire la sua portiera; mi si avvicinò e mi strinse forte: sentii il suo cuore battere fortissimo e le sue braccia magre stringermi con una forza che non mi sarei mai immaginata, l'avvicinai ulteriormente a me sentendo il suo profumo alle rose che amavo spruzzarmi in grandi quantità quando ero piccola e la sua benda mi solleticò la guancia; in quel momento avrei voluto accarezzarle i capelli, proprio come stava facendo lei ma quando la mia mano toccò il tessuto della benda tornai all'assurda realtà. Affondai il viso nell'incavo tra il collo e la sua spalla e cominciai a singhiozzare cercando di non macchiarle la pelle di mascara, mi sussurrò di calmarmi e cercai di darmi un contegno come mi era stato richiesto.
Mi allontanai il dispensabile per guardarla negli occhi: era così strana, così preoccupata, così triste ed io non ne capivo assolutamente il motivo, ma mi limitai ad abbracciarla un'ultima volta e a lasciarle un rumoroso bacio sulla guancia. In maniera meno calorosa salutai mio padre: < Ci vediamo domani El, ti chiamiamo noi > disse scompigliandomi i capelli con una mano, arricciai il naso infastidita dal gesto ed annuii tornando al fianco di Chaz, < E' stato un piacere signori > disse lui allungando la mano per salutarli, Carl la strinse con forza, sorridendogli mentre mi madre lo tirò a se lasciandogli un veloce bacio sulla nuca: < Prenditi cura di mia figlia > gli sussurrò e lo sguardo di Chaz divenne un misto tra spavento, imbarazzo e confusione, annuì incerto cercando il mio sguardo, probabilmente sperando che non avessi sentito... errore, io avevo sentito forte e chiaro e volevo sprofondare.




Hola! Ok si è un miracolo anche perchè ho aggiornato prima delle 18 recensioni ma sti cazzi, mi sono fermata per troppo tempo ed avevo anche io, bisogno di continuare lol.
Non ho molto da dirvi se non che spero che tutto questo continui a piacervi e ad appassionarvi, non vorrei annoiarvi o rendere la ff troppo noiosa o pesante,
nel caso,tuttavia, fosse diventato coscì potete scrivermelo, davvero e magari eviterò di fare una seconda serie, evitando che la cosa diventi morbosa.
Ditemi tutto ciò che vi passa per la mente, davvero lo apprezzerò.
La prima serie di Cigarette sta per volgere al termine ed io sto già lavorando al nuovo trailer che metterò su youtube(tinypic lo trovo scomodo per i video oramai)
aspettatevi di tutto, yoh.
Anyway, continuerò dopo 18 recensioni, questa volta sul serio! Natale capita una volta l'anno(?)
lasciatemi i vostri poensieri, i vostri messaggi, qualsiasi cosa voi vogliate.
Per altro io sono su twittah come @_Morwen yoh
Vi amo tantissimo e grazie ancora di tutto.

   
 
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