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Autore: Hanna Potter    05/05/2013    5 recensioni
"Mi chiamo Hugo. Hugo Weasley. Sono il figlio di ben due membri del Golden Trio. Figlio di due salvatori del
Mondo Magico. Mi chiamo Hugo, e sono l’essere umano meno adatto ad essere me."
Storia partecipante al contest "Una Nuova Generazione bistrattata: adesso è il tuo turno" indetto da Elizha sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hugo Weasley, Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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DYSLEXIA - MY NEMA IS HOGU WESLEAY
 
 
 
 

Non so se quello che sto scrivendo sia un ringraziamento,
mi sembra più che altro un saluto...
Un saluto a G., perché tu non sapevi che io sapevo...
ma io ero pronta ad aiutarti.
 

 
 
 
Mi chiamo Hugo. Hugo Weasley. Sono il figlio di ben due membri del Golden Trio. Figlio di due salvatori del Mondo Magico. Mi chiamo Hugo, e sono l’essere umano meno adatto ad essere me.
Avete presente il tipico ragazzo sfigato che sicuramente avete in classe ma di cui nessuno si ricorda mai? Ecco, potrei essere io.
Vi ricordate del ragazzino con problemi di apprendimento? Pure.
E di quello con la famiglia terribilmente famosa? Piacere, sono sempre io.
Potrebbe essere un paradosso essere tutte queste cose insieme, eppure eccomi qui.
La delusione di genitori, famiglia, professori... tutti.
Non c’è una volta che qualcuno mi abbia detto “Sono fiero di te!” oppure “Sei stato bravo.”, ma, probabilmente, è perché non ho mai fatto nulla di abbastanza buono per meritarmi un minimo di apprezzamento.
Odio la mia situazione.
Le persone hanno delle aspettative troppo alte nei miei confronti.
Quando devono conoscermi per la prima volta, come minimo, si aspettano di trovarsi davanti un intelligente Corvonero dagli occhi color nocciola, il cervello di sua madre e i voti più alti del suo anno in tutte le materie ed una vita sociale. Oppure un bel ragazzo dai capelli rossi, capitano della squadra di Quidditch Grifondoro con uno stuolo di ragazze ai suoi piedi.
Sono tutto il contrario.
Alto, troppo, capelli ricci e castani tenuti volutamente lunghi, in modo da coprire gli occhi, azzurri.
Non ho amici. Sono quello che molti definirebbero gentilmente un “artista”; un po’ meno gentilmente un disadattato o, realisticamente, uno sfigato.
Me lo sono sentito dire talmente tante volte che ormai me ne sono convinto.
Ma, più che uno sfigato o disadattato, mi sento inadatto.
Inadatto alla mia famiglia, prima di tutto. Spesso mi ritrovo a ringraziare il cielo per aver mandato Rose, prima di me, altrimenti non so davvero cosa potrei fare. In realtà nemmeno lei è la perfezione scesa in terra: ha una media scolastica normale, gioca nella squadra di Quidditch, finisce in punizione una settimana sì e l’altra no...
Ma è pur sempre meglio di me.
Insomma, lei è un’adolescente come tutte le altre. Se ne è sempre fregata dell’opinione degli altri. Ogni tanto combina qualche disastro o fa stare in ansia mamma quando, d’estate, esce di sera coi suoi amici, ma sono cose normali. Cose da normali adolescenti. Cose da adolescenti senza una vita complicata come la mia, senza le mie difficoltà; cose da adolescenti che non siano me, per farla breve.
Nessuno vorrebbe mai avere un figlio con i miei problemi.
Perché, oltre ad avere la capacità innata di farmi dei patemi mentali incredibili, anche sulle cose più banali, ho dei problemi più concreti. Di quelli che ti rovinano la vita ogni singolo giorno, che ti rendono ogni istante una fatica.
Sono dislessico.
Sì, avete capito bene. Non avete letto sbagliato come probabilmente avrei fatto io se mi fossi trovato davanti quella parola, leggendo un libro. Io, figlio di Hermione Jean Granger -anche nota come la divoratrice di libri- sono dislessico.
Per me quei tomi dagli spessori allucinanti che mamma ama più della sua stessa vita, non sono che un minestrone di alfabeto senza capo né coda.
Potete dunque immaginare le mie difficoltà nell’imparare nuovi incantesimi o metterli in pratica senza rischiare di ammazzare qualcuno.
Abbiamo scoperto del mio problema quando avevo circa sette anni. Mamma aveva voluto a tutti costi iscrivermi ad una scuola babbana, diceva che avrebbe fatto bene, a me e a mia sorella, imparare a relazionarci con altri bambini che non fossero nostri familiari e che non appartenessero al mondo magico.
Sarà stato circa metà maggio del mio terzo anno quando la maestra è venuta a casa nostra per confidare ai miei il suo dubbio.

« Signori Weasley, temo di dovervi dare una brutta notizia... »

Non dimenticherò mai il momento in cui quella donnina seduta sul nostro divano iniziò il discorso e la tensione nella voce di mamma.

« Signorina Greenweed, c’è qualche problema con Hugo? »

Dicendo quelle parole mamma sorrise, un sorriso finto di quelli che tira fuori forzatamente quando sa che deve sembrare ottimista o quando siamo a delle cerimonie ufficiali e i giornalisti la bombardano di flash.

« Oh, no. Hugo è davvero un bambino tranquillo... Solamente, mi pare di aver notato alcuni comportamenti... uhm, anormali. Naturalmente potrei sbagliarmi ma ho ritenuto opportuno venire a parlare con voi per chiarire la questione nel migliore dei modi. D’altronde si tratta solo di un sospetto... »

Dalle scale vidi mamma irrigidirsi, probabilmente temeva che avessi fatto qualche magia involontaria in classe e che la maestra mi avesse visto.

« Signorina, nel caso Hugo abbia fatto qualcosa di strano, mi creda, non succederà mai più... »

« Signora Weasley, non credo che lei possa far sì che ciò che sospetto non accada mai più. »

Strinsi le mani alla ringhiera e vidi mamma sgranare gli occhi. Sembrava confusa dalle parole ambigue della donna.

« Signorina Greenweed, vorrebbe dire che lei è una... »

La maestra piegò leggermente di lato la testa, perplessa dal comportamento cauto di mia madre, probabilmente.

« Sì, signori Weasley. Io sono laureata in psicologia infantile e credo che vostro figlio sia dislessico. »

Papà tirò un sospiro di sollievo, probabilmente pensò che non avrebbe dovuto chiedere a zio Harry di mandare un Auror a cancellare la memoria alla Babbana che sedeva compostamente davanti a lui. Mamma, invece, appoggiò la mano sul suo ginocchio, alla ricerca di un benché minimo sostegno. Non era concepibile, per lei, che suo figlio potesse avere quel tipo di problema.

« L-Lei.. ne è sicura? Voglio dire, magari ha solo qualche difficoltà più degli altri... tutto qui... »

« Signori, so che è difficile da accettare, ma ci sono alcune manifestazioni che mi fanno pensare che ci possa essere la possibilità che vostro figlio sia dislessico. »

Mia madre la guardò come avrebbe guardato il Ministro della Magia se avesse detto che i babbani non meritano di esistere e iniziò a balbettare.

« No... Non può essere. Ronald... Ronald, di’ qualcosa! »

Mio padre, per una volta, fece la cosa giusta. Mi vide che li osservavo dalla cima delle scale e mi chiamò lì, vicino a loro. Quando arrivai davanti al divano mi abbracciò come non aveva mai fatto, era strano, per me. Solo anni più tardi avrei capito che quell’abbraccio significava qualcosa del tipo: “Ehi, so com’è sentirsi considerati inferiori. Ma tranquillo, ci sono qui io a sostenerti.”. Peccato che non abbia mantenuto la promessa...
Dislessico. Era l’unica cosa che riuscivo a ripetere fra me e me in quel momento. Che parola strana... Mi pareva di averla già sentita pronunciare dai maestri, a scuola. Sussurrata, come se fosse qualcosa di oscuro, illegale, sbagliato.
Da quel giorno tutti mi guardarono con occhi diversi. La mamma per prima.
Mi mandarono da un dottore, mi fecero fare dei test e, alla fine, mi ritirarono dalla scuola.
Crebbi da solo, in casa. Ero un bambino timido e schivo, cercavo in tutti i modi di evitare ogni contatto dai miei cugini, loro mi facevano sempre sentire a disagio. Non volontariamente, è chiaro. Ma la loro allegria, il loro correre in giro per casa a combinare disastri o svolazzare per il giardino con le scope giocattolo non faceva per me. Non ero irruento e rumoroso come loro, preferivo rimanermene in un angolino con un foglio e una scatola di colori, a disegnare.
Il giorno del mio undicesimo compleanno, però, accadde qualcosa: ricevetti la mia lettera da Hogwarts. Mamma non poteva crederci, pensava che non sarei mai diventato un mago, invece eccola lì, la prova che non ero un totale disastro. Festeggiammo ancora più di quanto non avessimo fatto qualche mese prima per Lily Luna e, il giorno seguente, ci portarono a comprare il necessario per la scuola a Diagon Alley.
Inizialmente ero spaesato da tutte quelle insegne che, per me, volevano dire tutto e nulla contemporaneamente. Al “Raglioserro Mogica” mi comprarono un gufo, alla gelateria “Falorina Orfetabicco” mangiammo dei gelati enormi e buonissimi, ed infine mamma rimase un’ora buona nella libreria -anche nota come il mio peggior incubo- “Il Roghigoro”...
Il primo settembre arrivò così velocemente che nemmeno me ne accorsi, in un battito di ciglia mi ritrovavo già sul treno a salutare mamma e papà, mentre Rose e gli altri cugini terrorizzavano me e Lily dicendoci che saremmo finiti tutti soli a Tassorosso.
Cosa che non avvenne, con grande stupore di tutti, nemmeno nel mio caso. Lily fu smistata a Corvonero e, non appena si sedette al tavolo, la maggior parte degli studenti le si avvicinarono per fare amicizia.
Io finii a Grifondoro.
Tutt’oggi mi chiedo se il Cappello, quella sera, non avesse esagerato col Whisky Incendiario e, a quanto pare, se lo stavano chiedendo anche i miei neo-compagni di casa, visto il gelo che calò quando il copricapo strepitò la mia destinazione. Avevo sentito mamma raccontare a zia Ginny che alcuni giornaletti scandalistici avevano iniziato a diffondere la voce che avessi dei problemi. Un giorno ero un Magonò, quello dopo disturbi di apprendimento... Probabilmente anche quei Grifondoro li avevano letti.
Ad ogni modo la scuola andò avanti, i primi giorni, alcuni bambini del mio anno, mi si avvicinavano chiedendomi, ammirati, di raccontar loro qualcosa sulla mia famiglia e su come fosse essere me.
Diciamo solo che, dopo l’ennesima risposta: “Difficile, io non sono come loro.”, i loro tentativi di attaccare bottone si fecero sempre più sporadici fino a diventare praticamente inesistenti.
Ma gli amici erano la cosa che mi importava meno, dopotutto mi bastava andare a rifugiarmi da Lily, se proprio ne sentivo il bisogno; le lezioni e i professori erano ciò che mi angosciava –e mi angoscia tutt’ora- di più.
Ricordo ancora le facce degli insegnanti quando vennero a sapere che il figlio della strega più brillante che Hogwarts abbia mai avuto l’onore di accogliere era dislessico: erano sconvolti dal fatto che fossi così diverso dal genere di ragazzini con cui erano abituati a trattare ma, soprattutto, diverso da tutto il resto della mia famiglia. Diverso dalla famiglia che tutto il mondo magico amava e, quasi, venerava.
La maggior parte di loro, per evitare di avere problemi coi miei genitori, mi teneva in disparte e, quando gli capitava di incrociare il mio sguardo durante le lezioni, distoglieva velocemente il suo. Un’altra loro caratteristica comune erano i sorrisini di pietà mista a commiserazione che mi rivolgevano quando combinavo qualche disastro pronunciando qualche Incantesimo nella maniera sbagliata, inoltre non capitava nemmeno per sbaglio che uno di loro mi facesse leggere ad alta voce in classe, in quasi cinque anni avrò spiccicato sì e no un centinaio di parole al massimo, per lo più monosillabiche.
Tutti gli insegnanti mi trattavano così, meno che una.
La professoressa McGrannitt.
Sì, avete capito bene, professoressa McGranitt. Un paio di anni che io e Lily arrivassimo ad Hogwarts ha ceduto la carica di preside a Vitious, chiedendo in cambio solamente di riavere la sua cattedra di Trasfigurazione.
Dal giorno del mio arrivo a scuola non ha fatto altro che “tormentarmi” –o almeno, io vedevo il suo comportamento come un tormento- facendomi leggere lunghi e complicati brani e correggendomi col suo ferreo rigore che tanto l’ha resa celebre se sbagliavo qualche vocabolo. Mi faceva provare gli Incantesimi in classe esattamente come a tutti gli altri ragazzi, ma insisteva con particolare testardaggine finché non riuscivo, dopo qualche decina di tentativi, nell’esercizio che mi aveva assegnato.
Lei era l’unica a cui sia mai importato veramente qualcosa di me, qui a scuola.
Più genericamente, lei, era.
È morta tre giorni fa.
Oggi ci sarà il suo funerale.
Ieri, il preside, mi ha mandato a chiamare durante la lezione di Erbologia –una delle mie preferite, dato che, se mi va, posso sdraiarmi sul prato vicino alle serre senza che il professore dica nulla- e mi ha convocato nel suo studio.
All’inizio credevo che mi volesse presentare al nuovo professore di Trasfigurazione, in modo da non prendere il sostituto troppo alla sprovvista per quanto riguarda la mia situazione, invece, quando sono entrato, ho trovato solo lui e un Maginotaio.
L’uomo mi ha spiegato che la professoressa, nel suo testamento, aveva scritto che voleva che tenessi un discorso al suo funerale. Il preside, più veloce di uno Schiantesimo, dopo che il notaio ha dato l’annuncio, mi ha congedato in fretta e furia e mi ha spedito alla mia prima lezione di Trasfigurazione col nuovo professore.
Mentre camminavo verso l’aula riflettevo su come spiegare al preside che non avevo la minima intenzione di parlare in pubblico in un’occasione così importante ed ufficiale. Avrebbero parlato i maghi più illustri di questo secolo, con ogni probabilità mamma e zio Harry sarebbero stati fra loro, non avrei potuto confrontarmi con gente così...
È stato quando sono entrato in classe con cinque minuti di ritardo, trafelato, e l’ometto coi baffi che sedeva dietro la cattedra mi ha guardato con compassione che ho capito.
Ho capito quanto speciale fosse quella professoressa per me.
Ho capito che io dovevo tenere quel discorso.
Miseriaccia.
Manca meno di un paio d’ore al funerale e non ho ancora scritto nulla, o meglio, ho scritto qualcosa ma credo di non essere riuscito a scrivere correttamente nemmeno il nome della McGranitt.
Sto andando nel panico, non ho la minima idea di cosa potrei dire, temo di andare fuori tema, di annoiare qualcuno con quello che dirò. Ho paura di sbagliare a leggere, ho paura di scrivere qualcosa di sbagliato e leggerlo correttamente.
È una cosa troppo grande per me...
« Se solo fossi diverso... »
« E per quale motivo dovresti essere diverso, fratellino? »
Rose compare sulla soglia del mio dormitorio, sono seduto per terra, appoggiato con la schiena al lato del mio letto e ho vicino a me un mucchio di fogli appallottolati.
« Lascia stare, Rose. Comunque, cosa ci fai qui? Non dovresti essere da qualche parte a truccarti? »
Mia sorella sorride, si siede vicino a me e mi passa un braccio intorno alle spalle.
« Davvero ti sembro una ragazza tutta ombretti e rossetti? »
Mi asciugo con la manica una lacrima che mi scende lungo la guancia.
Come ci è finita lì?
« Non lo so, è da tanto che non parliamo... »
« Hai ragione... In ogni caso, tutti sanno che non ci si trucca per andare a un funerale o per vedere un film triste, in entrambi i casi usciresti dalla sala con le sembianze di un panda! »
« Quanto sei stupida, Rose... »
Segue qualche minuto di silenzio. Non sappiamo cosa dirci, non sappiamo cosa fare. È una situazione così assurda. Non siamo mai stati in confidenza, lei si trova meglio coi nostri cugini ed io con la mia solitudine. Ad un certo punto lei, con tono stranamente sommesso, confessa:
« Mi mancherà. »
La guardo stupito e Rose mi riprende:
« Oh, non fare quella faccia, Hugo! La McGrannitt era speciale, una bravissima insegnante. Non come il nuovo professore... quel tizio è un idiota, come gli altri. »
Abbasso lo sguardo e mi accorgo che le lacrima hanno ripreso a scendere, sempre più fitte, e mi stanno pian piano annebbiando la vista.
Rose mi stringe a sé più forte, credo di non aver mai pianto di fronte a lei, a parte quando eravamo piccoli e nascondeva il mio peluche preferito.
Restiamo lì, in silenzio per un po’ di tempo. Non so quanto tempo, non riesco a pensare, con tutti questi ricordi che mi riempiono la testa.
Alla fine, Rose, mi sposta una ciocca di capelli da davanti agli occhi, mi asciuga una lacrima col pollice e mi sussurra:
« Stai meglio? »
« No. »
« Avanti, Hugh, hai un discorso da fare, se non sbaglio... »
Stupito, le rivolgo un’occhiata interrogativa.
« Come fai a sapere del discorso? »
Lei scrolla le spalle e, con tono sbrigativo, mi spiega:
« Tutta la scuola lo sa. Per non parlare dell’intero mondo magico che attende con ansia le tue parole. »
« È bello sapere di non avere gli occhi di tutti puntati addosso... »
Rose si rialza, ridacchiando e passa le mani sulla gonna un paio di volte nel vano tentativo di stirare le pieghe che si è fatta stando seduta per terra.
« Sai, fratellino, a volte sembri addirittura simpatico. »
Mi porge la mano e mi tira su, vicino a lei. La supero di una decina di centimetri, nonostante abbia un anno meno di lei, ma la cosa non sembra metterla a disagio. Mi guarda negli occhi e chiede:
« Seriamente, a che punto sei arrivato? Se vuoi ti posso dare una mano a concluderlo. »
« Diciamo che mi saresti più utile se mi aiutassi ad iniziare... »
« Non hai nemmeno iniziato?! Per Godric, Hugo! Vieni subito qui alla scrivania ed inizia a dettare! »
Un’ora dopo abbiamo finito, non ci posso credere.
Le parole sono uscite da sole, alla fine. Erano tutte lì, aspettavano solo di essere tirate fuori.
Rose non ha mai commentato nulla di ciò che le ho ordinato di scrivere. È stato strano. Però uno strano bello.
« Hugo, credo che abbiamo finito. »
Mi porge la pergamena. Non appena faccio per allungare la mano per afferrarla mi abbraccia, ancora.
« Sono fiera di te, fratellino. »
 
***
 
Morgana.
C’è troppa gente.
C’è decisamente troppa gente.
Mamma è venuta a cercarmi, all’inizio della cerimonia, e mi ha detto che il mio intervento sarà subito dopo il suo. Non so se il suo intento fosse quello di rassicurarmi, ma ha decisamente avuto l’effetto contrario.
Lei, in questo momento, è proprio lì, davanti al leggio. Parla con tono grave e solenne. Usa vocaboli così ufficiali e complicati, la maggior parte dei quali non conosco nemmeno.
Mi sento così stupido, con il mio pezzetto di pergamena stropicciata, mentre tento di decifrare questo miscuglio di lettere confuse. Per quale motivo ho pensato che scrivere il discorso mi avrebbe aiutato?
« Hugo, tocca a te. »
Mio padre, con fare impacciato, mi da’ una pacca sulla spalla e mi indica mamma, che ha finito di parlare e sta tornando verso la panca dove è seduta la mia famiglia, in prima fila.
Tutti applaudono con moderazione, si sentono alcuni singhiozzi soffocati sparsi per tutta la sala.
È il mio momento.
Salazar.
Lancio un ultimo sguardo verso Rose, che mi rivolge un cenno incoraggiante, e mi avvio verso i gradini. A chi caspita può essere venuto in mente di mettere il mio discorso in coda al resto della scaletta?
Cerco di concentrarmi abbastanza da mettere un piede davanti all’altro e salire la bassa gradinata senza rompermi l’osso del collo.
Godric.
Come si sarebbe potuto prevedere sono inciampato proprio all’ultimo scalino ma, per fortuna, sono riuscito a rimanere in piedi.
Il preside mi annuncia brevemente e mi lascia il posto dietro al leggio. Prima di andarsene, però, mi punta la bacchetta alla gola e sussurra “Sonorus”. Perfetto, ora siamo sicuri che se dirò qualche cavolata o mi scapperà una parola sbagliata lo sentiranno tutti in maniera impeccabile. I reporter di quei giornaletti scandalistici laggiù saranno felicissimi.
Faccio per aprire la bocca ma, non appena mi rendo conto di quanta gente mi stia fissando, la richiudo e deglutisco.
Rose, dalla panca della mia famiglia, mi mostra i pollici in su, beccandosi occhiate torve da una coppia di anziani stregoni.
Faccio un respiro profondo e, finalmente mi decido ad iniziare il discorso, appoggio il foglietto stropicciato al leggio, gli lancio un’occhiata fugace, senza riuscire a leggere nulla di sensato al di fuori della parola “diverse”, ed inizio a parlare:
« Sono Hugo Weasley, non so se mi conoscete... probabilmente lo credete. Credete di sapere qualcosa su di me... ma non è così. Conoscerete i miei genitori, magari, ma non me.
Onestamente, non ho idea del perché la professoressa McGranitt abbia voluto che io intervenissi in... quest’occasione » un groppo alla gola mi costringe a fermarmi un paio di secondi prima di proseguire « Avrebbe potuto desiderare gli interventi di uno qualsiasi dei maghi più illustri di tutti i tempi, invece ha voluto me, uno studente. Nemmeno uno dei migliori, se vogliamo dire la verità. Forse ha voluto che parlassi proprio io perché, certe persone, hanno troppa paura che le cose potrebbero essere diverse dai canoni, diverse da come se le aspettano, insomma, la vita è piena di imprevisti, ma loro non sanno come affrontarli... Sono abituati a prendere la via più facile, aggirare i problemi. Sono abituati ad etichettare tutto ciò che è diverso come “sbagliato”. Non si rendono conto che, a volte, hanno l’occasione di riparare qualcosa che non sia il loro manico di scopa, ma possono riparare una persona. È difficile capire se una persona ha davvero bisogno di essere riparata o se accetterebbe l’aiuto di qualcuno... è difficile. Devi guardare di più le persone, tipo... tipo tenerle d’occhio... tenerle d’occhio, sì. Per proteggerle ed aiutarle a superare i loro mostri. Perché, chi è in difficoltà, non sempre vede ciò che gli serve davvero. La gente, ormai, è abituata ad accettare le cose così come sono, anche se sono brutte. E non fa nulla per cambiarle. Ma, insomma, il mondo... il mondo non è tutto quanto... merda. E la professoressa ne era la dimostrazione. Lei ha lottato, sempre, per la mia causa. Una causa che tutti davano per persa, dato che non esiste una pozione che possa curare la dislessia. Tutti si limitavano a guardarmi con compassione, nessuno ha mai fatto nulla per aiutarmi davvero ad imparare qualcosa. E se c’è una cosa, oltre alla Trasfigurazione, che la donna che oggi stiamo ricordando è riuscita ad insegnarmi è che le persone si arrendono troppo facilmente. E quando le persone si arrendono, poi, tutti, tutti ci perdono. Grazie per essere stata diversa, professoressa McGranitt. Grazie per non esserti arresa, mai.»
Ci sono riuscito.
Ho parlato davanti a tutti questi maghi, ho retto il confronto con persone molto più sagge di me.
Doveva essere solo un discorso invece mi ha fatto capire cose molto più profonde. Cose che avevo sempre visto come irraggiungibili. Cose che non mi sembrava potessero riguardarmi.
Ho scoperto di avere un animo coraggioso, da Grifondoro.
Ho scoperto che non bisogna arrendersi davanti alle difficoltà, ma affrontarle, andare avanti.
Ho scoperto che il mondo non è tutto... merda, ma che ci sarà sempre qualcuno di pronto a lottare al tuo fianco. Magari potrebbe trattarsi di qualcuno di inaspettato ma allo stesso tempo così prevedibile, come Rose.
Ho scoperto che, in fondo, non sono così inadatto ad essere me. Sono semplicemente diverso. Sì, diverso perché, da ora, a differenza di altri, inizierò a lottare per ciò che voglio fare, per ciò che voglio essere.







*si materializza "Autrice" selvatica*

Ringrazio ogni singola persona che ha aperto questa storia e la sta leggendo. Grazie, davvero.
Questa storia è stata scritta per il contest "Una Nuova Generazione Bistrattata: ora è il tuo turno!" di Elizha (indetto sul forum di EFP), il cui obbiettivo era cercare di scrivere della cara New Generation in modo originale e diverso dagli "schemi".

Il mio pacchetto comprendeva Hugo Weasley e la citazione tratta dal film "Un sogno per domani":

“Per me certe persone hanno troppa paura per pensare che le cose possono essere diverse e, insomma,il mondo non è tutto quanto merda ma credo che sia difficile per certa gente che è abituata alle cose così come sono, anche se sono brutte, cambiare e le persone si arrendono e quando lo fanno poi tutti, tutti ci perdono.”

Che, col permesso della giudicia, ho rielaborato in modo che calzasse meglio con ciò che volevo trasmettere.
Inoltre mi sono presa la libertà di aggiungere quest'altra citazione (sempre tratta dal film "Un sogno per domani"):

“ [...] è difficile, non lo puoi programmare: devi, devi guardare di più le persone, ecco… tipo, tipo tenerle d’occhio, per proteggerle, perché non sempre vedono quello che gli serve. È come la tua grande occasione di riparare qualcosa che non è la tua bicicletta, ma puoi riparare una persona.”
 

Comunque sia, spero che la OS vi sia piaciuta e di non essere andata troppo OOC...
Ok, ora la pianto.
Un bacione,
Hanna Potter

*"Autrice" selvatica si smaterializza*
 

P.S. non so se l'avvertenza "Tematiche delicate" sia necessario... fatemi sapere.

  
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