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Autore: HypnosBT    05/05/2013    6 recensioni
Cecilia è una nobile ragazza fiorentina che, costretta dall’amore incondizionato per la madre, si trasferisce a Roma. È completamente ignara della guerra che da centinaia d’anni si consuma tra Templari ed Assassini. Il caso colloca la sua nuova vita all’interno de “La Volpe Addormentata”, in quel periodo storico ricco di veli e sussurri che è il ‘500.  
 
  Dal prologo:
 
  Si chiamava Gilberto, ma tutti lo conoscevano come “La Volpe”. 

  Si chiamava Gilberto, e mia madre avrebbe voluto che mi rivolgessi a lui come “Padre”.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niccolò Machiavelli, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Volpe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'È la vita che ci sceglie'
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CAPITOLO VI

 

 

 

"Chi vuol esser lieto, sia:

Di doman non c'è certezza."

Lorenzo il Magnifico

 

 

1 Aprile 1494

Cecilia 

 

 

 

  Alla fine della cena Gilberto mi aveva chiesto di andare a ritirare un pacco alla caserma. Mi ero coricata in fretta, sapendo di dover partire all’alba, tuttavia il sonno aveva deciso di tradirmi. Mi ero rigirata più e più volte, facendo assumere alle coperte le forme più disparate.

  La verità è che non riuscivo più a togliermi dalla testa quel verde brillante, presuntuoso e malizioso. Un verde sorridente, nonostante tutto.

  Il giorno seguente la stanchezza mi aveva tormentato insieme a mille altre fastidiosissime cose. Un esempio delle mie sventure? Gli stessi occhi che avevano inzuppato i miei pensieri si offrirono molto galantemente di scortarmi fino a casa D’Alviano.

  «Mia signora» disse una voce penetrante alle mie spalle, mentre inveivo pesantemente contro il pezzato che la Volpe aveva acconsentito a prestarmi per il viaggio.

  Mi irrigidii, pensando di aver appena gettato all’aria tutti gli sforzi fatti la sera precedente per somigliare alla perfezione in persona. Presi fiato e mi voltai verso Machiavelli.

  L’espressione garantiva una sola cosa: si stava facendo beffe della mia situazione, intuendo i miei pensieri e forse addirittura la causa delle occhiaie che trascinavo in giro.

  «Buongiorno Messere» risposi con tutta la cortesia possibile. Il cavallo dietro di me riprese a sbraitare e scalciare all’impazzata.

  «Vi vedo in difficoltà, permettete che vi aiuti»

  «Non posso fare a meno di ringraziarvi per la vostra immensa gentilezza, ma vedete, posso cavarmela benissimo lo stesso»

  “Sparisci, faccio da sola“

  «Lasciatemi provare, ho un certo ascendente sui cavalli» ribadì quello, sempre ghignando.

  “Pure su quelli?!”

  «Se proprio insistete, prego»

  “Ma non hai nient’altro di meglio da fare?”

  Abbassò il capo a mo’ di ringraziamento e si avvicinò all’indomabile destriero, che entro una manciata di minuti divenne più docile di un mulo da soma. Gli fece indossare le redini e me le porse. Andai per afferrarle con un gesto secco; la mia mano si fermò a mezz’aria, in attesa. Niccolò le aveva spostate all’indietro di qualche centimetro, come se stesse giocando.

  «La mia cortesia ha un prezzo», soffiò sornione, ipnotizzandomi con quegli occhi di prato e di palude.

  “Che cosa? Maledetta, infida serpe…”

  «Converrete con me che questo si chiama ricatto, Machiavelli» stetti al gioco, fingendo una tranquilla indifferenza che era ben lungi dal mio vero stato d’animo.

  «Suvvia Cecilia» quasi rabbrividii sentendo il mio nome pronunciato con quella potenza, «questo implicherebbe, per ipotesi, paura delle conseguenze». Stavo scivolando in quelle iridi compiaciute. «Mi temete, dunque?»

  «Non vi conosco, Niccolò, ma al momento il timore è l’ultima cosa che riuscite a suscitate in me», feci una pausa per valutare la sua reazione. «Comunque, sempre per ipotesi ovviamente, sul piano morale il ricatto può sfruttare anche la soggezione dell’individuo» continuai determinata.

  «Dubito fortemente sia questo il caso» rise con naturalezza, sfruttando un tono basso e affascinante; «o mi sbaglio?» chiese tornando attento, travolgendomi con la sua espressività. Rimanemmo in silenzio per il tempo di un sospiro che non mi concessi, annaspando l’uno nell’altra.

  «Certo che no» piegai all’insù gli angoli della bocca. «C’è un cavallo grigio sul retro, prendete quello»

  «Vi ringrazio, mia signora» mi consegnò le redini e le nostre dita si sfiorarono. Avanzai per sellare l’animale e Machiavelli si mosse verso l’uscita, passandomi a fianco e lasciando che il suo odore mi investisse. Quando fu lontano mi scappò un ringhio ben poco raffinato. Si divertiva a tentarmi in quel modo?

  Provai a sbrigare frettolosamente il lavoro, malgrado la mia inesperienza. A Firenze ci eravamo sempre avvalse dei servigi dello stalliere e, pur sapendo la teoria, non avevo mai bardato un cavallo in tutta la mia vita. Ero intenzionata a scappare via prima che Machiavelli tornasse, però non fu possibile. Mi stava aspettando, già in inforcatura sulla piazzuola, come a dimostrare la sua bravura in equitazione.

  Non sapeva che gli avrei fatto mangiare la polvere.

  «Siete pronto Machiavelli?» mi sistemai sul cavallo con fare esperto, lasciando perdere una scomodissima posa all’amazzone. Lo affiancai celere, attendendo il manifestarsi del suo ghigno.

  «Se non sbaglio non ero io quello in difficoltà» mi prese in giro.

  «Osservazione scontata Messere, state diventando prevedibile»

  «Mai quanto voi, Cecilia». Detto questo partì di slancio, facendo volare il bel purosangue grigio sullo sterrato.

  “Bastardo!” pensai agitata, sorprendendomi dei miei stessi pensieri. Mi buttai all’inseguimento del giovane spronando il cavallo all’impazzata.

  La verità è che aveva anticipato ogni mia singola mossa.

  Corremmo per mezza Roma costeggiando il fiume, sfiorando il Colosseo, salendo e scendendo colli tremendamente estivi.

  A metà strada ci concedemmo una pausa per non sfiancare i cavalli. Cominciammo a ridere con la spensieratezza di bambini intrappolati nel corpo di amanti.

  In seguito parlammo di vita, di passato e di futuro. Discutemmo a lungo, privi della malizia dei dialoghi precedenti, sempre più consapevoli di quello che stava accadendo: l’attrazione reciproca ci stava legando lentamente in una morsa d’acciaio.

  Giunti a destinazione mi lasciò con un baciamano, giustificandosi con un sorriso.

  «Non dubitate, mi piange il cuore al pensiero di lasciarvi qui da sola, tuttavia non posso fare altrimenti» scherzò a cuor leggero, con il solito ghigno di pietra inciso nel volto.

  «Non vi preoccupate Macchiavelli, sono sicura che i vostri servigi salveranno presto la giornata di qualcun altro» risposi con lo stesso tono ironico.

  Ci lasciammo con un sorriso che sbiadì presto.

  Mi incamminai verso il cortile e legai il cavallo. La pesante porta di legno sulla quale bussai rimbombò un paio di volte portandomi il silenzio. Battei di nuovo ma nulla. Girai la grande maniglia e spinsi con lentezza, timorosa di disturbare.

  Nella grande sala non c’era nessuno. Dalla scaletta che portava al piano inferiore si sentivano pericolosi rumori attutiti dalla distanza. Non si trattava di parole, era… era una lotta! Vidi l’ombra di un pugno raschiare l’unica parte visibile di quel livello, cioè un muro di pietra. Mi appoggiai a quest’ultimo per scendere, quatta quatta, verso il feroce combattimento. A metà scala finalmente sentii e vidi tutto: un capannello di uomini stava incitando una rissa. I lottatori coinvolti erano seminudi, sudati e addirittura spruzzati di sangue. Spalancai la bocca in un’espressione sorpresa. Ma che diavolo stava succedendo?

  Un’esclamazione mi fece voltare verso il pianerottolo alle mie spalle. Probabilmente la curiosità mi aveva fatto finire nei guai.

  «Cecilia!» urlò una donna alta e rotonda, fiera nelle spalle e nella linea.

  «Signora!» risalii verso di lei facendo tre scalini alla volta. «Perdonatemi vi prego, non vi era nessuno, mi era stato chiesto di prendere… Io non volevo vedere, cioè, volevo vedere se qualcuno era ferito, ero preoccupata… Mi dispiace!» dissi tutto d’un fiato, lasciando perdere i convenevoli.

  «Suvvia non ti preoccupare cara, scusami se ti ho spaventata, non mi aspettavo di vederti! Anche se forse avrei dovuto» usava un dolcissimo tono materno che non mi sarei aspettata di trovare in lei.

  «Perc…  Oh, certo, il pacco!» ero parecchio scombussolata da ciò che stava succedendo.

  «Aspetta, lo prendo subito» si mise a rovistare nella scrivania. Trasse a se una scatola di legno e me la porse. Era pesante.

  «Mi raccomando, non aprirla! E cerca di non esporla troppo alla vista altrui»

  «Cosa…?»

  «Che cosa contiene non te lo posso dire cara, e questo mi disturba parecchio. Un giorno forse ti sarà dato saperlo»

  Non capivo. Perché così tanta segretezza? Decisi che la mia curiosità sarebbe stata soddisfatta. Almeno in parte.

  «Certo, non intendevo questo» Bugia. «Mi domandavo cosa stessero facendo gli uomini nel seminterrato, se non sono indiscreta» Verità.

  «Oh, non ti preoccupare cara! I mercenari hanno bisogno di tenersi in forma quando la guerra non riempie i loro minuti, così mio marito ha deciso di organizzare un torneo di duelli» mi spiegò con calma, facendola sembrare la cosa più naturale del mondo. Annuii comprensiva.

  «Dunque voi siete…»

  «Giusto cielo, non mi sono nemmeno presentata! Sono Bartolomea Orsini, anche chiamata Signora D’Alviano» disse, sottolineando la sua devozione nei confronti di Bartolomeo.

  «È un onore Signora…»

  «Suvvia, tutti questi formalismi! Chiamami soltanto Bartolomea, ormai sei una di famiglia» mi sorrise con una tenerezza incredibile, dopo aver esclamato la frase con brio.

  «Temo di non capire, sign…»

  «Bartolomea» mi corresse lei.

  «Bartolomea» ripetei io.

  «Comunque ora credo che sia meglio consegnare la cassa alla Volpe» concluse senza spiegarmi nulla. «Scusa Cecilia, ora devo andare, spero di incontrarti presto!» mi lanciò un’occhiata eloquente che non compresi. Fece per andarsene ma la bloccai.

  «Ehm, Bartolomea?»

  «Si, cara?»

  «Sapete dove potrei trovare Letizia?»

  «È al mercato» sembrava ne sapesse molto più di me, infatti aggiunse un “Buona Fortuna” prima di lasciare lo studio.

 

 *

 

   Non avevo idea di cosa mi avesse preso. Non avevo idea di nulla, in quel preciso momento, mentre cavalcavo verso il caotico mercato centrale. Non capivo le allusioni velate di Bartolomea, non sapevo cosa ci fosse di così importante nella mia consegna, non riuscivo a immaginare come mi sarei comportata davanti a Letizia. Eppure stavo entrando a testa alta in quell’arena satura di sete disposte a impregnare la mia sconfitta, pronta ad essere divorata dal leone. Era un leone biondo con occhi di mare, slanciato e robusto, che manteneva una grazia ipnotica nei movimenti. Un leone mediterraneo nei tratti affusolati, con denti bianchissimi che non sorridevano mai. Chissà se l’impronta di quei canini sarebbe rimasta sulla mia gola pallida.

  Il foro romano era addobbato con drappi di ogni colore e conteneva mercanti di ogni etnia. L’odore delle diverse culture si mescolava in modo gradevole e le mille urla regalavano allegria ai monumenti austeri che le circondavano.

  Mi feci strada tra quell’andirivieni di civiltà, strizzando la vista in cerca di Letizia. La borsa di cuoio in cui era avvolto il pacco pesava, ma non mi azzardai a separarmene insieme al pezzato. La trovai intenta a testare un pugnale su un manichino e, mentre progettavo di fuggire, lei mi vide.

 

 

 

Letizia

 

 

  Non c’erano possibilità. Non si sarebbe voltata, non se ne sarebbe andata: doveva affrontare il problema. Lanciò il pugnale e lo vide conficcarsi nella fronte del manichino, poi si diresse a passo spedito verso quella Bardi che non la lasciava in pace.

  Cecilia probabilmente capì che stava per investirla con la sua furia e mise le mani davanti a sé, come per pararsi psicologicamente a parare le stilettate verbali in arrivo.

  Letizia per la prima volta non seppe cosa dire. Doveva insultarla, schernirla o lasciar perdere tutto? Infondo, quello che stava succedendo era insensato. Lei e Gian avevano chiuso, punto. Non poteva mostrare la sua gelosia ai quattro venti! Soprattutto perché non c’era alcuna gelosia. Giancarlo non era nulla, nulla per lei. Mentre effettuava quel ragionamento contorto la rossa prese fiato per parlare.

  «Ascoltami» le disse, approfittando della sua indecisione. «Ti prego»

Letizia la prese per un braccio con violenza. Si allontanarono di qualche metro dalla ressa, in modo da non poter essere ascoltate. Cecilia era visibilmente a disagio, combattuta tra lo spavento e la determinazione.

  «Parla» le intimò la guerriera, ardente di una curiosità nuova.

  «Allora… Io ho capito…»

  «Muoviti!» ruggì impaziente la bionda, insofferente. Sapeva articolare una frase o quelle mille pause erano indispensabili?

  «Io so quello che è successo!» esclamò Cecilia a voce alta, presa in contropiede.

  «Sssh!»

  «Io so che siete stati insieme a lungo, lui mi ha raccontato del… del tradimento, ma io ti assicuro che non c’entro nulla! Finalmente ho capito il motivo del tuo rancore, però non hai alcun movente per essere gelosa, ne di me, ne di altre. Giancarlo mi ha riportato le sue suppliche, parla di te come se fossi il ritratto dell’amore. Detto questo, ti chiedo di chiarire questa storia o per lo meno di smetterla di infilarmi in mezzo a voi, perché non merito il tuo odio» prese il respiro per la prima volta, boccheggiando. L’aveva detto tutto d’un fiato, come se avesse fretta di arrivare all’ultima frase. Restarono a lungo in silenzio. Un po’ perché Letizia stava pensando, un po’ perché si stava divertendo a guardare la faccia atterrita della sua interlocutrice.

  «Perdonami» disse dopo troppo tempo. Il timbro era tranquillo ma gli occhi azzurri erano ancora torbidi. Rifletteva ancora su ciò che aveva appena sentito. Aveva giudicato frettolosamente ciò che non riusciva ad immaginare. Combatteva perché uno dei privilegi era poter guardare il nemico negli occhi. Era abituata ad un bersaglio materiale, mortale, ma come si poteva imparare a vedere i sentimenti?

  Cecilia era sempre più sbigottita. Sicuramente non si aspettava una reazione così calcolata e mansueta, avendo visto soltanto la parte irascibile dell’altra.

  «Certo» rispose stupidamente. «Quindi ne discuterete?» volle sapere, spingendosi troppo in là.

  «Il fatto che io riconosca un mio sbaglio non significa che ora mi butterò tra le sue braccia. Tra non è finita. Non ti conviene immischiarti, piccolo Cupido» anche se imbevuta nell’ironia più nera la sua era, al solito, una minaccia.

  «Quanto siete idioti! Entrambi!» si arrese sbuffando e virò verso il cavallo, lasciando Letizia sola, con i pugni chiusi e il cuore che tremava.

 

 

 

Volpe

 

 

  La sera portò il vento, il vento portò la pioggia, la pioggia portò i lampi ed i lampi portarono la paura.

  Niente poteva andare storto, si convinse nuovamente Gilberto.

  Stava rileggendo i documenti di Bartolomeo per l’ennesima volta.

La mattina successiva doveva informare i suoi uomini: avrebbero gioito.

Da troppo tempo stavano con le mani in mano e le gambe a penzoloni fra i cornicioni; finalmente i ladri avrebbero consumato la noia che li attanagliava da settimane. La Volpe aveva programmato la rapina del secolo: la taverna non fioccava fiorini, cosa poteva esserci di meglio di un carro coperto, destinato allo Spegnolo, pronto per essere svaligiato con appetito?

 

 

Vaneggi dell'autrice

 

 

  Buonasera a tutti! 

  Innanzitutto un grazie di cuore alla bravissima SliteMoon per il tenerissimo disegno di Cecilia! (Non è dolcerrima?!)

Dunque, pubblico il capitolo senza aver riletto l'ultima parte perchè so che non mi piacerebbe e finirei per cambiarla mille mila volte senza attenermi al programma prestabilito nella linea guida. Aspetto con ansia i vostri giudizi su Letizia, è abbastanza credibile la nostra donzalla? 

Ho cercato di rendere verosimile il suo conflitto interiore, non avendo mai provato un dissidio del genere ho scatenato la mia assurda fantasia da psicoanalisi (: 

Spero che non abbiate inteso Cecilia come un'impicciona, in realtà ha cercato di sanare la vicenda per il suo bene in primis! 

La citazione è profetica e si abbina benissimo ai pensieri della Volpe, chissà cosa succederà...

(Io lo so, io lo so ahah!) :D

Mi pare di aver detto tutto. È tardi, sono sfinita, però non ho resistito al pensiero di deliziarvi (spero) con questo nuovo aggiornamento! Adesso corro a letto;

un bacione a chi mi segue e mi preferisce, 

un grazie a chi mi accompagna, 

un sorriso a chi mi legge. 

A presto, 

Bea

  
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