A
Thousand Rains’ Symphony
Quando
un immortale
decide di scendere tra gli uomini, lo fa più per un
capriccio personale che per
un motivo valido. Asgard è la reggia degli dei, certo. Non
manca di attrattive,
né di una quantità più che sufficiente
di agi e meraviglie. Eppure, capita di
voler evadere, di scoprire cosa c’è oltre il mondo
perfetto e immutabile degli
dei.
Loki,
però, non fa parte di coloro i quali la pensano in questo
modo.
Il
dio degli inganni non agisce mai per caso: se ha scelto di
scendere su Midgard c’è una ragione, e fin troppo
valida, a sentire lui. Oltre
a scoprire qualcosa di più sui mondi che lo circondano
– chissà, potrebbe
sempre tornargli utile – vuole occuparsi di persona di
qualcuno che lo
preoccupa. Una donna, per la precisione, e non una donna qualsiasi, ma
Jane
Foster.
Proprio la Jane
Foster
di cui suo fratello si è innamorato, e che ha visto
trascorrere qualche tempo
con lui nel luogo chiamato New Mexico.
Loki
non ha bisogno dell’aiuto di Heimdall per scendere sulla
Terra, e nemmeno dei consigli di chi, prima di lui, si è
avventurato in quel
territorio sconosciuto (se ce ne sono stati, di avventurieri disposti a
tentare
la fortuna lì, a parte suo fratello e i suoi amici); vuole
contare solo su se
stesso, e così farà. Nessuno può
competere in magia e astuzia col dio degli
inganni, e nessuno potrà prendersi il merito di avergli
fatto da guida, pensa,
mentre il luogo dove è stato accolto da bambino diventa
sempre più lontano, e
quel puntolino bianco e blu verso il quale si sta dirigendo si avvicina
e gli
sembra sempre più chiaro.
****
Jane
lo trova in un
giorno di pioggia, nel caffè che ha iniziato a frequentare
da poco perché, a
detta di Darcy, il proprietario è nuovo della zona ma
prepara dei dolci che
sono la fine del mondo. Piove raramente nel New Mexico, e quando
succede la
ragazza viene assalita dalla malinconia, che le impedisce di restare a
casa a
leggere o a guardare la tv come fanno tanti altri. Lei deve uscire,
immergersi
totalmente nell’umidità e nel peso che lascia
addosso ai meteoropatici come lei
per non esserne più colpita: una vera e propria cura urto.
Così, incurante
delle gocce che la inzuppano con sempre maggior decisione e del
traffico che la
circonda, si tuffa in quel locale non tanto affollato, in cerca di un
modo per
riempire il suo “vuoto esistenziale da pioggia”.
E
lì gli occhi di Loki le si posano addosso.
Sulle
prime Jane non lo nota neppure. Pensa che si tratti di un
cliente come tanti altri, solo più appariscente, con quella
sua lunga giacca
nera e la sciarpa sui toni del verde che vivacizza
l’abbigliamento scuro. Una
persona strana come ce ne sono tante. Dopo un po’ neppure ci
fa più caso, e si
sottrae ai suoi sguardi ignorandolo.
Ma Loki l’ha inquadrata, e continua ad osservarla, come se si
trovasse davanti ad una creatura intrappolata nella teca di un museo,
un essere
che potrà essere scoperto e compreso soltanto osservandolo
molto da vicino. È
grato del fatto che suo fratello non sia lì con lei, avrebbe
reso solo il suo
lavoro da osservatore
più difficile,
con quelle sue stupide manie di protezione.
****
La
seconda volta in cui
Jane lo vede, sono entrambi nella piccola libreria della
città. La proprietaria
ha messo su un disco di Cole Porter, e l’aria è
pervasa da una piacevole
colonna sonora che si intona perfettamente col tempo. Piove ancora, ma
questa
volta la ragazza sa come affrontare la situazione, e ha provveduto
immediatamente a fare una buona scorta di libri.
L’uomo che ha già visto da La
Parisienne è
seduto su una delle poltroncine che mai aveva trovato occupate fino a
quel
momento – quelle foderate di verde, agli angoli delle
librerie di noce – e sta
sfogliando con interesse quello che ha tutta l’aria di essere
il libro
illustrato di mitologia per bambini, “I Nordici e i loro
miti”. Proprio quello
che Erik e Darcy avevano consultato con lei quando si erano ritrovati
Thor in
casa, spuntato all’improvviso da chissà dove. La
coincidenza la spinge a tenere
d’occhio l’uomo, mentre finge di cercare un libro
nella sezione più vicina al
giovane, “viaggi e turismo”.
Il
visitatore misterioso legge con calma, accarezza le pagine come
se fossero pervase da una magia che solo lui sa percepire, segreta come
quei
miti e altrettanto misteriosa. C’è qualcosa di
affascinante in lui che attira
Jane come una calamita, ma allo stesso tempo la respinge e la inquieta
un po’.
Per quanto cerchi il più possibile di non farsi vedere,
mentre rimette a posto
i volumi ne sposta altri e il rumore fa girare Loki: due occhi verdi
come
smeraldi, come la luce che traspare dalle foglie di un albero colpite
da un
raggio di sole la inquadrano e sembrano leggerle dentro, come se fosse
fatta di
vetro.
Jane cerca una frase qualsiasi, un modo per togliersi
dall’imbarazzo e provare a sembrare disinvolta, ma per quanto
si affanni, dopo
un minuto che dura millenni, esordisce con voce incerta:
“È
un appassionato di mitologia norrena?”
Lui sorride appena, quasi
si aspettasse la domanda.
“Si,
diciamo pure che amo espandere le mie conoscenze. In
qualunque campo… che siano viaggi, o storie che qualcuno ha
già raccontato”
termina criptico, chiudendo il libro e rimettendolo a posto.
“Come lei, del resto.
Vedo che è interessata ai viaggi in Estremo Oriente.
È forse una turista?”
“Quando
capita” risponde Jane, incerta e altrettanto criptica,
senza sapere cosa rispondere ad una persona tanto sicura di se, che
sembra
sapere sempre cosa dire. Ma a Loki non importa, ha ottenuto
ciò che desiderava
e ora può anche lasciarla andare senza problemi, confusa ma
allo stesso tempo
incantata, un conflitto di sentimenti che non riesce a spiegarsi.
****
Passano
i giorni, Jane
non lo incontra più in giro, eppure ogni tanto le capita di
pensare a Loki, e
rivede i suoi occhi intensi che la scrutano. Il lavoro finisce per
assorbirla
del tutto, ma ogni volta che entra in libreria non può fare
a meno di cercarlo
con lo sguardo nell’angolo dedicato alla lettura.
È un po’ di tempo che non piove più sul
New Mexico: l’estate si
sta avvicinando, accompagnata dalla calura, dalla voglia di evadere
verso il
mare, dalla siccità, dalle lamentele della gente. Jane
continua a lavorare, a
fare ricerche, a percorrere i passi che ha ormai percorso tante volte e
ad
unirli al desiderio di ritrovare Thor, come ha promesso a se stessa. Sa
che
sarà dura, ma vuole riuscirci.
****
E
poi, come seguendo un
rito prestabilito, arriva il temporale, insieme a Loki.
Il
cielo tuona e scarica pioggia e fulmini sulla Terra, quasi
fosse arrabbiato con i suoi abitanti; il giovane invece passeggia
tranquillo
come sempre, sicuro che le circostanze gli faranno incontrare la
persona che
cerca ancora una volta. Sembra anzi godersi quel tempo da lupi, quasi
che le
strade vuote lo facciano sentire libero, da seccature e da sguardi
indiscreti.
Passeggia finché non si trova davanti ad una porta a vetri,
e lì
si ferma, il solito sorriso sulle labbra, un piano fisso in mente e
solo un
segnale da attendere prima di attuarlo. Ma non ha fretta, sa che il suo
tempo
arriverà. Deve arrivare.
Piove
ancora, la terza volta in cui Jane Foster lo incontra, ma
questa volta si tratta di un temporale: è questo forse ad
abbattere le sue
difese e a farle aprire la porta dell’ufficio, stupita ma in
maniera positiva
dal suo improvviso visitatore.
È proprio lui, il tipo misterioso che ha già
visto due volte, ma
oggi sembra essere capitato lì per una ragione precisa, non
per caso o a
seguito di una passeggiata interrotta dalla pioggia. Come se aspettasse
il suo
arrivo, governata da una strana forza invisibile (qualcuno la chiama
destino,
forse si tratta di quello), lei gli sorride in maniera del tutto nuova,
e una
sicurezza che non ha mai provato inizia a guidarla.
“Ci
incontriamo di nuovo, allora. E ancora una volta piove.”
È
la voce suadente di lui a iniziare quel pensiero, una frase che
Jane ha appena formulato mentalmente, ma nel ticchettio della pioggia
non
sembra accorgersene. Pensa a Thor, a quando l’ha visto per la
prima volta,
steso nella terra secca del deserto, e in qualche modo avverte una
vicinanza
tra i due, non fisica, piuttosto spirituale, come se esistesse un
legame tra
quello straniero dagli occhi verdi e il dio biondo che soltanto lei
riesce ad
avvertire.
Forse è per quello che non può non fidarsi di
quell’individuo, per
quanto la sua razionalità continui a dirle che potrebbe
risultare pericoloso
accogliere uno sconosciuto in quel modo.
“Così
sembra. Vuole entrare ad asciugarsi? Dovrebbe smettere
presto di piovere…”
Jane
parla del tempo, e piano piano tutto il resto le riesce più
semplice; entrano in laboratorio e si siedono , guardando la pioggia
senza dire
nulla, accompagnati dal suono lievemente ritmico delle gocce.
“Tu
conosci Thor.”
Di
nuovo, gli occhi profondi di Loki si girano e la guardano.
Quel
nome la fa sobbalzare, come se fosse appena uscita da un
sogno. L’uomo la sta guardando e ora Jane non ha
più dubbi, quell’uomo sa chi è
Thor e conosce anche lei, in qualche modo conosce ogni cosa. Quel
sorriso
troppo fermo nel tempo che scorre non sembra terreno – la
consapevolezza la
colpisce come una stilettata – e la stanza per un attimo si
perde nello spazio,
si confonde nel temporale, svanisce con le parole.
“Come
fa a saperlo?”
Non
è una domanda intelligente, lo sa, eppure sente di aver
perso
la facoltà di esprimersi correttamente.
All’improvviso lo capisce: quello è un
dio. E una fitta al cuore le ricorda che Thor è lontano, e
nessuno è lì per
spiegarle cosa stia succedendo.
“Io
conosco ogni cosa, mia cara. So chi sei, cosa ha fatto Thor
mentre era qui, so a cosa stai pensando in questo momento…
so che sei stupita.
E che in qualche modo ti fidi di me, e hai capito che io e Thor
condividiamo un
legame. Altrimenti non mi avresti accolto qui in casa tua.”
Per
l’ennesima volta da quando quella conversazione è
iniziata, a
Jane mancano le parole adatte per rispondergli. Riesce solo a guardarsi
intorno, a chiedersi per quale motivo Loki si sia scomodato a
raggiungerla – da dovunque sia
sceso – e a rigirarsi le
dita ormai sudate in grembo, stretta dall’attesa e dai dubbi,
dalle domande che
la assillano. Ma è la pioggia stessa ad imporle il silenzio,
e lei la segue.
Le gocce continuano a cadere, indifferenti.
Anche
Loki pensa, e guardando la donna che ha di fronte non riesce
a credere che si tratti proprio di lei, della Jane Foster che ha visto
dall’alto di Asgard fare tanto per cambiare il carattere
borioso e superbo del
fratello. Come può aver fatto breccia nel suo cuore di
guerriero una ragazza
così tranquilla e accomodante, un’anima gentile
che invece di diffidare di due
dei, come sarebbe stato naturale, ha aperto loro la porta e li ha
accolti in
casa? Proprio Thor, che aveva intorno donne fiere e forti, donne del
calibro di
Sif, come può essersene innamorato?
La
ragazza che si è alzata per sistemare le tende e cercare
qualcosa nella credenza (dopo essersi scusata della sua assenza
momentanea e
avergli chiesto se gradisse una tazza di tè, o un bicchier
d’acqua) è così piccola,
così indifesa e tragicamente umana
che a Loki fa ridere il solo
pensiero di averla potuta considerare una minaccia. Ha commesso un
errore di
calcolo, immaginandola forte e autoritaria, una persona in grado di
mettere in
riga suo fratello, un errore che quasi lo fa esplodere in una risata
amara,
sarcastica. Perché sta sperimentando cosa significhi
cambiare per amore, e
capisce che con Thor ha sbagliato tutto anche lui, fin
dall’inizio. Solo che
era troppo fermo nei suoi errori di calcolo per capirlo.
Le riflessioni si interrompono bruscamente all’arrivo di
Jane, e
del bicchiere di acqua fresca con le bollicine che lei gli porge,
cortese come
sempre.
“Sono
il fratello di Thor, o meglio, il suo fratellastro. La cosa
ti stupisce?
Le
gocce tracciano righe sfumate sui vetri, si perdono, creano un
disegno intricato sul pavimento di pietra, sulla terra del deserto. Plic, plic, plic.
“Non
quanto penserebbe. Qualcosa di lei mi ricorda Thor, anche se
all’apparenza siete molto diversi… non saprei dire
cosa, ma ho sentito di
potermi fidare. Mi dia pure della pazza, o della incosciente, ma
è così. E se
Thor e i suoi amici sono stati i benvenuti qui, perché lei
non dovrebbe
esserlo?” Jane prende un sorso dal suo bicchiere e lo
riappoggia sul tavolino,
in un gesto naturale che rende quella conversazione ancora
più assurda e
surreale, da romanzo.
“Perché
sono una persona pericolosa, Jane. Il dio degli inganni, colui
che crea il caos e fa precipitare il mondo degli dei nelle tenebre, il
male, l’oscurità.
Non esattamente una brava persona. Sei ancora sicura di poterti fidare
di me?”
Di
nuovo, la pioggia sembra sospendere l’atmosfera, spingendo la
stanza in un luogo indefinito. Un tempo strano, in cui tutto
può succedere, in
cui un dio e un’umana si conoscono e si innamorano, e
ciascuno impara
dall’altro quello che prima non sapeva di un mondo lontano. E
poi arriva un
altro dio a giocare le sue carte, a scompagnare i pezzi di quel puzzle
che
sembrava ormai completo, pronto ad essere riposto. Le conseguenze quali
saranno?
Il
sorriso di Jane è limpido, come neppure la pioggia potrebbe
mai
arrivare ad essere.
“Un
dio desideroso di uccidermi lo avrebbe fatto la prima volta
che ha incrociato il mio sguardo, nel primo pomeriggio di pioggia in
cui mi
aveva vista. Se siamo entrambi ancora qui, significa che mi ha concesso
un’altra possibilità.”
Plic,
plic, plic.
****
Loki
poggia il
bicchiere che ha appena vuotato sul tavolino davanti a sé, e
realizza che
uccidere quella ragazza sarebbe una fatica inutile. In qualche modo
– cerca di
far tacere una vocina interiore, ma quella strepita dentro la sua mente
per
farsi ascoltare, e alla fine ci riesce – ha sempre saputo che
non avrebbe potuto farlo. O forse
voluto? No, non è
possibile, il dio degli inganni non si fermerebbe davanti a nulla
quando sono
in gioco i suoi interessi, men che mai di fronte ad un’umana
qualsiasi,
un’abitante di Midgard. La donna che Thor ha amato, che
ancora ama. La Jane Foster
che lo osserva senza paura, lì
nell’angolo della stanza.
Capisce che potrebbe farle del male con un solo dito, se solo
volesse. Ma non vuole, e questo desiderio lo turba.
Fuori
ha smesso di piovere. La gente ricomincia ad uscire di casa,
la terra respira sotto un lieve strato d’acqua, e il cielo
è di nuovo azzurro,
contornato da nuvole di caldo appena accennate. La cittadina inizia di
nuovo a muoversi,
e la stanza finalmente si ferma.
“È
ora che io vada.”
Non
aggiunge altro: uno sguardo eloquente, pieno di parole non
dette e difficili da interpretare, è l’unico segno
di riconoscenza (se così la
si può chiamare) che Loki lascia dietro di sé. La
ragazza lo guarda camminare
fuori dalla stanza e perdersi nella nebbiolina leggera che sprigiona
dal suolo;
si chiede se sia veramente accaduto quello che le è appena
successo e, mentre la
porta si chiude piano, e Loki scompare all’improvviso,
silenzioso come è
arrivato, l’idea che sia stato solo uno strano sogno creato
dalla sua
immaginazione continua ad accompagnarla. Eppure, i bicchieri sono
ancora lì, e
il libro di mitologia che ha consultato le riporta lo stesso nome,
corredato
dalle parole che ha già letto: Loki, il dio degli inganni,
il dio del caos.
Ma il caos prima o poi cessa, e dalle sue rovine nasce
l’ordine.
Non va forse sempre così?
Fuori
ha smesso di
piovere, e per un bel po’ di tempo non
ricomincerà. Loki torna ad Asgard: la
tempesta ha visto una parte nuova di sé alzare la testa e
poi sparire, portata
via dal temporale, ma nessuno ne verrà mai a conoscenza.
Sorride
tra sé e guarda Midgard allontanarsi.
****
Angolo
(dei pensieri
sparsi) dell’autrice
Penso
che, arrivata a questo punto, qualcuno verrà a levarmi la
penna dalle mani per quanto ho appena scritto. Perché, per
quanto legga e
rilegga questo capitolo, mi sembra sempre tremendamente nonsense,
dall’idea di
fondo alla realizzazione. Per non parlare del
“pairing”, che è abbastanza
insolito e a cui non avrei mai pensato… e che in effetti non
è neppure un
pairing vero e proprio, ma vabbé. Avevo voglia di
sperimentare, ed eccovi l’esperimento!
Diciamo che sono partita dall’idea di fondo di un Loki che
scende
su Midgard e vuole conoscere la ragazza che ha cambiato tanto suo
fratello,
almeno da quanto ci hanno detto gli sceneggiatori del film, e trova una
persona
completamente diversa dalle sue aspettative, tanto che dalla sorpresa
decide di
non farle nulla. Magari non è nello stile di Loki, ma era
funzionale all’idea
che costruisce la fic, per cui… se siete riusciti a leggerla
senza abbandonarla
dopo due righe, non posso non ringraziarvi <3
Il
locale, il libro e la musica di Cole Porter sono tutti piccoli
“abbellimenti
narrativi”, non c’entrano nulla ma mi è
piaciuto inserirli!
Molto probabilmente i dialoghi appariranno un po’ OOC, ma
spero
non in maniera fastidiosa… diciamo che è proprio
un esperimento fine a se
stesso, anche perché non segue arc narrativi in particolare,
non essendo
post-Thor né pre-Avengers. Spero che risulti comunque
piacevole, e non
totalmente assurdo!
Stavolta
mi appello a voi: i pomodori in testa e le critiche sono
più che benvenute, anche perché il vostro
supporto è sempre utilissimo.
Grazie
alla betatrice migliore del mondo (TsunadeShirahime)
per la pazienza nella lettura/correzione e il
supporto che mi fornisce sempre, e a __Sayuri__
per le recensioni! Grazie anche a chi ha inserito la storia nei
preferiti (Scillan, Timcampy_,
Valery_Snape)
e a chi la segue (ice_shadow, Il_Filo_Di_A90, LadyInDark,
LadyKokatorimon,
Merihon e __Sayuri__).
Alla prossima!
Nat