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Autore: compulsive_thinker    06/05/2013    2 recensioni
Umyen era un Elfo piuttosto giovane e nei suoi appena centocinquant’anni di vita non aveva mai visto nulla di così perfetto come quella creatura. Edorel. Si alzò in piedi con un movimento aggraziato, attento a non far dondolare troppo la bambina, e si rivolse di nuovo alla regina:
“La proteggerò a costo della mia vita, ma chiedo di sapere la verità. Chi è?”

Edorel ha trascorso buona parte dei suoi quasi cinquemila anni di vita viaggiando continuamente, protetta dal fedele Umyen, ignorando il segreto delle sue origini. La sua decisione d'intraprendere il viaggio della Compagnia segnerà il suo destino e quello dell'intera Terra di Mezzo.
“Mi dispiace per quello che ha detto Umyen, non credo lo pensasse davvero.”
“Non m’interessa. Mi basta che tu sappia quanto ti sono riconoscente per avermi salvato la vita.”
“Non è stato solo merito mio.”
“Sì, invece. Ma non riuscirò mai a spiegartelo.”
Fece per tornare dagli altri, ma Edorel gli prese la mano e disse:
“Credo di capire. Avrei dato qualsiasi cosa per salvarti.”
“Avrei sopportato qualsiasi cosa per vederti di nuovo.”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NdA:
Buonasera, carissimi/e!! :)
Come già detto per lo scorso capitolo, anche questo è un po' breve! Ho scritto questa "scena" in un momento d'ispirazione, dettata dal mio affetto profondo e smodato per i magnifici Hobbit!! *-* questo capitolo è dedicato a loro, e a tutti quelli che si sentono Hobbit inside (xD) anche se, chiaramente, ci saranno tutti i nostri cari personaggi, soprattutto la confusa-Edorel e il tormentato-Aragorn-Ramingo-Granpasso-Re (lo vedremo chiamato davvero in ogni modo! xD)
Fine del delirio, che è meglio! *insopportabile tono da Puffo Quattrocchi*
:*
C.



Capitolo 10
 
La neve cadeva in fiocchi spessi e copiosi, rendendo difficile vedere i compagni che pure erano vicinissimi. Gandalf e Gimli avevano discusso su quale fosse la strada migliore da prendere, dopo aver capito che la Breccia di Rohan era ormai in mano a Saruman, e alla fine Frodo era stato chiamato a scegliere. Aveva accettato di seguire lo stregone e tentare con la Compagnia la scalata del Caradhras.
In quel momento, però, iniziava a domandarsi se avesse fatto la scelta giusta. Insieme agli altri Hobbit, avanzava a fatica, cercando di farsi strada in quel soffice manto senza scivolare su lastre di ghiaccio nascoste. Edorel camminava immediatamente dietro di loro, aiutandoli per quanto riuscisse. Percorsero una minima distanza in molte ore, quando la voce di Boromir risuonò chiara nella tempesta:
“Dobbiamo fermarci, o moriremo tutti qui!”
Gandalf acconsentì, a malincuore. Sapeva che se avessero proseguito avrebbero potuto non farcela, ma l’alternativa al Caradhras gli pareva di gran lunga peggiore.
Un vento forte aveva iniziato a soffiare proprio contro di loro, incessante, concentrando contro la Compagnia tutta la neve che cadeva del cielo.
“Questa tempesta è malvagia, Mithrandir. Non è opera del cielo.”
La voce di Legolas si levò sul rombo del vento, velata di paura.
“È Saruman!”
Rispose lo stregone, avanzando verso il bordo del precipizio davanti a loro e brandendo il bastone.
Gli Hobbit si stringevano gli uni agli altri, annaspando contro la neve che minacciava di ricoprirli. Edorel si mise davanti a loro, di spalle, sperando di riuscire a ripararli. Strofinò le mani tra loro e da quel gesto caddero a terra tante piccole fiammelle azzurre, volteggiando come fiocchi di neve e sciogliendo appena il morbido manto che continuava a depositarsi attorno a loro.
“Puoi scioglierla?”
Le domandò Boromir, mettendosi accanto a lei per riparare i Mezzuomini.
“No, è troppa e continua a cadere. Dobbiamo tornare indietro, prima di rimanere del tutto bloccati!”
“Gandalf, rimanere qui è una follia!”
Gridò allora l’uomo, cominciando a scavare con il proprio scudo un varco per gli Hobbit. Lo stregone guardò i suoi compagni e capì che non avrebbero potuto sopravvivere alla montagna. Fece un cenno d’assenso e la Compagnia tornò faticosamente sui propri passi.
Riuscirono a ridiscendere dal fianco della montagna solo quando cominciava a calare la sera. Avevano perso un giorno di cammino ed erano esausti.
Sedevano riuniti attorno al fuoco, silenziosi e tesi, quando un fruscio tra gli alberi circostanti li fece voltare. Gli Uomini impugnarono le spade, Gandalf il suo bastone e Gimli la sua ascia. Gli Hobbit scattarono in piedi, atterriti. Per loro fortuna, solo una volpe sbucò dall’oscurità, trascinandosi verso la luce con deboli lamenti. Sui suoi fianchi, due profonde ferite simmetriche, a forma di mezzaluna. Legolas incoccò una freccia, così velocemente da non essere visto dagli altri, e sussurrò:
“Mannari!”
Il povero animale, intanto, si era avvicinato a Sam che aveva teso una mano per accarezzarle la testa. Per qualche minuto ci fu un silenzio totale, pareva che persino l’aria si fosse fermata.
“Questa bestiola deve aver corso per un bel po’ prima di arrivare qui, non credo che i Mannari siano nelle vicinanze!”
Concluse Gimli sbrigativo, poco avvezzo come tutti i Nani a quei lunghi silenzi inattivi.
“Ciò non vuol dire che non arriveranno. Spegniamo il fuoco e montiamo la guardia, da subito!”
Gli Hobbit parvero non sentire nemmeno le parole di Boromir, rimasero accanto all’animale morente anche quando i loro compagni cominciarono a preparare i giacigli.
“Non possiamo darle dell’athelas? A nessuno di noi serve più, ormai.”
Domandò Pipino, ma Aragorn rispose:
“Dobbiamo conservarla, non possiamo sprecarla per un animale che ha già il destino segnato. Non c’è nulla da fare.”
Soltanto Sam ebbe il coraggio di borbottare qualcosa, guardandolo in cagnesco, di cui si colse solo “senza cuore”. Aragorn voltò le spalle agli Hobbit e continuò a stendere a terra le loro coperte, ammonticchiandole con rabbia.
“Dunque, tu prendi decisioni tempestive e le imponi a chiunque, senza nemmeno tentare di mascherare la tua autorità. Mi verrebbe da constatare che ti comporti come un tiranno e non come un Re, ma eviterò di parlare di questo.”
“Se non hai niente da dirmi, perché sei qui allora?”
Rispose l’uomo a Edorel, volutamente senza alzare lo sguardo da terra.
“Ho molto da dirti, invece. Perché parli loro in questo modo? Non pensi di ferirli così?”
“Mi preoccupo per la loro vita, non per i loro sentimenti!”
“Loro non sono come te! Non riescono a fingere di essere di pietra.”
“Dovranno imparare, o non sopravvivranno a questa missione.”
“Come hai imparato tu?”
D’impulso, Edorel gli prese una mano, obbligandolo a fermarsi, per guardarlo negli occhi e riuscire a leggervi la risposta che desiderava.
“Cosa vuoi sapere da me, Edorel?”
“Se davvero hai deciso di essere fino in fondo un Ramingo, privo di radici e sentimenti, o se è solo una parte che reciti per chi non conosce la tua identità.”
“Ha importanza?”
“Ne ha per me! In questa Compagnia dobbiamo fidarci l’uno dell’altro, non abbiamo scelta. Io mi sono fidata di te, ti ho dato risposte sincere e ho mantenuto il tuo segreto. Pensavo di meritare almeno una risposta.”
“Voglio solo portare a termine questa missione. Non sono un Re, né desidero esserlo.”
“Ma dovrai fare i conti con il tuo passato, prima o poi!”
“Stai ancora parlando di me o ti riferisci a te stessa?”
“Non sai quello che darei per avere un vero passato. Certo non scapperei come stai facendo tu!”
“Secondo te io starei scappando?”
“Non è forse così? Potresti guidare un esercito di Uomini contro la potenza di Sauron, potresti guidare questa Compagnia e invece accetti di rimanere nascosto dietro a un’identità che ti esula da qualsiasi responsabilità. Tu stai scappando, Aragorn!”
L’uomo non rispose e, nel silenzio che seguì alle sue parole, Edorel si voltò. Tutti si finsero nuovamente indaffarati, ma era chiaro che li avevano osservati per tutto il tempo, domandandosi di cosa mai stessero discutendo così segretamente. Per di più, la ragazza si accorse di tenere ancora la mano di lui tra le sue. La lasciò di scatto e si allontanò, sedendosi accanto al fuoco ed estraniandosi dal mondo fissando le fiamme. L’uomo continuò a sistemare le coperte, anche se erano ormai allineate fin troppo perfettamente, non riuscendo a togliersi dalla testa il suono della voce di Edorel che pronunciava il suo nome.
 
I quattro Hobbit si alternarono a vegliare l’animale ferito, alla debole luce delle braci che si spegnevano. Le stelle passavano nel cielo nero sopra di loro, sporgendosi appena per far luce su quella bizzarra quanto solenne scena. Nessuno riuscì a convincerli a dormire, né i rimproveri di Gandalf né le suppliche di Edorel, preoccupata che risentissero della stanchezza accumulata durante la scalata del Caradhras. Si sedettero in cerchio, senza dire una sola parola, silenziosi e composti tanto che li sarebbe potuti scambiare per piccoli Elfi.
La volpe si spense poco prima dell’alba, tra le braccia di Sam. Lo Hobbit la adagiò delicatamente su un fianco, si asciugò una lacrima, quindi prese a scavare come un forsennato una piccola buca nel terreno, prima che si svegliassero gli altri. Sapeva che Grampasso avrebbe tentato di dissuaderlo, forse persino Gandalf avrebbe detto che lasciare un segno evidente del loro passaggio avrebbe potuto portare i nemici sulle loro tracce. Ma Sam, che mai si era posto domande sulle ragioni della morte né su cosa ci fosse al di là, nondimeno la rispettava e riteneva necessario occuparsi di qualsiasi creatura, soprattutto se innocente e caduta a causa di quello stesso male che essi stessi stavano combattendo.
La partenza, alle prime luci dell’alba, non fu piacevole. Tutti si sentivano ancora stanchi e avviliti, Merry e Pipino faticavano a trattenere le lacrime di tristezza e stanchezza. La Compagnia si avviò così verso le Miniere di Moria, ultima possibilità per valicare le Montagne Nebbiose, dove Gimli sperava di poter godere dell’ospitalità di suo cugino Balin.
Alle loro spalle, soltanto il Caradhras innevato e un tumulo di pietre che copriva la piccola sepoltura.

  
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