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Autore: JonSnow11    06/05/2013    1 recensioni
Nuova storia prodotta dalla mia perversa (xD) mente! L'avevo scritta per un concorso ma in quanto mi piace la uppo pure qui :3 Buona lettura e recensite! ;)
Genere: Fantasy, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Medioevo
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UN INCENDIO DI RICORDI

ORA              Casa a Nopat        42 a.C.

Bruciava. Tutto bruciava. Il fuoco iniziò ad incenerire tutti gli oggetti che segnavano ogni singolo ricordo di Toshe. Toshe, con i suoi capelli biondo ramato che ad ogni tocco dei raggi solari splendevano come frecce di luce e con i suoi occhi verdi come le cime degli alberi e che ormai avevano tastato tanto il sapore delle lacrime. La sua casa stava andando a fuoco, la casa che aveva tanto amato e dalla quale fu tanto distante per anni. Ormai, tutte quelle emozioni che provò in quel periodo iniziavano a ridursi in un’unica cosa: il nulla. La sua pelle iniziava ad ardere e lui, sempre più confuso, non muoveva un singolo dito, mentre il fuoco lo divorava lentamente.

TRE ANNI PRIMA                  Tribù dei Tartào       45 a.C.

«Avanti su, cammina!», disse Rontar, il capo della tribù Tartào. «Il sole smetterà di bruciare tra qualche ora e quando accadrà, voglio essere accampato a sorseggiare del buon vino», urlò severamente, con una voce così roca al punto di far credere alla sua gente che avesse mangiato le falangi del padre che tentò di torturarlo e che una gli rimase conficcata nella trachea. Non per nulla veniva chiamato “Il Divoratore di Ossa”!
Toshe, ancora quattordicenne, fu rapito da Rontar mentre era col padre al mercato di Nopat, il villaggio sorto ai piedi del fiume Kortan. Il padre, Teron di Nopat, era un nobiluomo mentre era ancora in vita, ma morì per mano di Lotak, servo di Rontar, quel giorno al villaggio; la madre, Narua, invece, morì di parto.
«Avanti su, non perdere tempo!», urlò un’ennesima volta il Divoratore di Ossa.
«A questo punto mi farete incenerire i piedi!», esclamò Toshe esausto, trainato da Lotak, con le mani legate ad un filo che fungeva quasi da guinzaglio.
«Se c’è una cosa di cui non mi importa nulla da ben 4 anni è della tua salute. Ora: o ti muovi oppure ti lasciamo qui, in modo da farti sbranare da qualche entità celata nella notte».
«Rontar! Sua moglie!», urlò una donna in lontananza, con aggrappata una signora che sicuramente non era in possesso di una bella cera. «Sta per partorire! Dobbiamo accamparci qui!»
«Qui? Starai scherzando! Il sentiero è troppo intricato e non conosciamo i pericoli imminenti! Non possiamo, non possiamo», sopraggiunse Rontar, appoggiandosi la mano alla fronte, pensieroso. «Diavolo, non può aspettare?», chiese.
Toshe non lo aveva mai visto in quelle condizioni, un misto di paura e felicità assaliva la sua espressione facciale.
«E sia, ci fermiamo qui».

ORA                Casa a Nopat       42 a.C.

Suo padre. Ancora quel pensiero lo assaliva. Nonostante l’incendio in casa, lui, morente, non poteva non ripensare alla scena del suo rapimento e dell’omicidio di suo padre, che rimaneva ancora bruciante nella sua mente.

SETTE ANNI PRIMA           Mercato di Nopat       49 a.C.

«Papà, ma cosa siamo venuti a fare qui?»
«Dobbiamo acquistare due nuove spade arrotondate», disse Teron. «Ti avevo promesso che ti avrei insegnato l’arte della Scherma, Toshe.»
Il mercato traboccava di gemme, armi, vesti in seta che venivano mosse dal fresco e leggero venticello che soffiava da Nord, cibi il cui maestoso odore veniva soffiato verso il suo naso e animali di tutte le specie, separati da un recinto. Finalmente, con tutto l’entusiasmo di Toshe, arrivarono alla fucina del Fabbro.
«Salute, Ser Qhotir», salutò Teron. «Sono venuto qui per ritirare quello che le avevo chiesto l’altro giorno»
«Ma certo, Ser Teron, dico subito al mio assistente di portargliele», disse Qhotir il fabbro avvicinando entrambe le mani alla bocca. «Ehi, Rontar, portami le spade per Teron!»
«Ma certo, le porto subito», rispose in lontananza Rontar, prendendo le spade nella cesta accanto la fucina e subito avviatosi verso di loro, seguito da uno strano uomo, con una spada adagiata alla sua cintura. «Ecco qui, come nuove!», disse Rontar porgendogli le spade.
«Un attimo, io ti conosco!», esclamò il padre, travolto da una sensazione di paura.
«Come può non farlo?», gli sussurrò l’uomo, osservando Rontar.
«Rontar…Il Tartào! Cosa diavolo ci fai qui?»
«Lotak, sai cosa devi fare», disse tranquillamente Rontar, fissando Toshe.
Lotak, in meno di un attimo, sfoderò l’enorme spada e trafisse Teron alla schiena, lasciandolo inerme a terra, immerso in una pozza di sangue. Del suo sangue.

ORA             Casa a Nopat       42 a.C.

Quel sangue, che ogni giorno annebbiava i sogni di Toshe, accompagnato dalla vista del padre morente, mentre Rontar lo trascinava via, tenendogli la bocca chiusa con una mano. Quel sangue, il sangue che scorreva nelle sue vene, che aveva visto versare per terra, come se fosse acqua. Ma non era acqua quella versata, era la vita del padre. E ora, anche lui stava per perdere la vita, diventando acqua versata su sabbia.

TRE ANNI PRIMA           Tribù dei Tartào       45 a.C.

Fu una notte molto lunga, il cielo sembrava non voler lasciar andare la luna. Roashai, la moglie di Rontar, aveva partorito.
“Dovrei fare visita a quei bastardi, in fondo non mi hanno ancora ucciso. Sono loro debitore…o quasi.”, pensò Toshe, indirizzandosi verso la tenda di Rontar e Roashai. Non fece nemmeno in tempo di avvicinarsi che Rontar sbucò fuori.
«Che diavolo ci fai tu qui?», ululò Rontar, osservandolo come un lupo inferocito.
«Venivo a portare i miei auguri per il nascituro», rispose Toshe.
«Ah…Grazie»
Toshe sapeva di non essere li solo per quello. Sapeva di dover tirare fuori una domanda celata nelle viscere della sua mente che prima o poi avrebbe dovuto far uscire dalla sua bocca. «Perché hai fatto uccidere mio padre?»
«Mi aveva rubato una cosa tempo fa, una cosa per cui ancora oggi, senza, mi sento morire.», rispose Rontar con gli occhi rivolti verso il basso.
«Potrei sapere cosa? Sono pur sempre affari di mio padre.»
«Sarai suo figlio, ma sappi che è una cosa che non verrà mai fuori dalla mia bocca».

VENTICINQUE ANNI PRIMA           Parco di Nopat       67 a.C.

«Avanti su, qualcuno potrebbe vederci!», sussurrò una ragazza bionda e bellissima all’orecchio del suo uomo.
«Che vedano, non mi fanno mica paura quelli lì! E sai, non ho nemmeno paura di quel Teron, eh! Andando a lui, ancora non ho capito perché tuo padre vuole assolutamente farti sposare con lui! Ancora non gli hai nemmeno parlato di me!»
«Lo so e mi dispiace, ma non posso. Purtroppo ti ho parlato di mio padre, sai che tipo d’uomo è. Basta solo un errore e potrei ritrovarmi monca per tutta la vita. E poi vuole farmi sposare con Teron in modo da unire le due famiglie, bla bla bla.», disse la ragazza. Quella ragazza era Narua.
«Sappi che io impedirò ogni singola unione con quello lì», aggiunse l’uomo baciandola, sotto il chiarore della luna.
«Narua! Dove diamine sei!», urlò Teron in lontananza, facendo sussultare i due innamorati e costringendoli a nascondersi dietro un cespuglio. «So che sei qui! E so pure con chi!»
«Diavolo, ci ha scoperti», sussurrò l’uomo.
«E non sono solo! C’è pure tuo padre con me!»
«Uscite fuori e porrò una pietra sopra questa storia!», urlò il padre.
I ragazzi, spaventati, uscirono fuori dal loro nascondiglio, ma a quanto pare il padre di Narua, Nortur, non rispettò il patto.
«Tu, schifoso bastardo!», urlò Nortur scaraventandosi con la spada sguainata verso il ragazzo. «Me la pagherai per questo!».
Il ragazzo, confuso, bloccò Nortur gettandolo a terra e sconvolto dal terrore, raccolse la spada da terra e vi trafisse l’uomo nella gola, facendolo morire lentamente.
«No! Cosa diavolo hai fatto! Non dovevamo arrivare a questo!», urlò Narua.
«Narua, amore mio, ora però possiamo stare insieme! Su, andiamo!», tentò di difendersi il ragazzo.
«Insieme? Scusami, ma io non ti perdonerò mai. Mi dispiace, Rontar.»

ORA          Casa a Nopat       42 a.C.

Le fiamme continuarono a distruggere ogni singolo oggetto potesse risultare ancora familiare per Toshe, ma ancora i suoi ricordi restavano intatti.

TRE ANNI PRIMA           Tribù dei Tartào       45 a.C.

«Avanti su, ti libero!», disse Rontar a Toshe, prendendogli le catene e spezzandole con un fendente di spada. «Non osare chiedermi il perché e fuggi, ora che puoi! Potrei pentirmene!»
«Ma..», aggiunse Toshe, più confuso che mai. “Come mai mi sta liberando? Cosa sta accadendo?”.
«Ma nulla! Via!», gli urlò contro Rontar.
Toshe, ormai libero, fuggì. Fuggì il più possibile, ritrovandosi, dopo molti giorni di viaggio, a casa.
“Bravo ragazzo. Finalmente ho chiarito ogni mio singolo dubbio”, pensò Rontar.

VENTIDUE ANNI PRIMA            Casa a Nopat       64 a.C.

«No ti prego, piano! Piano!», urlava Narua. «Per favore Teron, mi fai male!».
Erano nel pieno dell’intimità, o almeno quasi. Teron indossava una maschera. Secondo Narua rendeva le cose più eccitanti.
Si udì bussare con violenza contro la porta. «Narua! Esci di lì! Non sono io! Non sono io!», urlò una voce dall’esterno. Era una voce familiare. “Ma è Teron!”, pensò Narua. «Tu! Chi diavolo sei?», chiese urlando e subito rimuovendo la maschera a l’uomo. «Rontar!»
«No, non spaventarti! Tu sai che ti amo! Pensavo a te ogni sera, ogni singola sera! Mi mancavi troppo, son passati 3 anni, ma che son parsi millenni. Perdonami tesoro!», supplicò Rontar.
«Perdonarti? Mai!», urlò la ragazza schiaffeggiandolo così forte al punto di scaraventarlo per terra. «Vai via, non voglio vederti più! Mai più!»
Rontar, rassegnato, fuggì via dalla finestra, sparendo verso l’orizzonte.

UN ANNO PRIMA       Tribù dei Tartào       43 a.C.

«Sono stufo, il ragazzo morirà!», urlò Lotak, ribellandosi al suo capo.
«Tu non lo toccherai! Toshe non dev’essere toccato! Osa solo fargli uscire una goccia di sangue e ti giuro che tu di sangue ne perderai a litri!», rispose Rontak, su tutte le furie.
«Bene, allora inizia pure!», urlò Lotak, uscendo dalla tenda e salendo sul cavallo, dirigendosi verso Nopat, inseguito da Rontar.
«Tu! Morirai!», urlò a cavallo Rontar, lanciando con una mira formidabile il coltello a Lotak, colpendolo nel cranio. «Nessuno deve permettersi di toccare mio figlio!»

DUE GIORNI FA              Casa a Nopat       42 a.C.

Toshe, assalito dalla curiosità, vagò per casa, alla ricerca di qualche oggetto risalente all’infanzia dei suoi genitori. Frugò tra i vecchi cassetti del padre, non trovando nulla, ma non poteva dirsi la stessa cosa con quello della madre. Frugando tra gli abiti, trovò una lettera malconcia, lasciata per Rontar. “Rontar? Cosa diavolo c’entra lui?”, pensò Toshe, perplesso.
“Caro Rontar, ti scrivo questa lettera per chiarire dei dubbi risalenti alla nostra relazione tumultuosa. Ma taglierò corto con le parole: quella sera, quando ti mascherasti, facendoti passare per Teron, nacque qualcosa. Quel qualcosa è mio figlio o meglio, nostro figlio, che ormai è sul punto di venire al mondo. Mi dispiace, Rontar. Ma ormai la mia vita appartiene a Teron, quindi in qualsiasi caso, non andrò mai via da lui e tu, dovrai dimenticarmi.”
“Io? Figlio di Rontar? Ma che razza di scherzo è mai questo?”, pensò Toshe esplodendo in lacrime. “È mai possibile? No, non ci credo. E non lo farò mai. Io non posso essere suo figlio”.

QUALCHE ORA PRIMA        Casa a Nopat       42 a.C.

Bussarono parecchie volte alla porta e Toshe, con ritardo, la aprì.
«Tu! Cosa vuoi da me? Perché sei qui?», urlò Toshe. Era Rontar.
«Devo parlarti.»
«Parlarmi? Di cosa? Non ho nulla da dirti! Vai via!»
«Conosco la verità che mi ha celato tua madre. Ora finalmente ho le idee più chiare. Figliolo!»
«Figliolo? Io non sarò mai tuo figlio! Mio padre era Teron, mia madre Narua! Il sangue non fa la parentela! Tu non sarai mai mio padre!», esclamò Toshe.
«Lo so, sono qui per questo. Consideralo un atto a tuo favore.», disse lievemente Rontar, facendo fuoriuscire dal suo fodero la spada e infine trafiggendo il ragazzo. Dopo averlo trafitto, lo sollevò e lo posò al centro della casa, appiccando subito un incendio. Uscì di casa, ancora con la spada in mano.
“Io non sarò mai tuo padre e questo lo so già. Infatti, ringraziami. Tornerai dai tuoi veri genitori. Sarai felice con loro. Li rivedrai e finalmente, tuo padre potrà insegnarti l’arte della Scherma come ti aveva promesso in passato. Tu salirai, io scenderò.”, pensò Rontar, subito infilzandosi la spada in pieno petto, rimanendo agonizzante per terra.

ORA          Casa a Nopat       42 a.C.

“Sto morendo. Madre, padre, tornerò da voi!”, pensò Toshe.
Morì, non soffrendo, ma pensando. Morì con un pensiero felice. La sua pelle si ridusse in cenere, unendosi alla terra come quando l’acqua bagna la sabbia. Morì.
Morì in un incendio di ricordi.

   
 
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