Titolo:
Sette anni
che ti ho
perso.
Pairing:
Harry/Zayn
(Zayn/OMC;
Louis/Eleanor; Liam/OFC; Niall/OFC;)
Rating: R
Note: Dedicata a Gre, perché lei
l’ha richiesta e sempre lei
mi ha assillato giorno e notte per un mese, nella speranza di leggerla.
Se non
ti piace, ti odio. No, scherzo. Spero ti soddisfi anche solo un
po’, anche se,
più la rileggo, meno senso ha. Sorry.
Disclaimer: Gli One Direction non mi appartengono bla bla bla.
Niente
di quello che è raccontato nella storia è davvero
accaduto. Credo.
Importante!: la storia (che
è una future!fic, anche se non
so se si dice così) corre su due binari cronologici,
diciamo. Uno è il
presente, e siamo più o meno nel 2022; l’altro, il
passato, risale al 2015. Le vicende
dell’uno e dell’altro si alternano, e per far
capire quando si cambia periodo
ho usato tre asterischi. Quando ce n’è uno, cambia
solo scena. In più, per il
passato ho usato il trapassato prossimo, che rallenta un po’
la lettura, lo so,
ma rende l’idea!
Sono una caterba di parole e non sono
neanche sicura ci sia
davvero un filo logico, mi scuso in anticipo.
Buona lettura!
«Niall» disse
Zayn, rispondendo al cellulare. Aveva un po’
di fiatone, a causa della corsa fatta dal bagno, al piano di sopra,
fino al
salotto, dove aveva abbandonato senza cura il telefono, che aveva
deciso di
iniziare a squillare proprio quando lui stava per uscire dalla doccia.
Era
quasi assurdo che da quella distanza l’avesse sentito, ma si
disse che era
proprio per quel motivo che teneva il volume della suoneria tanto alto.
«Ehi, amico» lo
salutò l’Irlandese. «È un
secolo che non ci
vediamo»
Era vero. Si sentivano spesso, ma le
volte in cui riuscivano
a incontrarsi scarseggiavano ogni anno di più.
Sette anni prima, gli One Direction
si erano sciolti. Con
quattro album e cinque anni di amicizia alle spalle, avevano deciso
all’unanimità che era arrivato il momento di fare
altro. Tutti sapevano che ciò
che abbandonavano era una delle più grandi esperienze delle
loro giovani vite.
Forse la più grande. Non era stata una scelta facile, presa
a cuor leggero.
Almeno, Zayn credeva; da parte sua, di certo non lo era stata.
Sciogliere il
gruppo significava non solo mettere un punto fermo a quello che era
sempre
stato un po’ il suo sogno, ma anche a quella routine a cui
forse non si era mai
abituato del tutto. Non che non ci avesse provato. Gli altri quattro,
nel giro
di un battito d’ali, erano diventati così
importanti che ormai tra di loro si
consideravano una strana famiglia e Zayn aveva come
l’impressione che ognuno costituisse
una parte del suo corpo. Accadeva più spesso di quanto non
avrebbe voluto,
però, che tutto diventasse semplicemente troppo.
Troppo frenetico, troppo opprimente, troppo insopportabile.
Troppo troppo
troppo, e Zayn non era mai stato molto bravo a lasciarsi scivolare
addosso
accuse, critiche e sentimenti senza lasciarsi influenzare almeno un
po’ da
essi. Da qualche parte aveva letto che c’era una patologia
che ti faceva
credere un tuo stesso arto estraneo e non potevi farci nulla se tutto
quello
che volevi era liberartene. Per quanto volesse bene ai ragazzi, Zayn,
verso la
fine, aveva iniziato a sentirli sempre più spesso come un
peso, e avrebbe
mentito se avesse affermato che, quando si erano sciolti, non aveva
emesso un
sospiro di sollievo.
Sette anni prima, stava per
soffocare. I riflettori sempre
puntati addosso, qualunque cosa facessero, l’attenzione
mondiale, dovunque
andassero, le storie inventate o ingigantite che li perseguitavano:
tutto ciò
l’aveva reso negli anni sempre un po’
più schivo, tant’è che, se poteva,
preferiva non farsi vedere troppo spesso in giro. Sapeva che le fan un
po’ si
lamentavano, di questa sua ricerca spasmodica di solitudine, ma per lui
quel
tempo passato in casa a non far nulla, senza nessuno, era essenziale.
Lo
ricaricava e gli dava la forza necessaria per affrontare tutta una
nuova serie
di concerti, di interviste, di incontri.
Per quanto avesse sempre agognato la
tranquillità, comunque,
separarsi dagli altri era stato difficile. Era quello di cui aveva
bisogno, lo
sapeva, ma allo stesso tempo era come ritrovarsi spezzato: ti liberi
dell’arto
che non sopporti più e poi ti accorgi che non avevi capito
nulla, che quella
parte di corpo era tua eccome, ma che ormai è troppo tardi e
devi continuare a
vivere senza.
Ogni volta che sentiva Niall, Liam o
Louis al telefono
provava la medesima sensazione. A Harry, invece, non pensava mai (era
una bugia
e, anche se lo sapeva, se la raccontava lo stesso).
Si riscosse, ricordando che Niall
stava aspettando una sua
risposta, dall’altra parte della linea.
«Già» disse, dopo quella che parve
un’infinità di tempo.
«Ti è arrivato
l’invito?» chiese Niall, andando dritto al
punto della conversazione.
Zayn sorrise tra sé e
sé. Aveva sentito l’amico in quel modo
eccitato poche altre volte, e Niall era sempre emozionato per tutto.
Doveva pur
voler dire qualcosa.
«Sì, bel colore.
L’hai scelto tu?» lo motteggiò un
po’.
«Ah ah» finse di
offendersi l’altro, che tornò subito alla
carica, chiedendo quello che gli premeva maggiormente.
«Verrai, vero?»
Zayn si morse distrattamente un
labbro.
Si disse che come amico doveva far
proprio schifo, se Niall
pensava che avrebbe saltato il suo matrimonio. Lui e Lisa stavano
insieme da
quando, nel 2018, Niall aveva iniziato a frequentare il pub
più vicino a casa
sua ogni volta che aveva voglia di una pinta. Lisa era la barista e,
dopo
averla conosciuta, la sete di birra era aumentata così tanto
che Niall aveva
preso a recarsi al locale quotidianamente. C’era voluto poco
perché Niall
prendesse confidenza e radunasse quel poco di coraggio necessario a
invitare
fuori a cena la ragazza. Lisa, che non era una fan, l’aveva
trattato senza
quell’adorazione referenziale a cui Niall era abituato fino
alla nausea, e l’Irlandese
diceva sempre che quella era la cosa che, per prima, l’aveva
fatto innamorare.
A distanza di quattro anni, le aveva chiesto di sposarlo e Niall era
felice
come quando avevano conosciuto Robbie Williams.
«Certo che
verrò» rispose. A esser sinceri, l’idea
di
saltarlo gli aveva attraversato il cervello. Ma solo per qualche
secondo,
poteva giurarlo.
Niall emise un verso di giubilo che
fece ridere Zayn e lo
riportò indietro nel tempo, ai giorni passati nel tour bus e
a quelli,
precedenti, nella casa di X Factor.
«Ho sentito gli
altri» aggiunse dopo qualche attimo,
suonando per la prima volta un po’ incerto.
«Vengono tutti, anch-»
«Lo immaginavo»
lo interruppe Zayn. «Non preoccuparti»
Niall, che sembrava sempre troppo
spensierato, per aver problemi,
e gioioso, per ascoltare quelli degli altri, era stata la sua
àncora di
salvezza, in quei sette anni. Era passato così tanto tempo
che Zayn si
vergognava ad averne ancora bisogno ma, nondimeno, non poteva farci
nulla.
Niall, fra tutti, era quello che Zayn si era tenuto più
vicino, che lo
consigliava quando ne aveva bisogno e stava in silenzio al momento
giusto. Era
l’amico migliore che Zayn avesse mai avuto, l’unico
che avesse vissuto le sue
stesse esperienze e provato le sue stesse emozioni e, allo stesso
tempo,
sapesse tutto di lui. Una volta, in un’intervista, Zayn aveva
ammesso che, tra
loro cinque, si raccontavano sempre tutto. Era vero, nel 2012. Tre anni
dopo…
be’, tre anni dopo era tutta un’altra storia.
Anche a quello Zayn cercava di non
pensare troppo.
«Mi piacerebbe venisse
anche Mark» aggiunse Niall, interferendo
con il flusso dei suoi pensieri.
«Oh» disse solo
Zayn, più che altro perché era così
assorbito nei ricordi che la voce di Niall l’aveva come
risvegliato da un sogno
millenario, sorprendendolo. «Glielo
dirò»
«Bene»
commentò Niall, vagamente sollevato.
«Grazie»
offrì Zayn, davvero grato. Lui e Mark stavano
insieme da un po’, più o meno da un anno e mezzo,
ma Niall l’aveva visto una
sola volta e Zayn di solito non parlava del suo compagno, quando
sentiva l’amico,
quindi l’estensione dell’invito anche a Mark non
era scontata, anche se
prevedibile.
Niall lasciò cadere
l’argomento matrimonio e stava iniziando
a raccontare una cosa assurda che era successa durante
l’ultima data del
concerto che, col suo gruppo folk, aveva fatto a Dublino, quando Zayn
lo bloccò
sul nascere.
«Se aspetti un attimo, mi
infilo qualcosa addosso, che sto
morendo di freddo» tutto perso nelle sue reminiscenze non
c’aveva fatto troppo
caso, ma l’aria fresca di marzo iniziava a farsi sentire e la
pelle d’oca ad
assalirlo.
«Oh, ti ho interrotto
mentre facevi ses-»
«No, scemo. Stavo solo
facendo una doccia» sentì la risata
di Niall penetrargli nell’orecchio. Sentirla quotidianamente
era una delle cose
che gli mancava di più.
«Oh, certo»
commentò Niall, con talmente tanta ironia da far
alzare gli occhi al cielo a Zayn, esasperato.
Corse di sopra, portando con
sé il cellulare; gettò per
terra l’asciugamano che aveva avvolto ai fianchi, prese un
paio di boxer e una
maglietta a caso e si stese sul letto.
«Dicevi?»
Quando, dopo più di
un’ora, salutò l’altro e spense la
chiamata, un sorriso felice faceva da pendant a uno sguardo un
po’ preoccupato,
nel più assurdo degli ossimori.
***
Era tutta colpa sua, lo sapeva.
Perrie gli aveva chiesto di
accompagnarla a un qualche
evento, di cui neanche si ricordava il nome. Per l’ennesima
volta, lui aveva
preferito deludere la sua ragazza e rimanere a casa, dormire e magari
leggersi
qualcosa.
Lei l’aveva accusato di non
esserci mai, nemmeno quando,
effettivamente, poteva esserci. Il
loro quarto tour mondiale sarebbe iniziato di lì a un mese e
di certo non
avrebbero potuto vedersi quasi mai per più di otto mesi, e
lui che faceva? Se
ne stava in casa invece che con lei.
«Inizio a
stufarmi» aveva asserito. E con quello, aveva
spento la chiamata, senza aspettare la risposta di Zayn.
*
La sera stessa, proprio mentre lui
stava per andare a
dormire, aveva sentito il portone aprirsi. Poche persone, oltre a lui,
possedevano la chiave di casa sua: i suoi compagni di gruppo e,
naturalmente,
Perrie.
Sapeva che doveva essere
quest’ultima, poiché gli altri
quattro avrebbero perlomeno avvertito, prima di andare a trovarlo.
Si era alzato dal letto e stava per
scendere le scale,
quando aveva notato Perrie appoggiata con la schiena al portone di
casa, la
testa bassa e l’atteggiamento dimesso.
«Perrie?» aveva
chiamato, incerto.
La ragazza non si era mossa neanche
all’udire il suono della
sua voce, così Zayn aveva sceso le scale, la preoccupazione
che iniziava a
salire.
«Che succede?»
aveva chiesto, dopo averla raggiunta. Avrebbe
voluto abbracciarla, ma qualcosa gli diceva che quella era
l’ultima cosa che
Perrie voleva che lui facesse.
«Non ce la faccio
più» aveva esalato, alzando finalmente il
volto e intrecciando gli occhi azzurri a quelli scuri di Zayn.
Zayn avrebbe voluto chiedere a fare cosa?, ma gli si era formato un
groppo in gola e non
riusciva più neanche a deglutire.
«Io ti amo, Zayn»
aveva continuato, strizzando le labbra,
come se quello che stava per dire gli procurasse un’enorme
angoscia. «ma credo
che quello che cerco… che quello di cui ho bisogno non sia
qui. Con te»
Zayn era sicuro di aver sentito
qualcosa frantumarsi, in
quel momento. Il rumore di cristallo che si spezza, a contatto col
suolo, gli
aveva invaso le orecchie, il cervello, lo stomaco, e la gola gli si era
talmente seccata che probabilmente non avrebbe potuto parlare mai
più.
«Mi dispiace»
aveva detto Perrie, forse aspettandosi una
replica di Zayn o forse consapevole che essa non sarebbe mai arrivata.
Poi si
era sporta, gli aveva lasciato un bacio, lieve come quello di un
fantasma, su
una guancia e si era voltata.
Zayn non si era davvero accorto di
quanto successo fino a
che non aveva sentito il portone chiudersi delicatamente dietro alla
ragazza
che amava e che l’aveva appena lasciato.
La portata di quanto successo si era
abbattuta
improvvisamente su di lui che, senza appoggio, si era lasciato
scivolare a
terra, incapace di fare altro se non fissare il legno scuro che aveva
di fronte.
Perrie se ne era andata ed era tutta
colpa sua.
*
Era giorno, quando si era svegliato.
Una fitta di dolore al
collo l’aveva avvertito che dormire sul pavimento non era
comodo, ma il portone
si stava aprendo di nuovo e magari era Perrie che era tornata a dirgli
che non
era vero nulla, che lo amava, che senza di lui non poteva stare, che lo
rivoleva indietro.
Si era alzato talmente in fretta che
per poco non aveva
perso l’equilibrio, ma quando la persona che
l’aveva svegliato era apparsa
sulla soglia, Zayn si era accorto che non era Perrie, affatto.
Al posto di lisci capelli biondi
c’era una massa di ricci
perfetti, e gli occhi non erano azzurri, ma verdi.
«Zayn» aveva
detto Harry, entrando.
Il suo tono di voce era tutto una
compassione e Zayn lo
stava odiando.
«Cosa vuoi?»
aveva chiesto, forse un po’ troppo
aggressivamente.
«Sono le due»
aveva sorriso, ancora quell’insopportabile
sfumatura a colorare le parole. «Dovevamo vederci quattro ore
fa, per le prove»
Zayn se ne era completamente
dimenticato. L’unica cosa che
si ricordava era Perrie che se ne andava e lui che, troppo stanco per
tornare a
letto, si era appoggiato per terra, senza riuscire a trovare pace.
Probabilmente si era addormentato che già albeggiava.
Aveva scrollato le spalle, le prove
erano l’ultima cosa di
cui gli importasse, in quel momento.
«Zayn» aveva
ripetuto, con ancor più tristezza nella voce.
Senza aggiungere altro, aveva fatto passare un braccio lungo i suoi
fianchi e,
sorreggendolo, l’aveva trascinato fino in camera sua. Neanche
fosse sua madre,
l’aveva fatto stendere sul letto e l’aveva guardato
indeciso, prima di
togliersi le scarpe e raggiungerlo sotto le coperte.
Non era strano, per loro, dormire
nello stesso letto. Di
certo, non lo era condividere una stanza. Niall una volta aveva detto,
in
un’intervista, che Zayn e Harry quando erano in hotel
volevano sempre stare in
stanza insieme, e, anche se l’avevano fatto arrossire e
vergognare come non
mai, quelle parole erano la pura verità. Non sapeva
perché entrambi sentissero
quel bisogno (e sinceramente non sapeva neanche se poteva davvero
parlare di bisogno), ma nessuno dei
due ci pensava
troppo.
Harry l’aveva guardato per
qualche istante e poi l’aveva
stretto, fino a che la fronte di Zayn non si era appoggiata al suo
petto. Zayn
aveva sentito i suoi occhi inumidirsi e, proprio mentre le lacrime, che
aveva
trattenuto così ostinatamente per tutta la notte, iniziavano
a scendergli e a
bagnargli le guance, aveva allacciato le sue braccia alla schiena di
Harry,
ricambiando la stretta.
***
Il campus era affollato, come ogni
martedì mattina. Zayn
camminava tranquillamente, perché, strano ma vero, aveva
ancora qualche minuto
prima di doversi incontrare con il suo professore.
Dovevano rivedere assieme la parte
finale della sua tesi che
poi, finalmente, avrebbe potuto consegnare. Il suo lavoro era
essenzialmente
uno studio trasversale su Shakespeare, che partiva dai Sonetti e si
collegava a
vari altri testi riconducibili ai Sonetti stessi, nella maggior parte
dei casi
tramite rimandi e citazioni. Per quanto scontato, era sempre stato il
suo poeta
preferito e anche quando era più giovane, specialmente
durante le interminabili
ore di viaggio, portava sempre con sé una qualunque delle
sue opere. Aveva
finito per rileggersele tutte più e più volte,
senza stancarsi mai. Louis non
faceva che prenderlo in giro, per questo, ma Zayn non se la prendeva
troppo.
Aver ripreso gli studi, dopo tutto
quello che aveva vissuto
col gruppo, non era stato semplice, ma si era rivelata la cosa giusta
da fare.
Dopo alcuni anni passati cercando di
farsi vedere il meno
possibile dal mondo intero, si era deciso a fare qualcosa della sua
vita,
consapevole che essa non era finita assieme agli One Direction. Si era
iscritto
a Inglese, che era ciò che avrebbe fatto se tutto fosse
andato diversamente. Il
suo piano A, che dopo X Factor era inevitabilmente diventato il piano
B, si era
rivelato meno eccitante della vita della pop star (e quello Zayn
l’aveva
previsto), ma se essa lo vestiva come un guanto di due taglie
più grande, quella
da studente lo calzava perfettamente.
All’inizio non era stato
facile neanche sopportare le
continue occhiate che gli altri studenti gli lanciavano. Quando si era
iscritto,
aveva venticinque anni ed era di sette più grande della
maggior parte del corpo
studentesco, anche se Zayn sapeva bene che la sua età
c’entrava poco con i
bisbigli che lo seguivano dovunque andasse. Avrebbe voluto nascondersi
e
tornarsene a casa, rinchiudersi di nuovo in quella sua stupida torre
d’avorio,
perché anche se aveva passato cinque anni sotto continui
riflettori,
l’attenzione della gente ancora riusciva a stressarlo.
Quattro anni dopo, però,
si era ormai abituato anche a
quello e, allo stesso tempo, i suoi compagni di corso si erano abituati
ad
averlo come compagno di banco, e tutti gli altri a vederlo in mensa o
in
biblioteca, come il più comune degli universitari.
Controllò
l’orologio e accelerò un po’ il passo,
altrimenti,
da in anticipo che era, avrebbe ritardato anche quella volta. Era
confortante
sapere che qualcosa non sarebbe mai cambiato.
*
Entrato in casa, si tolse il
giacchetto. Nello stesso
istante, il cellulare prese a vibrare, informandolo
dell’arrivo di un
messaggio.
Era Mark che gli chiedeva come fosse
andata col professore e
se quella sera si sarebbero visti. Zayn sorrise. Il suo ragazzo era la
gentilezza fatta a persona ed era premuroso e attento, e lui cercava di
non
chiudersi troppo in se stesso, cosa che gli veniva, da sempre, quasi
naturale fare.
Si erano conosciuti attraverso amici
comuni, quando una sera,
dopo più di due anni, e giorni e giorni di insistenza, aveva
capitolato e
accettato l’invito di alcune sue compagne di corso di andare
a bere qualcosa
con loro. Così si era ritrovato nel bel mezzo di un enorme
gruppo di ragazzi,
troppo rumorosi, per lui, e troppo curiosi di sapere come fosse essere lui.
Non l’aveva notato subito,
Mark. Non perché non fosse un bel
ragazzo o il suo tipo, ma perché, soffocato da tutta una
serie infinita di
domande, quel ragazzo un po’ taciturno che se ne era rimasto
in disparte non
era proprio entrato nel suo campo visivo. Poi, le acque si erano
calmate e Zayn
aveva notato che dall’altra parte del tavolo c’era
qualcuno che non lo stava
fissando con, negli occhi, una luce che parlava di curiosità
per il personaggio
che era stato; se fosse stato un po’ più giovane e
più imbarazzabile, sarebbe
arrossito: per quanto alle volte viveva in un mondo suo, sapeva
riconoscere lo
sguardo di qualcuno che, invece, era interessato a
lui. E, per quanto fosse sciocco, a Zayn era sembrato che
quell’interesse non fosse prettamente fisico; ma non si erano
neanche parlati,
quindi un po’ assurdo lo era davvero. Aveva ricambiato lo
sguardo senza troppi
problemi perché tutto il mondo, al quale probabilmente non
importava più molto
di lui, sapeva che era bisessuale. Si era alzato, continuando a
guardarlo e
dicendo che sarebbe uscito a fumarsi una sigaretta. Sperava di aver
lanciato i
giusti segnali e che l’altro l’avrebbe seguito. Non
aveva dovuto aspettare
molto.
Si era presentato per primo,
perché per l’altro sembrava già
essere stato un passo da gigante essersi fatto avanti a quel modo. Non
che Zayn
fosse mai stato un grande corteggiatore, anche se tutti i tabloid e
anche le
fan sembravano pensarla diversamente. In realtà, lui era
sempre stato un tipo
piuttosto fedele e per metà del tempo passato a far parte
della boyband più
famosa al mondo era stato con Perrie. Alla parte rimanente non pensava
mai
troppo, perché, ogni volta che lo faceva, finiva per
annegare in brutti
pensieri, e comunque le sue riflessioni non lo portavano mai a nulla.
Mark era un po’
più giovane di lui e un po’ più grande
delle
ragazze che l’avevano invitato a uscire quella sera. Si era
appena laureato in
economia e stava valutando le sue opzioni.
Avevano parlato un po’ e
Zayn aveva finito per capire che
Mark era molto simile a Liam: si spiegavano, così, almeno la
timidezza e il
tatto che sembravano caratterizzare il ragazzo.
Mark non gli aveva fatto una domanda
sugli One Direction, e,
alla fine della serata, Zayn gli aveva chiesto il numero.
Un anno e mezzo dopo, stavano ancora
insieme.
*
Si sedette sul divano, una birra in
mano e gli occhi che
seguivano ogni movimento del suo ragazzo.
Certo che ci
vediamo,
aveva risposto al suo messaggio, perché, se c’era
una cosa che aveva imparato,
era che se voleva che qualcosa funzionasse doveva impegnarsi
attivamente e che,
per quanto in parte triste, l’amore non si alimenta da solo e
le relazioni
vanno coltivate.
Prese un sorso, cercando di non
pensare a quello che, come
tutte le volte, la parola amore gli
riportava alla memoria. Aveva imparato a essere sempre sincero con se
stesso e,
per quanto si odiasse per quello, non poteva fare a meno di ammettere
che, sì,
era affezionato a Mark, solo non sapeva se ne era innamorato.
A ben vedere, non era sicuro che sarebbe mai riuscito a
innamorarsi di nuovo. Dopo tutti gli anni che erano passati e le
persone che
aveva conosciuto, l’unica per cui avesse mai provato quel
sentimento era anche
l’unica che non lo voleva e quella che l’aveva
ferito più profondamente. Si
sentiva uno stupido idiota, incapace di voltar pagina e andare avanti
pur
volendolo con tutto se stesso.
«…
-sore?» la voce di Mark lo riscosse dai suoi pensieri.
«Dicevo,
com’è andata col prof?»
ripeté, perché ormai lo
conosceva e quella non era di certo la prima volta che Zayn si
estraniava dalla
realtà, finendo nel passato (anche se, di quello, Mark
davvero non aveva la più
pallida idea).
«Bene. A dire la
verità, più che bene» disse Zayn,
ripensando alla mattinata appena trascorsa.
«Sì?»
lo guardò incuriosito Mark.
Zayn annuì un paio di
volte. «Mi ha proposto di continuare a
studiare con lui, all’università»
raccontò.
«E tu?»
«Ho detto che devo pensarci
un po’» rispose, scrollando le
spalle. Non aveva mai vagliato la possibilità di restare nel
mondo accademico e
proseguire con gli studi e con la ricerca, ma, solo a sentire la
proposta, si
era emozionato. Da ragazzino, voleva studiare inglese e pensava che un
giorno
avrebbe fatto l’insegnante. Adesso, non aveva realmente
necessità di lavorare e
di riportare uno stipendio a casa. In linea generale, avrebbe potuto
vivere di
rendita fino alla fine dei suoi giorni. Per questo, il fatto che un
ricercatore
guadagnasse una miseria lo interessava relativamente, e, invece, si era
solo
focalizzato sull’idea di continuare a studiare. «ma
probabilmente accetterò»
«Sono contento»
disse Mark, mettendo un DVD e raggiungendolo
sul divano. Gli scoccò un bacio sulla guancia, per poi
accoccolarsi contro il
suo fianco, una mano allacciata alla sua vita, mentre un braccio di
Zayn
passava sopra le sue spalle, in quella che era la loro abituale
posizione.
«Che hai scelto?»
chiese, dubbioso.
«Non Love
Actually, giuro,
so che non lo sopporti» mise metaforicamente le mani avanti.
«Anche se devo
ancora capire il motivo»
«Non lo odio. È
un film stupido, ecco tutto» affermò Zayn,
consapevole di aver dato voce a una mezza verità.
Mark ridacchiò e
aprì la bocca per aggiungere altro, ma A
qualcuno piace caldo stava per
iniziare e il ragazzo sembrò cambiare idea.
Zayn tirò un sospiro di
sollievo.
***
Prima di conoscere gli altri, non
sapeva cosa significasse
avere un fratello. Adorava le sue sorelle, ma si era reso presto conto
che il
tipo di rapporto che poteva instaurare con altri ragazzi (con cui
viveva e ai
quali rubava i vestiti) era completamente un’altra cosa.
Nel chiuso di una camera
d’albergo, si era sentito se stesso
come mai prima. Consapevole che gli altri quattro l’avrebbero
amato per chi era
e non per chi cercava di essere, si era fidato ciecamente.
Sapeva anche che
l’avrebbero sostenuto e sorretto, come
avrebbe fatto anche lui, qualsiasi cosa fosse successa.
Per questo, non si era sorpreso degli
sguardi preoccupati
che gli altri gli avevano riservato, i giorni dopo la sua rottura con
Perrie.
Più lui aveva detto di
star bene, però, più quelli erano aumentati:
anche quello era un chiaro segno di quanto i suoi amici lo conoscessero.
Aveva cercato di farsi forza, anche
perché se l’era
praticamente cercata: a pensarci, Perrie aveva resistito anche troppo,
con uno
come lui. Si meravigliava che non l’avesse mollato prima.
Avevano dovuto fare una serie
d’interviste, prima di partire
per il tour, e lui aveva fatto del suo meglio per mostrarsi tranquillo
ogni
volta che l’argomento usciva fuori ed era costretto a
rispondere come se quella
non fosse la fine del mondo, anche se ne aveva tutti i connotati.
Liam aveva preso
l’abitudine di sedersi vicino a lui, sia
durante le interviste, sia durante i vari spostamenti,
perché ancora ricordava
bene quanto fosse stato male quando era successo a lui, due anni prima.
Non
diceva mai nulla, ma a Zayn andava bene lo stesso.
Louis aveva cercato di farlo ridere
più del solito, visto
che con Liam a suo tempo aveva funzionato abbastanza bene. Quando la
pressione
diventava eccessiva, avere qualcuno sempre pronto a risollevarti il
morale era
una benedizione, e Zayn aveva provato a sorridere anche le volte in cui
tutto
quello che voleva fare era rinchiudersi nel buio della sua stanza e
fingere che
non stava piangendo.
Niall lo aveva rintronato di parole e
rifocillato con ogni
sorta di cibo, perché aveva paura che, se non fosse stato
per lui, Zayn si
sarebbe lasciato affamare. Probabilmente aveva ragione, e –
se non era letteralmente scomparso
– Zayn doveva
ringraziare in gran parte l’Irlandese.
Harry. La questione, con Harry, era
infinitamente più complessa
e, se qualcuno gli avesse raccontato come sarebbe andata a finire, solo
qualche
mese prima, Zayn non ci avrebbe mai creduto.
***
«Il mese prossimo, Niall si
sposa» iniziò a dire. Si era
dimenticato di accennarlo, l’ultima volta che si erano visti
e doveva dare una
risposta all’amico. «Mi ha detto che sei invitato
anche tu. Se vuoi»
Mark lo guardò, sorridendo
lievemente. «E tu?» chiese. «Vuoi
che ti accompagni?»
«Certo» disse,
così velocemente, che l’altro sollevò
anche
le sopracciglia che non aveva. Certo che lo voleva con sé.
L’idea che qualcuno
sarebbe sempre rimasto al suo fianco era l’unica cosa che lo
stesse aiutando a
non impazzire. «Voglio dire, puoi prendere un permesso di un
paio di giorni dal
lavoro?»
«Non dovrebbero esserci
problemi» affermò Mark. Era
visibilmente contento, e Zayn si chiese se fosse dovuto alla richiesta
in sé o
all’idea di fare qualcosa con lui che non fosse andare al
cinema o a mangiare
una pizza. Ragionò: non è che l’avesse
mai tenuto nascosto, Niall l’aveva
conosciuto, erano andati a pranzo dai suoi genitori piuttosto di
frequente,
nell’ultimo periodo, e lo presentava sempre come il suo
compagno. Quindi, no,
l’invito non avrebbe dovuto davvero sorprenderlo.
Si disse che, alla fine, quello non
aveva molta importanza.
L’importante era che la sua
presenza gli evitasse situazioni
imbarazzanti e di ricadere in quel vortice sentimentale dal quale non
era
ancora del tutto sicuro di essere uscito.
***
Durante la prima intervista dalla
rottura, Harry gli era
rimasto tutto il tempo vicino.
Così tanto, che Zayn aveva
potuto percepire il calore
proveniente dall’altro anche da sotto il maglione pesante che
stava indossando.
Ogni tanto una mano era finita su una sua spalla o un braccio,
più raramente
lungo la schiena, ma ogni tocco aveva l’esatta intenzione di
ricordargli che
Zayn poteva sempre contare sulla sua presenza, sulla sua amicizia, se
sentiva
di non farcela.
*
Harry aveva sempre saputo come
prenderlo, quando forzarlo e
quando lasciarlo in pace. Era consapevole che Zayn avesse bisogno di
stare un
po’ da solo, ma aveva anche l’impressione che, se
avesse lasciato correre
troppo tempo, l’altro avrebbe finito per scomparire tra le
lenzuola, e loro non
se ne sarebbero nemmeno accorti.
Per quel motivo, aveva presto
l’abitudine di andare da lui,
dopo cena.
Le prove erano sempre state
stancanti, ma di lì a pochi
giorni, tutto sarebbe stato dieci volte peggiore: più
caotico, più faticoso,
più stressante, e Zayn aveva la strana sensazione che non
avrebbe resistito
neppure per tre concerti.
La presenza di Harry in casa sua,
stravaccato sul suo divano
o seduto al suo tavolo, però, aveva la capacità
di rilassarlo come nulla, di
fargli dimenticare di quanto Perrie gli mancasse e di non farlo
interrogare su
quanto ancora le sue spalle avrebbero retto il peso di tutta quella
fama. Per
questo, ogni volta che Harry aveva suonato al suo citofono, non aveva
neanche
preteso di essere scocciato dalla visita.
*
Una volta, Harry si era presentato
con tutta la sua raccolta
di film romantici. Li aveva stipati dentro due enormi buste,
perché
evidentemente era messo in condizioni peggiori di quanto chiunque
avesse
ipotizzato fino ad allora.
Zayn l’aveva guardato male,
perché un film d’amore
strappalacrime era tutto quello che non gli
serviva, al momento.
Harry aveva fatto una faccia
incredula, come se per lui
fosse stato impossibile pensare che ci fossero dei casi in cui quelle
pellicole
non funzionassero da panacee miracolose.
Alla fine si era arreso, anche se
Zayn aveva notato che una
scia di dubbio gli attraversava ancora la mente, e aveva posato le
buste per
terra, contro il muro.
«Le lascio qui,»
aveva detto. «così quando ti sentirai
abbastanza forte da non scoppiare in lacrime alla prima battuta, ce li
guardiamo»
Zayn l’aveva ucciso con lo
sguardo e aveva sollevato il
mento in segno di sfida. Specchiando i suoi occhi in quelli verdi
dell’altro,
aveva già previsto come tutto sarebbe andato a finire.
«Forse ti
confondi» l’aveva preso in giro. «Io non
mi chiamo
Styles»
Harry aveva sollevato un
sopracciglio, aspettando le parole
che, era certo, sarebbero arrivate.
«Metti pure il
più tragico che hai»
E così erano finiti a
guardare un mattone angosciante di cui
non si ricordava il nome neppure il giorno successivo.
La cosa buffa era stata che, troppo
preso a prendere in giro
il più piccolo per i suoi gusti osceni, aveva sommariamente
seguito la trama, e
che, neanche una volta, il volto di Perrie gli aveva attraversato i
pensieri.
*
La prima volta che era uscito con gli
altri, di sera, erano
passate due settimane da quando Perrie si era presentata in casa sua, e
altre
due ne mancavano all’inizio del tour.
Harry l’aveva costretto a
infilare una maglietta decente e a
sistemarsi i capelli.
«I miei capelli vanno bene
sempre» aveva sostenuto, cercando
di scansare le mani dell’amico. «Come li metti, li
metti, sto comunque da
favola» aveva scherzato, e l’altro
l’aveva guardato per metà scettico.
L’altra
metà non aveva saputo decifrarla, invece.
«Su muoviti,
perfezione» gli aveva detto Harry, lasciando
perdere i capelli e iniziando a trascinarlo fuori di casa per una
manica.
*
Il locale era uno dei mille di
Londra: per Zayn erano tutti
uguali. Stessa gente, stesso rumore, stesso odore, e lui già
non ce la faceva
più. Aveva odiato un po’ Harry, per quello,
perché l’aveva costretto ad
abbandonare le sue calde coperte e ora si ritrovava in mezzo a tutti
quei corpi
che non lo interessavano, tutte quelle ragazze che lo fissavano solo
perché era
Zayn Malik ed era famoso, tutti quegli occhi che non erano abbastanza
azzurri
da catturare la sua attenzione.
Avrebbe voluto cancellare quella
sensazione, perché dopo
quindici giorni ancora si stava piangendo addosso, ma lui non poteva
proprio
farci nulla: c’erano momenti in cui quasi riusciva a
dimenticarsi di quanta
voglia avesse di sentire il suono della risata di Perrie o di
stringerla tra le
braccia, ma passavano più velocemente di un acquazzone
estivo.
Poi aveva sentito un braccio
posarglisi sulla spalla e ne aveva
riconosciuto il peso familiare, dopo un attimo di disorientamento.
«Ehi, vieni a bere
qualcosa» gli aveva urlato all’orecchio
Harry.
Zayn aveva annuito e pensato che
almeno, in quel modo,
avrebbe avuto da fare qualcosa che non fosse fissare con nostalgia in
lontananza.
*
La sera precedente alla prima data di
ognuno dei loro tour
era sempre stato in preda all’agitazione.
L’anno precedente, se lo
ricordava bene, l’aveva passato a
coccolarsi con Perrie, che non aveva fatto altro che ripetergli quanto
sarebbero stati meravigliosi, sul palco, quanto erano perfetti per
cantare
insieme, quanto bene ognuno riempisse lo spazio lasciato dagli altri.
Un anno dopo, stava sdraiato sullo
stesso letto, solo che
della ragazza non c’era neppure l’ombra. Non
c’era nulla che gliela ricordasse,
nella stanza e nell’intera casa. Non un vestito, un paio di
scarpe. Neanche uno
spazzolino.
Perso nei suoi pensieri, per poco non
aveva sentito la porta
di casa aprirsi. Il flashback di qualche settimana prima gli era
apparso
davanti agli occhi, ma si era subito dato dell’idiota.
Dubitava fortemente
potesse essere Perrie, visto che gli aveva reso la sua copia delle
chiavi.
«Zayn?»
l’aveva chiamato una voce che aveva riconosciuto
subito come appartenente a Harry.
La sua piccola speranza aveva,
così, ricevuto un definitivo calcio
negli stinchi, ma era anche vero che l’unica altra persona,
oltre Perrie, che
in quel momento gli avrebbe fatto piacere vedere, era proprio Harry,
per cui
aveva scacciato in fretta la delusione.
«Sono su!» gli
aveva urlato, troppo pigro per scendere le
scale e anche solo per alzarsi dal letto.
Così, quando Harry era
entrato in camera, non solo l’aveva
trovato steso placidamente sul letto, ma anche nella più
completa oscurità.
Aveva acceso la luce, altrimenti
avrebbe finito per sbattere
contro qualcosa, e, senza neanche salutarlo, era saltato sul letto
senza troppi
complimenti.
«Com’è?»
gli aveva chiesto, anche se Zayn era quasi certo
che Harry conoscesse già la risposta a quella domanda e che
si fosse informato
solo per farlo parlare. Da quando stava in quella band, la sua
più grande
convinzione, e cioè che per ogni maschio sulla faccia della
terra parlare di se
stessi fosse qualcosa da evitare caldamente, era stata demolita, pezzo
dopo
pezzo.
Aveva scrollato le spalle, tanto per
cercare di non dargli
troppo spago, anche se già sapeva che avrebbe fallito
miseramente.
Harry si era avvicinato e aveva
appoggiato la testa sulla
sua spalla. Zayn aveva sospirato, già un po’
più felice, perché il contatto
fisico con le persone a cui teneva gli era sempre piaciuto. In
particolare,
aveva sempre adorato i ricci di Harry che, dovunque si posassero, gli
facevano
il solletico, e la morbidezza del suo volto, anche se,
quest’ultima si era un
po’ persa negli anni.
Era quasi sul punto di addormentarsi,
quando l’altro aveva
deciso che era il momento di provare di nuovo a fargli emettere qualche
sillaba
intelligibile.
«Nervoso?»
Zayn avrebbe quasi voluto rispondere
allo stesso modo di
pochi attimi prima, ma sapeva che Harry poteva essere ostinato quando
lui e non
avrebbe mollato per nulla al mondo.
«Un
po’» aveva risposto, senza sbilanciarsi troppo.
Harry non aveva commentato,
né aveva cercato di approfondire
il discorso. Zayn sapeva che l’amico poteva quasi leggergli
nel pensiero; che
poteva vedere che per lui le luci del palco erano diventate
così forti da
essere quasi accecanti, le urla delle ragazze insopportabili; che per
lui tutto
quello era diventato ormai più un peso che un divertimento,
un sogno, la
realizzazione di una vita intera.
Con un movimento leggero, Harry aveva
raggiunto lo zaino che
neanche aveva notato fino a quel momento e ne aveva tirato fuori un
involucro.
Zayn aveva fissato le mani grandi
dell’amico rollare una
canna, rimettere a posto il tutto con cura e cercare un accendino. Poi
gli
occhi si erano spostati sulle labbra, che circondavano la promessa di
un
effimero e fin troppo breve rilassamento.
Harry gliel’aveva passata
quasi subito e Zayn l’aveva
accettata di buon grado, tirandosi su, fino a che con la schiena non
era andato
ad appoggiarsi alla testata del letto. In quella posizione, sembravano
quasi
due amanti che si riprendevano da una sessione di sesso infuocato. O
due vecchi
che condividevano un confortevole silenzio.
Entrambe le idee facevano un
po’ ridere.
«Che ridi?» gli
aveva, infatti, domandato Harry, quando
aveva notato la sua espressione.
Zayn gliel’aveva detto e
l’altro l’aveva guardato con una
luce maliziosa negli occhi, così tipicamente sua che doveva
essergli
connaturata.
«Preferisco la
prima» aveva asserito, facendogli
l’occhiolino.
Zayn aveva scosso la testa.
«Ovvio» aveva commentato. «Sono
un fico»
Harry l’aveva guardato
storto, ma non aveva negato.
***
A Dublino, l’aria era un
po’ più fresca che in Inghilterra,
ma si stava piuttosto bene, per essere a malapena in primavera.
Zayn sbadigliò e
appoggiò la mano alla maniglia della
portiera del taxi: erano appena arrivati all’hotel che Niall
aveva affittato
per il matrimonio.
Deglutì e si fece forza
quando sentì l’altra, dalla parte
opposta, richiudersi con un rumore leggero. Mark era sceso e stava
ammirando
l’immenso albergo che avevano di fronte.
Zayn non si stupì; Niall
era sempre stato espansivo e
amichevole. Loro lo prendevano sempre in giro, ma in realtà
lui gli invidiava
quella sua particolare capacità di riuscire a fare amicizia
con chiunque nel
giro di qualche attimo. Probabilmente aveva invitato tutti quelli con
cui aveva
anche solo parlato per più di un’ora.
Sperò che non ci fossero
troppi paparazzi in giro o,
perlomeno, che non lo riconoscessero (anche se quello era un
po’ improbabile e
lui stesso lo sapeva). Avrebbe voluto passare un week end tranquillo,
tanto più
che le attenzioni della stampa non piacevano neanche a Mark.
Si ricordava la reazione dei
giornaletti e, soprattutto,
d’Internet, la prima volta che era uscito con un uomo. La
band si era sciolta
da poco più di un anno e lui aveva smesso di frequentare
tutti i posti che
potevano ricordargli l’ultimo lustro. Era in biblioteca,
quella comunale che
gli studenti snobbano, e dove le persone tendono a entrare con un
libro, uscire
con un altro, tutto nel giro di dieci minuti. A lui piaceva passarci le
ore,
invece. Quando l’aria di casa iniziava a farsi pesante,
andava sempre lì. Era
diventato il suo posto preferito e passare le dita sulle coste dei
volumi,
prenderli e sfogliarli la sua grande passione. Andy l’aveva
conosciuto per
caso. Camminava quasi di lato, troppo intento a leggere i titoli della
sezione
filosofica per accorgersi di dove stesse mettendo i piedi, fino a che
non si
era scontrato con qualcosa di solido. Non qualcosa, in
realtà, ma qualcuno.
Andy, appunto. Che gli aveva sorriso e aveva scherzato, e nel giro di
mezzora
sapeva chi fosse il suo autore preferito e quale il libro
più bello che avesse
mai letto. Cinque minuti dopo, gli aveva chiesto se per caso avesse
fame, visto
che era ora di pranzo, e magari se voleva andare a mangiare un boccone
con lui.
Zayn aveva sorriso, perché tutto quel parlare non solo gli
aveva messo appetito
sul serio, ma soprattutto gli era venuto così facile che
stentava a
riconoscersi.
Non li avevano scoperti fino alla
terza uscita e Zayn si era
dato dell’imbecille, perché il ristorante che
aveva scelto, pur non essendo il
più frequentato dalle celebrità, era piuttosto
rinomato.
Il giorno dopo
l’appuntamento, le foto di loro due che
ridevano a cena, come avrebbero potuto fare due normalissimi amici,
erano su
ogni mediocre giornale, contornate da lettere cubitali che si
interrogavano
sulla sua presunta omosessualità.
Gliene sarebbe importato poco se non
fosse stato per il
baccano e la schiera di fotografi che per qualche periodo
l’avevano seguito
ogni rara volta che usciva.
E per Andy che, senza pensarci due
volte, l’aveva mollato,
non dimenticandosi di vendere un’esclusiva al The Sun con
tutti i dettagli
inventati della loro ingigantita relazione.
*
Appena lo vide, Niall gli corse
incontro. Lanciò qualche
urlo, mentre Zayn rideva e apriva le braccia per salutarlo come si
deve, dopo
una vita che non si erano potuti guardare in faccia.
«Sei qui»
strillò, sottolineando l’ovvio, con il tono
tipicamente felice di Niall. «Ehi, Mark» aggiunse,
con un sorriso, quando Zayn
l’ebbe finalmente lasciato andare.
Lo riabbracciò di nuovo,
giusto perché poteva, e l’Irlandese
se ne uscì in un gridolino che fece ridere di gusto anche
lui e gli fece
passare un po’ di quel nervosismo che si sentiva addosso da
un qualche giorno.
«Avrei tanto voluto te,
come testimone» se ne uscì di punto
in bianco, guardandolo negli occhi. Zayn sapeva che
l’affermazione dell’amico
non era detta con sufficienza, ma che ci credeva davvero. «Ma
le prove e tutto
il resto… saresti dovuto venir su un mese fa»
concluse, storcendo il naso, come
se quei trenta giorni fossero stati i più orribili di tutta
la sua vita e non
il graduale percorso verso quel giorno importante.
«Ehi, non preoccuparti.
Almeno, quando stasera ti
ubriacherai» scherzò su. «non
m’incolperanno di non averti controllato bene»
Niall gli sorrise per la millesima
volta e stava per aprir
bocca per aggiungere altro quando una voce femminile lo
chiamò.
«È mia
suocera» spiegò, con tono afflitto.
«Ah» fece, mentre
già stava per andarsene. «Liam e Louis sono al
bar» l’informò, indicando una
generica direzione dietro le sue spalle.
Probabilmente gli occhi avevano
iniziato a luccicargli,
perché, se possibile, non vedeva quei due da ancora
più tempo di Niall.
«Vieni» disse a
Mark. «Ti faccio conoscere il resto della
band»
Lo sguardo di Mark gli disse che
aveva sbagliato i calcoli,
che all’appello ne mancava ancora uno, ma non ci
badò troppo.
*
Liam e Louis erano entrambi di
schiena, quando raggiunsero
il bar.
Erano anche entrambi accompagnati;
almeno credeva lo
fossero, visto che in quel momento erano soli come due scapoli.
Louis era sposato da cinque anni con
Eleanor e Zayn ancora
ricordava la cerimonia, che era stata sopra le righe
dall’inizio alla fine,
proprio come lo erano anche i due sposi. Gli One Direction si erano
sciolti da
due anni e tutti bramavano fare una foto col gruppo riunito. Per Zayn,
che
aveva sperato di evitare qualcosa del genere con tutte le sue forze,
era stata
una piaga. Avrebbe anche voluto evitare di stare troppo a contatto con
persone
che avrebbe preferito accantonare nel passato (anche se, per prima, la
sua
mente non era in grado di farlo), ma non era stato possibile
perché, evidentemente,
chi aveva detto volere è potere della
vita non aveva capito proprio nulla.
Quello che, ormai, considerava il suo
fratello maggiore, comunque, aveva
un figlio, come aveva sempre
desiderato e, ogni volta che lo sentiva, era un po’
più felice. Zayn non si perdeva
mai il suo programma radiofonico, perché era la cosa
più divertente che fosse
mai stata trasmessa. Con gli anni, l’ironia di Louis si era
affinata (e
affilata) ancora di più, per quanto potesse parere
impossibile, e ascoltarlo
era come fare un tuffo nel passato. Per quanto non rimpiangesse le
scelte
fatte, sarebbe stato sciocco non ammettere che, di certi momenti, ne
avrebbe
sentito la mancanza per sempre e la voce di Louis alleviava quelle
sensazioni.
Liam, invece, stava con una pittrice
da quasi tre anni; da
uno convivevano e, l’ultima volta che aveva parlato con lui,
l’amico gli aveva
detto di avere intenzioni serie. Zayn non si era stupito per nulla, fra
tutti,
si sarebbe aspettato che Liam fosse il primo a sposarsi, invece quel
privilegio
era toccato a Louis e, da domani, sarebbe stato battuto in
velocità anche da
Niall.
La compagna di Liam si chiamava
Grace, e i due si erano
incontrati a una mostra di artisti emergenti; la donna aveva dei lavori
esposti
e, anche se Liam non ci capiva molto, li aveva trovati bellissimi.
Quando
l’amico gliel’aveva raccontato, Zayn non era
riuscito a capire cosa Liam ci
facesse in una galleria d’arte, ma poi era venuto fuori che
era stata tutta
colpa (o merito) di Eleanor, che conosceva una delle altre pittrici.
Lei aveva
trascinato con sé il marito che aveva chiesto a Liam se, per
pietà, lo
accompagnava. Era venuto fuori che il favore l’aveva fatto
più lui a Liam che
il contrario.
Zayn fissò per qualche
secondo le schiene di quelli che
erano stati due dei suoi compagni di viaggio (per così poco
tempo che nessuno
avrebbe potuto credere che sarebbero diventati vitali come
l’aria, per lui), pensando
che nessuno, all’inizio, avrebbe creduto che Liam e Louis
sarebbero finiti per
legarsi così tanto l’uno all’altro. E
invece era accaduto proprio quello.
Si riscosse. Non li vedeva da una
vita e, invece di
salutarli, cosa faceva? Si perdeva in pensieri stupidi? Anche Mark la
doveva
pensare in quel modo, stando all’espressione del suo volto.
Senza dirgli nulla, prese a camminare
sempre più
velocemente, fin quasi a correre, e quando fu abbastanza vicino, si
buttò su di
loro, appoggiando le braccia sulle loro schiene e urlando il suo famoso
Vas Happenin, che fece sussultare
Liam e
strillare Louis.
I due si voltarono in contemporanea e
lo assalirono con
tanta veemenza da buttarlo per terra.
Dovevano essere uno spettacolo
ignobile: tre uomini sui
trent’anni che si comportavano come diciottenni. Zayn
pensò che, probabilmente,
ogni volta che si vedevano, regredivano davvero a
quell’età; l’età in cui si
erano incontrati, conosciuti, amati.
Dopo essersi ricomposti, si
abbracciarono una volta in più:
era comprensibile, si disse Zayn, anche dopo tutti quegli anni; erano
stati
talmente abituati a passare ogni ora insieme che stare divisi era come
non
riuscire a respirare. (Come Zayn fosse arrivato al punto da non
riuscire a
farlo né con loro né senza di loro era ancora un
mistero).
Si scambiarono domande risposte
aneddoti sulle loro vite, e
solo dopo qualche minuto si ricordò che Mark era
lì accanto a lui.
Si voltò a guardarlo, e
non si stupì nel non trovarlo
arrabbiato, perché davvero l’altro era la persona
più tranquilla che avesse mai
conosciuto, e per questo si sentì mortificato, per essersi
dimenticato di lui,
ancora di più.
«Ragazzi,»
proruppe, appoggiando una mano sulla spalla
dell’altro. «lui è Mark» non
si mise a spiegare nulla, perché gli altri due
sapevano già chi fosse: anche se non si vedevano spesso, si
sentivano in
continuazione. Vide un rossore passare anche sulle guance di Liam, che
probabilmente si stava sentendo in imbarazzo per il suo stesso motivo;
al
contrario, Louis sorrise leggermente, come si stesse forzando a farlo,
porgendo
una mano per presentarsi.
Zayn trovò la reazione del
maggiore un po’ troppo contenuta,
rispetto ai suoi esuberanti canoni, ma decise di non farci caso,
perché
probabilmente si stava solo immaginando cose che, invece, non
c’erano.
«Le vostre dame?»
chiese, guardandosi in giro e non
scorgendole.
«In giardino. Si sono perse
nella bellezza delle sfumature
di colore» disse Liam, in quella che Zayn registrò
come una pessima imitazione
dell’accento di Grace, che lui aveva già
conosciuto.
«Capisco»
commentò, riflettendo il sorriso degli altri due.
«Amici»
d’un tratto, gridò da lontano Niall, che
evidentemente
era riuscito a scappare dalle grinfie della suocera.
«Facciamo un brindisi»
propose avvicinandosi agli altri quattro.
Niall fece un cenno al barman, senza
neanche attendere che
gli altri acconsentissero, perché era il suo matrimonio.
Brindarono, e Louis se ne venne fuori
con le battute più
sconce e imbarazzanti che conosceva.
Aggiustandosi con facilità
nel discorso con gli altri tre,
come fosse una seconda pelle, non si accorse che Mark non aveva neanche
toccato
il suo bicchiere.
Quando, dopo un’ora
abbondante, si girò dalla sua parte, il
ragazzo non c’era più.
*
Scusandosi con gli altri tre, si mise
a cercarlo per
l’hotel.
Che imbecille, prima lo invitava e
poi non lo calcolava per
tutto il tempo, escludendolo completamente da ogni discorso. Dalle sue
amicizie, da quella che era stata la sua vita.
Ripensandoci, tendeva a farlo sempre;
preferiva, per tutta
una serie di motivi, non parlare degli One Direction, né con
Mark né con altri,
ma – anche se non c’aveva mai riflettuto
– quel suo mutismo doveva significare
la presenza di un grande buco nero, nella loro storia.
Dopo aver controllato nella Hall e
aver visto che lì non
c’era, decise di cercare nel fantomatico giardino. Prima,
però, per sicurezza
avrebbe sbirciato fuori, perché magari era semplicemente
lì a fissare il sole e
a prendere un po’ d’aria.
Uscì e guardò a
destra e a sinistra, ma non c’era nessuno.
Poi, l’occhio gli cadde di
fronte a sé, e le sue gambe
diventarono di gelatina come per magia.
A due metri da lui, bello
com’era nei giornali e com’era
sette anni prima, c’era la persona che meno voleva rivedere,
l’incontro che
avrebbe voluto rimandare il più a lungo possibile.
Con occhiali da sole e capelli
più ricci di quanto
ricordasse, Harry Styles lo stava guardando di rimando.
*
Il suo primo impulso era stato quello
di girarsi e
tornarsene dentro, magari scappare in camera sua e nascondersi
lì fino alla
fine dei festeggiamenti.
Poi, raddrizzò la schiena,
dandosi dell’idiota: Harry era
proprio come Louis e Liam e Niall, per lui.
Provò a convincersene, ma,
col passare degli anni, non era
diventato più bravo, a mentire. Soprattutto, non a se stesso.
Harry era tutto, meno che solo un
amico, per lui. Avrebbe
dovuto esserlo, e Zayn ricordava che c’era stato un periodo
in cui lo era stato.
In cui vederlo lo rallegrava, ma non gli faceva battere il cuore; in
cui
sentirlo ridere lo divertiva, ma non gli illuminava la giornata.
Harry era una spina conficcata nel
cuore a tale profondità
che, se l’avesse tolta, avrebbe sanguinato così
copiosamente da morir
dissanguato.
Si sentiva patetico come non mai, e
non solo perché dopo
sette anni provava ancora la stessa sofferenza all’idea di
non averlo per sé,
ma anche perché, tra i due, sapeva bene di essere
l’unico a rimpiangere
qualcosa che non c’era mai davvero stato.
Non al di fuori della sua testa,
perlomeno. O, meglio ancora,
delle sue stupide fantasie.
Vide Harry avvicinarsi, con una
sicurezza che avrebbe voluto
avere anche lui.
«Ehi» lo
salutò, come non fossero passati cinque anni
dall’ultima volta in cui si erano visti faccia a faccia.
«Ciao, Harry»
ricambiò, le mani che fremevano al pensiero di
toccarlo e pungevano per la consapevolezza che non sarebbe successo.
Avrebbe voluto abbracciarlo, come
aveva fatto con gli altri
tre, ma non si fidava.
Non si fidava di uscirne tutto
integro, mentalmente.
Si ricordò
perché era stato così felice che Mark fosse
venuto con lui. Se fosse stato lì, magari, si sarebbe
sentito meno sopraffatto
da tutte quelle emozioni vecchie e nuove, insieme.
«Scusa,»
iniziò. «stavo cercando una persona. Ci vediamo
più
tardi» concluse, perché era vero e
perché, allontanarsi da lui, era l’unico
modo per riacquisire una parvenza di tranquillità mentale
fisica spirituale.
Senza perdere tempo ad aspettare una
qualche risposta e
senza voltarsi a guardarlo un’altra volta (perché
non era così
masochista), rientrò dentro e si diresse verso il giardino.
***
Un mese di concerti era
già alle spalle e avevano fatto così
tante date, cantato così spesso le stesse canzoni, mosso gli
stessi passi così tante
volte che Zayn non sapeva proprio come avrebbe fatto a resistere altri
sette
mesi. In più, presto avrebbero lasciato il Regno Unito e
visto i palazzetti
delle più importanti città europee. E poi
americane e australiane, e la gente
li invidiava per l’immensa possibilità che avevano
di girare il mondo. In
realtà, vedevano davvero poco, di qualsiasi posto in cui
volassero. Certo,
erano stati più volte a New York o a Los Angeles, erano
stati per più giorni in
Giappone, ma di Parigi, Madrid, Milano, avevano visto solo le camere
d’albergo.
Non si lamentava, comunque, tutto quello era più di quanto
avrebbe osato
sperare nei suoi sogni più arditi.
Avevano cinque giorni di pausa in
concomitanza con la
Pasqua, che lui non festeggiava, e li avrebbe usati tutti per vedere la
sua
famiglia che, solo di sfuggita, aveva avuto modo di incontrare durante
la data
di Manchester.
Tornare a Bradford era sempre una
doccia fredda, di cui lui
aveva bisogno per riappacificarsi col mondo. Era bello vedere come per
sua
madre lui fosse sempre il ragazzino che passava troppo tempo in camera
a
leggere fumetti e per Doniya il fratello insopportabile che non poteva
stare un
giorno senza farle uno scherzo.
Waliyha e Safaa crescevano a vista
d’occhio e pensare che
lui si stesse perdendo tutto quello gli pungeva lo stomaco, ma i loro
sorrisi
avevano sempre il potere di calmare le sue ansie.
Il terzo giorno, Harry gli aveva
detto che l’indomani sarebbe
passato a prenderlo in macchina, dato che Holmes Chapel non distava
troppo da
Bradford e lui preferiva guidare piuttosto che prendere un aereo. Zayn
aveva
sorriso, perché l’idea di un viaggio con
l’altro era più gradita di quello con
cento sconosciuti.
Come tornare era meraviglioso,
andarsene, non sapendo quando
avrebbe rivisto i suoi genitori e le sue sorelle, era opprimente, ma il
sorriso
con cui Harry l’aveva accolto non appena entrato in macchina
aveva dissipato
ogni suo brutto pensiero.
«Come stai?»
aveva chiesto, neanche fossero passati decenni
dall’ultima volta in cui si erano visti.
«Bene» aveva
risposto, e lo sguardo di Harry gli aveva fatto
capire quanto l’altro sapesse che no, non stava bene, ma che,
in fondo, non
c’era davvero bisogno di dirlo.
Gli aveva dato un colpettino sulla
coscia e poi, prima che
tutto diventasse troppo sentimentale, gli aveva lasciato un pizzicotto
che
l’aveva fatto sobbalzare.
Harry aveva ridacchiato e acceso la
radio, lasciando che la
musica riempisse l’abitacolo.
*
Prima di entrare a far parte di una
boyband non aveva mai
pensato che sarebbe potuto accadere a lui. Poi erano diventati famosi
in tutto
il mondo e tutte le ragazzine li conoscevano e su Intenet avevano
iniziato a
girare le voci più assurde. C’era chi lo definiva
terrorista, e la cosa lo
faceva stare talmente male che le dicerie che sostenevano fosse gay
passavano
davvero in secondo piano.
Da ragazzino, gli era capitato di
ammirare il fisico del suo
amico Danny, ma aveva pensato che fosse dovuto al fatto che
l’altro fosse più
grande. Non era desiderio.
Solo che, magari, lo era davvero, e
lui non se ne era mai
accorto fino a che Harry non l’aveva trascinato, dopo un
concerto, in un club,
e aveva iniziato a sussurrargli all’orecchio e quello era
qualcosa a cui era
abituato, ma allo stesso tempo era qualcosa di completamente nuovo.
Durante i
concerti, erano quasi costretti a parlarsi in quel modo,
perché il rumore era
assordante e in nessun altro caso avrebbero potuto sentirsi. Le fan
andavano in
brodo di giuggiole, ma davvero non c’era nulla di malizioso,
in quei momenti.
Lì, invece, dove le luci
erano ancora più impazzite che sul
palco, e dove la gente ballava senza curarsi di loro, Zayn si era
sentito quasi
soffocare.
Era assurdo, l’odore di
Harry era lo stesso di sempre e la
sua mano era appoggiata sulla sua schiena, proprio sul punto in cui si
era
fermata altre mille volte.
Era tutto uguale a sempre, solo che
era tutto diverso.
Le labbra di Harry erano ricoperte da
una leggera patina di
sudore che lui avrebbe voluto leccar via, e Zayn non capiva
più da dove quei
pensieri gli uscissero.
Una volta, durante il tour
precedente, era stato così
ubriaco che il giorno dopo non si era preoccupato, quando si era
ricordato dei
suoi pensieri poco casti sul sedere di Liam, perché,
appunto, era ubriaco e
così tanto che, probabilmente,
se gli avessero chiesto come si chiamasse non se lo sarebbe ricordato.
Si era reso conto, però,
che quella scusa non poteva
reggere, se l’unico liquido che avesse ingerito era
l’acqua al concerto. Magari
qualcuno aveva voluto fargli uno scherzo e gliel’aveva
corretta con della vodka.
Sì, magari vodka insapore.
Era talmente sconcertato dai suoi
pensieri, che si era
staccato di botto dall’altro. Harry l’aveva
guardato stranito, senza capire
cosa stesse accadendo, ma Zayn non poteva certo spiegarglielo.
Se l’avesse fatto, poi
avrebbe dovuto ucciderlo. Non voleva
immaginarsi lo sguardo stupito che Harry avrebbe fatto se lui gli
avesse detto
che la sua vicinanza l’aveva eccitato, e di certo voleva
risparmiarsi quello
schifato o quello impietosito.
Per questo, con una scusa si era
allontanato verso il bagno.
Si era sciacquato la faccia, perché magari quello lo avrebbe
calmato, e aveva
cercato di ricordarsi quanto gli piacessero le forme delicate dei corpi
femminili e le mani piccole di Perrie e la sua risata squillante.
Era ridicolo avere una crisi sessuale
così tardi,
soprattutto se per così tanto tempo era riuscito a
sopprimere tutto sotto la
frenesia delle sue giornate.
Avrebbe voluto dimenticarsi di tutto,
lasciare lì Harry e
tornare all’albergo. Magari dormire fino al giorno dopo,
saltare il concerto.
Sapeva di non poter fare nessuna di quelle cose, per cui si era fatto
forza,
aveva controllato che sui tratti del suo viso non fosse possibile
leggere il
suo turbamento, ed era uscito.
*
«Ehi, tutto ok?»
si era informato Harry, non appena Zayn gli
si era ripresentato davanti.
Zayn, non fidandosi della sua voce,
aveva semplicemente
annuito e quello aveva contribuito ad aumentare la preoccupazione
dell’amico.
«Vuoi che ce ne
andiamo?» aveva, infatti, chiesto.
Zayn c’aveva pensato un
attimo, decidendo che se fosse
andato a dormire in quel momento, non si sarebbe addormentato mai,
troppo preso
dalla confusione che il corpo di Harry continuava a creargli nel
cervello.
«No,» aveva
risposto. «beviamo qualcosa»
*
Aveva come l’impressione
che qualcosa si fosse trasformato
in molto e poi in
troppo e
che, se fossero tornati all’hotel quando Harry
l’aveva proposto, sarebbe stato
meglio.
Riusciva a malapena a mettere in fila
frasi di senso
compiuto e le parole gli uscivano tutte strascicate. Stava facendo
difficoltà a
capirsi da solo, immaginava che l’altro non fosse riuscito a
decifrare nulla di
quello che aveva detto da un certo momento della nottata in poi.
A un certo punto, Harry, che era
messo un po’ meglio di lui,
gli aveva tolto dalla bocca l’ultimo bicchiere che aveva
ordinato e l’aveva
trascinato fuori. Avrebbe dovuto sentire freddo, ma era così
ubriaco che
sarebbe potuto andare in giro nudo e sentire caldo lo stesso.
Harry aveva fermato un taxi e ce
l’aveva infilato dentro con
delicatezza, per poi entrare a sua volta.
Senza preoccuparsi di nulla, Zayn si
era appoggiato a lui,
stringendolo con un braccio alla vita, mentre sentiva che
l’altro iniziava ad
accarezzargli i capelli.
Si sarebbe addormentato, se il
respiro di Harry e i suoi
muscoli sotto le dita non fossero stati così perfetti da
ucciderlo.
Si era ritrovato a pensare a quanto
sarebbe stato bello e
giusto se avesse potuto far scivolare le sue mani sotto alla maglietta
dell’altro, se avesse potuto sentire sulla lingua il sapore
della pelle di Harry,
se avesse potuto assistere al momento in cui il suo respiro sarebbe
cambiato a
causa delle sue carezze.
Si chiese cosa gli stesse succedendo,
da quando non
riuscisse neanche più a ragionare, come fosse possibile che
in una sera fosse
impazzito a quel modo e soprattutto per qualcuno che conosceva da anni
e che
era sempre stato suo amico. Si chiese cosa avrebbe fatto se quelle
sensazioni
non fossero scomparse miracolosamente il giorno dopo, ma fossero
rimaste e
fossero cresciute e poi diventate insopportabili, quando già
in quel momento
non riusciva a mandarle giù. Si chiese come si sarebbe
comportato se l’altro
l’avesse scoperto, come avrebbe reagito Harry. Forse si
sarebbe spaventato e
non gli avrebbe parlato più.
Non era convinto che avrebbe
sopportato tutto ciò.
Non era neanche convinto di volerlo
davvero sapere.
*
Erano arrivati all’hotel e
Zayn neanche si era reso conto di
trovarsi davanti alla porta della sua camera, con Harry che lo
sorreggeva per
un fianco e con una mano rovistava tra le sue tasche.
«Che cerchi?»
aveva chiesto, allarmato, perché tutto quel
tastare non lo stava aiutano. Affatto.
«Le tue chiavi»
aveva risposto, a bassa voce.
Oh, aveva pensato Zayn, quello aveva
senso. Si era sforzato
di ricordarsi dove le avesse ficcate. Probabilmente nel giacchetto.
«Nel giacchetto?»
aveva ipotizzato, perché di solito le
teneva lì, con il cellulare.
«Non ci sono»
aveva detto Harry, un pizzico d’impazienza a
colorargli la voce.
«Uh» aveva
commentato lui intelligentemente. «Allora non lo
so» aveva strisciato la s
e Harry
aveva sbuffato. Zayn aveva aggrottato la fronte, al suono. Non era mica
colpa
sua se non riusciva a ricordarselo, no? E doveva anche andare al bagno
o se la
sarebbe fatta addosso.
«Devo andare al
bagno» aveva informato l’altro che, in tutta
risposta, aveva iniziato a trascinarlo via da lì. Si era
fermato solo di fronte
a un’altra porta, identica quasi in tutto alla sua, e aveva
tirato fuori la sua
chiave.
«Ce la fai o devo
aiutarti?» aveva chiesto Harry, una volta
entrati, con un filo d’ironia. Zayn gli aveva lanciato quello
che sperava
essere uno sguardo truce ma che probabilmente era così
appannato da far ridere
e basta.
*
Quando era uscito dal bagno, Harry
era in boxer, steso sopra
il letto.
Forse aveva deciso di ucciderlo,
perché il cuore aveva preso
a battergli così velocemente che di certo avrebbe distrutto
la cassa toracica e
la gola gli si era seccata così tanto che neanche
l’oceano Pacifico avrebbe
compensato a sufficienza.
«Dormi qui,» gli
aveva proposto, come se fosse nomale,
quando invece Zayn era sul punto di esplodere. «alla chiave
ci pensiamo domani,
ok?»
Zayn aveva scrollato le spalle,
più per convincere se stesso
che l’altro che non gliene importasse poi molto, di dove
avrebbe dormito, e si
stese sul letto, senza azzardarsi a togliersi nulla.
Preferiva dormire scomodo piuttosto
che pelle contro pelle
con Harry.
«Ma che fai?»
aveva sentito la voce dell’amico chiedere.
Zayn si era voltato dalla sua parte, guardandolo come se non capisse a
cosa si
stesse riferendo. Che poi era vero, la sua testa non riusciva a
concentrarsi su
nulla che non fosse la stanza in movimento.
«Uhm?» aveva
bofonchiato, deglutendo a fatica. Aveva bisogno
di bere.
«L’ho messa
lì» aveva asserito Harry, indicando il comodino
dalla sua parte. Zayn si era voltato e aveva visto un bicchiere colmo
d’acqua
fare bella mostra di sé: avrebbe preso a saltare, se solo
fosse riuscito a
mettersi in piedi. Aveva bevuto e gli era sembrato quasi di rinascere.
«Grazie» aveva
detto, sorridendo all’altro, per poi
apprestarsi a rimettersi giù, anche se quella posizione gli
faceva girare anche
l’anima.
«No, davvero,»
aveva ripreso un’altra volta Harry. «non ti
sei accorto di essere ancora vestito oppure vuoi dormire
così?» l’aveva
canzonato. Zayn aveva risposto con un altro mugolio, ridandogli la
schiena e
chiudendo gli occhi, pregando ogni divinità che conoscesse
affinché l’altro
lasciasse cadere il discorso.
Ma, dato che l’altro era Harry,
Zayn era stato piuttosto ingenuo a sperare una cosa del genere.
Il più piccolo aveva
iniziato a strattonargli la maglietta e
poi i pantaloni, e quando aveva preso a tirargli i capelli, Zayn non
aveva
potuto far altro che girarsi e dargli fuoco con lo sguardo.
Harry l’aveva fissato,
ridendo tra sé e sé, completamente
ignaro di quanto la sua nudità lo stesse mettendo a dura
prova.
«Harry» si era
lamentato, ma l’altro non aveva dato segno di
voler cedere, e nel giro di mezzo minuto gli aveva tolto la maglia.
Zayn l’aveva guardato per
vedere se fosse soddisfatto, ma Harry,
per tutta risposta, gli era salito sulle ginocchia. Aveva preso ad
armeggiare
con la chiusura dei suoi pantaloni e Zayn non era riuscito a evitare la
formazione di pensieri impudichi, nel suo cervello.
Si era sentito arrossire fino alla
gola e alle orecchie, e
sarebbe volentieri voluto morire quando l’altro gli aveva
sfiorato con la punta
delle dita la pelle della pancia e il suo uccello si era risvegliato.
Aveva sperato che non si accorgesse
della sua crescente
erezione, ma la mano di Harry stava tirando giù la zip, e
Zayn aveva potuto
vedere la sua espressione mutare, da birichina a stupita a compiaciuta,
nel
giro di un secondo.
«Uh uh» aveva
riso, come il bambino di tre anni che era.
«Sei eccitato, Zayn?» avrebbe voluto negare, ma
avevano l’evidenza che quella fosse
la pura verità lì, sotto i loro nasi.
Zayn si era coperto gli occhi con un
braccio, troppo
devastato dalla serata, per difendersi.
«Da quanto è che
non vai a letto con qualcuno?» aveva
chiesto, curioso e impertinente, e Zayn aveva sentito la sua pelle
bruciare
d’imbarazzo più di prima, anche se credeva che non
fosse possibile.
Con le gambe, aveva cercato di
detronizzare l’amico, ma
l’altro gli aveva afferrato i fianchi, peggiorando solo la
sua situazione.
«Se vuoi, posso
aiutarti» aveva detto Harry, con sufficienza
nella voce.
In quattro parole, l’aveva
ucciso e mandato all’Inferno.
Voleva toccare ed essere toccato dall’altro, tanto da star
male, ma la sua
testa gli diceva che tutto quello avrebbe potuto portarli solo a
conseguenze
disastrose.
La mano di Harry aveva preso a
solleticargli l’orlo dei
boxer, però, e la sua testa si era spenta completamente.
Si era detto che nulla sarebbe
cambiato, tra loro, che
qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe rimasta relegata in quella
stanza. E
che, in quel modo, avrebbe potuto far chiarezza tra i dubbi che gli
erano sorti
nelle ultime ore.
Aveva fissato i suoi occhi in quelli
di Harry, che gli stava
sorridendo, a metà tra il divertito e il rassicurante.
Senza neanche aspettare che Zayn gli
facesse un qualunque
cenno d’assenso, aveva afferrato l’orlo che fino a
quel momento aveva
torturato, e gli aveva sfilato i boxer.
***
Il bar, che da come era stato
decorato sembrava tutta
un’altra stanza, era colmo di uomini.
Non era il primo addio al celibato a
cui partecipava, ma di
certo era il più caotico.
Le luci erano basse, talmente tanto
che a stento riusciva a
vedere dove stava mettendo piede. Solo un piccolo palco, allestito per
l’occasione, era illuminato e – per il momento
– completamente vuoto.
Zayn vide il futuro sposo passare da
una persona all’altra,
le guance già arrossate e un bicchiere in mano.
«Zayn, amico» gli
urlò da qualche metro di distanza, facendo
voltare verso di lui tutti quelli che si trovavano lì
attorno. Proprio quello
che sperava non succedesse.
Niall corse verso di lui, rischiando
di inciampare sui suoi
piedi un paio di volte.
«Il bar è zona
rossa» gli sussurrò in un orecchio. La musica
era così assordante, che fece difficoltà a
comprendere ogni parola, pure lui.
«L’ho
già incontrato» lo informò, immaginando
che si
riferisse a Harry. Buon, caro Niall, pensò con affetto.
Cercò di sorridere,
perché non voleva che l’altro si preoccupasse per
lui proprio quel giorno.
Lo abbracciò e
annuì una volta, come a dirgli che stava
bene, che non doveva pensare a lui.
«Che ti ha
detto?» gli chiese Mark, non appena l’altro li
lasciò soli.
«Niente» disse
Zayn, scrollando le spalle. «Solo che non
vede l’ora che arrivino le spogliarelliste»
mentì.
Si sentì un po’
in colpa, ma Mark, di Harry, non sapeva
nulla e quella non era certo la situazione migliore per parlargli della
parte
di passato che gli aveva tenuto nascosta. A esser sinceri, non sapeva
se quel
momento sarebbe mai arrivato.
*
Vide Liam e Louis spostarsi per la
stanza, salutando tutti e
sorridendo allegramente, ma Zayn evitò di entrare nel loro
mirino: sapeva che
era stupido, ma aveva come l’impressione che, se si fosse
fermato a parlare con
loro, Harry sarebbe spuntato come per magia.
Non era il caso di incontrarlo di
nuovo, quel pomeriggio era
già stato abbastanza imbarazzante.
Non poté, però,
fare a meno di chiedersi se l’altro fosse
accompagnato oppure no. Qualche ora prima, l’aveva visto da
solo, ma quello
poteva significare tutto come nulla.
Non sapeva neanche se Harry stesse
con qualcuno, in quel
periodo. I giornali scandalistici erano sempre pieni di fotografie che
lo
ritraevano accompagnato con questo o quel ragazzo, proprio come sette
anni
prima era sempre stato circondato da modelle. Zayn aveva imparato a non
farsi
un’idea in base a quello che leggeva, ormai, e comunque
tendeva a evitare
quelle riviste. Utilizzava anche Internet al minimo, proprio per lo
stesso
motivo.
Non che quelle precauzioni avessero
funzionato ogni volta;
c’era sempre un Dj alla radio che lo nominava o un amico
comune che gliene
parlava, per cui non era completamente allo scuro della vita
sentimentale del
più piccolo.
Come Niall, Harry era rimasto nel
mondo della musica ed era
diventato ancora più famoso. Aveva intrapreso la carriera da
solista, cioè
quella che, in fondo, aveva sempre desiderato fare, e una volta sciolti
gli One
Direction non si era più guardato indietro. (O, almeno,
così credeva Zayn.
Sapeva che con gli altri si teneva sempre in contatto, ma lui non lo
sentiva da
una vita e mezzo).
Il suo successo immediato non
l’aveva stupito, neanche
quando aveva iniziato a trasformare il suo sound in uno che si
confacesse
maggiormente ai suoi gusti; non si era sorpreso che fosse riuscito a
far
innamorare di sé anche persone che avessero passato la
pubertà da qualche anno.
Non avrebbe, però, potuto
dire la stessa cosa quando aveva
fatto outing. E, ok che, a quel tempo, era il 2017 e ormai viveva per
più parte
dell’anno nella liberale Los Angeles che a Londra, ma
c’era ancora chi
ritenesse una mossa del genere fin troppo azzardata. E Harry era solo
all’inizio, non era del tutto affermato: avrebbe potuto
bruciarsi sul nascere,
tarparsi le ali da solo, distruggere ogni sua possibilità.
Una volta in più, il
piccolo del gruppo aveva dato
dimostrazione di tenacia e ostinazione, e di essere cresciuto
abbastanza da far
valere il suo volere.
Zayn era stato orgoglioso di lui,
soprattutto perché – sette
anni prima – pensare che Harry avrebbe davvero potuto fare
una cosa del genere,
sembrava impossibile.
Cercò di sbirciare verso
il bar, senza farsi vedere, ma
c’era davvero troppa gente perché lui potesse
distinguere alcunché.
«Vado al bar, vuoi
qualcosa?» gli urlò Mark, distogliendolo
dai suoi pensieri rivolti al passato.
No no no,
gli
ripeté la sua testa. Poi si tranquillizzò,
perché Harry di certo non conosceva
il suo ragazzo e Mark non era proprio il tipo da attaccar bottone con
gente
sconosciuta.
«Una birra?» gli
uscì più come una domanda che come
un’affermazione, ma Mark annuì lo stesso e si
allontanò.
Lo venne a salutare Greg, il fratello
di Niall, che –
alticcio pure lui – commentò quanto quel
matrimonio sarebbe stato di sicuro
migliore del suo.
Mentre parlava con un tizio che non
si ricordava di aver mai
incontrato, la stanza fu riempita da musica lenta e seducente, e le
luci si
abbassarono ancora di più. Non che Zayn credesse fosse
possibile.
Due donne vestite da poliziotte
entrarono muovendosi
sinuosamente, nel più grande di tutti i cliché, e
proprio mentre Niall veniva
fatto sedere davanti al palco e le spogliarelliste davano il via allo
spettacolo, Mark tornò, recando doni.
Gli passò la birra, che
Zayn sorseggiò. Guardò di sottecchi
l’altro, che aveva gli occhi rivolti alle donne ma che non le
stava vedendo
davvero.
Gli sfiorò il braccio,
attirando la sua attenzione e
rapendolo dai suoi pensieri.
Mark cercò di sorridergli,
e magari Zayn non era la persona
più empatica del mondo, ma non ci voleva una laurea a capire
che qualcosa
l’aveva turbato.
Si chiese cosa potesse essere. Si
erano separati per poco
più di dieci minuti e fino a quel momento era stato tutto
tranquillo. Come un
lampo, l’ipotesi che Mark avesse davvero parlato con Harry
gli balenò il
cervello. Ma no, e poi cosa
avrebbero
potuto dirsi?
Nulla, appunto.
***
La mattina dopo, si era svegliato con
il mal di testa più
grande della storia. Non aveva potuto piangersi addosso troppo,
però, ché i
ricordi della notte precedente l’avevano assalito come un
fiume in piena, e con
essi erano arrivati anche i dubbi che l’avevano assillato per
tutta la serata.
Solo che non erano più
dubbi. Erano mezze certezze, e Zayn
avrebbe voluto soffocarsi col cuscino.
Harry era ancora lì, e
quello era più che ovvio, visto che
la stanza d’albergo era le sua e l’ospite lui.
Avrebbe dovuto alzarsi e
andarsene, ma aveva la testa pesante e ogni parte del corpo
incapacitata a
muoversi.
Si era voltato verso
l’altro, che dormiva ancora
placidamente su un fianco. Poteva vedergli il volto, mezzo coperto dai
suoi bei
riccioli, e il petto, che si alzava e abbassava ritmicamente. Tutto il
resto
era oscurato alla vista dal lenzuolo, che Zayn non aveva mai odiato
così in
vita sua.
Harry era bellissimo, e lui un povero
stupido che si faceva
convincere a buttare all’aria tutta la sua
serenità, per cosa? Qualche carezza
lasciva, un’occhiata maliziosa, un orgasmo che avrebbe anche
potuto raggiungere
da solo?
Le mani di Harry erano grandi e
calde, le sue dita ruvide e
un po’ callose e Zayn avrebbe voluto farsi toccare
dall’altro per sempre.
Quasi avrebbe riso. Il giorno prima
era certo,
completamente, di chi fosse e cosa volesse, e adesso si trovava
lì, steso tra
lenzuola non sue, dove aveva fatto cose che con ogni
probabilità non si
sarebbero ripetute. A prescindere dalla sua volontà.
Anche perché Harry doveva
essere stato ubriaco quanto lui,
anche se in realtà gli era sembrato molto più
sobrio, e appena si fosse
svegliato, avrebbe iniziato a urlare e strapparsi i capelli e, magari,
l’avrebbe anche picchiato. Ok, picchiato, no, Harry era
contro la violenza
tanto quanto lo erano le cicale, ma tutto il resto, l’avrebbe
fatto eccome.
A malapena aveva sentito, immerso
com’era nei suoi pensieri,
l’altro muoversi e stirarsi. Harry aveva aperto gli occhi, e
li aveva fissati
nei suoi, per nulla stupito.
«’Giorno»
aveva biascicato, la voce ancora impastata dal
sonno.
Zayn era arrossito, poteva sentire un
calore affatto
confortevole avvolgergli il volto, arrivargli fino ai piedi. Aveva
tossicchiato, imbarazzato, ma la gola era comunque rimasta bloccata.
Harry l’aveva guardato,
improvvisamente incerto. «Tutto ok?»
aveva chiesto, come se per lui fosse normale amministrazione
risvegliarsi nudo
accanto a uno dei suoi migliori amici. Magari lo era, aveva pensato
Zayn, con
fin troppa amarezza.
Quanto era patetico.
«Certo» si era
forzato a dire, come se quella situazione gli
fosse completamente indifferente. Pensava di aver finto piuttosto bene;
si era fatto
i complimenti.
«Vuoi farti una doccia per
primo?» aveva proposto, gentile.
«Oppure preferisci se la facciamo insieme?» aveva
aggiunto, provocandogli
l’istantanea morte celebrale.
Zayn non era mai stato molto bravo a
resistere alle
tentazioni, soprattutto quando queste gli si offrivano volontariamente.
*
Harry l’aveva spinto contro
il muro freddo e bagnato, e Zayn
non aveva potuto trattenere un gemito strozzato, specialmente a causa
delle
mani dell’altro che avevano iniziato a vagare su tutta la sua
pelle.
Harry gli aveva sorriso, come a
tranquillizzarlo, senza
accorgersi che – in quel modo – otteneva il
risultato opposto.
Si era avvicinato e aveva posato le
sue labbra sul collo di
Zayn, lasciando una scia umida di baci che arrivava fino al petto, per
poi
risalire dall’altra parte. Si era soffermato sulla scritta Friday, probabilmente sorridendo al
ricordo di come quella storia
fosse nata. Pensare che Harry lo ritenesse a quel modo sexy gli aveva
mandato
un’altra serie di brividi di piacere lungo la colonna
vertebrale.
Aveva tremato, e Harry gli aveva
stretto i capelli,
tirandoglieli leggermente.
L’aveva osservato per
qualche secondo, gli occhi verdi resi
opachi dal piacere, e si era avvicinato ancora di più,
facendo combaciare alla
perfezione ogni parte dei loro corpi. Zayn aveva sentito il battito del
suo
cuore accelerare, quando l’altro aveva spostato
l’attenzione sulle sue labbra,
e si era riscoperto a bramare di essere baciato e di baciare Harry, con
tutto
se stesso.
Aveva inclinato un po’ la
testa, dando un tacito consenso.
Poi, rompendo l’incanto,
Harry si era inginocchiato e, senza
perdere tempo, gli aveva afferrato l’uccello e se
l’era portato alle labbra.
Zayn si era detto che, se fosse stato
fortunato, prima o
poi, avrebbe scoperto tutte le meraviglie che quella bocca era in grado
di
compiere. Doveva solo essere paziente.
*
Si erano rivestiti, immersi in un
silenzio confortevole.
Il cellulare di Zayn si era messo a
squillare, e con la
testa ancora scombussolata che si ritrovava, c’aveva messo un
po’ a individuare
dove stesse. Era Liam: non l’aveva trovato in stanza, quando
era andato da lui
per svegliarlo, sapendo quanto ci mettesse per prepararsi, e gli
chiedeva dove
si fosse cacciato.
Come fossero state pedine del domino,
Liam gli aveva fatto
tornare in mente la band e l’Etichetta e le fan, e quanto
tutto quello che era
successo con Harry nelle ultime dodici ore avrebbe influenzato il loro
rapporto, e – in conseguenza – tutto il resto.
Con la mente annebbiata, divertirsi
col più piccolo gli era
sembrata la cosa più giusta e naturale; adesso, si era reso
conto che avrebbe
potuto inficiare il loro modo di comportarsi uno intorno
all’altro e di certo
le fan, e Niall, Liam e Louis, ancor prima, se ne sarebbero accorti.
Non
importava che non rimpiangesse l’accaduto in sé e
che, anzi, avrebbe voluto
rifarlo e rifarlo e rifarlo, perché in ballo c’era
qualcosa di troppo più
grosso di quello. Non sapeva
neanche
come definirlo.
Si era reso conto di non riuscirci
perché non aveva neppure
avuto il tempo di pensarci; di pensare se fosse saggio, cosa
significasse per
se stesso e, soprattutto, per Harry. Aveva agito, spinto
dall’istinto più
cieco, e gli era piaciuto, ma – per lui – far parte
della pop band più
acclamata del momento era già abbastanza stressante, non
vedeva come aggiungere
anche tensione interna al gruppo avrebbe potuto aiutarlo.
Aveva preso un respiro profondo,
organizzando i propri
pensieri, e poi si era voltato verso Harry, che non sembrava per nulla
turbato
dalla situazione e che aveva la stessa espressione gioviale di sempre.
«Ehm» aveva
iniziato, attirando l’attenzione del più
piccolo. «Siamo ok, giusto?» aveva chiesto, senza
riuscire a dare un vero senso
alla frase. «È tutto come… come prima,
sì?» e nella sua testa, qualcosa gli
urlava che no, nulla era uguale al giorno precedente: non tanto tra di
loro,
quanto proprio in lui, che aveva lasciato che l’altro
spalancasse quel vaso di
Pandora che era rimasto sigillato così bene per tutti quegli
anni, e adesso si
trovava a combattere la Terza Guerra Mondiale con il suo cervello.
Aveva visto una luce strana
attraversare gli occhi di Harry,
ma era stato così veloce, che Zayn non aveva fatto in tempo
a decifrarla. Si
era chiesto se, magari, anche Harry avesse i suoi stessi dubbi.
«Certo» aveva
risposto poi, sorridendo, e Zayn aveva internamente scosso le spalle,
dandosi
dello sciocco. Probabilmente, era stata tutta colpa della luce.
*
La sicurezza di Harry non
l’aveva tranquillizzato davvero.
Quando, pochi minuti dopo, erano
scesi per far colazione
nella sala a loro completamente riservata, gli altri li stavano
aspettando già
seduti, e nessuno era sembrato sconvolto dal fatto che avessero dormito
nello
stesso letto, perché accadeva spesso a tutti loro, di
condividerne uno.
Non voleva dire, però, che
avrebbero avuto la medesima
reazione anche a scoprire cosa
avevano fatto su quel letto. O sotto la doccia.
Era stato un po’ guardingo,
all’inizio, in tensione e in
attesa. Che gli altri capissero, forse, o che Harry smettesse di
parlargli.
Ma nulla di quello era successo, e
per la millesima volta
nell’ultima ora, Zayn si era dato dell’idiota per
aver anche solo supposto che
l’altro potesse comportarsi diversamente, per avergli fatto
un pompino. Harry
era la persona meno imbarazzabile che conoscesse e, pensandoci, quella
non era
neanche stata la sua prima volta con un altro uomo.
Nell’amico, Zayn non aveva
percepito minimamente quell’insicurezza che, invece, aveva
provato lui, e tutti
loro sapevano bene quale fosse la concezione di Harry, su
quell’argomento.
E, comunque, Harry
gliel’aveva assicurato che tutto andava
bene, tra loro, no?
Mentre arrivava a questa conclusione,
aveva sentito una mano
posarsi sulla sua spalla e si era girato.
«Tutto bene?» gli
aveva domandato a bassa voce Harry, con le
fossette in bella mostra.
Zayn aveva annuito, dicendosi che si
stava facendo paranoie
per nulla.
*
C’era stato un attentato a
Chicago. Erano scoppiate due
bombe in un grosso centro commerciale, i morti erano stati centinaia e
centinaia, i feriti erano altrettanti.
Era la fine di maggio, e stavano per
partire per l’America e
tutto il loro staff era in fermento.
La notizia aveva agitato un
po’ tutti e sconvolto il mondo,
per l’ennesima volta.
Zayn non aveva fatto che ricevere
occhiate preoccupate dagli
altri quattro, che sapevano quanto la gente potesse diventare ostile
con lui,
per le sue origini, soprattutto dopo eventi del genere. Era
già successo in
passato, e le prime volte la cosa l’aveva sconvolto. Poi,
aveva imparato a
evitare Twitter.
Cercava anche di uscire il meno
possibile, anche meno del
solito, ma stavano per partire, appunto, e lui non poteva semplicemente
rimandare e restarsene nascosto nella sua casa di Londra. Per quanto
gli
dispiacesse, non poteva neanche teletrasportarsi.
Quindi si era messo un cappello con
visiera, che comunque
non lo mascherava per niente, e aveva seguito gli altri fino
all’aeroporto,
nella speranza che se avesse guardato abbastanza a lungo per terra,
prima o poi
sarebbe diventato invisibile. Sapeva che era assurdo doversi nascondere
per chi
era, ma era stanco. Di un sacco di
cose.
Non vedeva l’ora di salire
sull’aereo.
Quando, dopo aver fatto il check-in,
il loro volo era stato
annunciato, Zayn aveva salutato i suoi genitori, come gli altri avevano
fatto
con i loro, e si era allontanato il più in fretta possibile.
Aveva tratto un respiro di sollievo,
perché non era successo
nulla, e magari una volta in più lui si era preoccupato per
qualcosa che era
solo nella sua mente.
Ma poi, dopo ore di viaggio,
l’aereo era atterrato in un
continente troppo distante da casa, dove l’aria aveva un
odore del tutto
diverso e i suoni erano ancora più assordanti.
Stavano uscendo dal gate, quando Zayn
si era sentito
chiamare. Non che avessero pronunciato il suo nome. Sapeva che avrebbe
fatto
meglio a non alzare lo sguardo, ma era stato più forte di
lui. Tre ragazzi,
forse un po’ più grandi di Louis, lo stavano
fissando come avessero appena
mangiato un limone intero. Era stato facile pretendere di non sentirli
urlare terrorista o
tornatene a casa; erano distanti e l’aeroporto era
trafficato, ma
Zayn sapeva che, se per lui fingerlo era diventato quasi un meccanismo
naturale
di difesa, per gli altri era tutta un’altra storia.
Aveva visto Louis quasi scattare e,
allo stesso tempo,
aprire la bocca per rispondere, prima che Paul lo prevenisse e gli
mettesse una
mano sulla spalla, come avvertimento.
Gli sconosciuti, ridendo, se ne erano
andati, e Zayn – senza
quasi accorgersene – aveva preso a tremare.
Si era scusato, dicendo che doveva
andare in bagno ed era
quasi corso, per raggiungerlo il più velocemente possibile.
Si sentiva quasi
sull’orlo delle lacrime, ma un attimo di
tranquillità e silenzio, magari, gli
avrebbe calmato i nervi.
Non era la prima volta e –
si disse – con ogni probabilità
non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Avrebbe voluto imparare a
gestire quei
momenti; si ricordava di come, quando l’anno precedente era
accaduta la
medesima cosa, Perrie fosse rimasta sdraiata con lui per un giorno
intero, a sussurrargli
parole di conforto. L’aveva stretto a sé e lui
avrebbe quasi desiderato
ribellarsi, perché non voleva farsi vedere in quel modo, da
lei. Ma poi si era
detto che poteva lasciarsi andare proprio perché
lì c’era Perrie e nessun
altro.
Solo che la ragazza di certo non
sarebbe comparsa
magicamente di fronte a lui. Doveva accontentarsi dell’acqua
corrente, che – se
ne rendeva conto anche lui – era un palliativo piuttosto
debole.
Mentre si asciugava il volto e
cercava di controllare il
respiro, aveva sentito la porta del bagno aprirsi, e per una frazione
di
secondo aveva anche temuto potessero essere i ragazzi di prima.
Poi, si era voltato e aveva visto il
volto un po’ contrito
di Harry, che lo guardava non del tutto sicuro che la sua presenza
lì fosse ben
accetta.
Aveva notato come lo sguardo
dell’altro si fosse
improvvisamente addolcito, come fosse stato di fronte a un pulcino o a
un
agnello pronto al macello, e Zayn si era sentito patetico come non mai
e di
nuovo sull’orlo delle lacrime. Aveva distolto lo sguardo,
perché, se no,
avrebbe pianto davvero.
Aveva sentito i passi
dell’altro farsi sempre più vicino, e
quando le mani di Harry gli avevano stretto delicatamente le braccia,
non era
più riuscito a continuare il suo attento studio delle
piastrelle del pavimento.
«Stai tremando»
aveva costatato Harry.
Zayn non aveva risposto. Il suo corpo
sarebbe stato meno
scosso, anche se fosse uscito nudo di casa in pieno inverno, quindi
Zayn non
vedeva proprio dove stesse il senso nel cercare di negarlo. O di
confermarlo,
per quello che valeva.
Le mani di Harry avevano iniziato ad
accarezzarlo lentamente
e Zayn si era subito scaldato, neanche quello che sentisse fosse
davvero
freddo.
Zayn aveva continuato a stare in
silenzio, assaporando quel
momento e quel contatto di cui non si era permesso di sentire la
mancanza, ma
che anelava comunque con tutto se stesso.
«Zayn» aveva
sussurrato Harry, con voce bassa e roca, e Zayn
si era immediatamente dimenticato perché si trovasse in un
bagno
dell’aeroporto.
Il ragazzo più giovane si
era avvicinato un altro po’, tanto
che i loro petti combaciavano, e l’aveva guardato negli
occhi. Zayn vi aveva
letto affetto, ma non compassione, e questa cosa l’aveva
risollevato almeno un
po’.
Poi, Harry si era proteso e gli aveva
lasciato un bacio
sulla guancia, e Zayn aveva sentito un intenso calore partire dal punto
che
l’altro aveva appena sfiorato e irradiarsi per tutta la sua
faccia.
Le labbra dell’altro erano
così vicine che sarebbe bastato
sporgersi di mezzo centimetro, per farle collidere con le sue, ma
– anche se in
quel mese abbondante da quando avevano fatto roba
(come aveva preso l’abitudine di definirla nel suo
cervello)
non aveva fatto altro che pensarci e bramare di conoscere il sapore
dell’altro
– non aveva il coraggio di fare la prima mossa. La paura di
essere rifiutato
combatteva sempre con il desiderio e ogni volta vinceva.
Come se l’altro avesse
letto nei suoi timori, si era sporto
lui di nuovo, ma quella volta la sua bocca si era appoggiata su quella
di Zayn,
che istantaneamente aveva chiuso gli occhi.
Aveva anche dimenticato che qualcuno
sarebbe potuto entrare
e vederli, perché tutto quello che contava, al momento,
erano le grandi mani di
Harry tra i suoi capelli e le sue che, preso coraggio, avevano
cominciato a
vagare per tutta la schiena dell’altro. Poi, come qualcuno
avesse rallentato il
tempo, il bacio si era fatto meno frenetico e più languido,
come se davvero
avessero avuto tutto il tempo del mondo per esplorarsi.
Non sapeva neanche quanto tempo fosse
passato, quando Harry
si era staccato e aveva appoggiato la fronte contro la sua, un sorriso
rassicurante a illuminargli il volto.
Zayn aveva sorriso a sua volta e con
stupore si era accorto
di non tremare più.
Senza dire altro, ma tirandolo
solamente per la maglietta,
Harry si era voltato e l’aveva trascinato con sé
fuori dal bagno.
*
Aveva provato a non pensarci troppo.
Era stremato e iniziava
a odiare il suo lavoro, era sulla vetta del mondo e tutto quello che
voleva era
rotolare giù e giù, nascondersi da tutti, non
dover più tentare di soddisfare
le aspettative di milioni di fan, essere se stesso senza dover nulla a
nessuno.
Si era odiato, per tutti quei
pensieri così egoisti, perché
a lui era stata data un’opportunità più
unica che rara, e adesso quasi voleva
restituirla, e si era sentito così poco grato per tutto
quello, pur sapendo che
non era giusto e rispettoso e un sacco di altre cose.
Aveva come l’impressione,
però, che non avrebbe dovuto
sforzarsi così tanto, e lottare contro se stesso, per
tenersi aggrappato a quel
sogno (che forse non lo era più da qualche tempo), che non
sarebbe dovuto
essere un peso, fare quello che amava.
E, ancor peggio, a tutte quelle seghe
mentali si
aggiungevano quelle che Harry aveva risvegliato, e davvero non ce
n’era
bisogno.
Stava già abbastanza male
senza doversi preoccupare di
quello che significassero, per lui, tutte le sensazioni che
l’altro gli aveva
fatto provare. Senza chiedersi se il petto solido dell’altro
gli piacesse più o
meno di quello morbido di una ragazza. Senza domandarsi se volesse
esplorare
ancora e più profondamente qualcosa a cui aveva paura di
dare un nome.
Per quanto avesse provato a chiudere
il cervello a ogni
immagine, c’erano momenti, soprattutto nelle ore
più buie della notte, quando
la stanza o il bus o l’aereo era impregnato di silenzio, in
cui non riusciva a fingere
di non ricordare il tocco delle lunghe dita di Harry sulla sua pelle o
il
sapore della sua bocca o come, con un solo sguardo, l’altro
fosse in grado di
calmarlo e – allo stesso tempo – accelerargli il
battito cardiaco.
Il problema maggiore,
però, era che, se i ricordi erano di
per sé innocui, il suo istinto (che faceva a cazzotti con il
cervello e gli
diceva di ricercare il corpo di Harry, per primo) si faceva sempre
più forte e
incontrollabile, e Zayn non sapeva quanto ancora avrebbe resistito.
*
Erano nello stato di Washington,
dieci giorni dall’inizio
del tour americano, e Zayn quella sera aveva osservato Harry saltare
per il
palco, urlare e far strillare le fan più del solito.
Anche gli altri se ne erano accorti,
di quanto il più
piccolo del gruppo fosse particolarmente intenibile. Avevano riso e
fatto
battute, e Zayn di solito li avrebbe imitati a cuor leggero.
L’avrebbe fatto, se Harry
non avesse improvvisamente deciso
di azzerargli la saliva avvicinandosi a lui ogni volta che non si
trovavano dalle
parti opposte del palco, sussurrandogli all’orecchio con
qualsiasi scusa,
toccandolo più di quanto fosse necessario.
Aveva pensato che la sua
immaginazione gli stesse facendo
qualche scherzo, ma conosceva l’altro ragazzo da cinque anni
ed era quasi certo
che stesse tentando con tutte le sue forze di eccitarlo, anche se non
capiva
bene il motivo.
Erano passati secoli
dall’unica volta in cui si erano toccati
e, se si escludeva il bacio, si
poteva dire che, da allora, nulla gli avesse fatto pensare che il loro
rapporto
fosse mai stato più che platonico.
E, adesso, Harry – come se
nulla fosse – aveva passato tutta
la sera a lanciargli sguardi mezzi infuocati e sorrisi sbilenchi, e
Zayn non
sapeva né cosa pensare né come comportarsi.
Aveva deciso di lasciar correre, di
non masturbarsi il
cervello con altri quesiti e di continuare a cantare come se non avesse
un solo
pensiero al mondo.
*
Quando erano tornati in albergo,
tutto quello che voleva fare
era dormire. Per secoli.
Si era costretto a fare una doccia,
dicendosi che dopo si
sarebbe certamente sentito meglio.
Aveva infilato un paio di boxer e
null’altro, perché era
troppo caldo e faceva fatica a respirare pure in quel modo.
Stava per gettarsi a peso morto nel
letto, quando un rumore
alla porta l’aveva distratto; qualcuno stava bussando ed
erano quasi le due di
notte. L’idea di lasciare che, chiunque lo stesse
disturbando, si arrendesse e
se ne andasse gli aveva attraversato il cervello, e Zayn era quasi
tentato di
seguire quel suo consiglio mentale.
Ma il rumore gli stava uccidendo i
timpani, e la persona,
invece di tornarsene da dove fosse venuta, si era fatta ancora
più insistente.
Con un lamento in gola, si era
trascinato fuori dal letto e
aveva aperto la porta.
Zayn si era detto che non si sarebbe
dovuto stupire troppo
di aver trovato Harry, dall’altra parte dell’uscio.
«Ciao,»
l’aveva salutato, un sorriso malizioso a colorargli
il volto. «il condizionatore della mia stanza si è
rotto. Posso dormire qui?»
aveva chiesto.
Zayn aveva alzato gli occhi al cielo.
«Non è vero» aveva
sostenuto.
«Ehi, così mi
offendi» aveva scherzato, posando una mano sul
petto, in prossimità del cuore. «Ok, non si
è rotto» aveva ammesso quasi
subito, e Zayn l’aveva osservato inquisitorio.
Harry aveva sorriso, come faceva
sempre quando voleva
ottenere qualcosa, e Zayn l’aveva visto all’opera
troppo spesso, per non sapere
cosa volesse.
Era una pessima idea, ogni nervo e
neurone del suo cervello
glielo stava urlando, ma Zayn già poteva sentire qualcosa
risvegliarsi nei suoi
boxer e solo in quel momento si era reso conto di essere praticamente
nudo.
Il sorriso di Harry si era allargato,
e Zayn si era sentito
arrossire. Il più piccolo, sfruttando le sue incertezze,
aveva allungato una
mano e l’aveva posata sul petto di Zayn, solleticando la
pelle della gola e
della clavicola, percorrendo i contorni dei tatuaggi che decoravano il
suo
corpo.
«Harry,» aveva
provato a opporre resistenza. «cosa stai
facendo?»
Harry l’aveva fissato come
se quella domanda fosse assurda,
e senza rispondere si era sporto verso Zayn, in un perfetto remake di
quanto
accaduto all’aeroporto, e il più grande aveva
sentito le sue aspettative
crescere all’unisono con la sua eccitazione.
Poi, Harry aveva posato le sue labbra
sul suo collo,
iniziando a baciare leccare mordere la pelle delicata, e Zayn non si
era
nemmeno accorto che l’altro aveva iniziato a spingerlo
all’interno della stanza
e aveva chiuso la porta, escludendo il resto del mondo.
Zayn si era chiesto se quello fosse
possibile. Se davvero
potessero godersi quei momenti vissuti nel pieno della notte, quando
tutto il
resto tace in una morte provvisoria, senza chiedersi nulla, senza
sapere cosa
significassero e dove li avrebbero portati.
Come accadeva ormai troppo spesso,
Zayn aveva cacciato quei
pensieri inopportuni e aveva chiuso gli occhi.
*
Quando si era svegliato, i suoi occhi
erano caduti sulla
figura di Harry, steso accanto a lui, e non si era stupito.
Era un po’ confuso,
perché da qualche tempo non riusciva più
a capire cosa volesse e tutta quell’incertezza, nel rapporto
con l’altro, non
lo aiutava.
Come se Harry avesse percepito il suo
sguardo sulla sua
schiena, si era girato, stiracchiandosi e strofinandosi gli occhi.
«Uhm» aveva
grugnito, neanche fosse un animale. «Che ore
sono?» aveva chiesto, guardandosi intorno, come se la
risposta stesse per
apparirgli da un momento all’altro di fronte.
Zayn aveva ricercato il cellulare e
si era accorto che
avrebbero potuto dormire almeno un altro paio di ore. «Troppo
presto, per
svegliarsi» aveva commentato, richiudendo gli occhi, nella
speranza che il
sonno lo catturasse di nuovo.
«Dunque» aveva
ripreso a parlare Harry, dopo qualche minuto
di silenzio. «adesso ti piacciono anche gli
uomini?»
Zayn aveva spalancato gli occhi di
botto e aveva sussultato
come qualcosa l’avesse punto. L’altro aveva parlato
con indifferenza e con una
nota di divertimento nella voce, e forse con altro ancora che non era
in grado
di identificare.
C’aveva pensato un
po’, anche se ormai la risposta era
chiara, dentro di sé.
«Forse…»
aveva mormorato, lasciando mezza sospesa la frase.
«Non so se mi piacerebbe fare, ehm…»
aveva aggiunto vergognandosi a morte. Ma,
almeno, era stato sincero, e con Harry sapeva di poterlo essere, non
solo
perché era suo amico, ma anche perché –
tra tutti quattro – era l’unico che
potesse capirlo fino in fondo.
«Se vuoi» aveva
iniziato il più piccolo, e Zayn, quella
volta, aveva potuto sentire come le parole fossero un po’
incerte. «posso
aiutarti a scoprirlo» aveva suggerito.
Se Zayn avesse dato retta al brivido
d’eccitazione che
l’aveva scosso alle parole dell’altro, avrebbe
già accettato a pieni polmoni.
C’era qualcosa, in Harry, che lo rendeva diverso da chiunque
altro avesse mai
visto, e tutto quello che Zayn desiderava era stare steso lì
con lui, per
sempre.
«E tu perché
vorresti farlo?» aveva invece domandato,
seguendo la ragione.
Harry aveva scrollato le spalle, e da
quella posizione il
gesto era parso talmente ridicolo che, se la situazione fosse stata
diversa,
sarebbe scoppiato a ridere. «Il tour è
stressante» aveva snocciolato. «Non
sempre abbiamo la possibilità di uscire, scaricare la
tensione» si era zittito,
e Zayn aveva già in mente di rifiutare l’offerta,
perché, cavolo, Harry
aveva parlato come se lui fosse una specie di bambola
gonfiabile da usare quando tutto il resto non fosse stato disponibile.
«E poi
siamo amici, no?» aveva concluso, sorridendo nel modo
più rassicurante
possibile.
Zayn si era detto che
l’altro aveva centrato il punto. Però,
a pensarci bene, aveva anche ragione. Quella soluzione avrebbe avuto
riscontri
positivi per entrambi, con un po’ di fortuna, e comunque
erano abbastanza
grandi da non lasciare che quanto accadeva in camera da letto
distruggesse la
loro amicizia, e di conseguenza la band.
«Se lo facciamo»
aveva cercato conferme. «Se facciamo questa
cosa, non cambierà nulla tra noi, giusto?»
Harry l’aveva osservato,
quasi serio, ma poi il suo volto si
era aperto in un’espressione molto più sua della
precedente. «Certo» aveva
assicurato.
Zayn aveva annuito, come a cercare di
convincersi che non
stavano facendo qualcosa che li avrebbe distrutti.
«Direi che potremmo
iniziare subito, no? Quale tempo
migliore del presente?» l’aveva risvegliato Harry,
con la sua voce roca. «Se
non ricordo male, mi devi un pompino»
Zayn aveva alzato le sopracciglia
talmente tanto che,
probabilmente, erano scomparse sotto la zazzera di capelli arruffati
che si
trovava in testa, e poi era scoppiato a ridere.
Si era alzato e si era avviato verso
il bagno.
Senza neanche girarsi, sapeva che
Harry avrebbe capito e
l’avrebbe seguito.
*
Era strano, ma non spiacevole, aveva
deciso.
In ginocchio di fronte a Harry, con
la doccia scrosciante
che gli raffreddava la pelle, doveva ammettere che gli piaceva
più di quanto
avrebbe pensato possibile.
Non tanto il sapore, quanto
più la sensazione di potere che
provava con l’uccello del più piccolo in bocca.
Che era tutto un fremito e un
sospiro, anche se per Zayn quella era la prima volta e, di sicuro,
Harry era
stato succhiato da un sacco di gente più esperta di lui.
Aveva sorriso al pensiero
che l’altro volesse incoraggiarlo a tal punto, e aveva messo
tutto se stesso
nel cercare di dargli piacere.
Gli piacevano i suoni che uscivano
dalla bocca di Harry, per
merito suo, e le sue mani impigliate tra i suoi capelli, che li
tiravano ogni
volta che Zayn muoveva la lingua in un determinato modo, su un
particolare
punto.
Si era scostato, quando
l’altro l’aveva avvertito di star
per venire, e guardando il volto scosso di Harry, aveva decretato che,
sì,
stando a quanto era successo negli ultimi minuti, gli uomini gli
piacevano
eccome.
*
Non si incontravano in maniera
regolare; Harry aveva sempre
qualche amico in ogni città in cui stavano per
più di un giorno, e spesso la
sera usciva con loro, con persone che né Zayn né
gli altri conoscevano, e, la
mattina dopo, Internet era stravolto dalla notizia
dell’ultima conquista di
Harry.
A lui non importava, ovviamente,
perché loro due non stavano
insieme e nessuna regola gli impediva di passare anche lui la notte con
qualcun
altro, se voleva. Più spesso che non, però, si
era ritrovato ad ambire a una
tranquilla notte di sonno, piuttosto che a una selvaggia di sesso con
qualche
sconosciuto.
*
La prima volta che aveva scopato
Harry, si trovavano a
Seattle.
Il più piccolo
l’aveva guardato come volesse divorarlo e gli
aveva stretto le gambe ai fianchi.
Zayn non aveva capito di essere
pronto a spingersi sino a
quel punto, fino a quando Harry non gli aveva ficcato in mano una
bottiglietta
di lubrificante e gli aveva bruciato il cervello con una sola parola.
«Zayn» aveva
mormorato, neanche fosse una preghiera e lui
una qualche divinità.
Zayn si era sentito improvvisamente
sull’orlo di un
precipizio, senza sapere nemmeno lui il motivo.
Poi, a occhi chiusi,
l’aveva baciato, soffocando il respiro
pesante di Harry e i pensieri che si agitavano nella sua testa.
*
Zayn avrebbe preferito essere da
tutt’altra parte, piuttosto
che lì, seduto a quel tavolo, ad aspettare che venissero
acclamati come i
vincitori dell’ennesimo, stupido award.
Era un onore e tutto quanto, ma
c’era troppa gente che non
conosceva e troppa che conosceva, e
dopo sarebbero stati costretti ad andare a un’ancor
più stupida festa, pure se,
il giorno dopo, avevano un matinée. Li odiava, i
matinée.
Cantanti e attrici si fermavano in
continuazione a parlare
con loro; a essere sinceri, la maggior parte si intratteneva con Harry,
che le
fissava tutte come fossero state le più belle del mondo.
Zayn avrebbe voluto sbuffare,
perché gli occhi pieni di luce
e di speranza di quelle ragazze erano ridicolosamente patetici e un
po’ tristi,
tanto che provava quasi il desiderio di avvertirle.
Quando, dopo aver ritirato il loro
premio, si erano rimessi
a sedere, aveva ringraziato un’indefinita entità
per il fatto che, perlomeno,
non si sarebbero dovuti esibire.
*
Se la cerimonia era stata noiosa, e
c’era da aspettarselo,
la festa sarebbe dovuta essere tutt’altra cosa.
Erano a Los Angeles, che era un
po’ come dire la patria del
divertimento, ma a Zayn tutte quelle luci stavano dando sui nervi.
Non riusciva a capire quale fosse il
suo problema: tutti gli
altri si stavano godendo la musica o un cocktail o la compagnia di
qualcuno che
poi non avrebbero rivisto per molto tempo, e anche Liam sembrava essere
completamente a suo agio. Immaginava che, in quei cinque anni, molte
cose
fossero cambiate, a partire da loro stessi.
Non voleva fare la figura del
rompicoglioni assoluto, però,
e quindi si era costretto ad alzarsi dal tavolo che era stato loro
riservato e
a raggiungere il bar. Aveva deciso che una birra era tutto quello di
cui avesse
bisogno, al momento.
Aveva lasciato che i suoi occhi
vagassero tra la folla:
Niall stava ballando con altri ragazzi, che probabilmente aveva
conosciuto lì,
Liam stava stretto a Danielle, tanto quanto Louis lo era a Eleanor.
Harry, invece, stava parlando con
qualcuno che non riconosceva.
Tutto quello che poteva vedere erano le spalle larghe e i capelli scuri
leggermente lunghi, e che era alto, visto che superava il suo amico.
Poteva vedere anche il volto di
Harry, anche se avrebbe
quasi preferito di no.
Era illuminato da un sorriso vero e
diverso da quello che
aveva dedicato a tutte le altre persone con cui l’aveva visto
parlare durante
la serata, e Zayn si era chiesto da quando s’interessasse
delle sfumature nel
volto dell’altro e, soprattutto, perché
così di punto in bianco gli importasse
qualcosa, che Harry stesse riservando ad altri
quell’espressione.
Con una rapida scrollata di testa,
aveva scacciato l’ipotesi
che potesse trattarsi di un pizzico di gelosia, perché non
aveva senso, e si
era detto che, con ogni probabilità, dipendeva dal fatto
che, se Harry andava a
letto con il tizio, Zayn avrebbe dovuto rinunciare alla scopata che
aveva
appena scoperto di desiderare, a meno che non si fosse messo a cercare
qualcun
altro.
Stava giusto iniziando a guardarsi in
giro, quando aveva notato
una ragazza avvicinarsi. Aveva i capelli neri così lunghi
che sembravano non
aver fine, e un corpo che era tutto una curva sinuosa.
Aveva una voce calda, aveva scoperto
quando si era
presentata, e gli occhi verdi come le foreste più fitte, e
in un secondo aveva
deciso che avrebbe fatto di tutto per portarsela in camera.
Proprio mentre stava radunando le sue
cose per lasciare il
locare con Leila (almeno così gli era parso di capire che la
ragazza si
chiamasse), il suo sguardo aveva incontrato quello di Harry.
L’amico gli aveva
regalato un vago sorriso e un cenno di saluto, per poi voltarsi di
nuovo a
parlare con lo sconosciuto.
Da quella distanza e con quelle luci
sconvolgenti, Zayn non
era riuscito a decifrare la posa che avevano assunto i tratti di Harry,
e
quando la ragazza aveva stretto una braccio al suo fianco aveva smesso
di
pensarci.
*
Il giorno dopo, era stato facile
scacciare Lilian (o Luisa?)
con la scusa del concerto.
Quel giorno avevano due spettacoli, e
lui già aveva voglia
di tornare sotto le lenzuola. O, magari, sopra, perché era
luglio e non voleva
morire tra onde di sudore.
Era sceso a far colazione e Niall
l’aveva accolto con una
battutina scema che gli aveva guadagnato un’occhiata
incendiatrice. Louis aveva
riso, perché era un idiota e Liam era arrossito vagamente,
perché era Liam. Harry
non aveva mosso un muscolo,
perché, evidentemente, non gliene importava poi molto, di
chi si fosse portato
a letto, quella notte, e Zayn si era detto che fosse giusto in quel
modo.
Prendendo una tazza di tè,
aveva cercato di affogare il
grumo di amarezza che gli si era formato nello stomaco, a quel pensiero.
*
Erano a New York, invece, quando
aveva ricevuto un messaggio
di Perrie.
Non era la prima volta che si
risentivano, dalla rottura – ovviamente,
anche se i primi tempi ogni volta che vedeva il nome della ragazza
comparire
sullo schermo del cellulare, Zayn sentiva il suo stomaco aggrovigliarsi
su se
stesso e tentare il suicidio.
Poi l’iniziale dolore
sordo, che aveva preso il posto che
prima era occupato da Perrie, era progressivamente scomparso, e Zayn
aveva
iniziato a rispondere alle sue chiamate come avrebbe fatto con quelle
di una
cara amica. Perché, in fondo, senza che se ne accorgessero,
erano diventati
proprio quello, l’una per l’altro.
A New York, gli aveva detto, sarebbe
stata anche lei – con
le Little Mix – proprio durante le date dei concerti che la
band avrebbe tenuto
in città. Le era parso un’ottima occasione per
rivedersi, visto che erano
passati secoli
dall’ultima volta che
si erano parlati di persona.
«Un
tè» aveva proposto la ragazza, consapevole che,
per
quello, Zayn avrebbe anche osato farsi vedere in pubblico.
Così, poiché New
York offriva di tutto, si erano dati appuntamento a un sala da
tè in stile British,
dove erano stati insieme già in passato.
Erano entrambi piuttosto consapevoli
del fatto che,
l’indomani, Internet sarebbe stato pieno di foto di loro due
insieme,
attorniate dalle ipotesi di una loro riappacificazione, ma –
dopo un iniziale
turbamento – Zayn si era detto che non poteva lasciare che
tutto quello condizionasse
la sua vita, e aveva abbandonato ogni ansietà alle spalle.
Non si ricordava come fosse parlare
con Perrie; quanto lo
tranquillizzasse e lo divertisse, allo stesso tempo. Lei aveva sempre
significato casa per lui, e i
primi
tempi in cui non l’aveva avuta accanto si era sentito proprio
come un orfano.
Avevano riso di tuto, fino a quando
Perrie non si era fatta
improvvisamente più seria. Zayn aveva capito che voleva
dirgli qualcosa, ma
forse non sapeva come, e si era zittito.
«Io…»
aveva cominciato lei, un po’ insicura. Poi l’aveva
guardato negli occhi e quello le aveva dato abbastanza forza da
continuare a
parlare. «Ho conosciuto una persona. Ci
frequentiamo» aveva dichiarato, e Zayn
si sarebbe aspettato di provare un minimo di gelosia, perché
Perrie era stata sua per tanto
tempo, invece tutto quello
che sentiva era contentezza, per l’altra ragazza. E, a esser
sinceri, un
pizzico d’invidia, perché lui non poteva
condividere una notizia simile, con
lei.
«Volevo dirtelo
io» aveva aggiunto, e Zayn aveva sorriso
come a tranquillizzarla.
«Ti tratta bene,
sì?» si era informato, a metà tra serio
e
faceto, un meglio di me che
aleggiava
tra loro due, non detto. Lei aveva continuato a sorridere, come non
aveva
smesso di fare da quando aveva visto la reazione di Zayn, e aveva
annuito.
«E tu?» aveva
chiesto, e a Zayn erano venuti in mente le
grandi mani di Harry e il sapore dei suoi baci, ma si era dato dello
sciocco
subito, perché quella era tutta altra cosa.
Non si aspettava il peso che sembrava
essere spuntato magicamente
allo stomaco, al pensiero.
«Uhhh»
l’aveva preso in giro, con gli occhi spalancati.
«Conosco quello sguardo, Zayn! Chi è, chi
è?» aveva cantilenato.
Zayn aveva alzato gli occhi al cielo.
«La conosco?»
aveva continuato a tormentarlo. E giù tutta
una serie di domande a cui Zayn non sapeva proprio che rispondere.
«Non…»
aveva lasciato in sospeso, pensando per qualche
secondo se raccontarle qualcosa. «Non è una
ragazza» aveva deciso, in attesa di
una reazione.
Perrie era rimasta immobile nella
stessa posizione e con la
stessa espressione, cercando di assorbire le parole
dell’altro, e poi aveva
preso a battere le mani, neanche fosse stata una bambina di cinque anni.
«Devo
conoscerlo»
aveva asserito, e Zayn avrebbe quasi riso dell’assoluta
mancanza di domande.
«Non… non stiamo
insieme» aveva affermato, e lui stesso
aveva potuto sentire la nota di disappunto che aveva colorato la sua
voce.
«Ma vorresti»
aveva replicato Perrie, studiandolo in volto.
«No» aveva
risposto d’impulso, ma proprio mentre lo diceva,
il suo cuore aveva preso a battere al ritmo di bugiardo-bugiardo-bugiardo.
«Non lo so» aveva ammesso, poi.
C’erano già
stati dei momenti in cui si era ritrovato a
pensarci, ma li aveva sempre cacciati come fossero mosche
particolarmente
fastidiose. Non ne vedeva il punto, oltretutto. Se anche avesse ammesso
a se
stesso di provare qualcosa per Harry, non sarebbe cambiato nulla,
perché, per
l’altro, loro erano solo due amici che ogni tanto si
divertivano. E Zayn era
sempre stato più che soddisfatto, di quella specie di patto.
Almeno fino a quel
momento, a quanto sembrava, con Perrie che lo fissava come volesse
scavargli
nell’anima.
Zayn se n’era rimasto
zitto, sperando che la ragazza
lasciasse cadere il discorso. Con un sospiro di frustrazione, Perrie
aveva preso
un sorso di tè e aveva iniziato a cianciare
dell’ultimo film che aveva visto
con le ragazze.
Zayn gli aveva sorriso, riconoscente.
*
«Ehi, Zayn»
l’aveva salutato Niall, non appena era entrato
nel camerino, un paio d’ore prima dell’inizio del
concerto. Poi anche gli altri
tre si erano voltati nella sua direzione e tutti erano ammutoliti.
«Ehm, ciao
Perrie» aveva aggiunto l’Irlandese, un
po’ incerto di cosa volesse star a
significare la presenza della ragazza lì.
«Ci siamo visti per
tè» aveva spiegato Zayn, mentre Perrie
andava a salutare con un abbraccio gli altri membri della band.
«Mi ha pregato di farla
venire» aveva concluso,
beccandosi un’occhiata scherzosamente infuriata da lei.
«Dobbiamo iniziare a
prepararci» se era uscito Harry, e Zayn
avrebbe quasi detto che il tono dell’altro era scocciato,
anche se non capiva
per cosa. Quella mattina, l’altro era stanco ma allegro, come
sempre. Una volta
in più si era stupito del corso dei suoi pensieri, e del
fatto che fossero
rivolti, con preoccupazione, all’altro. Si sarebbe dato uno
schiaffo in fronte,
perché tutto quello poteva finire solo molto male, per lui.
«Io vado a mescolarmi alle
fan impazzite, allora» aveva
decretato Perrie, per nulla sconvolta dal tono freddo del
più piccolo, e, dopo
aver lasciato un ultimo bacio sulla guancia di Zayn, era uscita.
«Siete tornati
insieme?» aveva chiesto Liam, quasi pronto a
festeggiare.
Zayn aveva scosso la testa.
«No, no. Siamo amici» si era
sentito in dovere di specificare.
Per il benestare di chi o che cosa,
non lo sapeva nemmeno
lui.
*
Avrebbe avuto bisogno di un
massaggio, per affrontare il concerto,
ma mancavano dieci minuti all’inizio e già i
tecnici li stavano richiamando
all’ordine. Che strazio.
Zayn aveva tratto un respiro
profondo, e solo due ore, si era
detto, per darsi un
po’ di forza e un minimo di carica. Voleva anche fare bella
figura con Perrie,
che non li sentiva cantare dal vivo dall’anno precedente.
E poi, come altre mille volte prima,
erano stati sbalzati su
da quelle specie di ascensori ed erano stati accolti da una folla
urlante.
Zayn aveva lasciato il pilota
automatico e si era
abbondonato alle note conosciute e ai passi imparati a memoria, e aveva
cominciato a cantare.
Sarebbe andato avanti a quel modo per
tutta la durata del
concerto, se non fosse stato per Harry, che sembrava essere sempre
accanto a
lui, anche quando non doveva, e gli distruggeva la concentrazione, e
gli
passava vicino e gli sussurrava all’orecchio stupidaggini di
cui avrebbe potuto
anche fare a meno.
A un certo punto, si era sentito
strattonato da dietro e si
era rilassato inconsapevolmente quando aveva capito che era proprio
Harry. Si
era sentito quasi arrossire, quando l’altro si era strusciato
su di lui,
cercando di non essere troppo palese, nelle intenzioni, e gli aveva
mormorato
piano all’orecchio dopo dovresti
proprio venire
in camera mia.
Zayn aveva quasi ansimato per
l’anticipazione.
*
In albergo, il più piccolo
gli aveva dato a malapena il
tempo di farsi una doccia e si era presentato in camera sua.
«Non dovevo venire
io?» gli aveva domandato, guardandolo
scettico, e l’altro aveva scrollato le spalle, richiuso la
porta dietro di sé,
e l’aveva afferrato, come non ci fosse un domani.
Zayn aveva percepito addosso tutta la
forza dell’altro, che
lo sovrastava in altezza e in peso e sembrava aver deciso che, quella
sera,
Zayn sarebbe stato completamente alla sua mercé. Aveva
sentito un brivido
d’eccitazione attraversargli tutto il corpo,
all’idea, e si era lasciato
trasportare in un bacio appassionato.
Harry l’aveva spinto fino a
che le sue ginocchia non avevano
battuto contro il letto e l’aveva fatto stendere, la pelle
ancora umida dalla
doccia che rendeva le lenzuola più fresche del previsto.
Zayn aveva disconnesso il cervello,
vinto dal piacere che
tutte le attenzioni dell’altro gli stavano dando, e a
malapena si era accorto
che Harry si era sistemato tra le sue gambe aperte e aveva cominciato
ad
accarezzarlo per tutto il corpo.
Le mani dell’altro lo
stavano divorando e Zayn avrebbe
voluto che continuassero a farlo per sempre.
Avrebbe voluto che Harry facesse
qualcosa per la sua
erezione congestionata, ma l’altro, senza curarsene, la stava
volutamente
evitando. Zayn sentiva gemiti sempre più insistenti uscire
dalle sue labbra
spalancate, e non riusciva a trattenerli, anche se avrebbe voluto,
perché, se
avesse continuato così, qualcuno sarebbe arrivato a bussare
alla porta e tutto
quello che Zayn non voleva era che
Harry smettesse di baciarlo, toccarlo e guardarlo. In quel momento,
Zayn era il
centro dei suoi pensieri e tutto era perfetto.
Troppo preso dal caldo che sentiva
ovunque, non si era
neanche accorto che Harry si era fermato. Quando aveva riaperto gli
occhi,
l’altro aveva in mano una bottiglietta di lubrificante, e,
per la prima volta
da quando era entrato, lo stava fissando incerto.
Come una folgorazione, Zayn aveva
capito cosa Harry volesse
e si era riscoperto a volerlo anche lui, allo stesso modo. Forse di
più. Aveva
annuito, cercando di rilassarsi e di non morire al pensiero che la
persona che
– forse, probabilmente, magari, non lo sapeva neanche lui
– gli piaceva, stava
per scoparlo per la prima volta. In assoluto. Aveva un po’
paura del dolore, ma
il desiderio di sentirlo dentro di sé era talmente
più forte, che il suo cuore
aveva preso a battere forsennato e la gola gli si era seccata e le mani
avevano
incominciato a tremargli.
Ma, poi, tutto era diventato
semplicemente Harry e quello aveva
spazzato via ogni
suo timore.
*
Dalla finestra aperta entrava una
leggera brezza che
rinfrescava l’aria estiva, e Zayn avrebbe continuato a
dormire ancora se non
fosse stato per il corpo accanto al suo, che aveva cominciato a
muoversi
nervosamente.
Zayn aveva allungato una mano, per
toccarlo e
immobilizzarlo, perché gli stava facendo venire il mal di
testa.
Aveva sospirato contento quando il
silenzio si era diffuso
di nuovo per la stanza.
«Zayn» aveva
mormorato Harry, con la voce arrochita dal
sonno. Zayn aveva aperto gli occhi, perché sarebbe stato
inutile ricercare il
sonno quando l’altro voleva parlare o fare sesso. O entrambe
le cose.
Harry era girato su un fianco, gli
occhi puntati ai suoi, e
Zayn teneva ancora la mano sulla sua spalla. Con un movimento che aveva
richiesto tutta la sua forza di volontà, aveva assunto la
stessa posizione
dell’altro.
«Uhm» aveva
borbottato, comunicandogli che era attento,
all’incirca.
«Dove l’hai
comprato?» aveva chiesto, e Zayn per un attimo
non aveva capito a cosa si stesse riferendo. Poi, aveva notato che le
dita di
Harry stavano accarezzando l’anello che portava alla mano
destra. Era un
acquisto recente, l’aveva visto alla vetrina di un negozio
lì a New York,
proprio il giorno precedente con Perrie, e ne era rimasto affascinato,
benché
la forma tondeggiante non fosse nulla di particolare. Gli piaceva il
colore,
però, un bel rosso scuro che l’aveva attirato
senza un motivo preciso.
«Qui, ma non mi ricordo il
nome della via» aveva risposto,
sinceramente. Con i nomi faceva un po’ schifo.
Era rimasto un po’ a
osservare Harry mentre toccava l’anello
e la sua mano, delicatamente, con movimenti teneri che di solito tra
loro
mancavano del tutto.
«È
bello» aveva decretato, con convinzione, e Zayn –
senza
pensarci – aveva sfilato la mano da quella
dell’altro e poi l’anello dal dito,
e gliel’aveva porto. Harry aveva guardato con confusione ogni
suo movimento e,
incerto, aveva preso l’anello, una domanda stampata in faccia.
«Prendilo, se ti
piace» aveva detto Zayn, e un sorriso era
nato sulle labbra di Harry.
«Sei sicuro?»
aveva chiesto, con una voce calda che – Zayn
credeva – non avrebbe mai potuto dimenticare.
«Sì, non
è che sia particolarmente importante, per me»
aveva
affermato, più che altro per placare il suo cervello, che
continuava a urlargli
cosa un anello significasse, normalmente. Zayn, però, sapeva
che quella
situazione di normale non aveva nulla, per cui era inutile pensarci
troppo.
«Oh» aveva detto
Harry, e a Zayn era quasi sembrato deluso,
ma la stanza era buia e le parole poco più che un sussurro;
inoltre, si era
appena svegliato, e la sua mente era più che capace di
creare allucinazioni
fono-uditive che soddisfacessero il suo cuore in tumulto, per cui aveva
deciso
che non avrebbe dato troppo peso alle sue impressioni.
«Ok» aveva aggiunto,
infilando l’anello proprio nel medesimo dito al quale
l’aveva portato Zayn per
quella mezza giornata.
Zayn avrebbe richiuso gli occhi, ma
sapeva che addormentarsi
con tutti quei pensieri in testa sarebbe stata una fatica erculea, per
cui si
era alzato dal letto e, guardando il bagno, aveva fatto un gesto a
Harry.
Sperava che riportare il loro
rapporto sui binari consueti,
avrebbe indotto anche il suo cervello a non sconfinare in fantasie vane.
*
Quando avevano preso quella specie di
accordo, si era detto
di stare attento. Poi si era dato dello scemo, perché dai. Quante possibilità
c’erano che, senza accorgersene e poter far
nulla per fermarsi, si bruciasse a quel modo? Che si scontrasse con un
muro
fatto di sentimenti non corrisposti? Che finisse a volersi cavare gli
occhi,
pur di non leggere delle ultime conquiste di Harry?
Pochissime, si era rassicurato, senza
fermarsi a riflettere
che quello non voleva dire nessuna.
Inconsapevolmente, si era gettato in una fossa fatta di speranze
infrante ancor
prima di essere state espresse, e quello lo stava divorando
dall’interno, ogni
giorno un po’ di più.
*
Non sapeva perché
gliel’aveva chiesto. Forse perché era un
po’ masochista, o perché, con il volto affondato
nel cuscino, si era sentito abbastanza
coraggioso da fare quella domanda. L’altro non avrebbe visto
la sua
espressione, e Zayn avrebbe potuto permettersi di abbandonarsi a
qualsiasi
faccia.
«Te la sei davvero scopata
quella modella di Prada?» aveva
dunque domandato, prima che il timore della risposta lo fermasse. Aveva
sentito
le spinte dell’altro rallentare per un attimo e poi tornare
allo stesso ritmo,
come nulla fosse stato.
«Quale delle
due?» aveva ansimato Harry, e Zayn si era
chiesto di cosa si stupisse. Forse di sentirsi tradito, quando
– in realtà –
non ne aveva il benché minimo diritto.
«Due?» avrebbe
quasi riso della sua stessa stupidità, ma non
voleva che l’altro capisse qualcosa perché quello
sì, che sarebbe stato
imbarazzante.
«Ah ah» aveva
confermato Harry, e Zayn aveva improvvisamente
percepito il petto dell’altro appoggiato alla sua schiena e
il respiro di Harry
vicino al suo orecchio. «Che te ne frega, comunque? Adesso
sto scopando te»
aveva sussurrato e a Zayn era morto il fiato.
Non pensava che con solo quattro
parole l’altro avrebbe
potuto lacerargli lo stomaco, ma evidentemente si sbagliava,
perché qualcosa
dentro di lui aveva preso a sanguinare, e presto sarebbe morto
dissanguato.
Avrebbe voluto essere da
tutt’altra parte, e non nella
stanza d’albergo di Harry, mentre quest’ultimo si
muoveva dentro di lui. Aveva
quasi voglia di piangere, non di venire, ma la mano di Harry
– quella
dell’anello, che Zayn sentiva a contatto con la sua pelle
– aveva avvolto il
suo uccello, facendolo sussultare e tremare. Avrebbe preferito dormire
per
sempre, piuttosto che raggiungere l’orgasmo e percepire
quello di Harry, in
contemporanea.
Quando l’altro era
finalmente uscito da lui, Zayn era
rimasto immobile, sdraiato prono, con gli occhi sbarrati, fingendo di
essere
sul punto di addormentarsi. Non voleva vedere pensare provare nulla, ma
immaginava che quei suoi desideri non si sarebbero mai realizzati.
Le parole di Harry gli rimbombavano
nelle orecchie,
assordandolo e conficcandogli nel corpo un pugnale a ogni ripetizione.
Era tutta colpa sua, in
realtà. Lui aveva chiesto e, adesso
che sapeva, doveva convivere con la conferma che lui, per Harry, non
sarebbe
stato mai nulla di più che una scopata.
Aveva aspettato di sentire il respiro
dell’altro farsi
pesante, poi aveva raccolto le sue cose, incapace di dormire in quel
letto, di
restare nella stanza un minuto di più.
Chiudendosi la porta alle spalle, si
era accorto di aver
lasciato dentro una parte enorme di sé, che,
però, non rivoleva più.
***
Tornarono in camera neanche venti
minuti dopo.
L’aria era quasi
più irrespirabile di prima, il che era
assurdo. La loro storia era sempre stata avulsa da pesantezza, e quella
gravità
iniziava a pesargli sullo stomaco.
Mark non lo guardava e sembrava
sempre perso in un altro
mondo.
«Cosa
c’è?» sbottò,
perché se avesse aspettato altri due
secondi, sarebbe scoppiato.
Mark strizzò gli occhi e
poi le labbra. Stette per un po’ in
silenzio, come se non sapesse se rispondere. O cosa
rispondere.
«Niente» disse, e
Zayn alzò gli occhi al cielo, perché col cavolo.
«Mark»
ringhiò. L’altro, che si stava togliendo le
scarpe,
si fermò e alzò lo sguardo su di lui per quella
che, a Zayn, parve la prima
volta dopo secoli.
Sembrò studiarlo e poi
cedere a una forza invisibile.
«Ho parlato con Harry. Al
bar» mormorò, distruggendo ogni
sua speranza.
«Ah
sì?» cercò, comunque, di fingere
indifferenza, anche se
ormai non aveva più molto senso e lo sapeva.
«Ah ah» rispose.
«Mi ha fatto il terzo grado» quasi rise.
«Mi ha chiesto chi fossi, cosa ci facessi con te e, sai,
immaginavo che fosse
successo qualcosa, tra di voi, visto che non lo nomini mai e
– quando lo fa
qualcun altro – sbianchi, ma non pensavo che ci fossi mai
andato a letto»
concluse, il tono di voce che saliva a ogni parola.
Zayn lo fissò, impassibile.
«Perché cavolo
non me lo hai mai detto?» chiese l’altro,
disperato come Zayn non lo aveva mai visto.
«Perché non sono
affari tuoi» disse, lapidario. Avrebbe voluto
fermare le parole in gola, prima che gli uscissero di bocca, ma non era
mai
stato bravo a farlo. E tutto quello che riguardava Harry gli mandava in
pappa
il cervello, quindi anche provarci sarebbe stato inutile.
Mark si bloccò,
impietrito, e Zayn non aveva mai visto sul
suo volto così tante emozioni insieme. Rabbia, delusione,
sbigottimento,
incredulità. Erano tutte lì, e Zayn non sapeva
quale avrebbe prevalso.
«Sono affari miei, se lo
ami» disse con un fil di voce, ma
per Zayn fu come se, quelle parole, gliele avesse urlate con un
megafono.
«Che cavolo ti dice che lo
amo? O che l’abbia mai amato, se
è per questo?» sputò arrabbiato. Lo
sapeva che Mark aveva ogni diritto di
fargli quelle domande, ma non poteva farci nulla se la sua testa gli
stava urlando
di seppellire di nuovo tutti i suoi sentimenti dentro le impalcature
contenitive che così difficilmente aveva costruito. Non era
giusto che tre sole
lettere distruggessero un lavoro durato anni. Non era neanche giusto
che Harry
ancora gli scorresse dentro le vene, ma pensava di aver imparato a
ignorarlo.
Si era sopravvalutato, e la portata
enorme di quegli ultimi
sette anni, passati a negare e dimenticare e poi ancora negare e
ridimensionare, lo stava colpendo tutto insieme, potente come un
maremoto.
«Tutto. Lo dice…
tutto» ripeté, come fosse troppo stremato,
per affrontare davvero l’argomento. Lo vide prendere un
respiro, aprire le
labbra più volte e poi decidersi una buona volta a parlare.
«Io ti amo, Zayn. E
tu… tu no. E non me ne
ero mai reso conto, ma è così e io non
posso»
concluse, senza farlo davvero.
Quelle parole riportarono alla mente
di Zayn quelle
pronunciate da Perrie tanti anni prima. Erano quasi le stesse, ma con
sollievo
e angoscia insieme, si accorse che il loro effetto era completamente
diverso.
Teneva a Mark, gli era affezionato, ovviamente, ma – e
l’aveva sempre saputo –
non sarebbe mai risuscito ad amarlo come meritava. E forse era tempo
che Zayn
smettesse di essere egoista e iniziasse a essere sincero con entrambi.
«Cosa farai?»
chiese, senza neanche cercare di difendersi o
di opporsi o di combattere. Mark non parve stupirsi.
«La valigia,
immagino» rispose, con un sorriso mesto.
«Non puoi andartene adesso,
è notte» costatò Zayn. «E
l’aereo? Parti subito?» si preoccupò,
perché se erano in quella situazione, era
quasi del tutto colpa sua e di certo non avrebbe lasciato che quello
che era
stato il suo compagno per un anno e mezzo se ne girasse per Dublino da
solo.
«Magari, scendo e chiedo se
c’è un’altra stanza e domani
mattina, sul presto, parto»
«Puoi restare qui,
Mark» cercò di convincerlo, ma già
sapeva
che l’altro non avrebbe accettato la sua proposta.
Quello, infatti, negò con
un leggero movimento della testa,
accompagnato dal sorriso triste che gli era spuntato sulle labbra sin
da quando
avevano intrapreso quel discorso.
«Preferisco
così» disse, solo, e Zayn annuì.
«Lascia almeno che scenda a
sentire per la camera, mentre tu
metti a posto le tue cose» lo pregò, scoprendo
che, chiudere la loro relazione
era più difficile di quanto avrebbe mai creduto.
«Ok»
sospirò, quasi di sollievo.
Appena fuori dalla stanza, si
appoggiò alla porta. Chiuse
gli occhi e permise al suo corpo di rilassarsi. Non poteva crederci.
Non tanto
di aver rotto con Mark: aveva sempre avuto la sensazione che tra loro
non
sarebbe stato eterno, per quanto c’avesse provato con tutte
le forze, a far
funzionare quel rapporto.
No, non poteva credere che, dopo
tutto quel tempo, ancora
permettesse a Harry di intromettersi a quel modo nella sua vita, gli
permettesse di avere un tale ruolo, di importare così tanto,
quando lui, per il
più piccolo, non era mai stato nulla, quando Harry non gli
aveva dato che manciate
di niente e niente e niente.
Fanculo.
***
Aveva iniziato a evitare Harry.
Se qualcuno glielo avesse chiesto,
avrebbe sostenuto che no,
non lo stava facendo apposta, che neanche se n’era accorto,
magari, ma in cuor
suo sapeva che quelle sarebbero state bugie colossali, e neanche ben
dette.
Stare lontano dal compagno di band
era difficile quanto
stargli accanto, per Zayn; doveva dar fondo a tutta la sua
volontà per tirare
fuori una scusa nuova ogni volta che Harry gli si avvicinava con
l’intenzione
di chiedergli di incontrarsi, e il peggio era che le stava lentamente
finendo.
Fortuna voleva, però, che
il tour americano fosse agli
sgoccioli e che, prima di partire per l’Australia per gli
ultimi mesi,
avrebbero avuto una quarantina di giorni liberi. Sapeva già
che Harry, molto
probabilmente, li avrebbe passati a Los Angeles: da come ne parlava e
da quante
volte ci andava, ne sembrava innamorato e Zayn credeva che prima o poi
avrebbe
comprato casa e si sarebbe definitivamente trasferito lì.
Lui, d’altro canto, sarebbe
tornato a Bradford e, poi, sarebbe
volato via con Anthony e Danny: aveva lasciato loro carta bianca sul
posto e,
probabilmente, sarebbero finiti ai confini del mondo.
In ogni caso, era l’ottima
occasione per staccare la spina e
smettere di pensare a Harry.
*
Erano stati in Nepal e lì
Zayn aveva scoperto di poter
girare abbastanza liberamente, senza essere costantemente inseguito da
paparazzi
o ragazzine urlanti. Da quel punto di vista, era stato un mese
paradisiaco, che
gli aveva fatto apprezzare ancor di più
l’anonimato che va a braccetto con
l’assenza di fama, ma Zayn sapeva bene che era stato solo una
breve parentesi:
era tornato a casa per qualche giorno, per salutare i suoi e prepararsi
a un
mese abbondante di date in Oceania, e la pesantezza della solita
routine gli
era piombata di nuovo addosso.
Con essa, l’aveva colpito
anche il desiderio misto a timore
di rivedere Harry.
Al contrario di quanto avesse
sperato, non era riuscito a
liberarsi, in quei giorni, del pensiero del più piccolo: di
notte lo assalivano
i ricordi dei momenti trascorsi insieme, e di giorno qualsiasi cosa
glielo
ricordava, fosse anche una parola detta a mezza voce o un cibo, un
panorama.
I suoi amici d’infanzia
l’avevano spesso studiato, entrambi
preoccupati per la sua espressione pensierosa e turbata, e lui davvero
voleva
tutto meno che quello, ma non riusciva a controllare la sua mente. Alla
fine,
l’avevano così tanto assillato che lui, senza fare
nomi e scendere nei
dettagli, aveva finito per raccontargli quanto fosse accaduto negli
ultimi
mesi, e non si era stupito troppo quando entrambi l’avevano
stretto in un
abbraccio stritolatore.
Parlare a qualcuno della sua recente
rivelazione era
terapeutico, aveva scoperto, e Zayn non si era sentito giudicato da
loro
nemmeno per un attimo. Avrebbe voluto dirlo anche ai suoi genitori, ma
preferiva aspettare un momento di pausa prolungato, per fargli digerire
meglio
la notizia, piuttosto che arrivare a casa, sparare la bomba e
andarsene, il
tutto in cinque minuti.
Magari, alla fine del tour, si era
detto, proprio mentre
infilava le ultime cose in valigia ed entrava su Twitter. Erano secoli
che non
si faceva vivo, e mentre dava una scorsa alle tendenze universali, si
era detto
che avrebbe fatto meglio a continuare su quella linea.
Una lo dava per disperso, e Zayn
l’aveva accuratamente
evitata.
Un’altra, invece, aveva
attirato la sua attenzione, e di
certo avrebbe fatto meglio a stare alla larga anche da essa, ma,
evidentemente,
si voleva meno bene di quanto credesse, aveva pensato mentre la
selezionava.
Tutti i tweet taggati LeUltime10RagazzeDiHarry
gli erano apparsi in contemporanea, e mentre scorreva la
pagina e vedeva
foto di Harry, accompagnato da una donna sempre diversa, si era sentito
sul
punto di vomitare, e con uno scatto aveva chiuso Internet e abbandonato
il
cellulare sul letto, come bruciasse.
Non riusciva proprio a capire di cosa
si sorprendesse, e
quella era una cosa che ultimamente gli capitava sempre più
spesso.
E, sempre più spesso, si
dava dell’idiota: lui non era così,
o – almeno – non lo era mai stato, fino ad allora.
Con le mani a massaggiarsi le tempie,
si era detto che
doveva trovare un modo per uscire da quel circolo, per liberarsi di
tutti quei
pensieri che affondavano sempre più in profondità
il suo amor proprio, per
smettere di farsi condizionare da tutto quello che girava intorno a
Harry.
Doveva iniziare a pensare alla sua
sanità mentale e a
volersi più bene, e se quello significava evitare quasi
completamente il
ragazzo più giovane, be’, allora doveva almeno
provarci.
*
Aveva detto che andava a comprarsi le
sigarette, anche se,
in realtà, ne aveva un pacchetto pieno, e con quella scusa
si era allontanato
dal palco, dove stavano provando le ultime cose, sopraffatto dal
ritorno alla
quotidianità e dalla vicinanza soffocante di Harry.
Si era nascosto dentro il bus, che
come rifugio faceva
schifo, ma se non vi fosse rimasto troppo a lungo, comunque, nessuno
l’avrebbe
cercato e, di conseguenza, neanche trovato.
Le sue aspettative, però,
erano rimaste deluse, quando aveva
sentito i piedi di qualcuno salire le scalette, e con tutto se stesso
aveva
pregato perché non fosse Harry.
Tutti ma non
Harry-Tutti ma non Harry-Tutti ma non Harry aveva preso a
vorticargli nel
cervello come un mantra, e la cantilena si era interrotta solo quando
la voce
di Niall aveva riempito il veicolo.
«Ehi» aveva
detto, e Zayn aveva aperto gli occhi che a
malapena si era reso conto di aver chiuso, nella speranza di non
doversi
specchiare in un mare verde, rendendosi conto che l’amico era
solo a qualche
centimetro da lui e lo stava fissando preoccupato. «Manchi da
venti minuti»
aveva poi aggiunto, e Zayn davvero non si era reso conto che fosse
passato
tutto quel tempo.
«Oh» aveva solo
commentato. Magari si era addormentato senza
accorgersene.
«È successo
qualcosa con Hazza?» aveva poi chiesto, dritto
come una coltellata. Zayn sapeva che l’amico era solito non
girare intorno ai
problemi e che aveva il tatto di un elefante, ma, comunque, non aveva
potuto
evitare l’espressione di sgomento che la domanda gli aveva
fatto sorgere in
viso.
Non voleva rispondere a quello, o
parlarne. Non voleva
neanche pensarci, in realtà, e già la cosa gli
riusciva abbastanza male, non
c’era bisogno che altri peggiorassero la situazione.
«No» aveva detto,
e anche un sordo avrebbe capito che
mentiva.
Niall l’aveva guardato
supplicante, come se quella storia
addolorasse anche lui, che non solo non c’entrava nulla, ma
era anche
all’oscuro di tutto.
Ancora non capiva come avevano fatto
a non insospettire
nessuno, anche se aveva l’impressione che Louis avesse
mangiato la foglia.
«Io…»
aveva ripreso, incapace di sostenere lo sguardo
dell’amico. «Sì» aveva
affermato, contraddicendo quanto detto solo una manciata
di secondi prima. «Se… se te lo dico»
aveva iniziato, consapevole che Niall
poteva essere tutto – giocherellone, rumoroso e spensierato
– ma che, se
gliel’avesse rivelato, lui non l’avrebbe detto a
nessuno. Se c’era qualcuno di
cui potersi fidare, quello era l’Irlandese. «Se te
lo dico, mi prometti che non
lo dirai a nessuno, sì?» e aveva guardato Niall
annuire e farsi più attento.
«Neanche quando sarai ubriaco fradicio,
sì?» aveva specificato, strappando un
sorriso obliquo all’altro.
E, senza quasi rendersene conto,
aveva iniziato a ricordare
e raccontare, partendo dall’inizio, nella speranza che
confidarsi fosse
catartico e alleviasse il peso che portava sulle spalle.
*
Poteva sentire lo sguardo di Harry
trapanargli la nuca,
forse nel tentativo di leggergli nel pensiero, ma Zayn aveva continuato
tranquillamente a mangiare la sua cena, facendo finta di nulla.
Erano dieci giorni che si spostavano
per l’Australia, e
almeno la metà di essi, Zayn li aveva passati a inventarsi
mal di testa,
chiamate su Skype, sonnolenza, ma Harry sembrava essere deciso a non
mollare.
Zayn non ne capiva bene il motivo:
era chiaro come il sole
che l’altro ragazzo avrebbe potuto avere chiunque
desiderasse, e che Zayn era
solamente stato una specie di porto sicuro, di ultimo approdo.
Probabilmente,
aveva riflettuto, al più piccolo, i no
–
come risposta, piacevano poco; pungevano il suo orgoglio di
conquistatore, e
Zayn non ce la faceva più a resistere alla tentazione,
sempre più grande, di
cedere alle lusinghe dell’altro.
Di quel passo, Harry avrebbe
continuato a insistere fino
alla fine dei tempi.
A meno che non avesse trovato una
scusa abbastanza buona che
lo costringesse a ritirarsi dal campo.
*
«Zayn» si era
sentito chiamare, mentre una mano sul braccio
lo faceva girare sul posto.
Ecco, ci
siamo, si
era detto, mentre fronteggiava Harry e gettava un’occhiata al
punto in cui il
suo braccio e la mano dell’altro erano in contatto. Harry
indossava ancora il
suo anello, e quello lo stava riscaldando più del fuoco in
inverno.
Era così ingiusto.
Così
ingiusto che un semplice respiro dell’altro fosse in grado di
ucciderlo, quando,
invece, Harry si dimostrava la persona più tranquilla del
mondo, in sua
presenza, come se nulla in Zayn fosse abbastanza
tutto da sconvolgerlo.
No, non sconvolgerlo. Si sarebbe
accontentato di molto meno,
davvero.
«Possiamo
parlare?» aveva chiesto, e quello aveva sorpreso
un po’ Zayn, troppo abituato a sentire richieste
completamente diverse.
«Sì. Giusto,
sì» aveva acconsentito, con l’intenzione
di
parlare per primo e togliersi il pensiero, ma – soprattutto
– di non essere
costretto a sentire un’altra parola uscire dalle labbra di
Harry.
Gli occhi del più piccolo
si erano spalancati
all’inverosimile, come se fosse realmente stupito dalla
reazione di Zayn e
tutto quello che si aspettasse fosse sentire altri pretesti.
«Io» aveva
iniziato, cercando di deglutire e scoprendo di
avere la gola secca. «Ho conosciuto una persona. Una
ragazza» aveva mentito,
non sentendosi minimamente in colpa. Sperava che almeno quello
funzionasse,
anche se, una minima parte di lui pregava per il contrario.
«Io… mi piace» tu-tu-tu-mi
piaci-tu. «Quindi… ecco» di’qualcosa-qualsiasicosa-stupidoHarry-apriquellastupidabocca-tiamocazzo.
«Oh» aveva
commentato, registrando il discorso morsicato di
Zayn. «Possiamo sempre fare una cosa a tre, se è
d’accordo» aveva proposto,
poi, e, tra tutte le cose che Zayn pensava l’altro dicesse,
quella non era
neanche in fondo alla lista.
D’improvviso, si era come
sentito calciare allo stomaco, e
la voglia di correre via da lì (via da Harry)
l’aveva assalito, furiosa come
non mai.
Si era spesso sentito solo un corpo, con e per
Harry,
– quando per lui, neanche all’inizio, era stato
unicamente quello – ma mai, mai,
come in quel momento.
Avrebbe voluto odiarlo almeno un
po’, per come lo stava
facendo sentire, inutile e senza valore, o, perlomeno, avrebbe dovuto, ma forse non era nel suo DNA o
qualche cazzata del genere, perché tutto quello che riusciva
a provare era un
dolore sordo e la consapevolezza che non avrebbe mai potuto avere la
persona
che amava per sé.
Aveva cercato di nascondere le sue
emozioni sotto una
facciata di disgusto (o qualcosa di simile, a Zayn interessava poco), e
quella
era un’abilità che in molti gli avevano sempre
invidiato, quindi sperava di
aver fatto un buon lavoro e di non essersi tradito come un povero scemo.
«No,» aveva
risposto, e si era complimentato per il tono
fermo. «lei mi piace sul serio. Non-» non
è vero. «Non voglio più far
nulla, con te» nonèvero-nonèvero-nonèvero,
aveva preso a urlare la sua testa, e
Zayn non sapeva come altro azzittirla, se non voltando le spalle e
allontanarsi
da Harry, senza mai guardarsi indietro.
***
Il matrimonio era stato veloce,
grazie a Dio, e Niall e Lisa
se ne erano andati subito dopo la cena.
I festeggiamenti si erano prolungati,
perché sì, e
per Zayn era stato ancora più
veloce ubriacarsi.
Non che fosse colpa sua, comunque:
era un matrimonio, c’erano
vino e champagne e
birra (perché lo sposo era Niall, suvvia) e un bar, e Zayn a
malapena se ne era
accorto, che ogni bicchiere correva più libero del
precedente, lungo la sua
gola.
Doveva essere tardi, però,
perché la folla iniziava a
diradarsi e anche Louis era tornato in camera.
Buttò giù il
suo secondo bicchiere di Whiskey, e proprio
mentre lo riappoggiava sul bancone, i suoi occhi caddero su
un’alta figura che
stava per uscire dalla stanza.
Harry.
Si chiese come fosse possibile che,
per tutto quel tempo,
non si fosse accorto che l’altro fosse ancora presente. Un
tempo, aveva quasi
imparato a capire quando si trovavano nella stessa stanza, neanche
cambiasse
qualcosa nell’aria, ma – evidentemente –
era passato troppo tempo e lui aveva
perso il tocco. O, forse, era solo troppo brillo per pensare,
figurarsi per percepire.
Si indignò: Harry aveva
avuto il coraggio per parlare con
Mark e dirgli chissà quali assurdità, ma non
riusciva a raccogliere nemmeno un
po’ di educazione per salutare lui?
E, d’accordo che non si
parlavano sentivano vedevano da una
vita, e almeno l’80% della colpa era imputabile a Zayn
stesso, ma, cavolo!, il
saluto non si toglie a nessuno.
Giusto,
convenne
il suo cervello annebbiato, come se lui non avesse passato
l’intera giornata
precedente a evitare Harry con tutte le sue forze, e – quasi
senza che se ne
accorgesse – era in piedi e, riuscendo a evitare di
inciampare e di scontrarsi
con qualche sconosciuto, aveva oltrepassato la porta anche lui.
Harry se ne stava di fronte a un
ascensore e Zayn allungò il
passo per raggiungerlo, prima che le porte gli si chiudessero sul naso.
Con un balzo (che quasi gli uccise
testa e stomaco), si
ritrovò tra quelle quattro pareti, alla sola presenza del
suo vecchio compagno
di band.
«Cosa gli hai
detto?» ruggì, senza pensarci troppo.
Harry mutò in un momento
espressione, da vagamente impaurita
ad apertamente meravigliata.
«Ehm, a chi?»
Zayn l’avrebbe preso a
pugni: magari quella era la soluzione
a tutti i suoi problemi e non l’aveva mai saputo.
«Che hai detto a
Mark?» ripeté, perché –
evidentemente –
Harry era lento di comprendonio quanto lo era a parlare.
«Niente» rispose,
rabbuiandosi. Ecco, forse si sentiva in
colpa. Farebbe bene, pensò
Zayn.
«Oh, certo» lo
prese in giro. «È per via del tuo niente
che se n’è andato» continuò,
inalberandosi sempre di più.
«Magari voleva farlo da
tempo, ma non sapeva come» ribatté
Harry, e, oh, voleva davvero
essere
colpito. Un pugno in faccia, su quel suo bel naso diritto.
«Rovini sempre
tutto» urlò, mentre seguiva Harry fuori
dall’ascensore e lungo il corridoio.
Era a malapena cosciente che in quel
modo avrebbe svegliato
l’intero hotel, ma non gliene poteva importare di meno.
«Sei come un presagio
nefasto» continuò, sparando frasi che
avevano senso solo nella sua testa. Forse. «Un
porta-sfortuna, una tragedia che
cammina, un-» s’interruppe, scontrandosi contro la
schiena di Harry, che si era
improvvisamente bloccato davanti a una porta.
I flashback di diecimila momenti
uguali a quello gli
sommersero i ricordi, e Zayn non riuscì a bloccare il
miscuglio di nostalgia e
nausea e desiderio che lo prese alla sprovvista.
Zayn avrebbe voluto appoggiare la
fronte contro il collo di
Harry, rifugiandosi e scappando così da tutti i sentimenti
contrastanti che
stava provando, ma l’altro si girò, e Zayn si
accorse di volerlo talmente
tanto, da non preoccuparsi neanche per l’espressione stupida
che, di certo,
aveva in volto.
Ma crogiolarsi nel desiderio o nella
speranza era stupido
quanto cercare di convincersi che non amava più Harry. E
quello era un pensiero
così deprimente e avvilente, che Zayn ne avrebbe davvero
fatto a meno.
Zayn chiuse gli occhi. Sette
anni, pensò. Sette anni che non lo toccava: una
punizione peggiore di
quella che qualsiasi divinità potesse mai avere in serbo per
lui.
Allungò una mano,
perché c’erano solo cinque centimetri di
distanza tra loro e nessuno era così ottimista da credere
che lui potesse resistere
alla più grande tentazione che la vita gli avesse mai
offerto.
Tutti i riserbi che aveva provato in
passato gli frullarono
nel cervello, in un unico grande caos, ma lui era troppo oltre per
poter
distinguere l’uno dall’altro.
Qualsiasi conseguenza ci fosse stata,
c’avrebbe pensato
l’indomani.
E, senza indugiare oltre, si
alzò sulle punte dei piedi,
strinse una mano tra i capelli di Harry e – non badando
all’espressione
sconvolta dell’altro – fece scontrare le loro
labbra.
Quel ritorno al passato valeva
più dell’acqua nel deserto o
dell’ossigeno nello spazio, di certo valeva il sangue di una
ferita mai
rimarginata completamente.
***
Mancavano poche date in Nuova
Zelanda, un paio in Giappone e
poi finalmente tutto sarebbe finito.
Zayn aveva bisogno di staccare la
spina. Da tutto: le urla,
le luci, le poche ore di sonno. Harry era solo uno tra i mille motivi
per i
quali non vedeva l’ora di tornare a casa e seppellirsi sotto
le coperte del suo
letto.
La sola idea che l’anno
seguente avrebbe dovuto affrontare
tutto di nuovo gli metteva ansia.
Il loro contratto stava per scadere e
lui, al contrario del
resto del mondo, sognava una vita anonima e tranquilla. Pensieri, che
già più
volte gli avevano attraversato la mente come comete, gli affollavano le
veglie
così come i sogni, e – da un po’
– aveva iniziato a credere che fosse meglio
assecondarli che non cacciarli.
***
Harry non protestò neanche
per un secondo, o – se lo fece –
Zayn proprio non se ne accorse.
Lo spinse oltre la soglia e, in meno
di quanto pensasse
fosse umanamente possibile, si ritrovò nudo, con
l’altro steso sotto di lui.
Accantonò ogni voce che
gli diceva quanto grande fosse
quell’errore e, al primo Zayn
che
Harry soffiò, spense il cervello.
*
Zayn ancora si ricordava come fosse
baciare ogni parte del
corpo di Harry, che sapore avessero le sue labbra e cosa provasse ad
avere le
gambe del più piccolo allacciate ai fianchi.
L’idea che tanti altri
conoscessero ogni punto che dava
piacere a Harry, gli faceva salire il sangue al cervello e ribollire la
gelosia
nelle vene. Aveva come l’impressione che se lui
l’avesse toccato abbastanza da
lasciare i segni, e l’avesse baciato in modo da imprimere il
suo sapore sulle
labbra dell’altro, avrebbe cacciato il ricordo di qualsiasi
altro uomo.
Harry sarebbe stato soltanto suo,
almeno per una notte.
*
Avrebbe voluto fare
l’amore, con Harry, per quanto fosse
dannatamente smielato anche solo pensarla, una cosa del genere. Avrebbe
voluto,
almeno quella volta, perché – per quante volte
fossero stati a letto insieme –
Zayn non si era mai abbandonato a movimenti lenti o baci languidi. Non
se l’era
mai permesso, troppo preoccupato di cosa quello avrebbe significato e
di quanto
Harry avrebbe potuto capire. Tra di loro era sempre stato tutto un
fuoco che
bruciava ogni cosa che trovava sul suo cammino, e Zayn era riuscito a
spegnerlo
solo dopo aver capito di essere lui stesso una di esse.
Solo che non l’aveva
spento, aveva solo provato a
controllarlo, e – per quanto si fosse impegnato – i
risultati non erano stati poi
così buoni, se era bastata una singola occhiata di Harry, a
mandargli in pappa
le ginocchia.
*
Evitò di guardarlo negli
occhi, mentre entrava in lui.
Avrebbe voluto anche coprirsi le orecchie, per non sentire il respiro
accelerato dell’altro e i suoi sospiri e qualsiasi altro
rumore che ancora lo
tormentava di notte, ma quella era una piacevole tortura di cui Zayn
non era
abbastanza forte da privarsi.
Come non avessero mai smesso e non
fossero passati anni
dall’ultima volta che si erano ritrovati in quella posizione,
insieme, ogni
cosa andò al suo posto: le mani di Harry sulle spalle di
Zayn, che lo
spingevano in basso in un bacio appassionato, e poi si perdevano tra i
suoi
capelli, scompigliandoglieli; i fianchi del più piccolo che
si muovevano
all’unisono con le spinte di Zayn; l’odore di Harry
che l’avvolgeva e non se ne
sarebbe andato per altri sette anni.
Harry era più vocale di
quanto si ricordasse; sussurrava il
suo nome al suo orecchio come fosse poesia, e quello rendeva Zayn
più selvaggio
di quanto non avessero fatto la rabbia e il desiderio.
Quando vennero – una mano
sulla bocca di Harry perché non
svegliasse nessuno, e i denti a mordicchiargli un orecchio –
Zayn si sentì come
se fosse appena tornato a casa da un lungo, orribile viaggio, come se
quello
fosse il posto giusto e quel momento bloccato nel tempo fosse perfetto.
Come se lui e Harry, insieme, fossero
destinati a essere.
Durò un attimo, poi la
realtà entrò dalla porta principale e
diede un calcio a ogni sua fantasia.
Iniziava a smaltire la sbornia, e con
l’alcol se ne andava
anche il disinteresse per le conseguenze. Appoggiò la testa
al cuscino e chiuse
gli occhi, per evitare che la stanza continuasse a girare e girare e
girare, e
sperò che Harry avesse fatto lo stesso.
Non sapeva cosa gli fosse preso, cosa
gli avesse detto il
cervello; o, meglio, lo sapeva fin troppo bene, ma non voleva pensarci
troppo,
in quel momento. Voleva solo dimenticarsi di tutto, disconnettere il
cervello,
magari cambiarlo (se possibile?).
Si voltò e, raccogliendo
una briciola di coraggio, aprì gli
occhi.
Harry dormiva o faceva finta, per
quanto ne sapeva lui.
Allontanandosi il più
possibile, come l’altro scottasse, decise
che avrebbe seguito il suo esempio, ché era così
stanco che le gambe non
l’avrebbero retto neanche per due passi, avesse provato ad
alzarsi.
***
«Quindi questa è
la tua decisione finale?» aveva chiesto
Simon, come avesse già saputo quello che Zayn avrebbe detto.
Era metà novembre, avevano
lasciato alle spalle il loro
quarto tour e nulla, se non il loro volere, li avrebbe costretti a
restare una
band.
Tutti i produttori presenti alla
riunione se ne erano usciti
con reazioni stupite, ma non Simon, che lo conosceva
dall’inizio, e non gli
altri quattro, che sentivano nelle ossa che, presto o tardi, quello
sarebbe
accaduto.
Aveva paura di guardare i suoi amici
in faccia e leggerci
disprezzo o rabbia o rancore. Qualsiasi cosa, perché in
fondo lui stava
abbandonando la nave e, forse, poco importava se lo stava facendo
perché ogni
giorno moriva un po’ di più. E non
c’entrava neanche Harry. Ok, magari quella
era una bugia e il fattore Styles
contribuiva a quella che era diventata la sua vita, ma –
davvero – le cose non
sarebbero cambiate, se fra loro non fosse mai successo nulla, e Zayn
avrebbe
desiderato staccare la spina, comunque. Harry era solo
l’ultimo anello di una soffocante
catena chilometrica, che si sarebbe spezzata solo se lui avesse fatto
qualcosa.
Quel qualcosa,
per
quanto quasi fisicamente doloroso, era tirarsi indietro.
Non sapeva come avrebbe fatto, senza
gli scherzi di Louis e
le premure di Liam e l’allegria di Niall, e forse se ne
sarebbe pentito già
l’indomani, ma c’aveva riflettuto abbastanza da
essere certo di averne bisogno.
«Sì»
aveva soffiato, e contemporaneamente un peso enorme era
scomparso, alleggerendogli lo stomaco.
Simon non aveva insistito, e Zayn
gliene era grato. L’uomo
aveva spostato, poi, l’attenzione su gli altri, e solo allora
aveva avuto il
coraggio di scoprire le loro reazioni.
Niall lo stava guardando,
benché Simon stesse parlando anche
con lui, e sorrideva. Come sempre, anche quella volta il sorriso
dell’Irlandese
aveva provocato un’identica reazione sul suo volto, e
– mentre le sue labbra si
distendevano – a Zayn era parso di non aver usato quei
muscoli da una vita e
mezzo.
«Io credo» la
voce di Harry, che si immetteva nella
conversazione per la prima volta, l’aveva risvegliato.
«possa essere una buona
opportunità per portare avanti altri progetti.
Singolarmente»
Louis stava annuendo, come se anche
quella non fosse una
proposta inaspettata. In fondo, voci che correvano in quel senso
c’erano da una
vita, e tutti sapevano che Harry aveva altre aspirazioni e speranze.
Zayn non
le giudicava, anche perché era quello che ne aveva meno
diritto.
Simon aveva detto qualcosa, che Zayn
non aveva sentito
perché troppo preso a osservare Harry, stando bene attento
che l’altro non se
ne accorgesse. Ma era così immerso nella conversazione che
davvero non c’erano
pericoli.
Senza che se ne rendesse conto, tutti
dovevano aver espresso
la loro opinione, perché la riunione era finita, e Simon e
gli altri produttori
si stavano alzando.
Zayn si era riscosso
all’improvviso, e senza pensarci aveva
raggiunto l’uomo che aveva reso possibile tutto quello e
l’aveva abbracciato,
sperando che il gesto esprimesse tutta la gratitudine che provava. Non
solo
perché aveva realizzato il suo sogno, ma anche
perché lo stava lasciando andare
senza alzare alcun polverone.
*
Un paio di giorni dopo, si erano dati
tutti appuntamento a
casa di Zayn, che aveva fatto le valige ed era pronto per tornare
qualche
giorno a Bradford, stare con i suoi, intavolare discorsi spinosi.
«Quando torni?»
aveva chiesto Louis. Gli altri avevano tutti
deciso che per il momento sarebbero rimasti a Londra. La capitale
sembrava il
luogo migliore in cui iniziare nuovi percorsi professionali, anche se
Harry
aveva espresso la vaga intenzione di andarsene presto
dall’Europa e stabilirsi
in America. Il solo pensiero faceva star male Zayn, ma probabilmente
era meglio
così.
«Non so» aveva
risposto, sinceramente. Aveva la mezza idea
di vendere la casa che aveva comprato solo un paio d’anni
prima, e scegliersene
un’altra che nessuno conoscesse, a eccezione di familiari e
amici stretti, ma
ancora non ne era del tutto sicuro.
Aveva guardato l’orologio e
si era accorto che il suo taxi
sarebbe stato lì a momenti. Si erano già detti
tutto quello che dovevano dirsi,
quegli ultimi attimi erano solo il simbolo di un commiato che
già si erano dati
e ridati nei giorni precedenti, ma lo stavano lacerando più
di quanto credesse
possibile. Erano lì, infine, dopo cinque anni in cui non
avevano passato più di
qualche settimana senza vedersi, più di qualche ora senza
sentirsi.
Tutto stava per finire, e lui per
primo l’aveva voluto.
Tutto ciò aveva un vago gusto drammatico, un sapore
malinconico e nostalgico,
anche se erano ancora tutti quanti lì, a fissarsi e
imprimere nella memoria
quei secondi e la postura degli altri e la velocità dei loro
respiri.
Era assurdo, quelli erano i suoi fratelli, e Zayn già sapeva
che gli sarebbero mancati come l’aria
sott’acqua.
Mentre si stringevano in un abbraccio
di gruppo e il taxi si
fermava davanti al cancello, Zayn si era costretto a non piangere.
Il fatto che se ne stesse andando non
implicava che non si
sarebbero mai più visti, ovviamente.
Significava solo che tutto sarebbe
cambiato. Il grande punto
interrogativo che lo affliggeva era se quel tutto sarebbe migliorato o
peggiorato.
***
Era così agitato che si
era svegliato dopo un paio d’ore di
sonno, forse, e quando aprì gli occhi, ne capì il
motivo.
Harry era steso accanto a lui, nella
stessa posizione che
aveva prima che Zayn si addormentasse.
Il cuore iniziò a
pompargli anche il sangue che non aveva, e
tutto quello che Zayn sapeva era che doveva andarsene da quella stanza,
il più
in fretta possibile.
Raccattò tutti i suoi
vestiti, infilandoseli alla bene e
meglio, e – con in mano la giacca – si
avvicinò alla porta. Con un sospiro, si
voltò a guardare per l’ultima volta
l’uomo che probabilmente avrebbe continuato
ad amare per sempre, e, poi, facendosi forza e cercando di fare meno
rumore
possibile, uscì dalla stanza, e chiuse la porta e Harry
dietro di sé.
*
Qualcuno avrebbe dovuto dargli il
premio per l’idiota
dell’anno. Se non esisteva, avrebbero dovuto inventarlo
appositamente per lui.
Era uno stupido, uno scemo colossale,
il più imbecille degli
imbecilli, e neanche offendersi gli dava sollievo.
Non che ne volesse, comunque: era
così deficiente che se le meritava
eccome, tutte quelle immagini e quelle sensazioni che gli vorticavano
nel
sangue e nel cervello.
Erano così vivide e
fresche, che probabilmente non sarebbe
riuscito a dormire bene per settimane. Si ricordava ancora quanto il
ricordo
dell’altro l’avesse tenuto sveglio, i primi periodi
dopo la rottura del gruppo,
e il solo pensiero di rivivere tutto di nuovo gli faceva rimpiangere
tutto: di
aver bevuto troppo, di aver avvicinato l’altro, di essergli
saltato addosso.
Quanto, quanto,
era scemo!
Einstein aveva ragione, non
c’era limite alla stupidità
umana, e il fatto che, benché i tre quarti del suo intero
essere rimpiangessero
la notte appena trascorsa, il rimanente gioisse a quelle memorie, ne
era la
prova lampante.
Forse gli piaceva davvero bruciarsi e
farsi del male; era
assurdo e Zayn stesso sapeva che non era vero, ma avrebbe almeno
spiegato
perché sembrasse proprio non aver imparato nulla, nel corso
degli anni, e
perché non riuscisse a superare quella storia, liberarsene
per costruire
qualcosa di reale con un’altra persona. Avrebbe almeno
spiegato perché
sembrasse preferire il nulla che aveva avuto con Harry al possibile
tutto che
avrebbe avuto con chiunque altro.
Si sarebbe strappato i capelli, ma
non aveva tempo per il
dramma: doveva radunare tutte le sue cose e andarsene da
quell’albergo. Doveva
prendere un aereo, poco importava per dove e se non riusciva a salutare
nessuno. Non poteva permettersi di incontrare faccia a faccia Harry,
non dopo
quella notte e non con il putiferio che era nuovamente scoppiato nella
sua testa.
Chiamò un taxi e,
fregandosene altamente che fosse ancora
piena notte, si fiondò fuori dalla sua stanza e
dall’hotel.
Fu solo in auto che si accorse che la
giacca che aveva
addosso era troppo grande, per essere la sua, e che odorava di Harry.
Sbuffò. Smise di chiedersi
come potesse essere così scemo,
perché probabilmente quello era uno dei misteri
dell’universo e nessuno sarebbe
mai riuscito a dargli una risposta.
Chiudendo gli occhi, si strinse di
più all’indumento, che lo
scaldava come neanche il tè a dicembre, anche se quello era
tutto, meno che
merito del tessuto.
Mentre lo faceva, sentì
qualcosa premergli leggermente
contro il petto.
Tastò la giacca, ma
all’esterno non c’erano tasche.
Malvolentieri aprì gli occhi, e controllò
l’interno.
Lì c’era una
piccola tasca, e anche in quel modo si poteva
vedere la forma di un oggetto rotondeggiante spiccare sul tessuto
altrimenti
liscio.
Con delicatezza, Zayn
infilò un dito nel taschino e, già
prima di tirarlo fuori, sapeva cosa si sarebbe ritrovato davanti agli
occhi.
*
Iniziava a pentirsi di essere
arrivato fino a lì.
Quando dalla giacca aveva tirato
fuori l’anello che, secoli
prima, aveva regalato a Harry, si era sentito come in bilico. Come
diviso tra
più emozioni discordanti, senza sapere a quale cedere.
Non capiva perché
l’altro se lo portasse dietro, e, anche se
una piccola parte di lui si era illuminata di speranza, quella
più realistica
l’aveva riportato con i piedi per terra.
Non se lo poteva tenere, quello era
certo. Aveva provato a
dimenticare che quell’oggetto stava nel chiuso del suo
armadio, aveva provato
anche a dirsi che forse era destino che l’anello fosse
tornato a lui, che il
significato che lui gli aveva dato era sprecato, in quel rapporto, e
che era
davvero arrivata l’ora di guardare avanti. Era una specie di
segno divino, e
lui non doveva opporsi.
Solo che dimenticare era impossibile
e far finta di nulla,
pure. L’anello premeva nella sua mente, più
irritante di un campanello
d’allarme, e alla fine era aveva concluso che
l’unica cosa da fare era
restituirlo.
Per questo era lì. Per
quello e perché non voleva usare alcun
corriere: il che, a pensarci, era sciocco, ma aveva
l’impressione che quella
era una cosa che dovesse fare di persona, e sbarazzarsi di quel peso
per posta
sarebbe stato come privare l’oggetto di ogni valore.
Harry era nel bel mezzo del tour per
il suo terzo album, e
Zayn si riteneva fortunato a non aver dovuto volare in un altro
continente, per
raggiungerlo.
Berlino era una di quelle
città che non aveva mai visitato
per bene. Si era detto che poteva sfruttare l’occasione,
partire qualche giorno
prima del concerto (per il quale aveva trovato miracolosamente il
biglietto), e
vedere qualcosa, abituarsi all’idea che l’avrebbe
sentito di nuovo cantare,
calmare i nervi.
Adesso, però, in mezzo a
tutti quei fan urlanti, quasi
iniziava a cambiare idea. Harry aveva un pubblico molto più
vario di quanto
l’avesse la band, e oltre a fan che lo erano state anche
degli One Direction,
ce ne erano molti altri che erano lì unicamente per lui.
Zayn sperava che nessuno lo
riconoscesse, e fino a quel
momento tutto era filato liscio.
Il concerto stava per iniziare, e
Zayn fu sommerso dai
ricordi di quei momenti che precedevano lo spettacolo,
l’adrenalina nelle vene,
gli ultimi ok dai tecnici, i ritocchi finali ai capelli, e
sì, qualche volta
tutto quello gli mancava, ma no, se fosse potuto tornare indietro, non
avrebbe preso
decisioni differenti.
Poi tutto si fece progressivamente
più buio, e le urla
invasero il palazzetto.
La musica andò a unirsi a
ogni altro rumore, e per la prima
volta Zayn si sentì davvero in colpa, per non aver mai
comprato un CD di Harry,
per aver cambiato stazione ogni volta che una sua canzone passava in
radio.
Sentire la sua voce lo catapultava sempre nel passato, e quello
già accadeva
troppo di frequente di suo, senza aiuti esterni, e Zayn aveva preferito
essere
un pessimo amico a scivolare nella depressione.
E, poi, Harry entrò.
Harry che si muoveva e parlava e
salutava proprio come si
ricordava, Harry che era a suo agio sul palco più che da
ogni altra parte,
Harry che, tuttavia, ai suoi occhi, sembrava un pulcino sperso, senza
loro
quattro. Anche dopo tutti quegli anni, Zayn poteva immaginare quali
mosse e
facce ognuno di loro avrebbe fatto a ogni singola nota, e quello gli
fece
apparire il palco incredibilmente vuoto.
*
Era quasi arrivata la fine, Zayn
poteva sentirlo e
pregustarla. Non ce la faceva più, davvero; le mani avevano
preso a sudargli
tre secondi dopo che Harry aveva attaccato con la prima canzone, e le
ginocchia
gli tremavano. Tutto gli tremava, in realtà, ma quella volta
nessuno l’avrebbe
abbracciato e accarezzato e baciato, fino a farlo tranquillizzare.
Soprattutto
perché l’unica persona che ci sarebbe riuscita era
anche quella che gli stava
causando tutta quell’agitazione.
«Siamo arrivati alla
fine» l’urlo di Harry lo riscosse dai
suoi pensieri, mettendogli ancora più ansia. Non poteva. Non
ce l’avrebbe mai
fatta. Che cavolo gli era preso, poi, ad andare fino a lì?
Oddio, che scemo.
Iniziò a farsi largo tra
la folla, per uscire, ché il caldo
lo stava soffocando.
«Questa canzone»
iniziò Harry, e tutti rimasero in silenzio,
forse intuendo la serietà del momento.
«l’ho scritta un paio di anni dopo lo
scioglimento degli One Direction, anche se nessuno l’ha mai
sentita»
Zayn tese un orecchio, mentre ancora
cercava di districarsi
dalla bolgia, perché per nessun altro pezzo Harry aveva
fatto un tale
preambolo, e la cosa non poteva non incuriosirlo.
Si ritrovò sulle scale,
proprio mentre il più piccolo
riprendeva a parlare.
«Sapete, no, quando si
è piccoli, si è convinti che l’amore
sia un po’ come nelle favole, e che un giorno
arriverà la persona che è
destinata ad amarti, e che tutto sarà perfetto e starete
insieme per sempre.
Poi si cresce, e la realtà infrange tutte quelle belle
speranze, e non puoi
fare a meno di chiederti e adesso?
Si
può arrivare al punto da essere così disillusi,
che quando quella persona
arriva davvero, fatichi a crederci. E quasi ti abitui
all’idea che la realtà
sia più bella della fantasia. Solo che, magari, era tutto
nella tua testa e non
ci sarai mai nessun per sempre,
perché l’altra persona non prova per te lo stesso,
e tu cerchi di dirti ehi, capita, no?
E ci sono giorni che
quasi va bene lo stesso, ti basta sapere che lui è felice;
ma altri… altri
fanno schifo, perché non fai che pensarci e dirti che non
doveva andare a quel
modo, che è tutto sbagliato, che lui te l’ha detto
che non ti vuole e tu
dovresti davvero, davvero rassegnarti»
Quelle parole pugnalarono le orecchie
di Zayn. Harry amava
qualcuno (qualcun altro), come lui
amava Harry, e avrebbe quasi voluto picchiarlo, perché,
diamine, se non era
giusto. Ma, in fondo, per cosa se la prendeva? Perché Harry
provava un
sentimento che era solo umano? Perché, per quanti sforzi
facesse, non poteva
dimenticare e smettere di amare un uomo che Zayn avrebbe volentieri
strozzato?
Zayn si chiese chi mai avesse tanto
coraggio da non volere
Harry. Chi mai fosse stato così fortunato da essere amato da
lui, e non avesse
apprezzato quel sentimento e l’avesse calpestato, lasciando
Harry in una
condizione che lui conosceva fin troppo bene.
Distintamente, Zayn sentì
le prime note di una canzone,
l’ennesima, sconosciuta, e si riscosse.
Non poteva stari lì ad
ascoltare parole dedicate a un altro,
non senza crollare in lacrime.
Doveva sul serio uscire da
lì o sarebbe impazzito.
La giacca di Harry, che conteneva
l’anello, pesava come un
macigno, però, e Zayn sapeva che in qualche modo se ne
doveva liberare.
Si mosse velocemente, raggiungendo
l’area del palazzetto
dove sapeva esserci i corridoi che portavano ai camerini.
Passare la sicurezza non fu
difficile, lo riconobbero tutti
subito e senza domande tutti lo lasciarono passare, probabilmente
credendo
fosse lì per trovare Harry.
Come un automa, raggiunse la porta
giusta, su cui era
attaccato un foglio che diceva Harry
Styles. Era aperta, e senza perdere altro tempo,
entrò. L’odore dell’altro
lo accolse, ma non era il momento di fermarsi e annusare
l’aria.
Lasciò tutto in bella
vista, sicuro che Harry avrebbe capito
che lui era stato lì, ma che, allo stesso tempo, non si
sarebbe preso la briga
di chiamarlo e chiedergli perché non fosse restato, proprio
come non aveva
fatto in quegli anni di silenzio assoluto.
Quando si ritrovò fuori, a
malapena avrebbe saputo dire come
avesse fatto a uscire senza incontrare nessuno, ma non gliene importava
nulla.
L’unica cosa che gli
vorticava in testa era il pensiero che
era andato fino in Germania per liberarsi di un peso, e adesso sarebbe
tornato
in Inghilterra con uno più grande.
Una volta in più, la vita
aveva in serbo per lui strani
scherzi.
*
Stava rileggendo la sua tesi (la
settimana seguente avrebbe
avuto la discussione, e iniziava a sentirsi nervoso), quando
suonò il
campanello.
Per quanto gli anni da eremita li
avesse lasciati ormai alle
spalle, non molti andavano a trovarlo. I suoi genitori chiamavano
spesso, e la
maggior parte dei suoi amici non viveva nelle vicinanze.
Poteva essere un qualche compagno
d’università, ma era
alquanto improbabile.
Senza un’idea precisa in
testa, andò fino al portone di
casa, e quando gettò un’occhiata alla persona
ferma e dritta dietro il
cancello, quasi gli sembrò di sognare.
O di essere nel bel mezzo di un
incubo.
Harry lo stava fissando di rimando,
ma Zayn non avrebbe
saputo decifrare la sua espressione.
Di certo, fra tutte le persone che
avrebbero potuto
presentarsi a casa sua, Harry era la più impensabile.
Gli ci volle qualche attimo
più del normale, per riscuotersi
e ricordarsi che, se voleva che l’altro entrasse, doveva
aprirgli il cancello.
La voglia di voltargli le spalle e
rientrare in casa lo
travolse, ma Harry era testardo come pochi, se voleva parlare con lui,
avrebbe
trovato il modo per farlo.
Tornò a guardarlo mentre
si avvicinava, e a ogni passo cercò
di tranquillizzarsi un po’ di più, di
regolarizzare il respiro. Avrebbe voluto
avere il controllo sul flusso del sangue e sul battito cardiaco, magari
sui
suoi pensieri, perché quello gli avrebbe dato una parvenza
di stabilità, e
l’impressione di avere ancora autorità sul suo
corpo e sulla sua testa.
Invece, con Harry a due centimetri,
era già tanto se
riusciva a non svenire.
«Ciao» disse per
primo il più piccolo. Zayn si fece di lato,
per lasciar entrare l’altro.
Quella visita sembrava tutto meno che
di cortesia, sarebbe
stato assurdo parlare sulla soglia.
Guardò l’altro
voltarsi da una parte all’altra, ammirare i
quadri appesi alle pareti, e si ricordò che quella era la
prima volta in assoluto
che metteva piede in casa sua. L’aveva comprata quando
avevano ormai smesso di
parlarsi e vedersi o anche solo sentirsi, quindi l’occasione
di invitarlo non
c’era mai stata.
Gli fece strano, osservare
l’altro nel suo habitat, tra le
sue cose. Gli dava un’idea di come sarebbe potuto essere, ma
non sarebbe mai
stato, ed era già sufficientemente doloroso osservare le
spalle di Harry
delineate dal giacchetto di jeans, o le sue gambe fasciate dai
pantaloni stretti;
Zayn davvero non aveva bisogno di tutti quei pensieri.
«È
carino» commentò Harry, con un vago movimento
della mano,
a indicare in generale il salotto. Zayn non disse nulla,
annuì solamente, per
nulla desideroso di affrettare qualsiasi conversazione Harry volesse
avere con
lui.
L’ultima volta che si erano
rivolti la parola non era finita
troppo bene, in fondo. Oppure, era davvero finita troppo bene, e
proprio quello
era il problema.
Forse, ragionò Zayn,
quell’incontro neanche contava: lui era
talmente fuori di sé per l’alcol, che le uniche
cose che aveva urlato non avevano
senso, e Harry a
malapena era riuscito a emettere suono.
Se non contava neanche
l’incontro fulmineo e imbarazzante
all’ingresso dell’hotel, allora doveva risalire a
ere geologiche precedenti e
probabilmente entrambi si erano dimenticati come interagire con
l’altro.
Almeno, quello avrebbe spiegato la tensione che intercorreva tra loro:
era
talmente spessa, che Zayn non si sarebbe stupito di riuscire a
tagliarla con un
coltello.
«Eri a Berlino»
affermò Harry, e quando Zayn annuì di nuovo,
l’altro non sembrò sorpreso che non cercasse di
negare.
Non avrebbe avuto senso, in ogni
caso, visto che la prova evidente
era davanti ai loro occhi. Quello un po’ lo stupì.
Harry aveva al dito il suo
anello, e a Zayn sembrò che fosse giusto così.
Che quello fosse il posto al
quale apparteneva, il dito che era destinato a ornare.
«Forse dovremmo
parlare» fece cripticamente.
Zayn si mise seduto, poco dopo
imitato dall’altro, perché
iniziava a sentirsi stupido, a stare in piedi.
Lo guardò un po’
perplesso, non capendo di cosa e perché
proprio in quel momento, quando c’erano stati più
di duemilacinquecento giorni,
prima di quello, disponibili.
«Non so neanche se abbia
più senso, adesso. Ma giuro che le
ho provate tutte, Zayn, e questa è un po’ la mia
ultima spiaggia» aggiunse,
sempre più insensato. E, ok che Zayn c’era
abituato, alla mancanza di linearità
nei discorsi del più giovane, ma proprio non riusciva a
stargli dietro.
«Non credo ci sia molto da
dire» parlò, per la prima volta
da quando l’altro era arrivato.
Se non avevano mai discusso di come
il loro rapporto fosse
andato a rotoli, non vedeva perché dovessero cominciare quel
giorno. O un
giorno qualsiasi, a essere sinceri.
A lui stava più che bene,
continuare a far finta che tutto
fosse normale, che fosse usuale, per due persone che un tempo erano
state così
intime, non parlarsi, anche se non c’era mai stato nessun
litigio, nessuna
rottura definitiva che potesse legittimare un comportamento simile.
«Io…»
cominciò Harry, un po’ incerto. Poi, come si fosse
fatto forza, strinse le labbra e, senza riuscire a tener ferme le mani,
riprese. «Io sì. Ho bisogno che tu mi ascolti, ok?
Non… non devi dire nulla, se
non vuoi, e dopo potrai anche cacciarmi, ma ti prego» disse
lentamente, come se
ogni sillaba gli costasse fatica.
Zayn scrollò le spalle,
non fidandosi della stabilità della
sua voce. Aveva timore di quello che Harry stava per dire.
Temeva che avesse capito tutto e,
magari, fosse lì per
rinfacciarglielo, anche se non ne vedeva davvero
l’utilità. Forse era lì per
dirgli di non costruirsi castelli in aria su quanto successo al
matrimonio.
C’era sempre la possibilità che fosse
lì per cercare di ricostruire la loro
amicizia: se quello fosse stato il motivo, Zayn non sapeva come dirgli
che il
solo sentire la sua voce, sapendo di non poterla udire mentre gli
sussurrava
dolci sciocchezze all’orecchio, gli dava dolore fisico, e che
il nulla che
c’era tra loro era così abituale da essere
diventato quasi sopportabile (era
una bugia, ma se la raccontava lo stesso ogni notte, prima di
addormentarsi).
Sicuramente più sopportabile, che averlo per amico e,
magari, doverlo ascoltare
mentre gli raccontava della sua ultima conquista.
«Eri al concerto, quindi
hai sentito la canzone» cominciò,
per poi bloccarsi, quando si accorse dell’espressione incerta
di Zayn.
«Quale?»
s’informò Zayn, ritrovando finalmente la voce.
Harry lo guardò come non
capisse se lo stesse prendendo in
giro oppure no.
«L’ultima»
disse, solo, e bastò una frazione di secondo per
capire di quale stesse parlando.
«No»
mormorò Zayn. «No, sono rimasto solo fino al suo
discorso introduttivo» e mentre lo diceva, gli tornarono in
mente, una dopo
una, tutte quelle frasi sull’amore, specificamente quello non
corrisposto, che
gli si erano conficcate nel corpo come frecce avvelenate.
«Oh»
Harry prese a sistemarsi i capelli,
come faceva sempre
quando era particolarmente nervoso. Tutto ciò stava
iniziando a rendere nervoso
anche Zayn, più di quanto già non fosse.
«Avrai…»
biascicò così a bassa voce che Zayn fece fatica a
sentirlo, pure nel silenzio assoluto che regnava in salotto.
«Avrai comunque
capito che l’ho scritta… che l’ho
scritta per te» terminò, alzando lo sguardo
su Zayn solo alla fine.
Oh.
«Oh» commentò.
Aveva la lingua intorpidita. Forse le parole di Harry
l’avevano uccisa, e lui
non sarebbe mai più riuscito a parlare.
«È stupido, lo
so» riprese Harry. «Soprattutto perché
tu me
l’hai più volte dimostrato, che eravamo solo
amici»
Eh? No. Che?
Qualcuno poteva – per favore – spiegargli di cosa
stesse parlando Harry? No,
perché lui si era perso.
«Giuro
che ho provato
in tutti i modi, a non pensare a te. A smettere di volerti, a smettere
di
provare più che amicizia, per te. Sinceramente, non so se ci
riuscirò mai, a
questo punto. Ma ammetterlo ad alta voce, davanti a te, forse potrebbe
essere
un inizio, no? Come quando qualcuno con una dipendenza riesce ad
ammettere di
avere un problema. Non che tu sia un problema, non in generale, ecco.
Per me.
Sei… sei un problema, per me, perché non riesco a
ricordare un periodo in cui
non ti amassi, non riesco a essere felice in un rapporto con qualcuno
che non
sia tu, e non è colpa tua, ovvio che no. Non è
colpa di nessuno, se non posso
far a meno di amarti, e tu non puoi costringerti ad amare me, per cui
va bene,
è-è ok, solo che non lo è, non
davvero, e magari dirtelo una volta per tutte
potrebbe aiutarmi. O forse no» blaterò, la parte
finale bisbigliata, come se
l’avesse aggiunta solo per se stesso.
Zayn non riusciva a capire cosa
stesse succedendo. Doveva
essere un sogno, ed entro qualche minuto si sarebbe svegliato,
perché, di
certo, Harry non poteva essere davvero lì, in carne e ossa,
a dirgli che lo
amava. Anche perché Zayn era piuttosto certo che quello
fosse l’ultimo sentimento
che l’altro provasse per lui.
«Ecco»
borbottò Harry, un po’ interdetto
dall’assoluta
mancanza di reazioni da parte dell’altro.
«Tieni» disse, togliendosi l’anello
che aveva al dito, e appoggiandolo sul tavolino che li divideva.
«Io… è meglio
se lo tieni tu» spiegò, prima di alzarsi.
«Zayn…» pregò. «Mi
dispiace. Cavolo,
io… è meglio se me ne vado.
Io…» ripeté per la millesima volta,
lasciandolo in
sospeso e avviandosi verso il portone.
Il rumore dei passi che si
allontanavano lo riscosse dal
mondo nel quale era caduto a picco.
Non poteva essere.
Non poteva essere vero, di certo
Harry non gli si era appena
dichiarato, doveva essere uno scherzo. Oppure aveva sentito male. O i
suoi
timpani non avevano fatto altro che catturare le parole
dell’altro e poi il
cervello le aveva modificate a suo piacimento.
O forse… forse aveva
sentito bene, e semplicemente non
riusciva a crederci.
Non riusciva a credere che tutto
quello che aveva desiderato
si stava finalmente realizzando. Non poteva credere di aver appena
ascoltato le
parole che voleva sentirsi dire da Harry da fin troppo tempo.
Ma, soprattutto, non era possibile
che avesse appena
lasciato che Harry uscisse da casa sua, quando tutto quello che avrebbe
dovuto
fare era ammettere di provare le stesse cose.
Come se si fosse risvegliato
improvvisamente da un sogno
profondo, si alzò a sua volta, le gambe quasi intorpidite e
la testa che
continuava a ripetergli che era solo un sogno.
Quando spalancò il portone
(riuscendo anche sbadatamente a
sbattere un gomito. Il dolore gli disse che no, definitivamente non era
addormentato), Harry era a metà vialetto.
Senza fermarsi, lo chiamò,
ma l’altro alzò la testa solo
quando ormai l’aveva raggiunto.
«Harry»
ripeté, appoggiando una mano sulla sua spalla, toccandolo
per la prima volta da quando aveva suonato il suo campanello.
Harry rabbrividì, al
contatto. Si voltò, e Zayn notò come
tutti i tratti del suo bel viso fossero in tensione.
«È…
vero?» chiese, per assicurarsi che non fosse una bufala.
«Quello che hai detto, vuol dire che mi… che mi
ami?» continuò, come se non
riuscisse a crederci, in primis. «Che mi ami da sette
anni?»
«No» rispose
Harry, frantumando le vaghe speranze di Zayn, e
con esse il suo stupido, sciocco cuoricino. «Vuol dire che
neanche mi ricordo,
da quanto ti amo» aggiunse, riparando tutti i vetri infranti
in cui il muscolo
cardiaco di Zayn si era trasformato, qualche secondo prima.
«Forse da sempre.
Non lo so nemmeno io»
«Perché non me
l’hai detto prima?» domandò Zayn. Quello
avrebbe risparmiato a entrambi anni di dolori inutili. Poi, gli
sovvenne il
pensiero che lui avrebbe potuto fare lo stesso, e capì che
Harry aveva le sue
stesse motivazioni.
«Ha importanza?»
se ne uscì l’altro, con fare retorico.
«Sì»
rispose Zayn, anche se l’altro non aveva posto una vera
e propria domanda. «No. Sì. Non lo so»
si corresse da solo. «No» decise, poi,
mentre il volto di Harry si faceva sempre più confuso e
sull’orlo di spezzarsi.
«Probabilmente, l’unica cosa
che importa è che ti amo anch’io»
confessò. Si stupì di quanto facilmente gli
fossero uscite quelle parole, anche se era la prima volta che lo diceva
ad alta
voce. Il che era un po’ assurdo, a pensarci, ma non gliene
poteva fregare di
meno, quando tutto quello che riusciva a vedere, in quel momento, era
il volto
di Harry che, da triste, si trasformava in confuso e poi incerto e poi,
finalmente, felice. Quando il suo
sorriso avrebbe potuto illuminare la notte, al posto della luna e di
qualsiasi
stella. Quando le labbra del più giovane avevano ritrovato
il loro posto, sulle
sue, senza che Zayn provasse l’impulso di incolparsi per aver
rubato qualcosa
che non gli apparteneva.
*
«Non riesco a
crederci»
Harry si voltò verso Zayn,
appoggiandosi su un fianco. «A
cosa?» chiese.
Zayn lo guardò, come fosse
la persona più adorabile e, allo
stesso tempo, assurda del mondo.
«Che sei qui
davvero» disse, e le parole risuonarono nel
silenzio della sua camera da letto, eccessivamente romantiche, per uno
come lui
che non era mai stato il tipo da sdolcinatezze del genere.
Harry sorrise, come Zayn gli avesse
appena regalato la luna,
e iniziò a giocherellare con i capelli del più
grande, come non avesse un
pensiero al mondo.
«È dove voglio
stare, da sempre» sussurrò Harry, e Zayn
combatté con tutte le sue forze la risata che gli stava
risalendo la gola, ma
perse miseramente.
Scoppiò a ridacchiare, ben
consapevole dello sguardo
sconvolto che era comparso sui lineamenti di Harry.
«Scusa, scusa»
balbettò, cercando di contenersi. «Non
pensavo che saresti riuscito a rispondere in modo ancor più
stucchevole» si
giustificò, guadagnandosi una linguaccia dal più
piccolo.
«Però, davvero.
Credevo che io fossi l’ultima persona con
cui tu volessi stare» aggiunse, dopo qualche attimo di
silenzio.
Harry gli riservò
un’espressione incredula, come se l’altro
gli avesse appena detto che il loro Sistema Solare sarebbe presto
imploso. O
che Le pagine della nostra vita
faceva schifo. Probabilmente, nella testa di Harry, le due cose si
equivalevano, in assurdità.
«E io che credevo fosse
ovvio» commentò.
«E come scusa, se ti
scopavi qualsiasi cosa che si
muovesse?» lo fulminò Zayn.
Harry arrossì,
improvvisamente. «Quello… non
c’è mai stato
nessun altro, quando… durante- fartelo credere…
farlo credere a tutto il mondo
era un modo come un altro per non fartelo capire»
«Non farmi capire
cosa?» chiese Zayn, che si era un po’
perso.
Harry alzò gli occhi al
cielo. «Che volevo stare con te,
mentre tu amavi ancora Perrie. O, almeno, così
credevo»
«Sei proprio scemo. Se
l’avessi detto subito-»
«Io?»
l’interruppe Harry. «Potevi averlo fatto anche tu,
invece di evitarmi e scansarmi e smettere di parlarmi. E quando mi hai
regalato
l’anello? Potevi dirmi ‘Harry,
sei così
bello, sposiamoci domani’, – tanto
sappiamo entrambi che è vero e che lo
pensavi sul serio –, invece di tirarmelo, come hai
fatto»
Zayn lo guardò come se
Harry fosse l’essere più idiota sulla
terra. «Ok, siamo due scemi» preferì
dire. «Va meglio così?»
Harry parve rifletterci. Lentamente,
il suo volto si
spalancò in un dolce sorriso, e Zayn si disse che quella
probabilmente era una
delle cose che più gli era mancata, dell’altro.
«Sì, direi di sì»
dichiarò,
poggiando la testa sul petto di Zayn, che – istintivamente
– lo strinse tra le
braccia.
«Ci sono tante cose di cui
dovremmo parlare» perché tutto
ciò era perfetto e così giusto che a Zayn quasi
veniva da piangere, ma sette
anni erano lunghi e già gli veniva il mal di testa a pensare
che Harry per metà
del tempo stava a Los Angeles e per l’altra metà
in giro per il mondo.
«Dovremo» lo
corresse Harry, strusciandosi su Zayn come un
gatto. «Domani. Ora smettila di parlare. Piuttosto,
fa’ il tuo dovere di
fidanzato e coccolami»
Zayn quasi si strozzò. E,
cavolo, quanto avrebbe voluto
parlare, soprattutto dopo l’ultima frase del più
piccolo, ma, in fin dei conti,
Harry aveva ragione e ci sarebbero stati momenti più adatti,
per farlo.
In fondo, l’unica cosa che
voleva davvero era sciogliersi in
quel momento di perfezione, bearsi della vicinanza dell’altro
e riempirsi la
mente di HarryHarryHarry,
consapevole
che quanto successo era tutto vero e che, quando si fosse svegliato,
l’altro
sarebbe stato ancora accanto a lui.
Mentre scivolava nel sonno, lo
sorprese il pensiero che,
tutti quegli anni passati a struggersi e distruggersi
per Harry, l’avevano portato tra le sue braccia, e che era
valsa la pena leccarsi
le ferite per sette anni, se, a curarle, fosse stato proprio
l’altro.
Finalmente, Zayn aveva
l’impressione che non ci sarebbero
state ricadute e che, per una volta, tutto sarebbe andato bene.
Fine.
Note:
Ci sono tante cose non dette, che un
po’ ho lasciato tali
volutamente, un po’ perché – a scrivere
tutto – mi uscivano fuori altre 30000
parole, e avrei finito la storia per Natale.
Mi ha un po’ mangiato
l’anima, ‘sto mostro qua sopra, e non
so quanti abbiano avuto la forza e la voglia di arrivare fino in fondo,
ma mi
piacerebbe davvero ricevere qualsiasi tipo di parere, anche
perché è la prima
volta che scrivo qualcosa che non sia AU, e be’, è
stata una mezza faticaccia.
Spero non ci siano troppi errori o
refusi, ma probabilmente
non sarà così, sigh! Se ne doveste notare alcuni,
mi fareste un enorme favore a
dirmelo!!!
^__^