Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Alphesiboei    07/05/2013    7 recensioni
Harry se ne stava di fronte a un ascensore e Zayn allungò il passo per raggiungerlo, prima che le porte gli si chiudessero sul naso.
Con un balzo (che quasi gli uccise testa e stomaco), si ritrovò tra quelle quattro pareti, alla sola presenza del suo vecchio compagno di band.
«Cosa gli hai detto?» ruggì, senza pensarci troppo.
Harry mutò in un momento espressione, da vagamente impaurita ad apertamente meravigliata.
«Ehm, a chi?»
Zayn l’avrebbe preso a pugni: magari quella era la soluzione a tutti i suoi problemi e non l’aveva mai saputo.
[Zarry]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Sette anni che ti ho perso.

Pairing: Harry/Zayn (Zayn/OMC; Louis/Eleanor; Liam/OFC; Niall/OFC;)

Rating: R

Note: Dedicata a Gre, perché lei l’ha richiesta e sempre lei mi ha assillato giorno e notte per un mese, nella speranza di leggerla. Se non ti piace, ti odio. No, scherzo. Spero ti soddisfi anche solo un po’, anche se, più la rileggo, meno senso ha. Sorry.

Disclaimer: Gli One Direction non mi appartengono bla bla bla. Niente di quello che è raccontato nella storia è davvero accaduto. Credo.

 

Importante!: la storia (che è una future!fic, anche se non so se si dice così) corre su due binari cronologici, diciamo. Uno è il presente, e siamo più o meno nel 2022; l’altro, il passato, risale al 2015. Le vicende dell’uno e dell’altro si alternano, e per far capire quando si cambia periodo ho usato tre asterischi. Quando ce n’è uno, cambia solo scena. In più, per il passato ho usato il trapassato prossimo, che rallenta un po’ la lettura, lo so, ma rende l’idea!

Sono una caterba di parole e non sono neanche sicura ci sia davvero un filo logico, mi scuso in anticipo.

Buona lettura!

 

 

«Niall» disse Zayn, rispondendo al cellulare. Aveva un po’ di fiatone, a causa della corsa fatta dal bagno, al piano di sopra, fino al salotto, dove aveva abbandonato senza cura il telefono, che aveva deciso di iniziare a squillare proprio quando lui stava per uscire dalla doccia. Era quasi assurdo che da quella distanza l’avesse sentito, ma si disse che era proprio per quel motivo che teneva il volume della suoneria tanto alto.

«Ehi, amico» lo salutò l’Irlandese. «È un secolo che non ci vediamo»

Era vero. Si sentivano spesso, ma le volte in cui riuscivano a incontrarsi scarseggiavano ogni anno di più.

Sette anni prima, gli One Direction si erano sciolti. Con quattro album e cinque anni di amicizia alle spalle, avevano deciso all’unanimità che era arrivato il momento di fare altro. Tutti sapevano che ciò che abbandonavano era una delle più grandi esperienze delle loro giovani vite. Forse la più grande. Non era stata una scelta facile, presa a cuor leggero. Almeno, Zayn credeva; da parte sua, di certo non lo era stata. Sciogliere il gruppo significava non solo mettere un punto fermo a quello che era sempre stato un po’ il suo sogno, ma anche a quella routine a cui forse non si era mai abituato del tutto. Non che non ci avesse provato. Gli altri quattro, nel giro di un battito d’ali, erano diventati così importanti che ormai tra di loro si consideravano una strana famiglia e Zayn aveva come l’impressione che ognuno costituisse una parte del suo corpo. Accadeva più spesso di quanto non avrebbe voluto, però, che tutto diventasse semplicemente troppo. Troppo frenetico, troppo opprimente, troppo insopportabile. Troppo troppo troppo, e Zayn non era mai stato molto bravo a lasciarsi scivolare addosso accuse, critiche e sentimenti senza lasciarsi influenzare almeno un po’ da essi. Da qualche parte aveva letto che c’era una patologia che ti faceva credere un tuo stesso arto estraneo e non potevi farci nulla se tutto quello che volevi era liberartene. Per quanto volesse bene ai ragazzi, Zayn, verso la fine, aveva iniziato a sentirli sempre più spesso come un peso, e avrebbe mentito se avesse affermato che, quando si erano sciolti, non aveva emesso un sospiro di sollievo.

Sette anni prima, stava per soffocare. I riflettori sempre puntati addosso, qualunque cosa facessero, l’attenzione mondiale, dovunque andassero, le storie inventate o ingigantite che li perseguitavano: tutto ciò l’aveva reso negli anni sempre un po’ più schivo, tant’è che, se poteva, preferiva non farsi vedere troppo spesso in giro. Sapeva che le fan un po’ si lamentavano, di questa sua ricerca spasmodica di solitudine, ma per lui quel tempo passato in casa a non far nulla, senza nessuno, era essenziale. Lo ricaricava e gli dava la forza necessaria per affrontare tutta una nuova serie di concerti, di interviste, di incontri.

Per quanto avesse sempre agognato la tranquillità, comunque, separarsi dagli altri era stato difficile. Era quello di cui aveva bisogno, lo sapeva, ma allo stesso tempo era come ritrovarsi spezzato: ti liberi dell’arto che non sopporti più e poi ti accorgi che non avevi capito nulla, che quella parte di corpo era tua eccome, ma che ormai è troppo tardi e devi continuare a vivere senza.

Ogni volta che sentiva Niall, Liam o Louis al telefono provava la medesima sensazione. A Harry, invece, non pensava mai (era una bugia e, anche se lo sapeva, se la raccontava lo stesso).

Si riscosse, ricordando che Niall stava aspettando una sua risposta, dall’altra parte della linea. «Già» disse, dopo quella che parve un’infinità di tempo.

«Ti è arrivato l’invito?» chiese Niall, andando dritto al punto della conversazione.

Zayn sorrise tra sé e sé. Aveva sentito l’amico in quel modo eccitato poche altre volte, e Niall era sempre emozionato per tutto. Doveva pur voler dire qualcosa.

«Sì, bel colore. L’hai scelto tu?» lo motteggiò un po’.

«Ah ah» finse di offendersi l’altro, che tornò subito alla carica, chiedendo quello che gli premeva maggiormente. «Verrai, vero?»

Zayn si morse distrattamente un labbro.

Si disse che come amico doveva far proprio schifo, se Niall pensava che avrebbe saltato il suo matrimonio. Lui e Lisa stavano insieme da quando, nel 2018, Niall aveva iniziato a frequentare il pub più vicino a casa sua ogni volta che aveva voglia di una pinta. Lisa era la barista e, dopo averla conosciuta, la sete di birra era aumentata così tanto che Niall aveva preso a recarsi al locale quotidianamente. C’era voluto poco perché Niall prendesse confidenza e radunasse quel poco di coraggio necessario a invitare fuori a cena la ragazza. Lisa, che non era una fan, l’aveva trattato senza quell’adorazione referenziale a cui Niall era abituato fino alla nausea, e l’Irlandese diceva sempre che quella era la cosa che, per prima, l’aveva fatto innamorare. A distanza di quattro anni, le aveva chiesto di sposarlo e Niall era felice come quando avevano conosciuto Robbie Williams.

«Certo che verrò» rispose. A esser sinceri, l’idea di saltarlo gli aveva attraversato il cervello. Ma solo per qualche secondo, poteva giurarlo.

Niall emise un verso di giubilo che fece ridere Zayn e lo riportò indietro nel tempo, ai giorni passati nel tour bus e a quelli, precedenti, nella casa di X Factor.

«Ho sentito gli altri» aggiunse dopo qualche attimo, suonando per la prima volta un po’ incerto. «Vengono tutti, anch-»

«Lo immaginavo» lo interruppe Zayn. «Non preoccuparti»

Niall, che sembrava sempre troppo spensierato, per aver problemi, e gioioso, per ascoltare quelli degli altri, era stata la sua àncora di salvezza, in quei sette anni. Era passato così tanto tempo che Zayn si vergognava ad averne ancora bisogno ma, nondimeno, non poteva farci nulla. Niall, fra tutti, era quello che Zayn si era tenuto più vicino, che lo consigliava quando ne aveva bisogno e stava in silenzio al momento giusto. Era l’amico migliore che Zayn avesse mai avuto, l’unico che avesse vissuto le sue stesse esperienze e provato le sue stesse emozioni e, allo stesso tempo, sapesse tutto di lui. Una volta, in un’intervista, Zayn aveva ammesso che, tra loro cinque, si raccontavano sempre tutto. Era vero, nel 2012. Tre anni dopo… be’, tre anni dopo era tutta un’altra storia.

Anche a quello Zayn cercava di non pensare troppo.

«Mi piacerebbe venisse anche Mark» aggiunse Niall, interferendo con il flusso dei suoi pensieri.

«Oh» disse solo Zayn, più che altro perché era così assorbito nei ricordi che la voce di Niall l’aveva come risvegliato da un sogno millenario, sorprendendolo. «Glielo dirò»

«Bene» commentò Niall, vagamente sollevato.

«Grazie» offrì Zayn, davvero grato. Lui e Mark stavano insieme da un po’, più o meno da un anno e mezzo, ma Niall l’aveva visto una sola volta e Zayn di solito non parlava del suo compagno, quando sentiva l’amico, quindi l’estensione dell’invito anche a Mark non era scontata, anche se prevedibile.

Niall lasciò cadere l’argomento matrimonio e stava iniziando a raccontare una cosa assurda che era successa durante l’ultima data del concerto che, col suo gruppo folk, aveva fatto a Dublino, quando Zayn lo bloccò sul nascere.

«Se aspetti un attimo, mi infilo qualcosa addosso, che sto morendo di freddo» tutto perso nelle sue reminiscenze non c’aveva fatto troppo caso, ma l’aria fresca di marzo iniziava a farsi sentire e la pelle d’oca ad assalirlo.

«Oh, ti ho interrotto mentre facevi ses-»

«No, scemo. Stavo solo facendo una doccia» sentì la risata di Niall penetrargli nell’orecchio. Sentirla quotidianamente era una delle cose che gli mancava di più.

«Oh, certo» commentò Niall, con talmente tanta ironia da far alzare gli occhi al cielo a Zayn, esasperato.

Corse di sopra, portando con sé il cellulare; gettò per terra l’asciugamano che aveva avvolto ai fianchi, prese un paio di boxer e una maglietta a caso e si stese sul letto.

«Dicevi?»

Quando, dopo più di un’ora, salutò l’altro e spense la chiamata, un sorriso felice faceva da pendant a uno sguardo un po’ preoccupato, nel più assurdo degli ossimori.

 

***

 

Era tutta colpa sua, lo sapeva.

Perrie gli aveva chiesto di accompagnarla a un qualche evento, di cui neanche si ricordava il nome. Per l’ennesima volta, lui aveva preferito deludere la sua ragazza e rimanere a casa, dormire e magari leggersi qualcosa.

Lei l’aveva accusato di non esserci mai, nemmeno quando, effettivamente, poteva esserci. Il loro quarto tour mondiale sarebbe iniziato di lì a un mese e di certo non avrebbero potuto vedersi quasi mai per più di otto mesi, e lui che faceva? Se ne stava in casa invece che con lei.

«Inizio a stufarmi» aveva asserito. E con quello, aveva spento la chiamata, senza aspettare la risposta di Zayn.

*

La sera stessa, proprio mentre lui stava per andare a dormire, aveva sentito il portone aprirsi. Poche persone, oltre a lui, possedevano la chiave di casa sua: i suoi compagni di gruppo e, naturalmente, Perrie.

Sapeva che doveva essere quest’ultima, poiché gli altri quattro avrebbero perlomeno avvertito, prima di andare a trovarlo.

Si era alzato dal letto e stava per scendere le scale, quando aveva notato Perrie appoggiata con la schiena al portone di casa, la testa bassa e l’atteggiamento dimesso.

«Perrie?» aveva chiamato, incerto.

La ragazza non si era mossa neanche all’udire il suono della sua voce, così Zayn aveva sceso le scale, la preoccupazione che iniziava a salire.

«Che succede?» aveva chiesto, dopo averla raggiunta. Avrebbe voluto abbracciarla, ma qualcosa gli diceva che quella era l’ultima cosa che Perrie voleva che lui facesse.

«Non ce la faccio più» aveva esalato, alzando finalmente il volto e intrecciando gli occhi azzurri a quelli scuri di Zayn.

Zayn avrebbe voluto chiedere a fare cosa?, ma gli si era formato un groppo in gola e non riusciva più neanche a deglutire.

«Io ti amo, Zayn» aveva continuato, strizzando le labbra, come se quello che stava per dire gli procurasse un’enorme angoscia. «ma credo che quello che cerco… che quello di cui ho bisogno non sia qui. Con te»

Zayn era sicuro di aver sentito qualcosa frantumarsi, in quel momento. Il rumore di cristallo che si spezza, a contatto col suolo, gli aveva invaso le orecchie, il cervello, lo stomaco, e la gola gli si era talmente seccata che probabilmente non avrebbe potuto parlare mai più.

«Mi dispiace» aveva detto Perrie, forse aspettandosi una replica di Zayn o forse consapevole che essa non sarebbe mai arrivata. Poi si era sporta, gli aveva lasciato un bacio, lieve come quello di un fantasma, su una guancia e si era voltata.

Zayn non si era davvero accorto di quanto successo fino a che non aveva sentito il portone chiudersi delicatamente dietro alla ragazza che amava e che l’aveva appena lasciato.

La portata di quanto successo si era abbattuta improvvisamente su di lui che, senza appoggio, si era lasciato scivolare a terra, incapace di fare altro se non fissare il legno scuro che aveva di fronte.

Perrie se ne era andata ed era tutta colpa sua.

*

Era giorno, quando si era svegliato. Una fitta di dolore al collo l’aveva avvertito che dormire sul pavimento non era comodo, ma il portone si stava aprendo di nuovo e magari era Perrie che era tornata a dirgli che non era vero nulla, che lo amava, che senza di lui non poteva stare, che lo rivoleva indietro.

Si era alzato talmente in fretta che per poco non aveva perso l’equilibrio, ma quando la persona che l’aveva svegliato era apparsa sulla soglia, Zayn si era accorto che non era Perrie, affatto.

Al posto di lisci capelli biondi c’era una massa di ricci perfetti, e gli occhi non erano azzurri, ma verdi.

«Zayn» aveva detto Harry, entrando.

Il suo tono di voce era tutto una compassione e Zayn lo stava odiando.

«Cosa vuoi?» aveva chiesto, forse un po’ troppo aggressivamente.

«Sono le due» aveva sorriso, ancora quell’insopportabile sfumatura a colorare le parole. «Dovevamo vederci quattro ore fa, per le prove»

Zayn se ne era completamente dimenticato. L’unica cosa che si ricordava era Perrie che se ne andava e lui che, troppo stanco per tornare a letto, si era appoggiato per terra, senza riuscire a trovare pace. Probabilmente si era addormentato che già albeggiava.

Aveva scrollato le spalle, le prove erano l’ultima cosa di cui gli importasse, in quel momento.

«Zayn» aveva ripetuto, con ancor più tristezza nella voce. Senza aggiungere altro, aveva fatto passare un braccio lungo i suoi fianchi e, sorreggendolo, l’aveva trascinato fino in camera sua. Neanche fosse sua madre, l’aveva fatto stendere sul letto e l’aveva guardato indeciso, prima di togliersi le scarpe e raggiungerlo sotto le coperte.

Non era strano, per loro, dormire nello stesso letto. Di certo, non lo era condividere una stanza. Niall una volta aveva detto, in un’intervista, che Zayn e Harry quando erano in hotel volevano sempre stare in stanza insieme, e, anche se l’avevano fatto arrossire e vergognare come non mai, quelle parole erano la pura verità. Non sapeva perché entrambi sentissero quel bisogno (e sinceramente non sapeva neanche se poteva davvero parlare di bisogno), ma nessuno dei due ci pensava troppo.

Harry l’aveva guardato per qualche istante e poi l’aveva stretto, fino a che la fronte di Zayn non si era appoggiata al suo petto. Zayn aveva sentito i suoi occhi inumidirsi e, proprio mentre le lacrime, che aveva trattenuto così ostinatamente per tutta la notte, iniziavano a scendergli e a bagnargli le guance, aveva allacciato le sue braccia alla schiena di Harry, ricambiando la stretta.

 

***

 

Il campus era affollato, come ogni martedì mattina. Zayn camminava tranquillamente, perché, strano ma vero, aveva ancora qualche minuto prima di doversi incontrare con il suo professore.

Dovevano rivedere assieme la parte finale della sua tesi che poi, finalmente, avrebbe potuto consegnare. Il suo lavoro era essenzialmente uno studio trasversale su Shakespeare, che partiva dai Sonetti e si collegava a vari altri testi riconducibili ai Sonetti stessi, nella maggior parte dei casi tramite rimandi e citazioni. Per quanto scontato, era sempre stato il suo poeta preferito e anche quando era più giovane, specialmente durante le interminabili ore di viaggio, portava sempre con sé una qualunque delle sue opere. Aveva finito per rileggersele tutte più e più volte, senza stancarsi mai. Louis non faceva che prenderlo in giro, per questo, ma Zayn non se la prendeva troppo.

Aver ripreso gli studi, dopo tutto quello che aveva vissuto col gruppo, non era stato semplice, ma si era rivelata la cosa giusta da fare.

Dopo alcuni anni passati cercando di farsi vedere il meno possibile dal mondo intero, si era deciso a fare qualcosa della sua vita, consapevole che essa non era finita assieme agli One Direction. Si era iscritto a Inglese, che era ciò che avrebbe fatto se tutto fosse andato diversamente. Il suo piano A, che dopo X Factor era inevitabilmente diventato il piano B, si era rivelato meno eccitante della vita della pop star (e quello Zayn l’aveva previsto), ma se essa lo vestiva come un guanto di due taglie più grande, quella da studente lo calzava perfettamente.

All’inizio non era stato facile neanche sopportare le continue occhiate che gli altri studenti gli lanciavano. Quando si era iscritto, aveva venticinque anni ed era di sette più grande della maggior parte del corpo studentesco, anche se Zayn sapeva bene che la sua età c’entrava poco con i bisbigli che lo seguivano dovunque andasse. Avrebbe voluto nascondersi e tornarsene a casa, rinchiudersi di nuovo in quella sua stupida torre d’avorio, perché anche se aveva passato cinque anni sotto continui riflettori, l’attenzione della gente ancora riusciva a stressarlo.

Quattro anni dopo, però, si era ormai abituato anche a quello e, allo stesso tempo, i suoi compagni di corso si erano abituati ad averlo come compagno di banco, e tutti gli altri a vederlo in mensa o in biblioteca, come il più comune degli universitari.

Controllò l’orologio e accelerò un po’ il passo, altrimenti, da in anticipo che era, avrebbe ritardato anche quella volta. Era confortante sapere che qualcosa non sarebbe mai cambiato.

*

Entrato in casa, si tolse il giacchetto. Nello stesso istante, il cellulare prese a vibrare, informandolo dell’arrivo di un messaggio.  

Era Mark che gli chiedeva come fosse andata col professore e se quella sera si sarebbero visti. Zayn sorrise. Il suo ragazzo era la gentilezza fatta a persona ed era premuroso e attento, e lui cercava di non chiudersi troppo in se stesso, cosa che gli veniva, da sempre, quasi naturale fare.

Si erano conosciuti attraverso amici comuni, quando una sera, dopo più di due anni, e giorni e giorni di insistenza, aveva capitolato e accettato l’invito di alcune sue compagne di corso di andare a bere qualcosa con loro. Così si era ritrovato nel bel mezzo di un enorme gruppo di ragazzi, troppo rumorosi, per lui, e troppo curiosi di sapere come fosse essere lui.

Non l’aveva notato subito, Mark. Non perché non fosse un bel ragazzo o il suo tipo, ma perché, soffocato da tutta una serie infinita di domande, quel ragazzo un po’ taciturno che se ne era rimasto in disparte non era proprio entrato nel suo campo visivo. Poi, le acque si erano calmate e Zayn aveva notato che dall’altra parte del tavolo c’era qualcuno che non lo stava fissando con, negli occhi, una luce che parlava di curiosità per il personaggio che era stato; se fosse stato un po’ più giovane e più imbarazzabile, sarebbe arrossito: per quanto alle volte viveva in un mondo suo, sapeva riconoscere lo sguardo di qualcuno che, invece, era interessato a lui. E, per quanto fosse sciocco, a Zayn era sembrato che quell’interesse non fosse prettamente fisico; ma non si erano neanche parlati, quindi un po’ assurdo lo era davvero. Aveva ricambiato lo sguardo senza troppi problemi perché tutto il mondo, al quale probabilmente non importava più molto di lui, sapeva che era bisessuale. Si era alzato, continuando a guardarlo e dicendo che sarebbe uscito a fumarsi una sigaretta. Sperava di aver lanciato i giusti segnali e che l’altro l’avrebbe seguito. Non aveva dovuto aspettare molto.

Si era presentato per primo, perché per l’altro sembrava già essere stato un passo da gigante essersi fatto avanti a quel modo. Non che Zayn fosse mai stato un grande corteggiatore, anche se tutti i tabloid e anche le fan sembravano pensarla diversamente. In realtà, lui era sempre stato un tipo piuttosto fedele e per metà del tempo passato a far parte della boyband più famosa al mondo era stato con Perrie. Alla parte rimanente non pensava mai troppo, perché, ogni volta che lo faceva, finiva per annegare in brutti pensieri, e comunque le sue riflessioni non lo portavano mai a nulla.

Mark era un po’ più giovane di lui e un po’ più grande delle ragazze che l’avevano invitato a uscire quella sera. Si era appena laureato in economia e stava valutando le sue opzioni.

Avevano parlato un po’ e Zayn aveva finito per capire che Mark era molto simile a Liam: si spiegavano, così, almeno la timidezza e il tatto che sembravano caratterizzare il ragazzo.

Mark non gli aveva fatto una domanda sugli One Direction, e, alla fine della serata, Zayn gli aveva chiesto il numero.

Un anno e mezzo dopo, stavano ancora insieme.

*

Si sedette sul divano, una birra in mano e gli occhi che seguivano ogni movimento del suo ragazzo.

Certo che ci vediamo, aveva risposto al suo messaggio, perché, se c’era una cosa che aveva imparato, era che se voleva che qualcosa funzionasse doveva impegnarsi attivamente e che, per quanto in parte triste, l’amore non si alimenta da solo e le relazioni vanno coltivate.

Prese un sorso, cercando di non pensare a quello che, come tutte le volte, la parola amore gli riportava alla memoria. Aveva imparato a essere sempre sincero con se stesso e, per quanto si odiasse per quello, non poteva fare a meno di ammettere che, sì, era affezionato a Mark, solo non sapeva se ne era innamorato. A ben vedere, non era sicuro che sarebbe mai riuscito a innamorarsi di nuovo. Dopo tutti gli anni che erano passati e le persone che aveva conosciuto, l’unica per cui avesse mai provato quel sentimento era anche l’unica che non lo voleva e quella che l’aveva ferito più profondamente. Si sentiva uno stupido idiota, incapace di voltar pagina e andare avanti pur volendolo con tutto se stesso.

«… -sore?» la voce di Mark lo riscosse dai suoi pensieri.

«Dicevo, com’è andata col prof?» ripeté, perché ormai lo conosceva e quella non era di certo la prima volta che Zayn si estraniava dalla realtà, finendo nel passato (anche se, di quello, Mark davvero non aveva la più pallida idea).

«Bene. A dire la verità, più che bene» disse Zayn, ripensando alla mattinata appena trascorsa.

«Sì?» lo guardò incuriosito Mark.

Zayn annuì un paio di volte. «Mi ha proposto di continuare a studiare con lui, all’università» raccontò.

«E tu?»

«Ho detto che devo pensarci un po’» rispose, scrollando le spalle. Non aveva mai vagliato la possibilità di restare nel mondo accademico e proseguire con gli studi e con la ricerca, ma, solo a sentire la proposta, si era emozionato. Da ragazzino, voleva studiare inglese e pensava che un giorno avrebbe fatto l’insegnante. Adesso, non aveva realmente necessità di lavorare e di riportare uno stipendio a casa. In linea generale, avrebbe potuto vivere di rendita fino alla fine dei suoi giorni. Per questo, il fatto che un ricercatore guadagnasse una miseria lo interessava relativamente, e, invece, si era solo focalizzato sull’idea di continuare a studiare. «ma probabilmente accetterò»

«Sono contento» disse Mark, mettendo un DVD e raggiungendolo sul divano. Gli scoccò un bacio sulla guancia, per poi accoccolarsi contro il suo fianco, una mano allacciata alla sua vita, mentre un braccio di Zayn passava sopra le sue spalle, in quella che era la loro abituale posizione.

«Che hai scelto?» chiese, dubbioso.

«Non Love Actually, giuro, so che non lo sopporti» mise metaforicamente le mani avanti. «Anche se devo ancora capire il motivo»

«Non lo odio. È un film stupido, ecco tutto» affermò Zayn, consapevole di aver dato voce a una mezza verità.

Mark ridacchiò e aprì la bocca per aggiungere altro, ma A qualcuno piace caldo stava per iniziare e il ragazzo sembrò cambiare idea.

Zayn tirò un sospiro di sollievo.

 

***

 

Prima di conoscere gli altri, non sapeva cosa significasse avere un fratello. Adorava le sue sorelle, ma si era reso presto conto che il tipo di rapporto che poteva instaurare con altri ragazzi (con cui viveva e ai quali rubava i vestiti) era completamente un’altra cosa.

Nel chiuso di una camera d’albergo, si era sentito se stesso come mai prima. Consapevole che gli altri quattro l’avrebbero amato per chi era e non per chi cercava di essere, si era fidato ciecamente.

Sapeva anche che l’avrebbero sostenuto e sorretto, come avrebbe fatto anche lui, qualsiasi cosa fosse successa.

Per questo, non si era sorpreso degli sguardi preoccupati che gli altri gli avevano riservato, i giorni dopo la sua rottura con Perrie.

Più lui aveva detto di star bene, però, più quelli erano aumentati: anche quello era un chiaro segno di quanto i suoi amici lo conoscessero.

Aveva cercato di farsi forza, anche perché se l’era praticamente cercata: a pensarci, Perrie aveva resistito anche troppo, con uno come lui. Si meravigliava che non l’avesse mollato prima.

Avevano dovuto fare una serie d’interviste, prima di partire per il tour, e lui aveva fatto del suo meglio per mostrarsi tranquillo ogni volta che l’argomento usciva fuori ed era costretto a rispondere come se quella non fosse la fine del mondo, anche se ne aveva tutti i connotati.

Liam aveva preso l’abitudine di sedersi vicino a lui, sia durante le interviste, sia durante i vari spostamenti, perché ancora ricordava bene quanto fosse stato male quando era successo a lui, due anni prima. Non diceva mai nulla, ma a Zayn andava bene lo stesso.

Louis aveva cercato di farlo ridere più del solito, visto che con Liam a suo tempo aveva funzionato abbastanza bene. Quando la pressione diventava eccessiva, avere qualcuno sempre pronto a risollevarti il morale era una benedizione, e Zayn aveva provato a sorridere anche le volte in cui tutto quello che voleva fare era rinchiudersi nel buio della sua stanza e fingere che non stava piangendo.

Niall lo aveva rintronato di parole e rifocillato con ogni sorta di cibo, perché aveva paura che, se non fosse stato per lui, Zayn si sarebbe lasciato affamare. Probabilmente aveva ragione, e – se non era letteralmente scomparso – Zayn doveva ringraziare in gran parte l’Irlandese.

Harry. La questione, con Harry, era infinitamente più complessa e, se qualcuno gli avesse raccontato come sarebbe andata a finire, solo qualche mese prima, Zayn non ci avrebbe mai creduto.

 

***

 

«Il mese prossimo, Niall si sposa» iniziò a dire. Si era dimenticato di accennarlo, l’ultima volta che si erano visti e doveva dare una risposta all’amico. «Mi ha detto che sei invitato anche tu. Se vuoi»

Mark lo guardò, sorridendo lievemente. «E tu?» chiese. «Vuoi che ti accompagni?»

«Certo» disse, così velocemente, che l’altro sollevò anche le sopracciglia che non aveva. Certo che lo voleva con sé. L’idea che qualcuno sarebbe sempre rimasto al suo fianco era l’unica cosa che lo stesse aiutando a non impazzire. «Voglio dire, puoi prendere un permesso di un paio di giorni dal lavoro?»

«Non dovrebbero esserci problemi» affermò Mark. Era visibilmente contento, e Zayn si chiese se fosse dovuto alla richiesta in sé o all’idea di fare qualcosa con lui che non fosse andare al cinema o a mangiare una pizza. Ragionò: non è che l’avesse mai tenuto nascosto, Niall l’aveva conosciuto, erano andati a pranzo dai suoi genitori piuttosto di frequente, nell’ultimo periodo, e lo presentava sempre come il suo compagno. Quindi, no, l’invito non avrebbe dovuto davvero sorprenderlo.

Si disse che, alla fine, quello non aveva molta importanza.

L’importante era che la sua presenza gli evitasse situazioni imbarazzanti e di ricadere in quel vortice sentimentale dal quale non era ancora del tutto sicuro di essere uscito.

 

***

 

Durante la prima intervista dalla rottura, Harry gli era rimasto tutto il tempo vicino.

Così tanto, che Zayn aveva potuto percepire il calore proveniente dall’altro anche da sotto il maglione pesante che stava indossando. Ogni tanto una mano era finita su una sua spalla o un braccio, più raramente lungo la schiena, ma ogni tocco aveva l’esatta intenzione di ricordargli che Zayn poteva sempre contare sulla sua presenza, sulla sua amicizia, se sentiva di non farcela.

*

Harry aveva sempre saputo come prenderlo, quando forzarlo e quando lasciarlo in pace. Era consapevole che Zayn avesse bisogno di stare un po’ da solo, ma aveva anche l’impressione che, se avesse lasciato correre troppo tempo, l’altro avrebbe finito per scomparire tra le lenzuola, e loro non se ne sarebbero nemmeno accorti.

Per quel motivo, aveva presto l’abitudine di andare da lui, dopo cena.

Le prove erano sempre state stancanti, ma di lì a pochi giorni, tutto sarebbe stato dieci volte peggiore: più caotico, più faticoso, più stressante, e Zayn aveva la strana sensazione che non avrebbe resistito neppure per tre concerti.

La presenza di Harry in casa sua, stravaccato sul suo divano o seduto al suo tavolo, però, aveva la capacità di rilassarlo come nulla, di fargli dimenticare di quanto Perrie gli mancasse e di non farlo interrogare su quanto ancora le sue spalle avrebbero retto il peso di tutta quella fama. Per questo, ogni volta che Harry aveva suonato al suo citofono, non aveva neanche preteso di essere scocciato dalla visita.

*

Una volta, Harry si era presentato con tutta la sua raccolta di film romantici. Li aveva stipati dentro due enormi buste, perché evidentemente era messo in condizioni peggiori di quanto chiunque avesse ipotizzato fino ad allora.

Zayn l’aveva guardato male, perché un film d’amore strappalacrime era tutto quello che non gli serviva, al momento.

Harry aveva fatto una faccia incredula, come se per lui fosse stato impossibile pensare che ci fossero dei casi in cui quelle pellicole non funzionassero da panacee miracolose.

Alla fine si era arreso, anche se Zayn aveva notato che una scia di dubbio gli attraversava ancora la mente, e aveva posato le buste per terra, contro il muro.

«Le lascio qui,» aveva detto. «così quando ti sentirai abbastanza forte da non scoppiare in lacrime alla prima battuta, ce li guardiamo»

Zayn l’aveva ucciso con lo sguardo e aveva sollevato il mento in segno di sfida. Specchiando i suoi occhi in quelli verdi dell’altro, aveva già previsto come tutto sarebbe andato a finire.

«Forse ti confondi» l’aveva preso in giro. «Io non mi chiamo Styles»

Harry aveva sollevato un sopracciglio, aspettando le parole che, era certo, sarebbero arrivate.

«Metti pure il più tragico che hai»

E così erano finiti a guardare un mattone angosciante di cui non si ricordava il nome neppure il giorno successivo.

La cosa buffa era stata che, troppo preso a prendere in giro il più piccolo per i suoi gusti osceni, aveva sommariamente seguito la trama, e che, neanche una volta, il volto di Perrie gli aveva attraversato i pensieri.

*

La prima volta che era uscito con gli altri, di sera, erano passate due settimane da quando Perrie si era presentata in casa sua, e altre due ne mancavano all’inizio del tour.

Harry l’aveva costretto a infilare una maglietta decente e a sistemarsi i capelli.

«I miei capelli vanno bene sempre» aveva sostenuto, cercando di scansare le mani dell’amico. «Come li metti, li metti, sto comunque da favola» aveva scherzato, e l’altro l’aveva guardato per metà scettico. L’altra metà non aveva saputo decifrarla, invece.

«Su muoviti, perfezione» gli aveva detto Harry, lasciando perdere i capelli e iniziando a trascinarlo fuori di casa per una manica.

*

Il locale era uno dei mille di Londra: per Zayn erano tutti uguali. Stessa gente, stesso rumore, stesso odore, e lui già non ce la faceva più. Aveva odiato un po’ Harry, per quello, perché l’aveva costretto ad abbandonare le sue calde coperte e ora si ritrovava in mezzo a tutti quei corpi che non lo interessavano, tutte quelle ragazze che lo fissavano solo perché era Zayn Malik ed era famoso, tutti quegli occhi che non erano abbastanza azzurri da catturare la sua attenzione.

Avrebbe voluto cancellare quella sensazione, perché dopo quindici giorni ancora si stava piangendo addosso, ma lui non poteva proprio farci nulla: c’erano momenti in cui quasi riusciva a dimenticarsi di quanta voglia avesse di sentire il suono della risata di Perrie o di stringerla tra le braccia, ma passavano più velocemente di un acquazzone estivo.

Poi aveva sentito un braccio posarglisi sulla spalla e ne aveva riconosciuto il peso familiare, dopo un attimo di disorientamento.

«Ehi, vieni a bere qualcosa» gli aveva urlato all’orecchio Harry.

Zayn aveva annuito e pensato che almeno, in quel modo, avrebbe avuto da fare qualcosa che non fosse fissare con nostalgia in lontananza.

*

La sera precedente alla prima data di ognuno dei loro tour era sempre stato in preda all’agitazione.

L’anno precedente, se lo ricordava bene, l’aveva passato a coccolarsi con Perrie, che non aveva fatto altro che ripetergli quanto sarebbero stati meravigliosi, sul palco, quanto erano perfetti per cantare insieme, quanto bene ognuno riempisse lo spazio lasciato dagli altri.

Un anno dopo, stava sdraiato sullo stesso letto, solo che della ragazza non c’era neppure l’ombra. Non c’era nulla che gliela ricordasse, nella stanza e nell’intera casa. Non un vestito, un paio di scarpe. Neanche uno spazzolino.

Perso nei suoi pensieri, per poco non aveva sentito la porta di casa aprirsi. Il flashback di qualche settimana prima gli era apparso davanti agli occhi, ma si era subito dato dell’idiota. Dubitava fortemente potesse essere Perrie, visto che gli aveva reso la sua copia delle chiavi.

«Zayn?» l’aveva chiamato una voce che aveva riconosciuto subito come appartenente a Harry.

La sua piccola speranza aveva, così, ricevuto un definitivo calcio negli stinchi, ma era anche vero che l’unica altra persona, oltre Perrie, che in quel momento gli avrebbe fatto piacere vedere, era proprio Harry, per cui aveva scacciato in fretta la delusione.

«Sono su!» gli aveva urlato, troppo pigro per scendere le scale e anche solo per alzarsi dal letto.

Così, quando Harry era entrato in camera, non solo l’aveva trovato steso placidamente sul letto, ma anche nella più completa oscurità.

Aveva acceso la luce, altrimenti avrebbe finito per sbattere contro qualcosa, e, senza neanche salutarlo, era saltato sul letto senza troppi complimenti.

«Com’è?» gli aveva chiesto, anche se Zayn era quasi certo che Harry conoscesse già la risposta a quella domanda e che si fosse informato solo per farlo parlare. Da quando stava in quella band, la sua più grande convinzione, e cioè che per ogni maschio sulla faccia della terra parlare di se stessi fosse qualcosa da evitare caldamente, era stata demolita, pezzo dopo pezzo.

Aveva scrollato le spalle, tanto per cercare di non dargli troppo spago, anche se già sapeva che avrebbe fallito miseramente.

Harry si era avvicinato e aveva appoggiato la testa sulla sua spalla. Zayn aveva sospirato, già un po’ più felice, perché il contatto fisico con le persone a cui teneva gli era sempre piaciuto. In particolare, aveva sempre adorato i ricci di Harry che, dovunque si posassero, gli facevano il solletico, e la morbidezza del suo volto, anche se, quest’ultima si era un po’ persa negli anni.

Era quasi sul punto di addormentarsi, quando l’altro aveva deciso che era il momento di provare di nuovo a fargli emettere qualche sillaba intelligibile.

«Nervoso?»

Zayn avrebbe quasi voluto rispondere allo stesso modo di pochi attimi prima, ma sapeva che Harry poteva essere ostinato quando lui e non avrebbe mollato per nulla al mondo.

«Un po’» aveva risposto, senza sbilanciarsi troppo.

Harry non aveva commentato, né aveva cercato di approfondire il discorso. Zayn sapeva che l’amico poteva quasi leggergli nel pensiero; che poteva vedere che per lui le luci del palco erano diventate così forti da essere quasi accecanti, le urla delle ragazze insopportabili; che per lui tutto quello era diventato ormai più un peso che un divertimento, un sogno, la realizzazione di una vita intera.

Con un movimento leggero, Harry aveva raggiunto lo zaino che neanche aveva notato fino a quel momento e ne aveva tirato fuori un involucro.

Zayn aveva fissato le mani grandi dell’amico rollare una canna, rimettere a posto il tutto con cura e cercare un accendino. Poi gli occhi si erano spostati sulle labbra, che circondavano la promessa di un effimero e fin troppo breve rilassamento.

Harry gliel’aveva passata quasi subito e Zayn l’aveva accettata di buon grado, tirandosi su, fino a che con la schiena non era andato ad appoggiarsi alla testata del letto. In quella posizione, sembravano quasi due amanti che si riprendevano da una sessione di sesso infuocato. O due vecchi che condividevano un confortevole silenzio.

Entrambe le idee facevano un po’ ridere.

«Che ridi?» gli aveva, infatti, domandato Harry, quando aveva notato la sua espressione.

Zayn gliel’aveva detto e l’altro l’aveva guardato con una luce maliziosa negli occhi, così tipicamente sua che doveva essergli connaturata.

«Preferisco la prima» aveva asserito, facendogli l’occhiolino.

Zayn aveva scosso la testa. «Ovvio» aveva commentato. «Sono un fico»

Harry l’aveva guardato storto, ma non aveva negato.

 

***

 

A Dublino, l’aria era un po’ più fresca che in Inghilterra, ma si stava piuttosto bene, per essere a malapena in primavera.

Zayn sbadigliò e appoggiò la mano alla maniglia della portiera del taxi: erano appena arrivati all’hotel che Niall aveva affittato per il matrimonio.

Deglutì e si fece forza quando sentì l’altra, dalla parte opposta, richiudersi con un rumore leggero. Mark era sceso e stava ammirando l’immenso albergo che avevano di fronte.

Zayn non si stupì; Niall era sempre stato espansivo e amichevole. Loro lo prendevano sempre in giro, ma in realtà lui gli invidiava quella sua particolare capacità di riuscire a fare amicizia con chiunque nel giro di qualche attimo. Probabilmente aveva invitato tutti quelli con cui aveva anche solo parlato per più di un’ora.

Sperò che non ci fossero troppi paparazzi in giro o, perlomeno, che non lo riconoscessero (anche se quello era un po’ improbabile e lui stesso lo sapeva). Avrebbe voluto passare un week end tranquillo, tanto più che le attenzioni della stampa non piacevano neanche a Mark.

Si ricordava la reazione dei giornaletti e, soprattutto, d’Internet, la prima volta che era uscito con un uomo. La band si era sciolta da poco più di un anno e lui aveva smesso di frequentare tutti i posti che potevano ricordargli l’ultimo lustro. Era in biblioteca, quella comunale che gli studenti snobbano, e dove le persone tendono a entrare con un libro, uscire con un altro, tutto nel giro di dieci minuti. A lui piaceva passarci le ore, invece. Quando l’aria di casa iniziava a farsi pesante, andava sempre lì. Era diventato il suo posto preferito e passare le dita sulle coste dei volumi, prenderli e sfogliarli la sua grande passione. Andy l’aveva conosciuto per caso. Camminava quasi di lato, troppo intento a leggere i titoli della sezione filosofica per accorgersi di dove stesse mettendo i piedi, fino a che non si era scontrato con qualcosa di solido. Non qualcosa, in realtà, ma qualcuno. Andy, appunto. Che gli aveva sorriso e aveva scherzato, e nel giro di mezzora sapeva chi fosse il suo autore preferito e quale il libro più bello che avesse mai letto. Cinque minuti dopo, gli aveva chiesto se per caso avesse fame, visto che era ora di pranzo, e magari se voleva andare a mangiare un boccone con lui. Zayn aveva sorriso, perché tutto quel parlare non solo gli aveva messo appetito sul serio, ma soprattutto gli era venuto così facile che stentava a riconoscersi.

Non li avevano scoperti fino alla terza uscita e Zayn si era dato dell’imbecille, perché il ristorante che aveva scelto, pur non essendo il più frequentato dalle celebrità, era piuttosto rinomato.

Il giorno dopo l’appuntamento, le foto di loro due che ridevano a cena, come avrebbero potuto fare due normalissimi amici, erano su ogni mediocre giornale, contornate da lettere cubitali che si interrogavano sulla sua presunta omosessualità.

Gliene sarebbe importato poco se non fosse stato per il baccano e la schiera di fotografi che per qualche periodo l’avevano seguito ogni rara volta che usciva.

E per Andy che, senza pensarci due volte, l’aveva mollato, non dimenticandosi di vendere un’esclusiva al The Sun con tutti i dettagli inventati della loro ingigantita relazione.

*

Appena lo vide, Niall gli corse incontro. Lanciò qualche urlo, mentre Zayn rideva e apriva le braccia per salutarlo come si deve, dopo una vita che non si erano potuti guardare in faccia.

«Sei qui» strillò, sottolineando l’ovvio, con il tono tipicamente felice di Niall. «Ehi, Mark» aggiunse, con un sorriso, quando Zayn l’ebbe finalmente lasciato andare.

Lo riabbracciò di nuovo, giusto perché poteva, e l’Irlandese se ne uscì in un gridolino che fece ridere di gusto anche lui e gli fece passare un po’ di quel nervosismo che si sentiva addosso da un qualche giorno.

«Avrei tanto voluto te, come testimone» se ne uscì di punto in bianco, guardandolo negli occhi. Zayn sapeva che l’affermazione dell’amico non era detta con sufficienza, ma che ci credeva davvero. «Ma le prove e tutto il resto… saresti dovuto venir su un mese fa» concluse, storcendo il naso, come se quei trenta giorni fossero stati i più orribili di tutta la sua vita e non il graduale percorso verso quel giorno importante.

«Ehi, non preoccuparti. Almeno, quando stasera ti ubriacherai» scherzò su. «non m’incolperanno di non averti controllato bene»

Niall gli sorrise per la millesima volta e stava per aprir bocca per aggiungere altro quando una voce femminile lo chiamò.

«È mia suocera» spiegò, con tono afflitto. «Ah» fece, mentre già stava per andarsene. «Liam e Louis sono al bar» l’informò, indicando una generica direzione dietro le sue spalle.

Probabilmente gli occhi avevano iniziato a luccicargli, perché, se possibile, non vedeva quei due da ancora più tempo di Niall.

«Vieni» disse a Mark. «Ti faccio conoscere il resto della band»

Lo sguardo di Mark gli disse che aveva sbagliato i calcoli, che all’appello ne mancava ancora uno, ma non ci badò troppo.

*

Liam e Louis erano entrambi di schiena, quando raggiunsero il bar.

Erano anche entrambi accompagnati; almeno credeva lo fossero, visto che in quel momento erano soli come due scapoli.

Louis era sposato da cinque anni con Eleanor e Zayn ancora ricordava la cerimonia, che era stata sopra le righe dall’inizio alla fine, proprio come lo erano anche i due sposi. Gli One Direction si erano sciolti da due anni e tutti bramavano fare una foto col gruppo riunito. Per Zayn, che aveva sperato di evitare qualcosa del genere con tutte le sue forze, era stata una piaga. Avrebbe anche voluto evitare di stare troppo a contatto con persone che avrebbe preferito accantonare nel passato (anche se, per prima, la sua mente non era in grado di farlo), ma non era stato possibile perché, evidentemente, chi aveva detto volere è potere della vita non aveva capito proprio nulla.

Quello che, ormai, considerava il suo fratello maggiore, comunque, aveva un figlio, come aveva sempre desiderato e, ogni volta che lo sentiva, era un po’ più felice. Zayn non si perdeva mai il suo programma radiofonico, perché era la cosa più divertente che fosse mai stata trasmessa. Con gli anni, l’ironia di Louis si era affinata (e affilata) ancora di più, per quanto potesse parere impossibile, e ascoltarlo era come fare un tuffo nel passato. Per quanto non rimpiangesse le scelte fatte, sarebbe stato sciocco non ammettere che, di certi momenti, ne avrebbe sentito la mancanza per sempre e la voce di Louis alleviava quelle sensazioni.

Liam, invece, stava con una pittrice da quasi tre anni; da uno convivevano e, l’ultima volta che aveva parlato con lui, l’amico gli aveva detto di avere intenzioni serie. Zayn non si era stupito per nulla, fra tutti, si sarebbe aspettato che Liam fosse il primo a sposarsi, invece quel privilegio era toccato a Louis e, da domani, sarebbe stato battuto in velocità anche da Niall.

La compagna di Liam si chiamava Grace, e i due si erano incontrati a una mostra di artisti emergenti; la donna aveva dei lavori esposti e, anche se Liam non ci capiva molto, li aveva trovati bellissimi. Quando l’amico gliel’aveva raccontato, Zayn non era riuscito a capire cosa Liam ci facesse in una galleria d’arte, ma poi era venuto fuori che era stata tutta colpa (o merito) di Eleanor, che conosceva una delle altre pittrici. Lei aveva trascinato con sé il marito che aveva chiesto a Liam se, per pietà, lo accompagnava. Era venuto fuori che il favore l’aveva fatto più lui a Liam che il contrario.

Zayn fissò per qualche secondo le schiene di quelli che erano stati due dei suoi compagni di viaggio (per così poco tempo che nessuno avrebbe potuto credere che sarebbero diventati vitali come l’aria, per lui), pensando che nessuno, all’inizio, avrebbe creduto che Liam e Louis sarebbero finiti per legarsi così tanto l’uno all’altro. E invece era accaduto proprio quello.

Si riscosse. Non li vedeva da una vita e, invece di salutarli, cosa faceva? Si perdeva in pensieri stupidi? Anche Mark la doveva pensare in quel modo, stando all’espressione del suo volto.

Senza dirgli nulla, prese a camminare sempre più velocemente, fin quasi a correre, e quando fu abbastanza vicino, si buttò su di loro, appoggiando le braccia sulle loro schiene e urlando il suo famoso Vas Happenin, che fece sussultare Liam e strillare Louis.

I due si voltarono in contemporanea e lo assalirono con tanta veemenza da buttarlo per terra.

Dovevano essere uno spettacolo ignobile: tre uomini sui trent’anni che si comportavano come diciottenni. Zayn pensò che, probabilmente, ogni volta che si vedevano, regredivano davvero a quell’età; l’età in cui si erano incontrati, conosciuti, amati.

Dopo essersi ricomposti, si abbracciarono una volta in più: era comprensibile, si disse Zayn, anche dopo tutti quegli anni; erano stati talmente abituati a passare ogni ora insieme che stare divisi era come non riuscire a respirare. (Come Zayn fosse arrivato al punto da non riuscire a farlo né con loro né senza di loro era ancora un mistero).

Si scambiarono domande risposte aneddoti sulle loro vite, e solo dopo qualche minuto si ricordò che Mark era lì accanto a lui.

Si voltò a guardarlo, e non si stupì nel non trovarlo arrabbiato, perché davvero l’altro era la persona più tranquilla che avesse mai conosciuto, e per questo si sentì mortificato, per essersi dimenticato di lui, ancora di più.

«Ragazzi,» proruppe, appoggiando una mano sulla spalla dell’altro. «lui è Mark» non si mise a spiegare nulla, perché gli altri due sapevano già chi fosse: anche se non si vedevano spesso, si sentivano in continuazione. Vide un rossore passare anche sulle guance di Liam, che probabilmente si stava sentendo in imbarazzo per il suo stesso motivo; al contrario, Louis sorrise leggermente, come si stesse forzando a farlo, porgendo una mano per presentarsi.

Zayn trovò la reazione del maggiore un po’ troppo contenuta, rispetto ai suoi esuberanti canoni, ma decise di non farci caso, perché probabilmente si stava solo immaginando cose che, invece, non c’erano.

«Le vostre dame?» chiese, guardandosi in giro e non scorgendole.

«In giardino. Si sono perse nella bellezza delle sfumature di colore» disse Liam, in quella che Zayn registrò come una pessima imitazione dell’accento di Grace, che lui aveva già conosciuto.

«Capisco» commentò, riflettendo il sorriso degli altri due.

«Amici» d’un tratto, gridò da lontano Niall, che evidentemente era riuscito a scappare dalle grinfie della suocera. «Facciamo un brindisi» propose avvicinandosi agli altri quattro.

Niall fece un cenno al barman, senza neanche attendere che gli altri acconsentissero, perché era il suo matrimonio.

Brindarono, e Louis se ne venne fuori con le battute più sconce e imbarazzanti che conosceva.

Aggiustandosi con facilità nel discorso con gli altri tre, come fosse una seconda pelle, non si accorse che Mark non aveva neanche toccato il suo bicchiere.

Quando, dopo un’ora abbondante, si girò dalla sua parte, il ragazzo non c’era più.

*

Scusandosi con gli altri tre, si mise a cercarlo per l’hotel.

Che imbecille, prima lo invitava e poi non lo calcolava per tutto il tempo, escludendolo completamente da ogni discorso. Dalle sue amicizie, da quella che era stata la sua vita.

Ripensandoci, tendeva a farlo sempre; preferiva, per tutta una serie di motivi, non parlare degli One Direction, né con Mark né con altri, ma – anche se non c’aveva mai riflettuto – quel suo mutismo doveva significare la presenza di un grande buco nero, nella loro storia.

Dopo aver controllato nella Hall e aver visto che lì non c’era, decise di cercare nel fantomatico giardino. Prima, però, per sicurezza avrebbe sbirciato fuori, perché magari era semplicemente lì a fissare il sole e a prendere un po’ d’aria.

Uscì e guardò a destra e a sinistra, ma non c’era nessuno.

Poi, l’occhio gli cadde di fronte a sé, e le sue gambe diventarono di gelatina come per magia.

A due metri da lui, bello com’era nei giornali e com’era sette anni prima, c’era la persona che meno voleva rivedere, l’incontro che avrebbe voluto rimandare il più a lungo possibile.

Con occhiali da sole e capelli più ricci di quanto ricordasse, Harry Styles lo stava guardando di rimando.

*

Il suo primo impulso era stato quello di girarsi e tornarsene dentro, magari scappare in camera sua e nascondersi lì fino alla fine dei festeggiamenti.

Poi, raddrizzò la schiena, dandosi dell’idiota: Harry era proprio come Louis e Liam e Niall, per lui.

Provò a convincersene, ma, col passare degli anni, non era diventato più bravo, a mentire. Soprattutto, non a se stesso.

Harry era tutto, meno che solo un amico, per lui. Avrebbe dovuto esserlo, e Zayn ricordava che c’era stato un periodo in cui lo era stato. In cui vederlo lo rallegrava, ma non gli faceva battere il cuore; in cui sentirlo ridere lo divertiva, ma non gli illuminava la giornata.

Harry era una spina conficcata nel cuore a tale profondità che, se l’avesse tolta, avrebbe sanguinato così copiosamente da morir dissanguato.

Si sentiva patetico come non mai, e non solo perché dopo sette anni provava ancora la stessa sofferenza all’idea di non averlo per sé, ma anche perché, tra i due, sapeva bene di essere l’unico a rimpiangere qualcosa che non c’era mai davvero stato.

Non al di fuori della sua testa, perlomeno. O, meglio ancora, delle sue stupide fantasie.

Vide Harry avvicinarsi, con una sicurezza che avrebbe voluto avere anche lui.

«Ehi» lo salutò, come non fossero passati cinque anni dall’ultima volta in cui si erano visti faccia a faccia.

«Ciao, Harry» ricambiò, le mani che fremevano al pensiero di toccarlo e pungevano per la consapevolezza che non sarebbe successo.

Avrebbe voluto abbracciarlo, come aveva fatto con gli altri tre, ma non si fidava.

Non si fidava di uscirne tutto integro, mentalmente.

Si ricordò perché era stato così felice che Mark fosse venuto con lui. Se fosse stato lì, magari, si sarebbe sentito meno sopraffatto da tutte quelle emozioni vecchie e nuove, insieme.

«Scusa,» iniziò. «stavo cercando una persona. Ci vediamo più tardi» concluse, perché era vero e perché, allontanarsi da lui, era l’unico modo per riacquisire una parvenza di tranquillità mentale fisica spirituale.

Senza perdere tempo ad aspettare una qualche risposta e senza voltarsi a guardarlo un’altra volta (perché non era così masochista), rientrò dentro e si diresse verso il giardino.

 

***

 

Un mese di concerti era già alle spalle e avevano fatto così tante date, cantato così spesso le stesse canzoni, mosso gli stessi passi così tante volte che Zayn non sapeva proprio come avrebbe fatto a resistere altri sette mesi. In più, presto avrebbero lasciato il Regno Unito e visto i palazzetti delle più importanti città europee. E poi americane e australiane, e la gente li invidiava per l’immensa possibilità che avevano di girare il mondo. In realtà, vedevano davvero poco, di qualsiasi posto in cui volassero. Certo, erano stati più volte a New York o a Los Angeles, erano stati per più giorni in Giappone, ma di Parigi, Madrid, Milano, avevano visto solo le camere d’albergo. Non si lamentava, comunque, tutto quello era più di quanto avrebbe osato sperare nei suoi sogni più arditi.

Avevano cinque giorni di pausa in concomitanza con la Pasqua, che lui non festeggiava, e li avrebbe usati tutti per vedere la sua famiglia che, solo di sfuggita, aveva avuto modo di incontrare durante la data di Manchester.

Tornare a Bradford era sempre una doccia fredda, di cui lui aveva bisogno per riappacificarsi col mondo. Era bello vedere come per sua madre lui fosse sempre il ragazzino che passava troppo tempo in camera a leggere fumetti e per Doniya il fratello insopportabile che non poteva stare un giorno senza farle uno scherzo.

Waliyha e Safaa crescevano a vista d’occhio e pensare che lui si stesse perdendo tutto quello gli pungeva lo stomaco, ma i loro sorrisi avevano sempre il potere di calmare le sue ansie.

Il terzo giorno, Harry gli aveva detto che l’indomani sarebbe passato a prenderlo in macchina, dato che Holmes Chapel non distava troppo da Bradford e lui preferiva guidare piuttosto che prendere un aereo. Zayn aveva sorriso, perché l’idea di un viaggio con l’altro era più gradita di quello con cento sconosciuti.

Come tornare era meraviglioso, andarsene, non sapendo quando avrebbe rivisto i suoi genitori e le sue sorelle, era opprimente, ma il sorriso con cui Harry l’aveva accolto non appena entrato in macchina aveva dissipato ogni suo brutto pensiero.

«Come stai?» aveva chiesto, neanche fossero passati decenni dall’ultima volta in cui si erano visti.

«Bene» aveva risposto, e lo sguardo di Harry gli aveva fatto capire quanto l’altro sapesse che no, non stava bene, ma che, in fondo, non c’era davvero bisogno di dirlo.

Gli aveva dato un colpettino sulla coscia e poi, prima che tutto diventasse troppo sentimentale, gli aveva lasciato un pizzicotto che l’aveva fatto sobbalzare.

Harry aveva ridacchiato e acceso la radio, lasciando che la musica riempisse l’abitacolo.

*

Prima di entrare a far parte di una boyband non aveva mai pensato che sarebbe potuto accadere a lui. Poi erano diventati famosi in tutto il mondo e tutte le ragazzine li conoscevano e su Intenet avevano iniziato a girare le voci più assurde. C’era chi lo definiva terrorista, e la cosa lo faceva stare talmente male che le dicerie che sostenevano fosse gay passavano davvero in secondo piano.

Da ragazzino, gli era capitato di ammirare il fisico del suo amico Danny, ma aveva pensato che fosse dovuto al fatto che l’altro fosse più grande. Non era desiderio.

Solo che, magari, lo era davvero, e lui non se ne era mai accorto fino a che Harry non l’aveva trascinato, dopo un concerto, in un club, e aveva iniziato a sussurrargli all’orecchio e quello era qualcosa a cui era abituato, ma allo stesso tempo era qualcosa di completamente nuovo. Durante i concerti, erano quasi costretti a parlarsi in quel modo, perché il rumore era assordante e in nessun altro caso avrebbero potuto sentirsi. Le fan andavano in brodo di giuggiole, ma davvero non c’era nulla di malizioso, in quei momenti.

Lì, invece, dove le luci erano ancora più impazzite che sul palco, e dove la gente ballava senza curarsi di loro, Zayn si era sentito quasi soffocare.

Era assurdo, l’odore di Harry era lo stesso di sempre e la sua mano era appoggiata sulla sua schiena, proprio sul punto in cui si era fermata altre mille volte.

Era tutto uguale a sempre, solo che era tutto diverso.

Le labbra di Harry erano ricoperte da una leggera patina di sudore che lui avrebbe voluto leccar via, e Zayn non capiva più da dove quei pensieri gli uscissero.

Una volta, durante il tour precedente, era stato così ubriaco che il giorno dopo non si era preoccupato, quando si era ricordato dei suoi pensieri poco casti sul sedere di Liam, perché, appunto, era ubriaco e così tanto che, probabilmente, se gli avessero chiesto come si chiamasse non se lo sarebbe ricordato.

Si era reso conto, però, che quella scusa non poteva reggere, se l’unico liquido che avesse ingerito era l’acqua al concerto. Magari qualcuno aveva voluto fargli uno scherzo e gliel’aveva corretta con della vodka. Sì, magari vodka insapore.

Era talmente sconcertato dai suoi pensieri, che si era staccato di botto dall’altro. Harry l’aveva guardato stranito, senza capire cosa stesse accadendo, ma Zayn non poteva certo spiegarglielo.

Se l’avesse fatto, poi avrebbe dovuto ucciderlo. Non voleva immaginarsi lo sguardo stupito che Harry avrebbe fatto se lui gli avesse detto che la sua vicinanza l’aveva eccitato, e di certo voleva risparmiarsi quello schifato o quello impietosito.

Per questo, con una scusa si era allontanato verso il bagno. Si era sciacquato la faccia, perché magari quello lo avrebbe calmato, e aveva cercato di ricordarsi quanto gli piacessero le forme delicate dei corpi femminili e le mani piccole di Perrie e la sua risata squillante.

Era ridicolo avere una crisi sessuale così tardi, soprattutto se per così tanto tempo era riuscito a sopprimere tutto sotto la frenesia delle sue giornate.

Avrebbe voluto dimenticarsi di tutto, lasciare lì Harry e tornare all’albergo. Magari dormire fino al giorno dopo, saltare il concerto. Sapeva di non poter fare nessuna di quelle cose, per cui si era fatto forza, aveva controllato che sui tratti del suo viso non fosse possibile leggere il suo turbamento, ed era uscito.

*

«Ehi, tutto ok?» si era informato Harry, non appena Zayn gli si era ripresentato davanti.

Zayn, non fidandosi della sua voce, aveva semplicemente annuito e quello aveva contribuito ad aumentare la preoccupazione dell’amico.

«Vuoi che ce ne andiamo?» aveva, infatti, chiesto.

Zayn c’aveva pensato un attimo, decidendo che se fosse andato a dormire in quel momento, non si sarebbe addormentato mai, troppo preso dalla confusione che il corpo di Harry continuava a creargli nel cervello.

«No,» aveva risposto. «beviamo qualcosa»

*

Aveva come l’impressione che qualcosa si fosse trasformato in molto e poi in troppo e che, se fossero tornati all’hotel quando Harry l’aveva proposto, sarebbe stato meglio.

Riusciva a malapena a mettere in fila frasi di senso compiuto e le parole gli uscivano tutte strascicate. Stava facendo difficoltà a capirsi da solo, immaginava che l’altro non fosse riuscito a decifrare nulla di quello che aveva detto da un certo momento della nottata in poi.

A un certo punto, Harry, che era messo un po’ meglio di lui, gli aveva tolto dalla bocca l’ultimo bicchiere che aveva ordinato e l’aveva trascinato fuori. Avrebbe dovuto sentire freddo, ma era così ubriaco che sarebbe potuto andare in giro nudo e sentire caldo lo stesso.

Harry aveva fermato un taxi e ce l’aveva infilato dentro con delicatezza, per poi entrare a sua volta.

Senza preoccuparsi di nulla, Zayn si era appoggiato a lui, stringendolo con un braccio alla vita, mentre sentiva che l’altro iniziava ad accarezzargli i capelli.

Si sarebbe addormentato, se il respiro di Harry e i suoi muscoli sotto le dita non fossero stati così perfetti da ucciderlo.

Si era ritrovato a pensare a quanto sarebbe stato bello e giusto se avesse potuto far scivolare le sue mani sotto alla maglietta dell’altro, se avesse potuto sentire sulla lingua il sapore della pelle di Harry, se avesse potuto assistere al momento in cui il suo respiro sarebbe cambiato a causa delle sue carezze.

Si chiese cosa gli stesse succedendo, da quando non riuscisse neanche più a ragionare, come fosse possibile che in una sera fosse impazzito a quel modo e soprattutto per qualcuno che conosceva da anni e che era sempre stato suo amico. Si chiese cosa avrebbe fatto se quelle sensazioni non fossero scomparse miracolosamente il giorno dopo, ma fossero rimaste e fossero cresciute e poi diventate insopportabili, quando già in quel momento non riusciva a mandarle giù. Si chiese come si sarebbe comportato se l’altro l’avesse scoperto, come avrebbe reagito Harry. Forse si sarebbe spaventato e non gli avrebbe parlato più.

Non era convinto che avrebbe sopportato tutto ciò.

Non era neanche convinto di volerlo davvero sapere.

*

Erano arrivati all’hotel e Zayn neanche si era reso conto di trovarsi davanti alla porta della sua camera, con Harry che lo sorreggeva per un fianco e con una mano rovistava tra le sue tasche.

«Che cerchi?» aveva chiesto, allarmato, perché tutto quel tastare non lo stava aiutano. Affatto.

«Le tue chiavi» aveva risposto, a bassa voce.

Oh, aveva pensato Zayn, quello aveva senso. Si era sforzato di ricordarsi dove le avesse ficcate. Probabilmente nel giacchetto.

«Nel giacchetto?» aveva ipotizzato, perché di solito le teneva lì, con il cellulare.

«Non ci sono» aveva detto Harry, un pizzico d’impazienza a colorargli la voce.

«Uh» aveva commentato lui intelligentemente. «Allora non lo so» aveva strisciato la s e Harry aveva sbuffato. Zayn aveva aggrottato la fronte, al suono. Non era mica colpa sua se non riusciva a ricordarselo, no? E doveva anche andare al bagno o se la sarebbe fatta addosso.

«Devo andare al bagno» aveva informato l’altro che, in tutta risposta, aveva iniziato a trascinarlo via da lì. Si era fermato solo di fronte a un’altra porta, identica quasi in tutto alla sua, e aveva tirato fuori la sua chiave.

«Ce la fai o devo aiutarti?» aveva chiesto Harry, una volta entrati, con un filo d’ironia. Zayn gli aveva lanciato quello che sperava essere uno sguardo truce ma che probabilmente era così appannato da far ridere e basta.

*

Quando era uscito dal bagno, Harry era in boxer, steso sopra il letto.

Forse aveva deciso di ucciderlo, perché il cuore aveva preso a battergli così velocemente che di certo avrebbe distrutto la cassa toracica e la gola gli si era seccata così tanto che neanche l’oceano Pacifico avrebbe compensato a sufficienza.

«Dormi qui,» gli aveva proposto, come se fosse nomale, quando invece Zayn era sul punto di esplodere. «alla chiave ci pensiamo domani, ok?»

Zayn aveva scrollato le spalle, più per convincere se stesso che l’altro che non gliene importasse poi molto, di dove avrebbe dormito, e si stese sul letto, senza azzardarsi a togliersi nulla.

Preferiva dormire scomodo piuttosto che pelle contro pelle con Harry.

«Ma che fai?» aveva sentito la voce dell’amico chiedere. Zayn si era voltato dalla sua parte, guardandolo come se non capisse a cosa si stesse riferendo. Che poi era vero, la sua testa non riusciva a concentrarsi su nulla che non fosse la stanza in movimento.

«Uhm?» aveva bofonchiato, deglutendo a fatica. Aveva bisogno di bere.

«L’ho messa lì» aveva asserito Harry, indicando il comodino dalla sua parte. Zayn si era voltato e aveva visto un bicchiere colmo d’acqua fare bella mostra di sé: avrebbe preso a saltare, se solo fosse riuscito a mettersi in piedi. Aveva bevuto e gli era sembrato quasi di rinascere.

«Grazie» aveva detto, sorridendo all’altro, per poi apprestarsi a rimettersi giù, anche se quella posizione gli faceva girare anche l’anima.

«No, davvero,» aveva ripreso un’altra volta Harry. «non ti sei accorto di essere ancora vestito oppure vuoi dormire così?» l’aveva canzonato. Zayn aveva risposto con un altro mugolio, ridandogli la schiena e chiudendo gli occhi, pregando ogni divinità che conoscesse affinché l’altro lasciasse cadere il discorso.

Ma, dato che l’altro era Harry, Zayn era stato piuttosto ingenuo a sperare una cosa del genere.

Il più piccolo aveva iniziato a strattonargli la maglietta e poi i pantaloni, e quando aveva preso a tirargli i capelli, Zayn non aveva potuto far altro che girarsi e dargli fuoco con lo sguardo.

Harry l’aveva fissato, ridendo tra sé e sé, completamente ignaro di quanto la sua nudità lo stesse mettendo a dura prova.

«Harry» si era lamentato, ma l’altro non aveva dato segno di voler cedere, e nel giro di mezzo minuto gli aveva tolto la maglia.

Zayn l’aveva guardato per vedere se fosse soddisfatto, ma Harry, per tutta risposta, gli era salito sulle ginocchia. Aveva preso ad armeggiare con la chiusura dei suoi pantaloni e Zayn non era riuscito a evitare la formazione di pensieri impudichi, nel suo cervello.

Si era sentito arrossire fino alla gola e alle orecchie, e sarebbe volentieri voluto morire quando l’altro gli aveva sfiorato con la punta delle dita la pelle della pancia e il suo uccello si era risvegliato.

Aveva sperato che non si accorgesse della sua crescente erezione, ma la mano di Harry stava tirando giù la zip, e Zayn aveva potuto vedere la sua espressione mutare, da birichina a stupita a compiaciuta, nel giro di un secondo.

«Uh uh» aveva riso, come il bambino di tre anni che era. «Sei eccitato, Zayn?» avrebbe voluto negare, ma avevano l’evidenza che quella fosse la pura verità lì, sotto i loro nasi.

Zayn si era coperto gli occhi con un braccio, troppo devastato dalla serata, per difendersi.

«Da quanto è che non vai a letto con qualcuno?» aveva chiesto, curioso e impertinente, e Zayn aveva sentito la sua pelle bruciare d’imbarazzo più di prima, anche se credeva che non fosse possibile.

Con le gambe, aveva cercato di detronizzare l’amico, ma l’altro gli aveva afferrato i fianchi, peggiorando solo la sua situazione.

«Se vuoi, posso aiutarti» aveva detto Harry, con sufficienza nella voce.

In quattro parole, l’aveva ucciso e mandato all’Inferno. Voleva toccare ed essere toccato dall’altro, tanto da star male, ma la sua testa gli diceva che tutto quello avrebbe potuto portarli solo a conseguenze disastrose.

La mano di Harry aveva preso a solleticargli l’orlo dei boxer, però, e la sua testa si era spenta completamente.

Si era detto che nulla sarebbe cambiato, tra loro, che qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe rimasta relegata in quella stanza. E che, in quel modo, avrebbe potuto far chiarezza tra i dubbi che gli erano sorti nelle ultime ore.

Aveva fissato i suoi occhi in quelli di Harry, che gli stava sorridendo, a metà tra il divertito e il rassicurante.

Senza neanche aspettare che Zayn gli facesse un qualunque cenno d’assenso, aveva afferrato l’orlo che fino a quel momento aveva torturato, e gli aveva sfilato i boxer.

 

***

 

Il bar, che da come era stato decorato sembrava tutta un’altra stanza, era colmo di uomini.

Non era il primo addio al celibato a cui partecipava, ma di certo era il più caotico.

Le luci erano basse, talmente tanto che a stento riusciva a vedere dove stava mettendo piede. Solo un piccolo palco, allestito per l’occasione, era illuminato e – per il momento – completamente vuoto.

Zayn vide il futuro sposo passare da una persona all’altra, le guance già arrossate e un bicchiere in mano.

«Zayn, amico» gli urlò da qualche metro di distanza, facendo voltare verso di lui tutti quelli che si trovavano lì attorno. Proprio quello che sperava non succedesse.

Niall corse verso di lui, rischiando di inciampare sui suoi piedi un paio di volte.

«Il bar è zona rossa» gli sussurrò in un orecchio. La musica era così assordante, che fece difficoltà a comprendere ogni parola, pure lui.

«L’ho già incontrato» lo informò, immaginando che si riferisse a Harry. Buon, caro Niall, pensò con affetto. Cercò di sorridere, perché non voleva che l’altro si preoccupasse per lui proprio quel giorno.

Lo abbracciò e annuì una volta, come a dirgli che stava bene, che non doveva pensare a lui.

«Che ti ha detto?» gli chiese Mark, non appena l’altro li lasciò soli.

«Niente» disse Zayn, scrollando le spalle. «Solo che non vede l’ora che arrivino le spogliarelliste» mentì.

Si sentì un po’ in colpa, ma Mark, di Harry, non sapeva nulla e quella non era certo la situazione migliore per parlargli della parte di passato che gli aveva tenuto nascosta. A esser sinceri, non sapeva se quel momento sarebbe mai arrivato.

*

Vide Liam e Louis spostarsi per la stanza, salutando tutti e sorridendo allegramente, ma Zayn evitò di entrare nel loro mirino: sapeva che era stupido, ma aveva come l’impressione che, se si fosse fermato a parlare con loro, Harry sarebbe spuntato come per magia.

Non era il caso di incontrarlo di nuovo, quel pomeriggio era già stato abbastanza imbarazzante.

Non poté, però, fare a meno di chiedersi se l’altro fosse accompagnato oppure no. Qualche ora prima, l’aveva visto da solo, ma quello poteva significare tutto come nulla.

Non sapeva neanche se Harry stesse con qualcuno, in quel periodo. I giornali scandalistici erano sempre pieni di fotografie che lo ritraevano accompagnato con questo o quel ragazzo, proprio come sette anni prima era sempre stato circondato da modelle. Zayn aveva imparato a non farsi un’idea in base a quello che leggeva, ormai, e comunque tendeva a evitare quelle riviste. Utilizzava anche Internet al minimo, proprio per lo stesso motivo.

Non che quelle precauzioni avessero funzionato ogni volta; c’era sempre un Dj alla radio che lo nominava o un amico comune che gliene parlava, per cui non era completamente allo scuro della vita sentimentale del più piccolo.

Come Niall, Harry era rimasto nel mondo della musica ed era diventato ancora più famoso. Aveva intrapreso la carriera da solista, cioè quella che, in fondo, aveva sempre desiderato fare, e una volta sciolti gli One Direction non si era più guardato indietro. (O, almeno, così credeva Zayn. Sapeva che con gli altri si teneva sempre in contatto, ma lui non lo sentiva da una vita e mezzo).

Il suo successo immediato non l’aveva stupito, neanche quando aveva iniziato a trasformare il suo sound in uno che si confacesse maggiormente ai suoi gusti; non si era sorpreso che fosse riuscito a far innamorare di sé anche persone che avessero passato la pubertà da qualche anno. 

Non avrebbe, però, potuto dire la stessa cosa quando aveva fatto outing. E, ok che, a quel tempo, era il 2017 e ormai viveva per più parte dell’anno nella liberale Los Angeles che a Londra, ma c’era ancora chi ritenesse una mossa del genere fin troppo azzardata. E Harry era solo all’inizio, non era del tutto affermato: avrebbe potuto bruciarsi sul nascere, tarparsi le ali da solo, distruggere ogni sua possibilità.

Una volta in più, il piccolo del gruppo aveva dato dimostrazione di tenacia e ostinazione, e di essere cresciuto abbastanza da far valere il suo volere.

Zayn era stato orgoglioso di lui, soprattutto perché – sette anni prima – pensare che Harry avrebbe davvero potuto fare una cosa del genere, sembrava impossibile.

Cercò di sbirciare verso il bar, senza farsi vedere, ma c’era davvero troppa gente perché lui potesse distinguere alcunché.

«Vado al bar, vuoi qualcosa?» gli urlò Mark, distogliendolo dai suoi pensieri rivolti al passato.

No no no, gli ripeté la sua testa. Poi si tranquillizzò, perché Harry di certo non conosceva il suo ragazzo e Mark non era proprio il tipo da attaccar bottone con gente sconosciuta.

«Una birra?» gli uscì più come una domanda che come un’affermazione, ma Mark annuì lo stesso e si allontanò.

Lo venne a salutare Greg, il fratello di Niall, che – alticcio pure lui – commentò quanto quel matrimonio sarebbe stato di sicuro migliore del suo.

Mentre parlava con un tizio che non si ricordava di aver mai incontrato, la stanza fu riempita da musica lenta e seducente, e le luci si abbassarono ancora di più. Non che Zayn credesse fosse possibile.

Due donne vestite da poliziotte entrarono muovendosi sinuosamente, nel più grande di tutti i cliché, e proprio mentre Niall veniva fatto sedere davanti al palco e le spogliarelliste davano il via allo spettacolo, Mark tornò, recando doni.

Gli passò la birra, che Zayn sorseggiò. Guardò di sottecchi l’altro, che aveva gli occhi rivolti alle donne ma che non le stava vedendo davvero.

Gli sfiorò il braccio, attirando la sua attenzione e rapendolo dai suoi pensieri.

Mark cercò di sorridergli, e magari Zayn non era la persona più empatica del mondo, ma non ci voleva una laurea a capire che qualcosa l’aveva turbato.

Si chiese cosa potesse essere. Si erano separati per poco più di dieci minuti e fino a quel momento era stato tutto tranquillo. Come un lampo, l’ipotesi che Mark avesse davvero parlato con Harry gli balenò il cervello. Ma no, e poi cosa avrebbero potuto dirsi?

Nulla, appunto.

 

***

 

La mattina dopo, si era svegliato con il mal di testa più grande della storia. Non aveva potuto piangersi addosso troppo, però, ché i ricordi della notte precedente l’avevano assalito come un fiume in piena, e con essi erano arrivati anche i dubbi che l’avevano assillato per tutta la serata.

Solo che non erano più dubbi. Erano mezze certezze, e Zayn avrebbe voluto soffocarsi col cuscino.

Harry era ancora lì, e quello era più che ovvio, visto che la stanza d’albergo era le sua e l’ospite lui. Avrebbe dovuto alzarsi e andarsene, ma aveva la testa pesante e ogni parte del corpo incapacitata a muoversi.

Si era voltato verso l’altro, che dormiva ancora placidamente su un fianco. Poteva vedergli il volto, mezzo coperto dai suoi bei riccioli, e il petto, che si alzava e abbassava ritmicamente. Tutto il resto era oscurato alla vista dal lenzuolo, che Zayn non aveva mai odiato così in vita sua.

Harry era bellissimo, e lui un povero stupido che si faceva convincere a buttare all’aria tutta la sua serenità, per cosa? Qualche carezza lasciva, un’occhiata maliziosa, un orgasmo che avrebbe anche potuto raggiungere da solo?

Le mani di Harry erano grandi e calde, le sue dita ruvide e un po’ callose e Zayn avrebbe voluto farsi toccare dall’altro per sempre.

Quasi avrebbe riso. Il giorno prima era certo, completamente, di chi fosse e cosa volesse, e adesso si trovava lì, steso tra lenzuola non sue, dove aveva fatto cose che con ogni probabilità non si sarebbero ripetute. A prescindere dalla sua volontà.

Anche perché Harry doveva essere stato ubriaco quanto lui, anche se in realtà gli era sembrato molto più sobrio, e appena si fosse svegliato, avrebbe iniziato a urlare e strapparsi i capelli e, magari, l’avrebbe anche picchiato. Ok, picchiato, no, Harry era contro la violenza tanto quanto lo erano le cicale, ma tutto il resto, l’avrebbe fatto eccome.

A malapena aveva sentito, immerso com’era nei suoi pensieri, l’altro muoversi e stirarsi. Harry aveva aperto gli occhi, e li aveva fissati nei suoi, per nulla stupito.

«’Giorno» aveva biascicato, la voce ancora impastata dal sonno.

Zayn era arrossito, poteva sentire un calore affatto confortevole avvolgergli il volto, arrivargli fino ai piedi. Aveva tossicchiato, imbarazzato, ma la gola era comunque rimasta bloccata.

Harry l’aveva guardato, improvvisamente incerto. «Tutto ok?» aveva chiesto, come se per lui fosse normale amministrazione risvegliarsi nudo accanto a uno dei suoi migliori amici. Magari lo era, aveva pensato Zayn, con fin troppa amarezza.

Quanto era patetico.

«Certo» si era forzato a dire, come se quella situazione gli fosse completamente indifferente. Pensava di aver finto piuttosto bene; si era fatto i complimenti.

«Vuoi farti una doccia per primo?» aveva proposto, gentile. «Oppure preferisci se la facciamo insieme?» aveva aggiunto, provocandogli l’istantanea morte celebrale.

Zayn non era mai stato molto bravo a resistere alle tentazioni, soprattutto quando queste gli si offrivano volontariamente.

*

Harry l’aveva spinto contro il muro freddo e bagnato, e Zayn non aveva potuto trattenere un gemito strozzato, specialmente a causa delle mani dell’altro che avevano iniziato a vagare su tutta la sua pelle.

Harry gli aveva sorriso, come a tranquillizzarlo, senza accorgersi che – in quel modo – otteneva il risultato opposto.

Si era avvicinato e aveva posato le sue labbra sul collo di Zayn, lasciando una scia umida di baci che arrivava fino al petto, per poi risalire dall’altra parte. Si era soffermato sulla scritta Friday, probabilmente sorridendo al ricordo di come quella storia fosse nata. Pensare che Harry lo ritenesse a quel modo sexy gli aveva mandato un’altra serie di brividi di piacere lungo la colonna vertebrale.

Aveva tremato, e Harry gli aveva stretto i capelli, tirandoglieli leggermente.

L’aveva osservato per qualche secondo, gli occhi verdi resi opachi dal piacere, e si era avvicinato ancora di più, facendo combaciare alla perfezione ogni parte dei loro corpi. Zayn aveva sentito il battito del suo cuore accelerare, quando l’altro aveva spostato l’attenzione sulle sue labbra, e si era riscoperto a bramare di essere baciato e di baciare Harry, con tutto se stesso.

Aveva inclinato un po’ la testa, dando un tacito consenso.

Poi, rompendo l’incanto, Harry si era inginocchiato e, senza perdere tempo, gli aveva afferrato l’uccello e se l’era portato alle labbra.

Zayn si era detto che, se fosse stato fortunato, prima o poi, avrebbe scoperto tutte le meraviglie che quella bocca era in grado di compiere. Doveva solo essere paziente.

*

Si erano rivestiti, immersi in un silenzio confortevole.

Il cellulare di Zayn si era messo a squillare, e con la testa ancora scombussolata che si ritrovava, c’aveva messo un po’ a individuare dove stesse. Era Liam: non l’aveva trovato in stanza, quando era andato da lui per svegliarlo, sapendo quanto ci mettesse per prepararsi, e gli chiedeva dove si fosse cacciato.

Come fossero state pedine del domino, Liam gli aveva fatto tornare in mente la band e l’Etichetta e le fan, e quanto tutto quello che era successo con Harry nelle ultime dodici ore avrebbe influenzato il loro rapporto, e – in conseguenza – tutto il resto.

Con la mente annebbiata, divertirsi col più piccolo gli era sembrata la cosa più giusta e naturale; adesso, si era reso conto che avrebbe potuto inficiare il loro modo di comportarsi uno intorno all’altro e di certo le fan, e Niall, Liam e Louis, ancor prima, se ne sarebbero accorti. Non importava che non rimpiangesse l’accaduto in sé e che, anzi, avrebbe voluto rifarlo e rifarlo e rifarlo, perché in ballo c’era qualcosa di troppo più grosso di quello. Non sapeva neanche come definirlo.

Si era reso conto di non riuscirci perché non aveva neppure avuto il tempo di pensarci; di pensare se fosse saggio, cosa significasse per se stesso e, soprattutto, per Harry. Aveva agito, spinto dall’istinto più cieco, e gli era piaciuto, ma – per lui – far parte della pop band più acclamata del momento era già abbastanza stressante, non vedeva come aggiungere anche tensione interna al gruppo avrebbe potuto aiutarlo.

Aveva preso un respiro profondo, organizzando i propri pensieri, e poi si era voltato verso Harry, che non sembrava per nulla turbato dalla situazione e che aveva la stessa espressione gioviale di sempre.

«Ehm» aveva iniziato, attirando l’attenzione del più piccolo. «Siamo ok, giusto?» aveva chiesto, senza riuscire a dare un vero senso alla frase. «È tutto come… come prima, sì?» e nella sua testa, qualcosa gli urlava che no, nulla era uguale al giorno precedente: non tanto tra di loro, quanto proprio in lui, che aveva lasciato che l’altro spalancasse quel vaso di Pandora che era rimasto sigillato così bene per tutti quegli anni, e adesso si trovava a combattere la Terza Guerra Mondiale con il suo cervello.

Aveva visto una luce strana attraversare gli occhi di Harry, ma era stato così veloce, che Zayn non aveva fatto in tempo a decifrarla. Si era chiesto se, magari, anche Harry avesse i suoi stessi dubbi. «Certo» aveva risposto poi, sorridendo, e Zayn aveva internamente scosso le spalle, dandosi dello sciocco. Probabilmente, era stata tutta colpa della luce.

*

La sicurezza di Harry non l’aveva tranquillizzato davvero.

Quando, pochi minuti dopo, erano scesi per far colazione nella sala a loro completamente riservata, gli altri li stavano aspettando già seduti, e nessuno era sembrato sconvolto dal fatto che avessero dormito nello stesso letto, perché accadeva spesso a tutti loro, di condividerne uno.

Non voleva dire, però, che avrebbero avuto la medesima reazione anche a scoprire cosa avevano fatto su quel letto. O sotto la doccia.

Era stato un po’ guardingo, all’inizio, in tensione e in attesa. Che gli altri capissero, forse, o che Harry smettesse di parlargli.

Ma nulla di quello era successo, e per la millesima volta nell’ultima ora, Zayn si era dato dell’idiota per aver anche solo supposto che l’altro potesse comportarsi diversamente, per avergli fatto un pompino. Harry era la persona meno imbarazzabile che conoscesse e, pensandoci, quella non era neanche stata la sua prima volta con un altro uomo. Nell’amico, Zayn non aveva percepito minimamente quell’insicurezza che, invece, aveva provato lui, e tutti loro sapevano bene quale fosse la concezione di Harry, su quell’argomento.

E, comunque, Harry gliel’aveva assicurato che tutto andava bene, tra loro, no?

Mentre arrivava a questa conclusione, aveva sentito una mano posarsi sulla sua spalla e si era girato.

«Tutto bene?» gli aveva domandato a bassa voce Harry, con le fossette in bella mostra.

Zayn aveva annuito, dicendosi che si stava facendo paranoie per nulla.

*

C’era stato un attentato a Chicago. Erano scoppiate due bombe in un grosso centro commerciale, i morti erano stati centinaia e centinaia, i feriti erano altrettanti.

Era la fine di maggio, e stavano per partire per l’America e tutto il loro staff era in fermento.

La notizia aveva agitato un po’ tutti e sconvolto il mondo, per l’ennesima volta.

Zayn non aveva fatto che ricevere occhiate preoccupate dagli altri quattro, che sapevano quanto la gente potesse diventare ostile con lui, per le sue origini, soprattutto dopo eventi del genere. Era già successo in passato, e le prime volte la cosa l’aveva sconvolto. Poi, aveva imparato a evitare Twitter.

Cercava anche di uscire il meno possibile, anche meno del solito, ma stavano per partire, appunto, e lui non poteva semplicemente rimandare e restarsene nascosto nella sua casa di Londra. Per quanto gli dispiacesse, non poteva neanche teletrasportarsi.

Quindi si era messo un cappello con visiera, che comunque non lo mascherava per niente, e aveva seguito gli altri fino all’aeroporto, nella speranza che se avesse guardato abbastanza a lungo per terra, prima o poi sarebbe diventato invisibile. Sapeva che era assurdo doversi nascondere per chi era, ma era stanco. Di un sacco di cose.

Non vedeva l’ora di salire sull’aereo.

Quando, dopo aver fatto il check-in, il loro volo era stato annunciato, Zayn aveva salutato i suoi genitori, come gli altri avevano fatto con i loro, e si era allontanato il più in fretta possibile.

Aveva tratto un respiro di sollievo, perché non era successo nulla, e magari una volta in più lui si era preoccupato per qualcosa che era solo nella sua mente.

Ma poi, dopo ore di viaggio, l’aereo era atterrato in un continente troppo distante da casa, dove l’aria aveva un odore del tutto diverso e i suoni erano ancora più assordanti.

Stavano uscendo dal gate, quando Zayn si era sentito chiamare. Non che avessero pronunciato il suo nome. Sapeva che avrebbe fatto meglio a non alzare lo sguardo, ma era stato più forte di lui. Tre ragazzi, forse un po’ più grandi di Louis, lo stavano fissando come avessero appena mangiato un limone intero. Era stato facile pretendere di non sentirli urlare terrorista o tornatene a casa; erano distanti e l’aeroporto era trafficato, ma Zayn sapeva che, se per lui fingerlo era diventato quasi un meccanismo naturale di difesa, per gli altri era tutta un’altra storia.

Aveva visto Louis quasi scattare e, allo stesso tempo, aprire la bocca per rispondere, prima che Paul lo prevenisse e gli mettesse una mano sulla spalla, come avvertimento.

Gli sconosciuti, ridendo, se ne erano andati, e Zayn – senza quasi accorgersene – aveva preso a tremare.

Si era scusato, dicendo che doveva andare in bagno ed era quasi corso, per raggiungerlo il più velocemente possibile. Si sentiva quasi sull’orlo delle lacrime, ma un attimo di tranquillità e silenzio, magari, gli avrebbe calmato i nervi.

Non era la prima volta e – si disse – con ogni probabilità non sarebbe stata nemmeno l’ultima. Avrebbe voluto imparare a gestire quei momenti; si ricordava di come, quando l’anno precedente era accaduta la medesima cosa, Perrie fosse rimasta sdraiata con lui per un giorno intero, a sussurrargli parole di conforto. L’aveva stretto a sé e lui avrebbe quasi desiderato ribellarsi, perché non voleva farsi vedere in quel modo, da lei. Ma poi si era detto che poteva lasciarsi andare proprio perché lì c’era Perrie e nessun altro.

Solo che la ragazza di certo non sarebbe comparsa magicamente di fronte a lui. Doveva accontentarsi dell’acqua corrente, che – se ne rendeva conto anche lui – era un palliativo piuttosto debole.

Mentre si asciugava il volto e cercava di controllare il respiro, aveva sentito la porta del bagno aprirsi, e per una frazione di secondo aveva anche temuto potessero essere i ragazzi di prima.

Poi, si era voltato e aveva visto il volto un po’ contrito di Harry, che lo guardava non del tutto sicuro che la sua presenza lì fosse ben accetta.

Aveva notato come lo sguardo dell’altro si fosse improvvisamente addolcito, come fosse stato di fronte a un pulcino o a un agnello pronto al macello, e Zayn si era sentito patetico come non mai e di nuovo sull’orlo delle lacrime. Aveva distolto lo sguardo, perché, se no, avrebbe pianto davvero.

Aveva sentito i passi dell’altro farsi sempre più vicino, e quando le mani di Harry gli avevano stretto delicatamente le braccia, non era più riuscito a continuare il suo attento studio delle piastrelle del pavimento.

«Stai tremando» aveva costatato Harry.

Zayn non aveva risposto. Il suo corpo sarebbe stato meno scosso, anche se fosse uscito nudo di casa in pieno inverno, quindi Zayn non vedeva proprio dove stesse il senso nel cercare di negarlo. O di confermarlo, per quello che valeva.

Le mani di Harry avevano iniziato ad accarezzarlo lentamente e Zayn si era subito scaldato, neanche quello che sentisse fosse davvero freddo.

Zayn aveva continuato a stare in silenzio, assaporando quel momento e quel contatto di cui non si era permesso di sentire la mancanza, ma che anelava comunque con tutto se stesso.

«Zayn» aveva sussurrato Harry, con voce bassa e roca, e Zayn si era immediatamente dimenticato perché si trovasse in un bagno dell’aeroporto.

Il ragazzo più giovane si era avvicinato un altro po’, tanto che i loro petti combaciavano, e l’aveva guardato negli occhi. Zayn vi aveva letto affetto, ma non compassione, e questa cosa l’aveva risollevato almeno un po’.

Poi, Harry si era proteso e gli aveva lasciato un bacio sulla guancia, e Zayn aveva sentito un intenso calore partire dal punto che l’altro aveva appena sfiorato e irradiarsi per tutta la sua faccia.

Le labbra dell’altro erano così vicine che sarebbe bastato sporgersi di mezzo centimetro, per farle collidere con le sue, ma – anche se in quel mese abbondante da quando avevano fatto roba (come aveva preso l’abitudine di definirla nel suo cervello) non aveva fatto altro che pensarci e bramare di conoscere il sapore dell’altro – non aveva il coraggio di fare la prima mossa. La paura di essere rifiutato combatteva sempre con il desiderio e ogni volta vinceva.

Come se l’altro avesse letto nei suoi timori, si era sporto lui di nuovo, ma quella volta la sua bocca si era appoggiata su quella di Zayn, che istantaneamente aveva chiuso gli occhi.

Aveva anche dimenticato che qualcuno sarebbe potuto entrare e vederli, perché tutto quello che contava, al momento, erano le grandi mani di Harry tra i suoi capelli e le sue che, preso coraggio, avevano cominciato a vagare per tutta la schiena dell’altro. Poi, come qualcuno avesse rallentato il tempo, il bacio si era fatto meno frenetico e più languido, come se davvero avessero avuto tutto il tempo del mondo per esplorarsi.

Non sapeva neanche quanto tempo fosse passato, quando Harry si era staccato e aveva appoggiato la fronte contro la sua, un sorriso rassicurante a illuminargli il volto.

Zayn aveva sorriso a sua volta e con stupore si era accorto di non tremare più.

Senza dire altro, ma tirandolo solamente per la maglietta, Harry si era voltato e l’aveva trascinato con sé fuori dal bagno.

*

Aveva provato a non pensarci troppo. Era stremato e iniziava a odiare il suo lavoro, era sulla vetta del mondo e tutto quello che voleva era rotolare giù e giù, nascondersi da tutti, non dover più tentare di soddisfare le aspettative di milioni di fan, essere se stesso senza dover nulla a nessuno.

Si era odiato, per tutti quei pensieri così egoisti, perché a lui era stata data un’opportunità più unica che rara, e adesso quasi voleva restituirla, e si era sentito così poco grato per tutto quello, pur sapendo che non era giusto e rispettoso e un sacco di altre cose.

Aveva come l’impressione, però, che non avrebbe dovuto sforzarsi così tanto, e lottare contro se stesso, per tenersi aggrappato a quel sogno (che forse non lo era più da qualche tempo), che non sarebbe dovuto essere un peso, fare quello che amava.

E, ancor peggio, a tutte quelle seghe mentali si aggiungevano quelle che Harry aveva risvegliato, e davvero non ce n’era bisogno.

Stava già abbastanza male senza doversi preoccupare di quello che significassero, per lui, tutte le sensazioni che l’altro gli aveva fatto provare. Senza chiedersi se il petto solido dell’altro gli piacesse più o meno di quello morbido di una ragazza. Senza domandarsi se volesse esplorare ancora e più profondamente qualcosa a cui aveva paura di dare un nome.

Per quanto avesse provato a chiudere il cervello a ogni immagine, c’erano momenti, soprattutto nelle ore più buie della notte, quando la stanza o il bus o l’aereo era impregnato di silenzio, in cui non riusciva a fingere di non ricordare il tocco delle lunghe dita di Harry sulla sua pelle o il sapore della sua bocca o come, con un solo sguardo, l’altro fosse in grado di calmarlo e – allo stesso tempo – accelerargli il battito cardiaco.

Il problema maggiore, però, era che, se i ricordi erano di per sé innocui, il suo istinto (che faceva a cazzotti con il cervello e gli diceva di ricercare il corpo di Harry, per primo) si faceva sempre più forte e incontrollabile, e Zayn non sapeva quanto ancora avrebbe resistito.

 *

Erano nello stato di Washington, dieci giorni dall’inizio del tour americano, e Zayn quella sera aveva osservato Harry saltare per il palco, urlare e far strillare le fan più del solito.

Anche gli altri se ne erano accorti, di quanto il più piccolo del gruppo fosse particolarmente intenibile. Avevano riso e fatto battute, e Zayn di solito li avrebbe imitati a cuor leggero.

L’avrebbe fatto, se Harry non avesse improvvisamente deciso di azzerargli la saliva avvicinandosi a lui ogni volta che non si trovavano dalle parti opposte del palco, sussurrandogli all’orecchio con qualsiasi scusa, toccandolo più di quanto fosse necessario.

Aveva pensato che la sua immaginazione gli stesse facendo qualche scherzo, ma conosceva l’altro ragazzo da cinque anni ed era quasi certo che stesse tentando con tutte le sue forze di eccitarlo, anche se non capiva bene il motivo.

Erano passati secoli dall’unica volta in cui si erano toccati e, se si escludeva il bacio, si poteva dire che, da allora, nulla gli avesse fatto pensare che il loro rapporto fosse mai stato più che platonico.

E, adesso, Harry – come se nulla fosse – aveva passato tutta la sera a lanciargli sguardi mezzi infuocati e sorrisi sbilenchi, e Zayn non sapeva né cosa pensare né come comportarsi.

Aveva deciso di lasciar correre, di non masturbarsi il cervello con altri quesiti e di continuare a cantare come se non avesse un solo pensiero al mondo.

*

Quando erano tornati in albergo, tutto quello che voleva fare era dormire. Per secoli.

Si era costretto a fare una doccia, dicendosi che dopo si sarebbe certamente sentito meglio.

Aveva infilato un paio di boxer e null’altro, perché era troppo caldo e faceva fatica a respirare pure in quel modo.

Stava per gettarsi a peso morto nel letto, quando un rumore alla porta l’aveva distratto; qualcuno stava bussando ed erano quasi le due di notte. L’idea di lasciare che, chiunque lo stesse disturbando, si arrendesse e se ne andasse gli aveva attraversato il cervello, e Zayn era quasi tentato di seguire quel suo consiglio mentale.

Ma il rumore gli stava uccidendo i timpani, e la persona, invece di tornarsene da dove fosse venuta, si era fatta ancora più insistente.

Con un lamento in gola, si era trascinato fuori dal letto e aveva aperto la porta.

Zayn si era detto che non si sarebbe dovuto stupire troppo di aver trovato Harry, dall’altra parte dell’uscio.

«Ciao,» l’aveva salutato, un sorriso malizioso a colorargli il volto. «il condizionatore della mia stanza si è rotto. Posso dormire qui?» aveva chiesto.

Zayn aveva alzato gli occhi al cielo. «Non è vero» aveva sostenuto.

«Ehi, così mi offendi» aveva scherzato, posando una mano sul petto, in prossimità del cuore. «Ok, non si è rotto» aveva ammesso quasi subito, e Zayn l’aveva osservato inquisitorio.

Harry aveva sorriso, come faceva sempre quando voleva ottenere qualcosa, e Zayn l’aveva visto all’opera troppo spesso, per non sapere cosa volesse.

Era una pessima idea, ogni nervo e neurone del suo cervello glielo stava urlando, ma Zayn già poteva sentire qualcosa risvegliarsi nei suoi boxer e solo in quel momento si era reso conto di essere praticamente nudo.

Il sorriso di Harry si era allargato, e Zayn si era sentito arrossire. Il più piccolo, sfruttando le sue incertezze, aveva allungato una mano e l’aveva posata sul petto di Zayn, solleticando la pelle della gola e della clavicola, percorrendo i contorni dei tatuaggi che decoravano il suo corpo.

«Harry,» aveva provato a opporre resistenza. «cosa stai facendo?»

Harry l’aveva fissato come se quella domanda fosse assurda, e senza rispondere si era sporto verso Zayn, in un perfetto remake di quanto accaduto all’aeroporto, e il più grande aveva sentito le sue aspettative crescere all’unisono con la sua eccitazione.

Poi, Harry aveva posato le sue labbra sul suo collo, iniziando a baciare leccare mordere la pelle delicata, e Zayn non si era nemmeno accorto che l’altro aveva iniziato a spingerlo all’interno della stanza e aveva chiuso la porta, escludendo il resto del mondo.

Zayn si era chiesto se quello fosse possibile. Se davvero potessero godersi quei momenti vissuti nel pieno della notte, quando tutto il resto tace in una morte provvisoria, senza chiedersi nulla, senza sapere cosa significassero e dove li avrebbero portati.

Come accadeva ormai troppo spesso, Zayn aveva cacciato quei pensieri inopportuni e aveva chiuso gli occhi.

*

Quando si era svegliato, i suoi occhi erano caduti sulla figura di Harry, steso accanto a lui, e non si era stupito.

Era un po’ confuso, perché da qualche tempo non riusciva più a capire cosa volesse e tutta quell’incertezza, nel rapporto con l’altro, non lo aiutava.

Come se Harry avesse percepito il suo sguardo sulla sua schiena, si era girato, stiracchiandosi e strofinandosi gli occhi.

«Uhm» aveva grugnito, neanche fosse un animale. «Che ore sono?» aveva chiesto, guardandosi intorno, come se la risposta stesse per apparirgli da un momento all’altro di fronte.

Zayn aveva ricercato il cellulare e si era accorto che avrebbero potuto dormire almeno un altro paio di ore. «Troppo presto, per svegliarsi» aveva commentato, richiudendo gli occhi, nella speranza che il sonno lo catturasse di nuovo.

«Dunque» aveva ripreso a parlare Harry, dopo qualche minuto di silenzio. «adesso ti piacciono anche gli uomini?»

Zayn aveva spalancato gli occhi di botto e aveva sussultato come qualcosa l’avesse punto. L’altro aveva parlato con indifferenza e con una nota di divertimento nella voce, e forse con altro ancora che non era in grado di identificare.

C’aveva pensato un po’, anche se ormai la risposta era chiara, dentro di sé.

«Forse…» aveva mormorato, lasciando mezza sospesa la frase. «Non so se mi piacerebbe fare, ehm…» aveva aggiunto vergognandosi a morte. Ma, almeno, era stato sincero, e con Harry sapeva di poterlo essere, non solo perché era suo amico, ma anche perché – tra tutti quattro – era l’unico che potesse capirlo fino in fondo.

«Se vuoi» aveva iniziato il più piccolo, e Zayn, quella volta, aveva potuto sentire come le parole fossero un po’ incerte. «posso aiutarti a scoprirlo» aveva suggerito.

Se Zayn avesse dato retta al brivido d’eccitazione che l’aveva scosso alle parole dell’altro, avrebbe già accettato a pieni polmoni. C’era qualcosa, in Harry, che lo rendeva diverso da chiunque altro avesse mai visto, e tutto quello che Zayn desiderava era stare steso lì con lui, per sempre.

«E tu perché vorresti farlo?» aveva invece domandato, seguendo la ragione.

Harry aveva scrollato le spalle, e da quella posizione il gesto era parso talmente ridicolo che, se la situazione fosse stata diversa, sarebbe scoppiato a ridere. «Il tour è stressante» aveva snocciolato. «Non sempre abbiamo la possibilità di uscire, scaricare la tensione» si era zittito, e Zayn aveva già in mente di rifiutare l’offerta, perché, cavolo, Harry aveva parlato come se lui fosse una specie di bambola gonfiabile da usare quando tutto il resto non fosse stato disponibile. «E poi siamo amici, no?» aveva concluso, sorridendo nel modo più rassicurante possibile.

Zayn si era detto che l’altro aveva centrato il punto. Però, a pensarci bene, aveva anche ragione. Quella soluzione avrebbe avuto riscontri positivi per entrambi, con un po’ di fortuna, e comunque erano abbastanza grandi da non lasciare che quanto accadeva in camera da letto distruggesse la loro amicizia, e di conseguenza la band.

«Se lo facciamo» aveva cercato conferme. «Se facciamo questa cosa, non cambierà nulla tra noi, giusto?»

Harry l’aveva osservato, quasi serio, ma poi il suo volto si era aperto in un’espressione molto più sua della precedente. «Certo» aveva assicurato.

Zayn aveva annuito, come a cercare di convincersi che non stavano facendo qualcosa che li avrebbe distrutti.

«Direi che potremmo iniziare subito, no? Quale tempo migliore del presente?» l’aveva risvegliato Harry, con la sua voce roca. «Se non ricordo male, mi devi un pompino»

Zayn aveva alzato le sopracciglia talmente tanto che, probabilmente, erano scomparse sotto la zazzera di capelli arruffati che si trovava in testa, e poi era scoppiato a ridere.

Si era alzato e si era avviato verso il bagno.

Senza neanche girarsi, sapeva che Harry avrebbe capito e l’avrebbe seguito.

*

Era strano, ma non spiacevole, aveva deciso.

In ginocchio di fronte a Harry, con la doccia scrosciante che gli raffreddava la pelle, doveva ammettere che gli piaceva più di quanto avrebbe pensato possibile.

Non tanto il sapore, quanto più la sensazione di potere che provava con l’uccello del più piccolo in bocca. Che era tutto un fremito e un sospiro, anche se per Zayn quella era la prima volta e, di sicuro, Harry era stato succhiato da un sacco di gente più esperta di lui. Aveva sorriso al pensiero che l’altro volesse incoraggiarlo a tal punto, e aveva messo tutto se stesso nel cercare di dargli piacere.

Gli piacevano i suoni che uscivano dalla bocca di Harry, per merito suo, e le sue mani impigliate tra i suoi capelli, che li tiravano ogni volta che Zayn muoveva la lingua in un determinato modo, su un particolare punto.

Si era scostato, quando l’altro l’aveva avvertito di star per venire, e guardando il volto scosso di Harry, aveva decretato che, sì, stando a quanto era successo negli ultimi minuti, gli uomini gli piacevano eccome.

*

Non si incontravano in maniera regolare; Harry aveva sempre qualche amico in ogni città in cui stavano per più di un giorno, e spesso la sera usciva con loro, con persone che né Zayn né gli altri conoscevano, e, la mattina dopo, Internet era stravolto dalla notizia dell’ultima conquista di Harry.

A lui non importava, ovviamente, perché loro due non stavano insieme e nessuna regola gli impediva di passare anche lui la notte con qualcun altro, se voleva. Più spesso che non, però, si era ritrovato ad ambire a una tranquilla notte di sonno, piuttosto che a una selvaggia di sesso con qualche sconosciuto.

*

La prima volta che aveva scopato Harry, si trovavano a Seattle.

Il più piccolo l’aveva guardato come volesse divorarlo e gli aveva stretto le gambe ai fianchi.

Zayn non aveva capito di essere pronto a spingersi sino a quel punto, fino a quando Harry non gli aveva ficcato in mano una bottiglietta di lubrificante e gli aveva bruciato il cervello con una sola parola.

«Zayn» aveva mormorato, neanche fosse una preghiera e lui una qualche divinità.

Zayn si era sentito improvvisamente sull’orlo di un precipizio, senza sapere nemmeno lui il motivo.

Poi, a occhi chiusi, l’aveva baciato, soffocando il respiro pesante di Harry e i pensieri che si agitavano nella sua testa.

*

Zayn avrebbe preferito essere da tutt’altra parte, piuttosto che lì, seduto a quel tavolo, ad aspettare che venissero acclamati come i vincitori dell’ennesimo, stupido award.

Era un onore e tutto quanto, ma c’era troppa gente che non conosceva e troppa che conosceva, e dopo sarebbero stati costretti ad andare a un’ancor più stupida festa, pure se, il giorno dopo, avevano un matinée. Li odiava, i matinée.

Cantanti e attrici si fermavano in continuazione a parlare con loro; a essere sinceri, la maggior parte si intratteneva con Harry, che le fissava tutte come fossero state le più belle del mondo.

Zayn avrebbe voluto sbuffare, perché gli occhi pieni di luce e di speranza di quelle ragazze erano ridicolosamente patetici e un po’ tristi, tanto che provava quasi il desiderio di avvertirle.

Quando, dopo aver ritirato il loro premio, si erano rimessi a sedere, aveva ringraziato un’indefinita entità per il fatto che, perlomeno, non si sarebbero dovuti esibire.

*

Se la cerimonia era stata noiosa, e c’era da aspettarselo, la festa sarebbe dovuta essere tutt’altra cosa.

Erano a Los Angeles, che era un po’ come dire la patria del divertimento, ma a Zayn tutte quelle luci stavano dando sui nervi.

Non riusciva a capire quale fosse il suo problema: tutti gli altri si stavano godendo la musica o un cocktail o la compagnia di qualcuno che poi non avrebbero rivisto per molto tempo, e anche Liam sembrava essere completamente a suo agio. Immaginava che, in quei cinque anni, molte cose fossero cambiate, a partire da loro stessi.

Non voleva fare la figura del rompicoglioni assoluto, però, e quindi si era costretto ad alzarsi dal tavolo che era stato loro riservato e a raggiungere il bar. Aveva deciso che una birra era tutto quello di cui avesse bisogno, al momento.

Aveva lasciato che i suoi occhi vagassero tra la folla: Niall stava ballando con altri ragazzi, che probabilmente aveva conosciuto lì, Liam stava stretto a Danielle, tanto quanto Louis lo era a Eleanor.

Harry, invece, stava parlando con qualcuno che non riconosceva. Tutto quello che poteva vedere erano le spalle larghe e i capelli scuri leggermente lunghi, e che era alto, visto che superava il suo amico.

Poteva vedere anche il volto di Harry, anche se avrebbe quasi preferito di no.

Era illuminato da un sorriso vero e diverso da quello che aveva dedicato a tutte le altre persone con cui l’aveva visto parlare durante la serata, e Zayn si era chiesto da quando s’interessasse delle sfumature nel volto dell’altro e, soprattutto, perché così di punto in bianco gli importasse qualcosa, che Harry stesse riservando ad altri quell’espressione.

Con una rapida scrollata di testa, aveva scacciato l’ipotesi che potesse trattarsi di un pizzico di gelosia, perché non aveva senso, e si era detto che, con ogni probabilità, dipendeva dal fatto che, se Harry andava a letto con il tizio, Zayn avrebbe dovuto rinunciare alla scopata che aveva appena scoperto di desiderare, a meno che non si fosse messo a cercare qualcun altro.

Stava giusto iniziando a guardarsi in giro, quando aveva notato una ragazza avvicinarsi. Aveva i capelli neri così lunghi che sembravano non aver fine, e un corpo che era tutto una curva sinuosa.

Aveva una voce calda, aveva scoperto quando si era presentata, e gli occhi verdi come le foreste più fitte, e in un secondo aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per portarsela in camera.

Proprio mentre stava radunando le sue cose per lasciare il locare con Leila (almeno così gli era parso di capire che la ragazza si chiamasse), il suo sguardo aveva incontrato quello di Harry. L’amico gli aveva regalato un vago sorriso e un cenno di saluto, per poi voltarsi di nuovo a parlare con lo sconosciuto.

Da quella distanza e con quelle luci sconvolgenti, Zayn non era riuscito a decifrare la posa che avevano assunto i tratti di Harry, e quando la ragazza aveva stretto una braccio al suo fianco aveva smesso di pensarci.

*

Il giorno dopo, era stato facile scacciare Lilian (o Luisa?) con la scusa del concerto.

Quel giorno avevano due spettacoli, e lui già aveva voglia di tornare sotto le lenzuola. O, magari, sopra, perché era luglio e non voleva morire tra onde di sudore.

Era sceso a far colazione e Niall l’aveva accolto con una battutina scema che gli aveva guadagnato un’occhiata incendiatrice. Louis aveva riso, perché era un idiota e Liam era arrossito vagamente, perché era Liam. Harry non aveva mosso un muscolo, perché, evidentemente, non gliene importava poi molto, di chi si fosse portato a letto, quella notte, e Zayn si era detto che fosse giusto in quel modo.

Prendendo una tazza di tè, aveva cercato di affogare il grumo di amarezza che gli si era formato nello stomaco, a quel pensiero.

*

Erano a New York, invece, quando aveva ricevuto un messaggio di Perrie.

Non era la prima volta che si risentivano, dalla rottura – ovviamente, anche se i primi tempi ogni volta che vedeva il nome della ragazza comparire sullo schermo del cellulare, Zayn sentiva il suo stomaco aggrovigliarsi su se stesso e tentare il suicidio.

Poi l’iniziale dolore sordo, che aveva preso il posto che prima era occupato da Perrie, era progressivamente scomparso, e Zayn aveva iniziato a rispondere alle sue chiamate come avrebbe fatto con quelle di una cara amica. Perché, in fondo, senza che se ne accorgessero, erano diventati proprio quello, l’una per l’altro.

A New York, gli aveva detto, sarebbe stata anche lei – con le Little Mix – proprio durante le date dei concerti che la band avrebbe tenuto in città. Le era parso un’ottima occasione per rivedersi, visto che erano passati secoli dall’ultima volta che si erano parlati di persona.

«Un tè» aveva proposto la ragazza, consapevole che, per quello, Zayn avrebbe anche osato farsi vedere in pubblico. Così, poiché New York offriva di tutto, si erano dati appuntamento a un sala da tè in stile British, dove erano stati insieme già in passato.

Erano entrambi piuttosto consapevoli del fatto che, l’indomani, Internet sarebbe stato pieno di foto di loro due insieme, attorniate dalle ipotesi di una loro riappacificazione, ma – dopo un iniziale turbamento – Zayn si era detto che non poteva lasciare che tutto quello condizionasse la sua vita, e aveva abbandonato ogni ansietà alle spalle.

Non si ricordava come fosse parlare con Perrie; quanto lo tranquillizzasse e lo divertisse, allo stesso tempo. Lei aveva sempre significato casa per lui, e i primi tempi in cui non l’aveva avuta accanto si era sentito proprio come un orfano.

Avevano riso di tuto, fino a quando Perrie non si era fatta improvvisamente più seria. Zayn aveva capito che voleva dirgli qualcosa, ma forse non sapeva come, e si era zittito.

«Io…» aveva cominciato lei, un po’ insicura. Poi l’aveva guardato negli occhi e quello le aveva dato abbastanza forza da continuare a parlare. «Ho conosciuto una persona. Ci frequentiamo» aveva dichiarato, e Zayn si sarebbe aspettato di provare un minimo di gelosia, perché Perrie era stata sua per tanto tempo, invece tutto quello che sentiva era contentezza, per l’altra ragazza. E, a esser sinceri, un pizzico d’invidia, perché lui non poteva condividere una notizia simile, con lei.

«Volevo dirtelo io» aveva aggiunto, e Zayn aveva sorriso come a tranquillizzarla.

«Ti tratta bene, sì?» si era informato, a metà tra serio e faceto, un meglio di me che aleggiava tra loro due, non detto. Lei aveva continuato a sorridere, come non aveva smesso di fare da quando aveva visto la reazione di Zayn, e aveva annuito.

«E tu?» aveva chiesto, e a Zayn erano venuti in mente le grandi mani di Harry e il sapore dei suoi baci, ma si era dato dello sciocco subito, perché quella era tutta altra cosa.

Non si aspettava il peso che sembrava essere spuntato magicamente allo stomaco, al pensiero.

«Uhhh» l’aveva preso in giro, con gli occhi spalancati. «Conosco quello sguardo, Zayn! Chi è, chi è?» aveva cantilenato.

Zayn aveva alzato gli occhi al cielo.

«La conosco?» aveva continuato a tormentarlo. E giù tutta una serie di domande a cui Zayn non sapeva proprio che rispondere.

«Non…» aveva lasciato in sospeso, pensando per qualche secondo se raccontarle qualcosa. «Non è una ragazza» aveva deciso, in attesa di una reazione.

Perrie era rimasta immobile nella stessa posizione e con la stessa espressione, cercando di assorbire le parole dell’altro, e poi aveva preso a battere le mani, neanche fosse stata una bambina di cinque anni.

«Devo conoscerlo» aveva asserito, e Zayn avrebbe quasi riso dell’assoluta mancanza di domande.

«Non… non stiamo insieme» aveva affermato, e lui stesso aveva potuto sentire la nota di disappunto che aveva colorato la sua voce.

«Ma vorresti» aveva replicato Perrie, studiandolo in volto.

«No» aveva risposto d’impulso, ma proprio mentre lo diceva, il suo cuore aveva preso a battere al ritmo di bugiardo-bugiardo-bugiardo. «Non lo so» aveva ammesso, poi.

C’erano già stati dei momenti in cui si era ritrovato a pensarci, ma li aveva sempre cacciati come fossero mosche particolarmente fastidiose. Non ne vedeva il punto, oltretutto. Se anche avesse ammesso a se stesso di provare qualcosa per Harry, non sarebbe cambiato nulla, perché, per l’altro, loro erano solo due amici che ogni tanto si divertivano. E Zayn era sempre stato più che soddisfatto, di quella specie di patto. Almeno fino a quel momento, a quanto sembrava, con Perrie che lo fissava come volesse scavargli nell’anima.

Zayn se n’era rimasto zitto, sperando che la ragazza lasciasse cadere il discorso. Con un sospiro di frustrazione, Perrie aveva preso un sorso di tè e aveva iniziato a cianciare dell’ultimo film che aveva visto con le ragazze.

Zayn gli aveva sorriso, riconoscente.

*

«Ehi, Zayn» l’aveva salutato Niall, non appena era entrato nel camerino, un paio d’ore prima dell’inizio del concerto. Poi anche gli altri tre si erano voltati nella sua direzione e tutti erano ammutoliti. «Ehm, ciao Perrie» aveva aggiunto l’Irlandese, un po’ incerto di cosa volesse star a significare la presenza della ragazza lì.

«Ci siamo visti per tè» aveva spiegato Zayn, mentre Perrie andava a salutare con un abbraccio gli altri membri della band. «Mi ha pregato di farla venire» aveva concluso, beccandosi un’occhiata scherzosamente infuriata da lei.

«Dobbiamo iniziare a prepararci» se era uscito Harry, e Zayn avrebbe quasi detto che il tono dell’altro era scocciato, anche se non capiva per cosa. Quella mattina, l’altro era stanco ma allegro, come sempre. Una volta in più si era stupito del corso dei suoi pensieri, e del fatto che fossero rivolti, con preoccupazione, all’altro. Si sarebbe dato uno schiaffo in fronte, perché tutto quello poteva finire solo molto male, per lui.

«Io vado a mescolarmi alle fan impazzite, allora» aveva decretato Perrie, per nulla sconvolta dal tono freddo del più piccolo, e, dopo aver lasciato un ultimo bacio sulla guancia di Zayn, era uscita.

«Siete tornati insieme?» aveva chiesto Liam, quasi pronto a festeggiare.

Zayn aveva scosso la testa. «No, no. Siamo amici» si era sentito in dovere di specificare.

Per il benestare di chi o che cosa, non lo sapeva nemmeno lui.

*

Avrebbe avuto bisogno di un massaggio, per affrontare il concerto, ma mancavano dieci minuti all’inizio e già i tecnici li stavano richiamando all’ordine. Che strazio.

Zayn aveva tratto un respiro profondo, e solo due ore, si era detto, per darsi un po’ di forza e un minimo di carica. Voleva anche fare bella figura con Perrie, che non li sentiva cantare dal vivo dall’anno precedente.

E poi, come altre mille volte prima, erano stati sbalzati su da quelle specie di ascensori ed erano stati accolti da una folla urlante.

Zayn aveva lasciato il pilota automatico e si era abbondonato alle note conosciute e ai passi imparati a memoria, e aveva cominciato a cantare.

Sarebbe andato avanti a quel modo per tutta la durata del concerto, se non fosse stato per Harry, che sembrava essere sempre accanto a lui, anche quando non doveva, e gli distruggeva la concentrazione, e gli passava vicino e gli sussurrava all’orecchio stupidaggini di cui avrebbe potuto anche fare a meno.

A un certo punto, si era sentito strattonato da dietro e si era rilassato inconsapevolmente quando aveva capito che era proprio Harry. Si era sentito quasi arrossire, quando l’altro si era strusciato su di lui, cercando di non essere troppo palese, nelle intenzioni, e gli aveva mormorato piano all’orecchio dopo dovresti proprio venire in camera mia.

Zayn aveva quasi ansimato per l’anticipazione.

*

In albergo, il più piccolo gli aveva dato a malapena il tempo di farsi una doccia e si era presentato in camera sua.

«Non dovevo venire io?» gli aveva domandato, guardandolo scettico, e l’altro aveva scrollato le spalle, richiuso la porta dietro di sé, e l’aveva afferrato, come non ci fosse un domani.

Zayn aveva percepito addosso tutta la forza dell’altro, che lo sovrastava in altezza e in peso e sembrava aver deciso che, quella sera, Zayn sarebbe stato completamente alla sua mercé. Aveva sentito un brivido d’eccitazione attraversargli tutto il corpo, all’idea, e si era lasciato trasportare in un bacio appassionato.

Harry l’aveva spinto fino a che le sue ginocchia non avevano battuto contro il letto e l’aveva fatto stendere, la pelle ancora umida dalla doccia che rendeva le lenzuola più fresche del previsto.

Zayn aveva disconnesso il cervello, vinto dal piacere che tutte le attenzioni dell’altro gli stavano dando, e a malapena si era accorto che Harry si era sistemato tra le sue gambe aperte e aveva cominciato ad accarezzarlo per tutto il corpo.

Le mani dell’altro lo stavano divorando e Zayn avrebbe voluto che continuassero a farlo per sempre.

Avrebbe voluto che Harry facesse qualcosa per la sua erezione congestionata, ma l’altro, senza curarsene, la stava volutamente evitando. Zayn sentiva gemiti sempre più insistenti uscire dalle sue labbra spalancate, e non riusciva a trattenerli, anche se avrebbe voluto, perché, se avesse continuato così, qualcuno sarebbe arrivato a bussare alla porta e tutto quello che Zayn non voleva era che Harry smettesse di baciarlo, toccarlo e guardarlo. In quel momento, Zayn era il centro dei suoi pensieri e tutto era perfetto.

Troppo preso dal caldo che sentiva ovunque, non si era neanche accorto che Harry si era fermato. Quando aveva riaperto gli occhi, l’altro aveva in mano una bottiglietta di lubrificante, e, per la prima volta da quando era entrato, lo stava fissando incerto.

Come una folgorazione, Zayn aveva capito cosa Harry volesse e si era riscoperto a volerlo anche lui, allo stesso modo. Forse di più. Aveva annuito, cercando di rilassarsi e di non morire al pensiero che la persona che – forse, probabilmente, magari, non lo sapeva neanche lui – gli piaceva, stava per scoparlo per la prima volta. In assoluto. Aveva un po’ paura del dolore, ma il desiderio di sentirlo dentro di sé era talmente più forte, che il suo cuore aveva preso a battere forsennato e la gola gli si era seccata e le mani avevano incominciato a tremargli.

Ma, poi, tutto era diventato semplicemente Harry e quello aveva spazzato via ogni suo timore.

*

Dalla finestra aperta entrava una leggera brezza che rinfrescava l’aria estiva, e Zayn avrebbe continuato a dormire ancora se non fosse stato per il corpo accanto al suo, che aveva cominciato a muoversi nervosamente.

Zayn aveva allungato una mano, per toccarlo e immobilizzarlo, perché gli stava facendo venire il mal di testa.

Aveva sospirato contento quando il silenzio si era diffuso di nuovo per la stanza.

«Zayn» aveva mormorato Harry, con la voce arrochita dal sonno. Zayn aveva aperto gli occhi, perché sarebbe stato inutile ricercare il sonno quando l’altro voleva parlare o fare sesso. O entrambe le cose.

Harry era girato su un fianco, gli occhi puntati ai suoi, e Zayn teneva ancora la mano sulla sua spalla. Con un movimento che aveva richiesto tutta la sua forza di volontà, aveva assunto la stessa posizione dell’altro.

«Uhm» aveva borbottato, comunicandogli che era attento, all’incirca.

«Dove l’hai comprato?» aveva chiesto, e Zayn per un attimo non aveva capito a cosa si stesse riferendo. Poi, aveva notato che le dita di Harry stavano accarezzando l’anello che portava alla mano destra. Era un acquisto recente, l’aveva visto alla vetrina di un negozio lì a New York, proprio il giorno precedente con Perrie, e ne era rimasto affascinato, benché la forma tondeggiante non fosse nulla di particolare. Gli piaceva il colore, però, un bel rosso scuro che l’aveva attirato senza un motivo preciso.

«Qui, ma non mi ricordo il nome della via» aveva risposto, sinceramente. Con i nomi faceva un po’ schifo.

Era rimasto un po’ a osservare Harry mentre toccava l’anello e la sua mano, delicatamente, con movimenti teneri che di solito tra loro mancavano del tutto.

«È bello» aveva decretato, con convinzione, e Zayn – senza pensarci – aveva sfilato la mano da quella dell’altro e poi l’anello dal dito, e gliel’aveva porto. Harry aveva guardato con confusione ogni suo movimento e, incerto, aveva preso l’anello, una domanda stampata in faccia.

«Prendilo, se ti piace» aveva detto Zayn, e un sorriso era nato sulle labbra di Harry.

«Sei sicuro?» aveva chiesto, con una voce calda che – Zayn credeva – non avrebbe mai potuto dimenticare.

«Sì, non è che sia particolarmente importante, per me» aveva affermato, più che altro per placare il suo cervello, che continuava a urlargli cosa un anello significasse, normalmente. Zayn, però, sapeva che quella situazione di normale non aveva nulla, per cui era inutile pensarci troppo.

«Oh» aveva detto Harry, e a Zayn era quasi sembrato deluso, ma la stanza era buia e le parole poco più che un sussurro; inoltre, si era appena svegliato, e la sua mente era più che capace di creare allucinazioni fono-uditive che soddisfacessero il suo cuore in tumulto, per cui aveva deciso che non avrebbe dato troppo peso alle sue impressioni. «Ok» aveva aggiunto, infilando l’anello proprio nel medesimo dito al quale l’aveva portato Zayn per quella mezza giornata.

Zayn avrebbe richiuso gli occhi, ma sapeva che addormentarsi con tutti quei pensieri in testa sarebbe stata una fatica erculea, per cui si era alzato dal letto e, guardando il bagno, aveva fatto un gesto a Harry.

Sperava che riportare il loro rapporto sui binari consueti, avrebbe indotto anche il suo cervello a non sconfinare in fantasie vane.

*

Quando avevano preso quella specie di accordo, si era detto di stare attento. Poi si era dato dello scemo, perché dai. Quante possibilità c’erano che, senza accorgersene e poter far nulla per fermarsi, si bruciasse a quel modo? Che si scontrasse con un muro fatto di sentimenti non corrisposti? Che finisse a volersi cavare gli occhi, pur di non leggere delle ultime conquiste di Harry?

Pochissime, si era rassicurato, senza fermarsi a riflettere che quello non voleva dire nessuna. Inconsapevolmente, si era gettato in una fossa fatta di speranze infrante ancor prima di essere state espresse, e quello lo stava divorando dall’interno, ogni giorno un po’ di più.

*

Non sapeva perché gliel’aveva chiesto. Forse perché era un po’ masochista, o perché, con il volto affondato nel cuscino, si era sentito abbastanza coraggioso da fare quella domanda. L’altro non avrebbe visto la sua espressione, e Zayn avrebbe potuto permettersi di abbandonarsi a qualsiasi faccia.

«Te la sei davvero scopata quella modella di Prada?» aveva dunque domandato, prima che il timore della risposta lo fermasse. Aveva sentito le spinte dell’altro rallentare per un attimo e poi tornare allo stesso ritmo, come nulla fosse stato.

«Quale delle due?» aveva ansimato Harry, e Zayn si era chiesto di cosa si stupisse. Forse di sentirsi tradito, quando – in realtà – non ne aveva il benché minimo diritto.

«Due?» avrebbe quasi riso della sua stessa stupidità, ma non voleva che l’altro capisse qualcosa perché quello sì, che sarebbe stato imbarazzante.

«Ah ah» aveva confermato Harry, e Zayn aveva improvvisamente percepito il petto dell’altro appoggiato alla sua schiena e il respiro di Harry vicino al suo orecchio. «Che te ne frega, comunque? Adesso sto scopando te» aveva sussurrato e a Zayn era morto il fiato.

Non pensava che con solo quattro parole l’altro avrebbe potuto lacerargli lo stomaco, ma evidentemente si sbagliava, perché qualcosa dentro di lui aveva preso a sanguinare, e presto sarebbe morto dissanguato.

Avrebbe voluto essere da tutt’altra parte, e non nella stanza d’albergo di Harry, mentre quest’ultimo si muoveva dentro di lui. Aveva quasi voglia di piangere, non di venire, ma la mano di Harry – quella dell’anello, che Zayn sentiva a contatto con la sua pelle – aveva avvolto il suo uccello, facendolo sussultare e tremare. Avrebbe preferito dormire per sempre, piuttosto che raggiungere l’orgasmo e percepire quello di Harry, in contemporanea.

Quando l’altro era finalmente uscito da lui, Zayn era rimasto immobile, sdraiato prono, con gli occhi sbarrati, fingendo di essere sul punto di addormentarsi. Non voleva vedere pensare provare nulla, ma immaginava che quei suoi desideri non si sarebbero mai realizzati.

Le parole di Harry gli rimbombavano nelle orecchie, assordandolo e conficcandogli nel corpo un pugnale a ogni ripetizione.

Era tutta colpa sua, in realtà. Lui aveva chiesto e, adesso che sapeva, doveva convivere con la conferma che lui, per Harry, non sarebbe stato mai nulla di più che una scopata.

Aveva aspettato di sentire il respiro dell’altro farsi pesante, poi aveva raccolto le sue cose, incapace di dormire in quel letto, di restare nella stanza un minuto di più.

Chiudendosi la porta alle spalle, si era accorto di aver lasciato dentro una parte enorme di sé, che, però, non rivoleva più.

 

***

 

Tornarono in camera neanche venti minuti dopo.

L’aria era quasi più irrespirabile di prima, il che era assurdo. La loro storia era sempre stata avulsa da pesantezza, e quella gravità iniziava a pesargli sullo stomaco.

Mark non lo guardava e sembrava sempre perso in un altro mondo.

«Cosa c’è?» sbottò, perché se avesse aspettato altri due secondi, sarebbe scoppiato.

Mark strizzò gli occhi e poi le labbra. Stette per un po’ in silenzio, come se non sapesse se rispondere. O cosa rispondere.

«Niente» disse, e Zayn alzò gli occhi al cielo, perché col cavolo.

«Mark» ringhiò. L’altro, che si stava togliendo le scarpe, si fermò e alzò lo sguardo su di lui per quella che, a Zayn, parve la prima volta dopo secoli.

Sembrò studiarlo e poi cedere a una forza invisibile.

«Ho parlato con Harry. Al bar» mormorò, distruggendo ogni sua speranza.

«Ah sì?» cercò, comunque, di fingere indifferenza, anche se ormai non aveva più molto senso e lo sapeva.

«Ah ah» rispose. «Mi ha fatto il terzo grado» quasi rise. «Mi ha chiesto chi fossi, cosa ci facessi con te e, sai, immaginavo che fosse successo qualcosa, tra di voi, visto che non lo nomini mai e – quando lo fa qualcun altro – sbianchi, ma non pensavo che ci fossi mai andato a letto» concluse, il tono di voce che saliva a ogni parola.

Zayn lo fissò, impassibile.

«Perché cavolo non me lo hai mai detto?» chiese l’altro, disperato come Zayn non lo aveva mai visto.

«Perché non sono affari tuoi» disse, lapidario. Avrebbe voluto fermare le parole in gola, prima che gli uscissero di bocca, ma non era mai stato bravo a farlo. E tutto quello che riguardava Harry gli mandava in pappa il cervello, quindi anche provarci sarebbe stato inutile.

Mark si bloccò, impietrito, e Zayn non aveva mai visto sul suo volto così tante emozioni insieme. Rabbia, delusione, sbigottimento, incredulità. Erano tutte lì, e Zayn non sapeva quale avrebbe prevalso.

«Sono affari miei, se lo ami» disse con un fil di voce, ma per Zayn fu come se, quelle parole, gliele avesse urlate con un megafono.

«Che cavolo ti dice che lo amo? O che l’abbia mai amato, se è per questo?» sputò arrabbiato. Lo sapeva che Mark aveva ogni diritto di fargli quelle domande, ma non poteva farci nulla se la sua testa gli stava urlando di seppellire di nuovo tutti i suoi sentimenti dentro le impalcature contenitive che così difficilmente aveva costruito. Non era giusto che tre sole lettere distruggessero un lavoro durato anni. Non era neanche giusto che Harry ancora gli scorresse dentro le vene, ma pensava di aver imparato a ignorarlo.

Si era sopravvalutato, e la portata enorme di quegli ultimi sette anni, passati a negare e dimenticare e poi ancora negare e ridimensionare, lo stava colpendo tutto insieme, potente come un maremoto.

«Tutto. Lo dice… tutto» ripeté, come fosse troppo stremato, per affrontare davvero l’argomento. Lo vide prendere un respiro, aprire le labbra più volte e poi decidersi una buona volta a parlare.

«Io ti amo, Zayn. E tu… tu no. E non me ne ero mai reso conto, ma è così e io non posso» concluse, senza farlo davvero.

Quelle parole riportarono alla mente di Zayn quelle pronunciate da Perrie tanti anni prima. Erano quasi le stesse, ma con sollievo e angoscia insieme, si accorse che il loro effetto era completamente diverso. Teneva a Mark, gli era affezionato, ovviamente, ma – e l’aveva sempre saputo – non sarebbe mai risuscito ad amarlo come meritava. E forse era tempo che Zayn smettesse di essere egoista e iniziasse a essere sincero con entrambi.

«Cosa farai?» chiese, senza neanche cercare di difendersi o di opporsi o di combattere. Mark non parve stupirsi.

«La valigia, immagino» rispose, con un sorriso mesto.

«Non puoi andartene adesso, è notte» costatò Zayn. «E l’aereo? Parti subito?» si preoccupò, perché se erano in quella situazione, era quasi del tutto colpa sua e di certo non avrebbe lasciato che quello che era stato il suo compagno per un anno e mezzo se ne girasse per Dublino da solo.

«Magari, scendo e chiedo se c’è un’altra stanza e domani mattina, sul presto, parto»

«Puoi restare qui, Mark» cercò di convincerlo, ma già sapeva che l’altro non avrebbe accettato la sua proposta.

Quello, infatti, negò con un leggero movimento della testa, accompagnato dal sorriso triste che gli era spuntato sulle labbra sin da quando avevano intrapreso quel discorso.

«Preferisco così» disse, solo, e Zayn annuì.

«Lascia almeno che scenda a sentire per la camera, mentre tu metti a posto le tue cose» lo pregò, scoprendo che, chiudere la loro relazione era più difficile di quanto avrebbe mai creduto.

«Ok» sospirò, quasi di sollievo.

Appena fuori dalla stanza, si appoggiò alla porta. Chiuse gli occhi e permise al suo corpo di rilassarsi. Non poteva crederci. Non tanto di aver rotto con Mark: aveva sempre avuto la sensazione che tra loro non sarebbe stato eterno, per quanto c’avesse provato con tutte le forze, a far funzionare quel rapporto.

No, non poteva credere che, dopo tutto quel tempo, ancora permettesse a Harry di intromettersi a quel modo nella sua vita, gli permettesse di avere un tale ruolo, di importare così tanto, quando lui, per il più piccolo, non era mai stato nulla, quando Harry non gli aveva dato che manciate di niente e niente e niente.

Fanculo.

 

***

 

Aveva iniziato a evitare Harry.

Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe sostenuto che no, non lo stava facendo apposta, che neanche se n’era accorto, magari, ma in cuor suo sapeva che quelle sarebbero state bugie colossali, e neanche ben dette.

Stare lontano dal compagno di band era difficile quanto stargli accanto, per Zayn; doveva dar fondo a tutta la sua volontà per tirare fuori una scusa nuova ogni volta che Harry gli si avvicinava con l’intenzione di chiedergli di incontrarsi, e il peggio era che le stava lentamente finendo.

Fortuna voleva, però, che il tour americano fosse agli sgoccioli e che, prima di partire per l’Australia per gli ultimi mesi, avrebbero avuto una quarantina di giorni liberi. Sapeva già che Harry, molto probabilmente, li avrebbe passati a Los Angeles: da come ne parlava e da quante volte ci andava, ne sembrava innamorato e Zayn credeva che prima o poi avrebbe comprato casa e si sarebbe definitivamente trasferito lì.

Lui, d’altro canto, sarebbe tornato a Bradford e, poi, sarebbe volato via con Anthony e Danny: aveva lasciato loro carta bianca sul posto e, probabilmente, sarebbero finiti ai confini del mondo.

In ogni caso, era l’ottima occasione per staccare la spina e smettere di pensare a Harry.

*

Erano stati in Nepal e lì Zayn aveva scoperto di poter girare abbastanza liberamente, senza essere costantemente inseguito da paparazzi o ragazzine urlanti. Da quel punto di vista, era stato un mese paradisiaco, che gli aveva fatto apprezzare ancor di più l’anonimato che va a braccetto con l’assenza di fama, ma Zayn sapeva bene che era stato solo una breve parentesi: era tornato a casa per qualche giorno, per salutare i suoi e prepararsi a un mese abbondante di date in Oceania, e la pesantezza della solita routine gli era piombata di nuovo addosso.

Con essa, l’aveva colpito anche il desiderio misto a timore di rivedere Harry.

Al contrario di quanto avesse sperato, non era riuscito a liberarsi, in quei giorni, del pensiero del più piccolo: di notte lo assalivano i ricordi dei momenti trascorsi insieme, e di giorno qualsiasi cosa glielo ricordava, fosse anche una parola detta a mezza voce o un cibo, un panorama.

I suoi amici d’infanzia l’avevano spesso studiato, entrambi preoccupati per la sua espressione pensierosa e turbata, e lui davvero voleva tutto meno che quello, ma non riusciva a controllare la sua mente. Alla fine, l’avevano così tanto assillato che lui, senza fare nomi e scendere nei dettagli, aveva finito per raccontargli quanto fosse accaduto negli ultimi mesi, e non si era stupito troppo quando entrambi l’avevano stretto in un abbraccio stritolatore.

Parlare a qualcuno della sua recente rivelazione era terapeutico, aveva scoperto, e Zayn non si era sentito giudicato da loro nemmeno per un attimo. Avrebbe voluto dirlo anche ai suoi genitori, ma preferiva aspettare un momento di pausa prolungato, per fargli digerire meglio la notizia, piuttosto che arrivare a casa, sparare la bomba e andarsene, il tutto in cinque minuti.

Magari, alla fine del tour, si era detto, proprio mentre infilava le ultime cose in valigia ed entrava su Twitter. Erano secoli che non si faceva vivo, e mentre dava una scorsa alle tendenze universali, si era detto che avrebbe fatto meglio a continuare su quella linea.

Una lo dava per disperso, e Zayn l’aveva accuratamente evitata.

Un’altra, invece, aveva attirato la sua attenzione, e di certo avrebbe fatto meglio a stare alla larga anche da essa, ma, evidentemente, si voleva meno bene di quanto credesse, aveva pensato mentre la selezionava.

Tutti i tweet taggati LeUltime10RagazzeDiHarry gli erano apparsi in contemporanea, e mentre scorreva la pagina e vedeva foto di Harry, accompagnato da una donna sempre diversa, si era sentito sul punto di vomitare, e con uno scatto aveva chiuso Internet e abbandonato il cellulare sul letto, come bruciasse.

Non riusciva proprio a capire di cosa si sorprendesse, e quella era una cosa che ultimamente gli capitava sempre più spesso.

E, sempre più spesso, si dava dell’idiota: lui non era così, o – almeno – non lo era mai stato, fino ad allora.

Con le mani a massaggiarsi le tempie, si era detto che doveva trovare un modo per uscire da quel circolo, per liberarsi di tutti quei pensieri che affondavano sempre più in profondità il suo amor proprio, per smettere di farsi condizionare da tutto quello che girava intorno a Harry.

Doveva iniziare a pensare alla sua sanità mentale e a volersi più bene, e se quello significava evitare quasi completamente il ragazzo più giovane, be’, allora doveva almeno provarci.

*

Aveva detto che andava a comprarsi le sigarette, anche se, in realtà, ne aveva un pacchetto pieno, e con quella scusa si era allontanato dal palco, dove stavano provando le ultime cose, sopraffatto dal ritorno alla quotidianità e dalla vicinanza soffocante di Harry.

Si era nascosto dentro il bus, che come rifugio faceva schifo, ma se non vi fosse rimasto troppo a lungo, comunque, nessuno l’avrebbe cercato e, di conseguenza, neanche trovato.

Le sue aspettative, però, erano rimaste deluse, quando aveva sentito i piedi di qualcuno salire le scalette, e con tutto se stesso aveva pregato perché non fosse Harry.

Tutti ma non Harry-Tutti ma non Harry-Tutti ma non Harry aveva preso a vorticargli nel cervello come un mantra, e la cantilena si era interrotta solo quando la voce di Niall aveva riempito il veicolo.

«Ehi» aveva detto, e Zayn aveva aperto gli occhi che a malapena si era reso conto di aver chiuso, nella speranza di non doversi specchiare in un mare verde, rendendosi conto che l’amico era solo a qualche centimetro da lui e lo stava fissando preoccupato. «Manchi da venti minuti» aveva poi aggiunto, e Zayn davvero non si era reso conto che fosse passato tutto quel tempo.

«Oh» aveva solo commentato. Magari si era addormentato senza accorgersene.

«È successo qualcosa con Hazza?» aveva poi chiesto, dritto come una coltellata. Zayn sapeva che l’amico era solito non girare intorno ai problemi e che aveva il tatto di un elefante, ma, comunque, non aveva potuto evitare l’espressione di sgomento che la domanda gli aveva fatto sorgere in viso.

Non voleva rispondere a quello, o parlarne. Non voleva neanche pensarci, in realtà, e già la cosa gli riusciva abbastanza male, non c’era bisogno che altri peggiorassero la situazione.

«No» aveva detto, e anche un sordo avrebbe capito che mentiva.

Niall l’aveva guardato supplicante, come se quella storia addolorasse anche lui, che non solo non c’entrava nulla, ma era anche all’oscuro di tutto.

Ancora non capiva come avevano fatto a non insospettire nessuno, anche se aveva l’impressione che Louis avesse mangiato la foglia.

«Io…» aveva ripreso, incapace di sostenere lo sguardo dell’amico. «Sì» aveva affermato, contraddicendo quanto detto solo una manciata di secondi prima. «Se… se te lo dico» aveva iniziato, consapevole che Niall poteva essere tutto – giocherellone, rumoroso e spensierato – ma che, se gliel’avesse rivelato, lui non l’avrebbe detto a nessuno. Se c’era qualcuno di cui potersi fidare, quello era l’Irlandese. «Se te lo dico, mi prometti che non lo dirai a nessuno, sì?» e aveva guardato Niall annuire e farsi più attento. «Neanche quando sarai ubriaco fradicio, sì?» aveva specificato, strappando un sorriso obliquo all’altro.

E, senza quasi rendersene conto, aveva iniziato a ricordare e raccontare, partendo dall’inizio, nella speranza che confidarsi fosse catartico e alleviasse il peso che portava sulle spalle.

*

Poteva sentire lo sguardo di Harry trapanargli la nuca, forse nel tentativo di leggergli nel pensiero, ma Zayn aveva continuato tranquillamente a mangiare la sua cena, facendo finta di nulla.

Erano dieci giorni che si spostavano per l’Australia, e almeno la metà di essi, Zayn li aveva passati a inventarsi mal di testa, chiamate su Skype, sonnolenza, ma Harry sembrava essere deciso a non mollare.

Zayn non ne capiva bene il motivo: era chiaro come il sole che l’altro ragazzo avrebbe potuto avere chiunque desiderasse, e che Zayn era solamente stato una specie di porto sicuro, di ultimo approdo. Probabilmente, aveva riflettuto, al più piccolo, i no – come risposta, piacevano poco; pungevano il suo orgoglio di conquistatore, e Zayn non ce la faceva più a resistere alla tentazione, sempre più grande, di cedere alle lusinghe dell’altro.

Di quel passo, Harry avrebbe continuato a insistere fino alla fine dei tempi.

A meno che non avesse trovato una scusa abbastanza buona che lo costringesse a ritirarsi dal campo.

*

«Zayn» si era sentito chiamare, mentre una mano sul braccio lo faceva girare sul posto.

Ecco, ci siamo, si era detto, mentre fronteggiava Harry e gettava un’occhiata al punto in cui il suo braccio e la mano dell’altro erano in contatto. Harry indossava ancora il suo anello, e quello lo stava riscaldando più del fuoco in inverno.

Era così ingiusto. Così ingiusto che un semplice respiro dell’altro fosse in grado di ucciderlo, quando, invece, Harry si dimostrava la persona più tranquilla del mondo, in sua presenza, come se nulla in Zayn fosse abbastanza tutto da sconvolgerlo.

No, non sconvolgerlo. Si sarebbe accontentato di molto meno, davvero.

«Possiamo parlare?» aveva chiesto, e quello aveva sorpreso un po’ Zayn, troppo abituato a sentire richieste completamente diverse.

«Sì. Giusto, sì» aveva acconsentito, con l’intenzione di parlare per primo e togliersi il pensiero, ma – soprattutto – di non essere costretto a sentire un’altra parola uscire dalle labbra di Harry.

Gli occhi del più piccolo si erano spalancati all’inverosimile, come se fosse realmente stupito dalla reazione di Zayn e tutto quello che si aspettasse fosse sentire altri pretesti.

«Io» aveva iniziato, cercando di deglutire e scoprendo di avere la gola secca. «Ho conosciuto una persona. Una ragazza» aveva mentito, non sentendosi minimamente in colpa. Sperava che almeno quello funzionasse, anche se, una minima parte di lui pregava per il contrario. «Io… mi piace» tu-tu-tu-mi piaci-tu. «Quindi… ecco» di’qualcosa-qualsiasicosa-stupidoHarry-apriquellastupidabocca-tiamocazzo.

«Oh» aveva commentato, registrando il discorso morsicato di Zayn. «Possiamo sempre fare una cosa a tre, se è d’accordo» aveva proposto, poi, e, tra tutte le cose che Zayn pensava l’altro dicesse, quella non era neanche in fondo alla lista.

D’improvviso, si era come sentito calciare allo stomaco, e la voglia di correre via da lì (via da Harry) l’aveva assalito, furiosa come non mai.

Si era spesso sentito solo un corpo, con e per Harry, – quando per lui, neanche all’inizio, era stato unicamente quello – ma mai, mai, come in quel momento.

Avrebbe voluto odiarlo almeno un po’, per come lo stava facendo sentire, inutile e senza valore, o, perlomeno, avrebbe dovuto, ma forse non era nel suo DNA o qualche cazzata del genere, perché tutto quello che riusciva a provare era un dolore sordo e la consapevolezza che non avrebbe mai potuto avere la persona che amava per sé.

Aveva cercato di nascondere le sue emozioni sotto una facciata di disgusto (o qualcosa di simile, a Zayn interessava poco), e quella era un’abilità che in molti gli avevano sempre invidiato, quindi sperava di aver fatto un buon lavoro e di non essersi tradito come un povero scemo.

«No,» aveva risposto, e si era complimentato per il tono fermo. «lei mi piace sul serio. Non-» non è vero. «Non voglio più far nulla, con te» nonèvero-nonèvero-nonèvero, aveva preso a urlare la sua testa, e Zayn non sapeva come altro azzittirla, se non voltando le spalle e allontanarsi da Harry, senza mai guardarsi indietro.

 

***

 

Il matrimonio era stato veloce, grazie a Dio, e Niall e Lisa se ne erano andati subito dopo la cena.

I festeggiamenti si erano prolungati, perché , e per Zayn era stato ancora più veloce ubriacarsi.

Non che fosse colpa sua, comunque: era un matrimonio, c’erano vino e champagne e birra (perché lo sposo era Niall, suvvia) e un bar, e Zayn a malapena se ne era accorto, che ogni bicchiere correva più libero del precedente, lungo la sua gola.

Doveva essere tardi, però, perché la folla iniziava a diradarsi e anche Louis era tornato in camera.

Buttò giù il suo secondo bicchiere di Whiskey, e proprio mentre lo riappoggiava sul bancone, i suoi occhi caddero su un’alta figura che stava per uscire dalla stanza.

Harry.

Si chiese come fosse possibile che, per tutto quel tempo, non si fosse accorto che l’altro fosse ancora presente. Un tempo, aveva quasi imparato a capire quando si trovavano nella stessa stanza, neanche cambiasse qualcosa nell’aria, ma – evidentemente – era passato troppo tempo e lui aveva perso il tocco. O, forse, era solo troppo brillo per pensare, figurarsi per percepire.

Si indignò: Harry aveva avuto il coraggio per parlare con Mark e dirgli chissà quali assurdità, ma non riusciva a raccogliere nemmeno un po’ di educazione per salutare lui?

E, d’accordo che non si parlavano sentivano vedevano da una vita, e almeno l’80% della colpa era imputabile a Zayn stesso, ma, cavolo!, il saluto non si toglie a nessuno.

Giusto, convenne il suo cervello annebbiato, come se lui non avesse passato l’intera giornata precedente a evitare Harry con tutte le sue forze, e – quasi senza che se ne accorgesse – era in piedi e, riuscendo a evitare di inciampare e di scontrarsi con qualche sconosciuto, aveva oltrepassato la porta anche lui.

Harry se ne stava di fronte a un ascensore e Zayn allungò il passo per raggiungerlo, prima che le porte gli si chiudessero sul naso.

Con un balzo (che quasi gli uccise testa e stomaco), si ritrovò tra quelle quattro pareti, alla sola presenza del suo vecchio compagno di band.

«Cosa gli hai detto?» ruggì, senza pensarci troppo.

Harry mutò in un momento espressione, da vagamente impaurita ad apertamente meravigliata.

«Ehm, a chi?»

Zayn l’avrebbe preso a pugni: magari quella era la soluzione a tutti i suoi problemi e non l’aveva mai saputo.

«Che hai detto a Mark?» ripeté, perché – evidentemente – Harry era lento di comprendonio quanto lo era a parlare.

«Niente» rispose, rabbuiandosi. Ecco, forse si sentiva in colpa. Farebbe bene, pensò Zayn.

«Oh, certo» lo prese in giro. «È per via del tuo niente che se n’è andato» continuò, inalberandosi sempre di più.

«Magari voleva farlo da tempo, ma non sapeva come» ribatté Harry, e, oh, voleva davvero essere colpito. Un pugno in faccia, su quel suo bel naso diritto.

«Rovini sempre tutto» urlò, mentre seguiva Harry fuori dall’ascensore e lungo il corridoio.

Era a malapena cosciente che in quel modo avrebbe svegliato l’intero hotel, ma non gliene poteva importare di meno.

«Sei come un presagio nefasto» continuò, sparando frasi che avevano senso solo nella sua testa. Forse. «Un porta-sfortuna, una tragedia che cammina, un-» s’interruppe, scontrandosi contro la schiena di Harry, che si era improvvisamente bloccato davanti a una porta.

I flashback di diecimila momenti uguali a quello gli sommersero i ricordi, e Zayn non riuscì a bloccare il miscuglio di nostalgia e nausea e desiderio che lo prese alla sprovvista.

Zayn avrebbe voluto appoggiare la fronte contro il collo di Harry, rifugiandosi e scappando così da tutti i sentimenti contrastanti che stava provando, ma l’altro si girò, e Zayn si accorse di volerlo talmente tanto, da non preoccuparsi neanche per l’espressione stupida che, di certo, aveva in volto.

Ma crogiolarsi nel desiderio o nella speranza era stupido quanto cercare di convincersi che non amava più Harry. E quello era un pensiero così deprimente e avvilente, che Zayn ne avrebbe davvero fatto a meno.

Zayn chiuse gli occhi. Sette anni, pensò. Sette anni che non lo toccava: una punizione peggiore di quella che qualsiasi divinità potesse mai avere in serbo per lui.

Allungò una mano, perché c’erano solo cinque centimetri di distanza tra loro e nessuno era così ottimista da credere che lui potesse resistere alla più grande tentazione che la vita gli avesse mai offerto.

Tutti i riserbi che aveva provato in passato gli frullarono nel cervello, in un unico grande caos, ma lui era troppo oltre per poter distinguere l’uno dall’altro.

Qualsiasi conseguenza ci fosse stata, c’avrebbe pensato l’indomani.

E, senza indugiare oltre, si alzò sulle punte dei piedi, strinse una mano tra i capelli di Harry e – non badando all’espressione sconvolta dell’altro – fece scontrare le loro labbra.

Quel ritorno al passato valeva più dell’acqua nel deserto o dell’ossigeno nello spazio, di certo valeva il sangue di una ferita mai rimarginata completamente.

 

***

 

Mancavano poche date in Nuova Zelanda, un paio in Giappone e poi finalmente tutto sarebbe finito.

Zayn aveva bisogno di staccare la spina. Da tutto: le urla, le luci, le poche ore di sonno. Harry era solo uno tra i mille motivi per i quali non vedeva l’ora di tornare a casa e seppellirsi sotto le coperte del suo letto.

La sola idea che l’anno seguente avrebbe dovuto affrontare tutto di nuovo gli metteva ansia.

Il loro contratto stava per scadere e lui, al contrario del resto del mondo, sognava una vita anonima e tranquilla. Pensieri, che già più volte gli avevano attraversato la mente come comete, gli affollavano le veglie così come i sogni, e – da un po’ – aveva iniziato a credere che fosse meglio assecondarli che non cacciarli.

 

***

 

Harry non protestò neanche per un secondo, o – se lo fece – Zayn proprio non se ne accorse.

Lo spinse oltre la soglia e, in meno di quanto pensasse fosse umanamente possibile, si ritrovò nudo, con l’altro steso sotto di lui.

Accantonò ogni voce che gli diceva quanto grande fosse quell’errore e, al primo Zayn che Harry soffiò, spense il cervello.

*

Zayn ancora si ricordava come fosse baciare ogni parte del corpo di Harry, che sapore avessero le sue labbra e cosa provasse ad avere le gambe del più piccolo allacciate ai fianchi.

L’idea che tanti altri conoscessero ogni punto che dava piacere a Harry, gli faceva salire il sangue al cervello e ribollire la gelosia nelle vene. Aveva come l’impressione che se lui l’avesse toccato abbastanza da lasciare i segni, e l’avesse baciato in modo da imprimere il suo sapore sulle labbra dell’altro, avrebbe cacciato il ricordo di qualsiasi altro uomo.

Harry sarebbe stato soltanto suo, almeno per una notte.

*

Avrebbe voluto fare l’amore, con Harry, per quanto fosse dannatamente smielato anche solo pensarla, una cosa del genere. Avrebbe voluto, almeno quella volta, perché – per quante volte fossero stati a letto insieme – Zayn non si era mai abbandonato a movimenti lenti o baci languidi. Non se l’era mai permesso, troppo preoccupato di cosa quello avrebbe significato e di quanto Harry avrebbe potuto capire. Tra di loro era sempre stato tutto un fuoco che bruciava ogni cosa che trovava sul suo cammino, e Zayn era riuscito a spegnerlo solo dopo aver capito di essere lui stesso una di esse.

Solo che non l’aveva spento, aveva solo provato a controllarlo, e – per quanto si fosse impegnato – i risultati non erano stati poi così buoni, se era bastata una singola occhiata di Harry, a mandargli in pappa le ginocchia.

*

Evitò di guardarlo negli occhi, mentre entrava in lui. Avrebbe voluto anche coprirsi le orecchie, per non sentire il respiro accelerato dell’altro e i suoi sospiri e qualsiasi altro rumore che ancora lo tormentava di notte, ma quella era una piacevole tortura di cui Zayn non era abbastanza forte da privarsi.

Come non avessero mai smesso e non fossero passati anni dall’ultima volta che si erano ritrovati in quella posizione, insieme, ogni cosa andò al suo posto: le mani di Harry sulle spalle di Zayn, che lo spingevano in basso in un bacio appassionato, e poi si perdevano tra i suoi capelli, scompigliandoglieli; i fianchi del più piccolo che si muovevano all’unisono con le spinte di Zayn; l’odore di Harry che l’avvolgeva e non se ne sarebbe andato per altri sette anni.

Harry era più vocale di quanto si ricordasse; sussurrava il suo nome al suo orecchio come fosse poesia, e quello rendeva Zayn più selvaggio di quanto non avessero fatto la rabbia e il desiderio.

Quando vennero – una mano sulla bocca di Harry perché non svegliasse nessuno, e i denti a mordicchiargli un orecchio – Zayn si sentì come se fosse appena tornato a casa da un lungo, orribile viaggio, come se quello fosse il posto giusto e quel momento bloccato nel tempo fosse perfetto.

Come se lui e Harry, insieme, fossero destinati a essere.

Durò un attimo, poi la realtà entrò dalla porta principale e diede un calcio a ogni sua fantasia.

Iniziava a smaltire la sbornia, e con l’alcol se ne andava anche il disinteresse per le conseguenze. Appoggiò la testa al cuscino e chiuse gli occhi, per evitare che la stanza continuasse a girare e girare e girare, e sperò che Harry avesse fatto lo stesso.

Non sapeva cosa gli fosse preso, cosa gli avesse detto il cervello; o, meglio, lo sapeva fin troppo bene, ma non voleva pensarci troppo, in quel momento. Voleva solo dimenticarsi di tutto, disconnettere il cervello, magari cambiarlo (se possibile?).

Si voltò e, raccogliendo una briciola di coraggio, aprì gli occhi.

Harry dormiva o faceva finta, per quanto ne sapeva lui.

Allontanandosi il più possibile, come l’altro scottasse, decise che avrebbe seguito il suo esempio, ché era così stanco che le gambe non l’avrebbero retto neanche per due passi, avesse provato ad alzarsi.

 

***

 

«Quindi questa è la tua decisione finale?» aveva chiesto Simon, come avesse già saputo quello che Zayn avrebbe detto.

Era metà novembre, avevano lasciato alle spalle il loro quarto tour e nulla, se non il loro volere, li avrebbe costretti a restare una band.

Tutti i produttori presenti alla riunione se ne erano usciti con reazioni stupite, ma non Simon, che lo conosceva dall’inizio, e non gli altri quattro, che sentivano nelle ossa che, presto o tardi, quello sarebbe accaduto.

Aveva paura di guardare i suoi amici in faccia e leggerci disprezzo o rabbia o rancore. Qualsiasi cosa, perché in fondo lui stava abbandonando la nave e, forse, poco importava se lo stava facendo perché ogni giorno moriva un po’ di più. E non c’entrava neanche Harry. Ok, magari quella era una bugia e il fattore Styles contribuiva a quella che era diventata la sua vita, ma – davvero – le cose non sarebbero cambiate, se fra loro non fosse mai successo nulla, e Zayn avrebbe desiderato staccare la spina, comunque. Harry era solo l’ultimo anello di una soffocante catena chilometrica, che si sarebbe spezzata solo se lui avesse fatto qualcosa.

Quel qualcosa, per quanto quasi fisicamente doloroso, era tirarsi indietro.

Non sapeva come avrebbe fatto, senza gli scherzi di Louis e le premure di Liam e l’allegria di Niall, e forse se ne sarebbe pentito già l’indomani, ma c’aveva riflettuto abbastanza da essere certo di averne bisogno.

«Sì» aveva soffiato, e contemporaneamente un peso enorme era scomparso, alleggerendogli lo stomaco.

Simon non aveva insistito, e Zayn gliene era grato. L’uomo aveva spostato, poi, l’attenzione su gli altri, e solo allora aveva avuto il coraggio di scoprire le loro reazioni.

Niall lo stava guardando, benché Simon stesse parlando anche con lui, e sorrideva. Come sempre, anche quella volta il sorriso dell’Irlandese aveva provocato un’identica reazione sul suo volto, e – mentre le sue labbra si distendevano – a Zayn era parso di non aver usato quei muscoli da una vita e mezzo.

«Io credo» la voce di Harry, che si immetteva nella conversazione per la prima volta, l’aveva risvegliato. «possa essere una buona opportunità per portare avanti altri progetti. Singolarmente»

Louis stava annuendo, come se anche quella non fosse una proposta inaspettata. In fondo, voci che correvano in quel senso c’erano da una vita, e tutti sapevano che Harry aveva altre aspirazioni e speranze. Zayn non le giudicava, anche perché era quello che ne aveva meno diritto.

Simon aveva detto qualcosa, che Zayn non aveva sentito perché troppo preso a osservare Harry, stando bene attento che l’altro non se ne accorgesse. Ma era così immerso nella conversazione che davvero non c’erano pericoli.

Senza che se ne rendesse conto, tutti dovevano aver espresso la loro opinione, perché la riunione era finita, e Simon e gli altri produttori si stavano alzando.

Zayn si era riscosso all’improvviso, e senza pensarci aveva raggiunto l’uomo che aveva reso possibile tutto quello e l’aveva abbracciato, sperando che il gesto esprimesse tutta la gratitudine che provava. Non solo perché aveva realizzato il suo sogno, ma anche perché lo stava lasciando andare senza alzare alcun polverone.

*

Un paio di giorni dopo, si erano dati tutti appuntamento a casa di Zayn, che aveva fatto le valige ed era pronto per tornare qualche giorno a Bradford, stare con i suoi, intavolare discorsi spinosi.

«Quando torni?» aveva chiesto Louis. Gli altri avevano tutti deciso che per il momento sarebbero rimasti a Londra. La capitale sembrava il luogo migliore in cui iniziare nuovi percorsi professionali, anche se Harry aveva espresso la vaga intenzione di andarsene presto dall’Europa e stabilirsi in America. Il solo pensiero faceva star male Zayn, ma probabilmente era meglio così.

«Non so» aveva risposto, sinceramente. Aveva la mezza idea di vendere la casa che aveva comprato solo un paio d’anni prima, e scegliersene un’altra che nessuno conoscesse, a eccezione di familiari e amici stretti, ma ancora non ne era del tutto sicuro.

Aveva guardato l’orologio e si era accorto che il suo taxi sarebbe stato lì a momenti. Si erano già detti tutto quello che dovevano dirsi, quegli ultimi attimi erano solo il simbolo di un commiato che già si erano dati e ridati nei giorni precedenti, ma lo stavano lacerando più di quanto credesse possibile. Erano lì, infine, dopo cinque anni in cui non avevano passato più di qualche settimana senza vedersi, più di qualche ora senza sentirsi.

Tutto stava per finire, e lui per primo l’aveva voluto. Tutto ciò aveva un vago gusto drammatico, un sapore malinconico e nostalgico, anche se erano ancora tutti quanti lì, a fissarsi e imprimere nella memoria quei secondi e la postura degli altri e la velocità dei loro respiri.

Era assurdo, quelli erano i suoi fratelli, e Zayn già sapeva che gli sarebbero mancati come l’aria sott’acqua.

Mentre si stringevano in un abbraccio di gruppo e il taxi si fermava davanti al cancello, Zayn si era costretto a non piangere.

Il fatto che se ne stesse andando non implicava che non si sarebbero mai più visti, ovviamente.

Significava solo che tutto sarebbe cambiato. Il grande punto interrogativo che lo affliggeva era se quel tutto sarebbe migliorato o peggiorato.

 

***

 

Era così agitato che si era svegliato dopo un paio d’ore di sonno, forse, e quando aprì gli occhi, ne capì il motivo.

Harry era steso accanto a lui, nella stessa posizione che aveva prima che Zayn si addormentasse.

Il cuore iniziò a pompargli anche il sangue che non aveva, e tutto quello che Zayn sapeva era che doveva andarsene da quella stanza, il più in fretta possibile.

Raccattò tutti i suoi vestiti, infilandoseli alla bene e meglio, e – con in mano la giacca – si avvicinò alla porta. Con un sospiro, si voltò a guardare per l’ultima volta l’uomo che probabilmente avrebbe continuato ad amare per sempre, e, poi, facendosi forza e cercando di fare meno rumore possibile, uscì dalla stanza, e chiuse la porta e Harry dietro di sé.

*

Qualcuno avrebbe dovuto dargli il premio per l’idiota dell’anno. Se non esisteva, avrebbero dovuto inventarlo appositamente per lui.

Era uno stupido, uno scemo colossale, il più imbecille degli imbecilli, e neanche offendersi gli dava sollievo.

Non che ne volesse, comunque: era così deficiente che se le meritava eccome, tutte quelle immagini e quelle sensazioni che gli vorticavano nel sangue e nel cervello.

Erano così vivide e fresche, che probabilmente non sarebbe riuscito a dormire bene per settimane. Si ricordava ancora quanto il ricordo dell’altro l’avesse tenuto sveglio, i primi periodi dopo la rottura del gruppo, e il solo pensiero di rivivere tutto di nuovo gli faceva rimpiangere tutto: di aver bevuto troppo, di aver avvicinato l’altro, di essergli saltato addosso.

Quanto, quanto, era scemo!

Einstein aveva ragione, non c’era limite alla stupidità umana, e il fatto che, benché i tre quarti del suo intero essere rimpiangessero la notte appena trascorsa, il rimanente gioisse a quelle memorie, ne era la prova lampante.

Forse gli piaceva davvero bruciarsi e farsi del male; era assurdo e Zayn stesso sapeva che non era vero, ma avrebbe almeno spiegato perché sembrasse proprio non aver imparato nulla, nel corso degli anni, e perché non riuscisse a superare quella storia, liberarsene per costruire qualcosa di reale con un’altra persona. Avrebbe almeno spiegato perché sembrasse preferire il nulla che aveva avuto con Harry al possibile tutto che avrebbe avuto con chiunque altro.

Si sarebbe strappato i capelli, ma non aveva tempo per il dramma: doveva radunare tutte le sue cose e andarsene da quell’albergo. Doveva prendere un aereo, poco importava per dove e se non riusciva a salutare nessuno. Non poteva permettersi di incontrare faccia a faccia Harry, non dopo quella notte e non con il putiferio che era nuovamente scoppiato nella sua testa.

Chiamò un taxi e, fregandosene altamente che fosse ancora piena notte, si fiondò fuori dalla sua stanza e dall’hotel.

Fu solo in auto che si accorse che la giacca che aveva addosso era troppo grande, per essere la sua, e che odorava di Harry.

Sbuffò. Smise di chiedersi come potesse essere così scemo, perché probabilmente quello era uno dei misteri dell’universo e nessuno sarebbe mai riuscito a dargli una risposta.

Chiudendo gli occhi, si strinse di più all’indumento, che lo scaldava come neanche il tè a dicembre, anche se quello era tutto, meno che merito del tessuto.

Mentre lo faceva, sentì qualcosa premergli leggermente contro il petto.

Tastò la giacca, ma all’esterno non c’erano tasche. Malvolentieri aprì gli occhi, e controllò l’interno.

Lì c’era una piccola tasca, e anche in quel modo si poteva vedere la forma di un oggetto rotondeggiante spiccare sul tessuto altrimenti liscio.

Con delicatezza, Zayn infilò un dito nel taschino e, già prima di tirarlo fuori, sapeva cosa si sarebbe ritrovato davanti agli occhi.

*

Iniziava a pentirsi di essere arrivato fino a lì.

Quando dalla giacca aveva tirato fuori l’anello che, secoli prima, aveva regalato a Harry, si era sentito come in bilico. Come diviso tra più emozioni discordanti, senza sapere a quale cedere.

Non capiva perché l’altro se lo portasse dietro, e, anche se una piccola parte di lui si era illuminata di speranza, quella più realistica l’aveva riportato con i piedi per terra.

Non se lo poteva tenere, quello era certo. Aveva provato a dimenticare che quell’oggetto stava nel chiuso del suo armadio, aveva provato anche a dirsi che forse era destino che l’anello fosse tornato a lui, che il significato che lui gli aveva dato era sprecato, in quel rapporto, e che era davvero arrivata l’ora di guardare avanti. Era una specie di segno divino, e lui non doveva opporsi.

Solo che dimenticare era impossibile e far finta di nulla, pure. L’anello premeva nella sua mente, più irritante di un campanello d’allarme, e alla fine era aveva concluso che l’unica cosa da fare era restituirlo.

Per questo era lì. Per quello e perché non voleva usare alcun corriere: il che, a pensarci, era sciocco, ma aveva l’impressione che quella era una cosa che dovesse fare di persona, e sbarazzarsi di quel peso per posta sarebbe stato come privare l’oggetto di ogni valore.

Harry era nel bel mezzo del tour per il suo terzo album, e Zayn si riteneva fortunato a non aver dovuto volare in un altro continente, per raggiungerlo.

Berlino era una di quelle città che non aveva mai visitato per bene. Si era detto che poteva sfruttare l’occasione, partire qualche giorno prima del concerto (per il quale aveva trovato miracolosamente il biglietto), e vedere qualcosa, abituarsi all’idea che l’avrebbe sentito di nuovo cantare, calmare i nervi.

Adesso, però, in mezzo a tutti quei fan urlanti, quasi iniziava a cambiare idea. Harry aveva un pubblico molto più vario di quanto l’avesse la band, e oltre a fan che lo erano state anche degli One Direction, ce ne erano molti altri che erano lì unicamente per lui.

Zayn sperava che nessuno lo riconoscesse, e fino a quel momento tutto era filato liscio.

Il concerto stava per iniziare, e Zayn fu sommerso dai ricordi di quei momenti che precedevano lo spettacolo, l’adrenalina nelle vene, gli ultimi ok dai tecnici, i ritocchi finali ai capelli, e sì, qualche volta tutto quello gli mancava, ma no, se fosse potuto tornare indietro, non avrebbe preso decisioni differenti.

Poi tutto si fece progressivamente più buio, e le urla invasero il palazzetto.

La musica andò a unirsi a ogni altro rumore, e per la prima volta Zayn si sentì davvero in colpa, per non aver mai comprato un CD di Harry, per aver cambiato stazione ogni volta che una sua canzone passava in radio. Sentire la sua voce lo catapultava sempre nel passato, e quello già accadeva troppo di frequente di suo, senza aiuti esterni, e Zayn aveva preferito essere un pessimo amico a scivolare nella depressione.

E, poi, Harry entrò.

Harry che si muoveva e parlava e salutava proprio come si ricordava, Harry che era a suo agio sul palco più che da ogni altra parte, Harry che, tuttavia, ai suoi occhi, sembrava un pulcino sperso, senza loro quattro. Anche dopo tutti quegli anni, Zayn poteva immaginare quali mosse e facce ognuno di loro avrebbe fatto a ogni singola nota, e quello gli fece apparire il palco incredibilmente vuoto.

*

Era quasi arrivata la fine, Zayn poteva sentirlo e pregustarla. Non ce la faceva più, davvero; le mani avevano preso a sudargli tre secondi dopo che Harry aveva attaccato con la prima canzone, e le ginocchia gli tremavano. Tutto gli tremava, in realtà, ma quella volta nessuno l’avrebbe abbracciato e accarezzato e baciato, fino a farlo tranquillizzare. Soprattutto perché l’unica persona che ci sarebbe riuscita era anche quella che gli stava causando tutta quell’agitazione.

«Siamo arrivati alla fine» l’urlo di Harry lo riscosse dai suoi pensieri, mettendogli ancora più ansia. Non poteva. Non ce l’avrebbe mai fatta. Che cavolo gli era preso, poi, ad andare fino a lì? Oddio, che scemo.

Iniziò a farsi largo tra la folla, per uscire, ché il caldo lo stava soffocando.

«Questa canzone» iniziò Harry, e tutti rimasero in silenzio, forse intuendo la serietà del momento. «l’ho scritta un paio di anni dopo lo scioglimento degli One Direction, anche se nessuno l’ha mai sentita»

Zayn tese un orecchio, mentre ancora cercava di districarsi dalla bolgia, perché per nessun altro pezzo Harry aveva fatto un tale preambolo, e la cosa non poteva non incuriosirlo.

Si ritrovò sulle scale, proprio mentre il più piccolo riprendeva a parlare.

«Sapete, no, quando si è piccoli, si è convinti che l’amore sia un po’ come nelle favole, e che un giorno arriverà la persona che è destinata ad amarti, e che tutto sarà perfetto e starete insieme per sempre. Poi si cresce, e la realtà infrange tutte quelle belle speranze, e non puoi fare a meno di chiederti e adesso? Si può arrivare al punto da essere così disillusi, che quando quella persona arriva davvero, fatichi a crederci. E quasi ti abitui all’idea che la realtà sia più bella della fantasia. Solo che, magari, era tutto nella tua testa e non ci sarai mai nessun per sempre, perché l’altra persona non prova per te lo stesso, e tu cerchi di dirti ehi, capita, no? E ci sono giorni che quasi va bene lo stesso, ti basta sapere che lui è felice; ma altri… altri fanno schifo, perché non fai che pensarci e dirti che non doveva andare a quel modo, che è tutto sbagliato, che lui te l’ha detto che non ti vuole e tu dovresti davvero, davvero rassegnarti»

Quelle parole pugnalarono le orecchie di Zayn. Harry amava qualcuno (qualcun altro), come lui amava Harry, e avrebbe quasi voluto picchiarlo, perché, diamine, se non era giusto. Ma, in fondo, per cosa se la prendeva? Perché Harry provava un sentimento che era solo umano? Perché, per quanti sforzi facesse, non poteva dimenticare e smettere di amare un uomo che Zayn avrebbe volentieri strozzato?

Zayn si chiese chi mai avesse tanto coraggio da non volere Harry. Chi mai fosse stato così fortunato da essere amato da lui, e non avesse apprezzato quel sentimento e l’avesse calpestato, lasciando Harry in una condizione che lui conosceva fin troppo bene.

Distintamente, Zayn sentì le prime note di una canzone, l’ennesima, sconosciuta, e si riscosse.

Non poteva stari lì ad ascoltare parole dedicate a un altro, non senza crollare in lacrime.

Doveva sul serio uscire da lì o sarebbe impazzito.

La giacca di Harry, che conteneva l’anello, pesava come un macigno, però, e Zayn sapeva che in qualche modo se ne doveva liberare.

Si mosse velocemente, raggiungendo l’area del palazzetto dove sapeva esserci i corridoi che portavano ai camerini.

Passare la sicurezza non fu difficile, lo riconobbero tutti subito e senza domande tutti lo lasciarono passare, probabilmente credendo fosse lì per trovare Harry.

Come un automa, raggiunse la porta giusta, su cui era attaccato un foglio che diceva Harry Styles. Era aperta, e senza perdere altro tempo, entrò. L’odore dell’altro lo accolse, ma non era il momento di fermarsi e annusare l’aria.

Lasciò tutto in bella vista, sicuro che Harry avrebbe capito che lui era stato lì, ma che, allo stesso tempo, non si sarebbe preso la briga di chiamarlo e chiedergli perché non fosse restato, proprio come non aveva fatto in quegli anni di silenzio assoluto.

Quando si ritrovò fuori, a malapena avrebbe saputo dire come avesse fatto a uscire senza incontrare nessuno, ma non gliene importava nulla.

L’unica cosa che gli vorticava in testa era il pensiero che era andato fino in Germania per liberarsi di un peso, e adesso sarebbe tornato in Inghilterra con uno più grande.

Una volta in più, la vita aveva in serbo per lui strani scherzi.

*

Stava rileggendo la sua tesi (la settimana seguente avrebbe avuto la discussione, e iniziava a sentirsi nervoso), quando suonò il campanello.

Per quanto gli anni da eremita li avesse lasciati ormai alle spalle, non molti andavano a trovarlo. I suoi genitori chiamavano spesso, e la maggior parte dei suoi amici non viveva nelle vicinanze.

Poteva essere un qualche compagno d’università, ma era alquanto improbabile.

Senza un’idea precisa in testa, andò fino al portone di casa, e quando gettò un’occhiata alla persona ferma e dritta dietro il cancello, quasi gli sembrò di sognare.

O di essere nel bel mezzo di un incubo.

Harry lo stava fissando di rimando, ma Zayn non avrebbe saputo decifrare la sua espressione.

Di certo, fra tutte le persone che avrebbero potuto presentarsi a casa sua, Harry era la più impensabile.

Gli ci volle qualche attimo più del normale, per riscuotersi e ricordarsi che, se voleva che l’altro entrasse, doveva aprirgli il cancello.

La voglia di voltargli le spalle e rientrare in casa lo travolse, ma Harry era testardo come pochi, se voleva parlare con lui, avrebbe trovato il modo per farlo.

Tornò a guardarlo mentre si avvicinava, e a ogni passo cercò di tranquillizzarsi un po’ di più, di regolarizzare il respiro. Avrebbe voluto avere il controllo sul flusso del sangue e sul battito cardiaco, magari sui suoi pensieri, perché quello gli avrebbe dato una parvenza di stabilità, e l’impressione di avere ancora autorità sul suo corpo e sulla sua testa.

Invece, con Harry a due centimetri, era già tanto se riusciva a non svenire.

«Ciao» disse per primo il più piccolo. Zayn si fece di lato, per lasciar entrare l’altro.

Quella visita sembrava tutto meno che di cortesia, sarebbe stato assurdo parlare sulla soglia.

Guardò l’altro voltarsi da una parte all’altra, ammirare i quadri appesi alle pareti, e si ricordò che quella era la prima volta in assoluto che metteva piede in casa sua. L’aveva comprata quando avevano ormai smesso di parlarsi e vedersi o anche solo sentirsi, quindi l’occasione di invitarlo non c’era mai stata.

Gli fece strano, osservare l’altro nel suo habitat, tra le sue cose. Gli dava un’idea di come sarebbe potuto essere, ma non sarebbe mai stato, ed era già sufficientemente doloroso osservare le spalle di Harry delineate dal giacchetto di jeans, o le sue gambe fasciate dai pantaloni stretti; Zayn davvero non aveva bisogno di tutti quei pensieri.

«È carino» commentò Harry, con un vago movimento della mano, a indicare in generale il salotto. Zayn non disse nulla, annuì solamente, per nulla desideroso di affrettare qualsiasi conversazione Harry volesse avere con lui.

L’ultima volta che si erano rivolti la parola non era finita troppo bene, in fondo. Oppure, era davvero finita troppo bene, e proprio quello era il problema.

Forse, ragionò Zayn, quell’incontro neanche contava: lui era talmente fuori di sé per l’alcol, che le uniche cose che aveva urlato non avevano senso, e Harry a malapena era riuscito a emettere suono.

Se non contava neanche l’incontro fulmineo e imbarazzante all’ingresso dell’hotel, allora doveva risalire a ere geologiche precedenti e probabilmente entrambi si erano dimenticati come interagire con l’altro. Almeno, quello avrebbe spiegato la tensione che intercorreva tra loro: era talmente spessa, che Zayn non si sarebbe stupito di riuscire a tagliarla con un coltello.

«Eri a Berlino» affermò Harry, e quando Zayn annuì di nuovo, l’altro non sembrò sorpreso che non cercasse di negare.

Non avrebbe avuto senso, in ogni caso, visto che la prova evidente era davanti ai loro occhi. Quello un po’ lo stupì. Harry aveva al dito il suo anello, e a Zayn sembrò che fosse giusto così. Che quello fosse il posto al quale apparteneva, il dito che era destinato a ornare.

«Forse dovremmo parlare» fece cripticamente.

Zayn si mise seduto, poco dopo imitato dall’altro, perché iniziava a sentirsi stupido, a stare in piedi.

Lo guardò un po’ perplesso, non capendo di cosa e perché proprio in quel momento, quando c’erano stati più di duemilacinquecento giorni, prima di quello, disponibili.

«Non so neanche se abbia più senso, adesso. Ma giuro che le ho provate tutte, Zayn, e questa è un po’ la mia ultima spiaggia» aggiunse, sempre più insensato. E, ok che Zayn c’era abituato, alla mancanza di linearità nei discorsi del più giovane, ma proprio non riusciva a stargli dietro.

«Non credo ci sia molto da dire» parlò, per la prima volta da quando l’altro era arrivato.

Se non avevano mai discusso di come il loro rapporto fosse andato a rotoli, non vedeva perché dovessero cominciare quel giorno. O un giorno qualsiasi, a essere sinceri.

A lui stava più che bene, continuare a far finta che tutto fosse normale, che fosse usuale, per due persone che un tempo erano state così intime, non parlarsi, anche se non c’era mai stato nessun litigio, nessuna rottura definitiva che potesse legittimare un comportamento simile.

«Io…» cominciò Harry, un po’ incerto. Poi, come si fosse fatto forza, strinse le labbra e, senza riuscire a tener ferme le mani, riprese. «Io sì. Ho bisogno che tu mi ascolti, ok? Non… non devi dire nulla, se non vuoi, e dopo potrai anche cacciarmi, ma ti prego» disse lentamente, come se ogni sillaba gli costasse fatica.

Zayn scrollò le spalle, non fidandosi della stabilità della sua voce. Aveva timore di quello che Harry stava per dire.

Temeva che avesse capito tutto e, magari, fosse lì per rinfacciarglielo, anche se non ne vedeva davvero l’utilità. Forse era lì per dirgli di non costruirsi castelli in aria su quanto successo al matrimonio. C’era sempre la possibilità che fosse lì per cercare di ricostruire la loro amicizia: se quello fosse stato il motivo, Zayn non sapeva come dirgli che il solo sentire la sua voce, sapendo di non poterla udire mentre gli sussurrava dolci sciocchezze all’orecchio, gli dava dolore fisico, e che il nulla che c’era tra loro era così abituale da essere diventato quasi sopportabile (era una bugia, ma se la raccontava lo stesso ogni notte, prima di addormentarsi). Sicuramente più sopportabile, che averlo per amico e, magari, doverlo ascoltare mentre gli raccontava della sua ultima conquista.

«Eri al concerto, quindi hai sentito la canzone» cominciò, per poi bloccarsi, quando si accorse dell’espressione incerta di Zayn.

«Quale?» s’informò Zayn, ritrovando finalmente la voce.

Harry lo guardò come non capisse se lo stesse prendendo in giro oppure no.

«L’ultima» disse, solo, e bastò una frazione di secondo per capire di quale stesse parlando.

«No» mormorò Zayn. «No, sono rimasto solo fino al suo discorso introduttivo» e mentre lo diceva, gli tornarono in mente, una dopo una, tutte quelle frasi sull’amore, specificamente quello non corrisposto, che gli si erano conficcate nel corpo come frecce avvelenate.

«Oh»

Harry prese a sistemarsi i capelli, come faceva sempre quando era particolarmente nervoso. Tutto ciò stava iniziando a rendere nervoso anche Zayn, più di quanto già non fosse.

«Avrai…» biascicò così a bassa voce che Zayn fece fatica a sentirlo, pure nel silenzio assoluto che regnava in salotto. «Avrai comunque capito che l’ho scritta… che l’ho scritta per te» terminò, alzando lo sguardo su Zayn solo alla fine.

Oh. «Oh» commentò. Aveva la lingua intorpidita. Forse le parole di Harry l’avevano uccisa, e lui non sarebbe mai più riuscito a parlare.

«È stupido, lo so» riprese Harry. «Soprattutto perché tu me l’hai più volte dimostrato, che eravamo solo amici»

Eh? No. Che? Qualcuno poteva – per favore – spiegargli di cosa stesse parlando Harry? No, perché lui si era perso.

 «Giuro che ho provato in tutti i modi, a non pensare a te. A smettere di volerti, a smettere di provare più che amicizia, per te. Sinceramente, non so se ci riuscirò mai, a questo punto. Ma ammetterlo ad alta voce, davanti a te, forse potrebbe essere un inizio, no? Come quando qualcuno con una dipendenza riesce ad ammettere di avere un problema. Non che tu sia un problema, non in generale, ecco. Per me. Sei… sei un problema, per me, perché non riesco a ricordare un periodo in cui non ti amassi, non riesco a essere felice in un rapporto con qualcuno che non sia tu, e non è colpa tua, ovvio che no. Non è colpa di nessuno, se non posso far a meno di amarti, e tu non puoi costringerti ad amare me, per cui va bene, è-è ok, solo che non lo è, non davvero, e magari dirtelo una volta per tutte potrebbe aiutarmi. O forse no» blaterò, la parte finale bisbigliata, come se l’avesse aggiunta solo per se stesso.

Zayn non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Doveva essere un sogno, ed entro qualche minuto si sarebbe svegliato, perché, di certo, Harry non poteva essere davvero lì, in carne e ossa, a dirgli che lo amava. Anche perché Zayn era piuttosto certo che quello fosse l’ultimo sentimento che l’altro provasse per lui.

«Ecco» borbottò Harry, un po’ interdetto dall’assoluta mancanza di reazioni da parte dell’altro. «Tieni» disse, togliendosi l’anello che aveva al dito, e appoggiandolo sul tavolino che li divideva. «Io… è meglio se lo tieni tu» spiegò, prima di alzarsi. «Zayn…» pregò. «Mi dispiace. Cavolo, io… è meglio se me ne vado. Io…» ripeté per la millesima volta, lasciandolo in sospeso e avviandosi verso il portone.

Il rumore dei passi che si allontanavano lo riscosse dal mondo nel quale era caduto a picco.

Non poteva essere.

Non poteva essere vero, di certo Harry non gli si era appena dichiarato, doveva essere uno scherzo. Oppure aveva sentito male. O i suoi timpani non avevano fatto altro che catturare le parole dell’altro e poi il cervello le aveva modificate a suo piacimento.

O forse… forse aveva sentito bene, e semplicemente non riusciva a crederci.

Non riusciva a credere che tutto quello che aveva desiderato si stava finalmente realizzando. Non poteva credere di aver appena ascoltato le parole che voleva sentirsi dire da Harry da fin troppo tempo.

Ma, soprattutto, non era possibile che avesse appena lasciato che Harry uscisse da casa sua, quando tutto quello che avrebbe dovuto fare era ammettere di provare le stesse cose.

Come se si fosse risvegliato improvvisamente da un sogno profondo, si alzò a sua volta, le gambe quasi intorpidite e la testa che continuava a ripetergli che era solo un sogno.

Quando spalancò il portone (riuscendo anche sbadatamente a sbattere un gomito. Il dolore gli disse che no, definitivamente non era addormentato), Harry era a metà vialetto.

Senza fermarsi, lo chiamò, ma l’altro alzò la testa solo quando ormai l’aveva raggiunto.

«Harry» ripeté, appoggiando una mano sulla sua spalla, toccandolo per la prima volta da quando aveva suonato il suo campanello.

Harry rabbrividì, al contatto. Si voltò, e Zayn notò come tutti i tratti del suo bel viso fossero in tensione.

«È… vero?» chiese, per assicurarsi che non fosse una bufala. «Quello che hai detto, vuol dire che mi… che mi ami?» continuò, come se non riuscisse a crederci, in primis. «Che mi ami da sette anni?»

«No» rispose Harry, frantumando le vaghe speranze di Zayn, e con esse il suo stupido, sciocco cuoricino. «Vuol dire che neanche mi ricordo, da quanto ti amo» aggiunse, riparando tutti i vetri infranti in cui il muscolo cardiaco di Zayn si era trasformato, qualche secondo prima. «Forse da sempre. Non lo so nemmeno io»

«Perché non me l’hai detto prima?» domandò Zayn. Quello avrebbe risparmiato a entrambi anni di dolori inutili. Poi, gli sovvenne il pensiero che lui avrebbe potuto fare lo stesso, e capì che Harry aveva le sue stesse motivazioni.

«Ha importanza?» se ne uscì l’altro, con fare retorico.

«Sì» rispose Zayn, anche se l’altro non aveva posto una vera e propria domanda. «No. Sì. Non lo so» si corresse da solo. «No» decise, poi, mentre il volto di Harry si faceva sempre più confuso e sull’orlo di spezzarsi. «Probabilmente, l’unica cosa che importa è che ti amo anch’io» confessò. Si stupì di quanto facilmente gli fossero uscite quelle parole, anche se era la prima volta che lo diceva ad alta voce. Il che era un po’ assurdo, a pensarci, ma non gliene poteva fregare di meno, quando tutto quello che riusciva a vedere, in quel momento, era il volto di Harry che, da triste, si trasformava in confuso e poi incerto e poi, finalmente, felice. Quando il suo sorriso avrebbe potuto illuminare la notte, al posto della luna e di qualsiasi stella. Quando le labbra del più giovane avevano ritrovato il loro posto, sulle sue, senza che Zayn provasse l’impulso di incolparsi per aver rubato qualcosa che non gli apparteneva.

*

«Non riesco a crederci»

Harry si voltò verso Zayn, appoggiandosi su un fianco. «A cosa?» chiese.

Zayn lo guardò, come fosse la persona più adorabile e, allo stesso tempo, assurda del mondo.

«Che sei qui davvero» disse, e le parole risuonarono nel silenzio della sua camera da letto, eccessivamente romantiche, per uno come lui che non era mai stato il tipo da sdolcinatezze del genere.

Harry sorrise, come Zayn gli avesse appena regalato la luna, e iniziò a giocherellare con i capelli del più grande, come non avesse un pensiero al mondo.

«È dove voglio stare, da sempre» sussurrò Harry, e Zayn combatté con tutte le sue forze la risata che gli stava risalendo la gola, ma perse miseramente.

Scoppiò a ridacchiare, ben consapevole dello sguardo sconvolto che era comparso sui lineamenti di Harry.

«Scusa, scusa» balbettò, cercando di contenersi. «Non pensavo che saresti riuscito a rispondere in modo ancor più stucchevole» si giustificò, guadagnandosi una linguaccia dal più piccolo.

«Però, davvero. Credevo che io fossi l’ultima persona con cui tu volessi stare» aggiunse, dopo qualche attimo di silenzio.

Harry gli riservò un’espressione incredula, come se l’altro gli avesse appena detto che il loro Sistema Solare sarebbe presto imploso. O che Le pagine della nostra vita faceva schifo. Probabilmente, nella testa di Harry, le due cose si equivalevano, in assurdità.

«E io che credevo fosse ovvio» commentò.

«E come scusa, se ti scopavi qualsiasi cosa che si muovesse?» lo fulminò Zayn.

Harry arrossì, improvvisamente. «Quello… non c’è mai stato nessun altro, quando… durante- fartelo credere… farlo credere a tutto il mondo era un modo come un altro per non fartelo capire»

«Non farmi capire cosa?» chiese Zayn, che si era un po’ perso.

Harry alzò gli occhi al cielo. «Che volevo stare con te, mentre tu amavi ancora Perrie. O, almeno, così credevo»

«Sei proprio scemo. Se l’avessi detto subito-»

«Io?» l’interruppe Harry. «Potevi averlo fatto anche tu, invece di evitarmi e scansarmi e smettere di parlarmi. E quando mi hai regalato l’anello? Potevi dirmi ‘Harry, sei così bello, sposiamoci domani’, – tanto sappiamo entrambi che è vero e che lo pensavi sul serio –, invece di tirarmelo, come hai fatto»

Zayn lo guardò come se Harry fosse l’essere più idiota sulla terra. «Ok, siamo due scemi» preferì dire. «Va meglio così?»

Harry parve rifletterci. Lentamente, il suo volto si spalancò in un dolce sorriso, e Zayn si disse che quella probabilmente era una delle cose che più gli era mancata, dell’altro. «Sì, direi di sì» dichiarò, poggiando la testa sul petto di Zayn, che – istintivamente – lo strinse tra le braccia.

«Ci sono tante cose di cui dovremmo parlare» perché tutto ciò era perfetto e così giusto che a Zayn quasi veniva da piangere, ma sette anni erano lunghi e già gli veniva il mal di testa a pensare che Harry per metà del tempo stava a Los Angeles e per l’altra metà in giro per il mondo.

«Dovremo» lo corresse Harry, strusciandosi su Zayn come un gatto. «Domani. Ora smettila di parlare. Piuttosto, fa’ il tuo dovere di fidanzato e coccolami»

Zayn quasi si strozzò. E, cavolo, quanto avrebbe voluto parlare, soprattutto dopo l’ultima frase del più piccolo, ma, in fin dei conti, Harry aveva ragione e ci sarebbero stati momenti più adatti, per farlo.

In fondo, l’unica cosa che voleva davvero era sciogliersi in quel momento di perfezione, bearsi della vicinanza dell’altro e riempirsi la mente di HarryHarryHarry, consapevole che quanto successo era tutto vero e che, quando si fosse svegliato, l’altro sarebbe stato ancora accanto a lui.

Mentre scivolava nel sonno, lo sorprese il pensiero che, tutti quegli anni passati a struggersi e distruggersi per Harry, l’avevano portato tra le sue braccia, e che era valsa la pena leccarsi le ferite per sette anni, se, a curarle, fosse stato proprio l’altro.

Finalmente, Zayn aveva l’impressione che non ci sarebbero state ricadute e che, per una volta, tutto sarebbe andato bene.

 

Fine.

 

 

Note:

Ci sono tante cose non dette, che un po’ ho lasciato tali volutamente, un po’ perché – a scrivere tutto – mi uscivano fuori altre 30000 parole, e avrei finito la storia per Natale.

Mi ha un po’ mangiato l’anima, ‘sto mostro qua sopra, e non so quanti abbiano avuto la forza e la voglia di arrivare fino in fondo, ma mi piacerebbe davvero ricevere qualsiasi tipo di parere, anche perché è la prima volta che scrivo qualcosa che non sia AU, e be’, è stata una mezza faticaccia.

Spero non ci siano troppi errori o refusi, ma probabilmente non sarà così, sigh! Se ne doveste notare alcuni, mi fareste un enorme favore a dirmelo!!!

^__^

 

 

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Alphesiboei