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Autore: Flom    07/05/2013    1 recensioni
So a cosa vado incontro quando permetto al passato di riaffiorare dentro me e ciò nonostante eccomi qui a rifarlo. Amore e dolore sono complementari l’uno all'altro e separarli è per me impossibile. Comunque vada o non sento niente di niente, oppure piglio tutto il pacchetto. Bene e male sono nemici inseparabili e devo soccombere per ricordare al mio corpo di essere ancora viva.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’amore è dolore.
 
 
Sono qui, seduta su una panchina lungo il litorale che si affaccia sulla Baia di Guanabara a guardare i lampioni accendersi uno ad uno, come candeline di un compleanno immaginario… e penso a me. Forse non sono la sola a farlo. Forse qualcun altro, lì nella penombra del tramonto, sta facendo la medesima cosa, non lo so e non m’importa.
E’ a me stessa che voglio pensare.
Il cielo inizia a luccicare intorno alla grande statua del Cristo Redentor, ma non si mostra ancora del tutto, ama sorprendere chi per ore rimane col naso in aria, cercando di cogliere il momento esatto in cui la notte fa la sua entrata in scena. E’ impossibile avere gli occhi aperti nell’istante in cui i riflettori del cielo si accendono, ci provano in molti, ma nessuno veramente riesce ad acciuffare le stelle al loro nascere. E’ un segreto.
La risacca alle mie spalle fa da colonna sonora ai miei pensieri e curiosa mi volto a guardarla, regalando al vento l’ultima nuvola di fumo della mia sigaretta. Non mi piace il sapore che mi lascia in bocca. Devo decidermi a smettere di fumare. Lo dico sempre e non lo faccio mai.
Fa caldo, ma la brezza che giunge dal mare riesce a mitigare la calura.
Sospingo lo sguardo oltre le ombre, lungo il filo che le onde disegnano sulla sabbia e quella carezza danzante mi rilassa e al tempo stesso m’incanta. Amo il mare, la sua immensa forza, ciò che nasconde al di sotto della superficie. Penso alla continua gara degli astri che intervengono per domarlo, senza che nessuno di loro prevalga sugli altri, perché è lui il più forte.
Il Sole gli dona la vita trafiggendolo coi suoi raggi, mentre la Luna, meno invadente, preferisce solamente stendersi a pelo d’acqua, lasciandosi cullare dal dondolio perpetuo di quell’immensa distesa millenaria. Ma non è una sprovveduta… io lo so bene. Sprovveduto è chi del mare rimane prigioniero, intrappolato fra le onde… come capita a me.
Sono a Rio da vent’anni e fatico a credere di aver mai vissuto altrove. Questo alternarsi di luce e buio, di giorno e di notte, di Sole e Luna è una cosa cui assisto da tanto di quel tempo da non ricordare più quando sia iniziato. Quello che sento però è la certezza di non essere più la stessa ragazza di allora. Forse la salsedine, il calore del sole o la vita lenta e sempre uguale mi hanno cambiata, ma è avvenuto senza che me ne accorgessi, in un attimo fuggente, proprio come avviene per le stelle nel cielo. Mi sono ritrovata donna… e non mi sono accorta di niente.
Non sono giovane, non sono vecchia. E allora cosa sono? Come si definisce una donna che non sa più da che parte stare? I desideri che sento dentro sono gli stessi di quando ero una ragazzina, ma il mio corpo sembra addormentato e si dimentica di reagire come accadeva quando giovane lo ero davvero. I pensieri e le emozioni rimangono tali… latenti in una mente in continua evoluzione che lavora e macina senza fermarsi mai, nemmeno la notte per dormire.
Sono stanca. Ho quarantasei anni e me ne sento addosso il doppio. Ma come ho fatto a ritrovarmi qui.
Le mie giornate sempre uguali fanno da sfondo al mio lento sfiorire, ma, pur consapevole di questo non faccio nulla perché qualcosa cambi.
Sono vent’anni che aspetto che succeda un qualcosa. Vorrei che accadesse senza il mio intervento, ma non succede niente di niente.
Ho voglia di un’altra sigaretta.
Ho bisogno di camminare e alzandomi afferro il pacchetto dalla mia semplice e anonima borsa tracolla, ne prendo una, l’accendo e mi avvio verso il mare.
Non mi sono mai sentita una donna come tutte le altre, per lo meno non più, da molto tempo, e non ricordo neppure come fosse la mia vita prima di sentirmi come adesso. Non sopporto le “cose da donna”, i vezzi classici cui l’universo femminile fa ricorso per sentirsi più bella. Non ho bisogno di coprire quella che sono…soffoco già abbastanza anche senza sporcarmi la faccia. Mi sento quasi un’ombra, che si muove tra la folla senza che nessuno se ne accorga. Che importa cosa indosso, sono trasparente. Eppure io ci sono e guardo le persone negli occhi, mentre parlo loro. Non so quando sia accaduto anche questo…non so più niente ed è inutile che continui a pormi sempre le stesse domande. Le risposte non esistono o forse sono io che non le voglio conoscere. Non lo so.
Sciolgo i capelli raccolti in un elastico di spugna, facendo scivolare il laccio lungo la coda di cavallo. E’ una bella sensazione quella di sentirli solleticare la pelle della schiena e l’abitudine mi porta a scuotere la testa per farli ondeggiare sulle spalle nude. Vezzi di gioventù. Quando sotto a quella chioma c’era la donna che Lui amava, giovane, vivace e libera dalle catene che ora la costringono a terra. Lei sapeva volare in alto eLui adorava afferrarla quando fingeva di perdersi, in un gioco dolcissimo e appagante.
Lui.
Non ho nemmeno il coraggio di pensarlo il suo nome. Mi spaventa farlo.
E’ da molto tempo che non mi concedo di pensare all’unico uomo che abbia contato qualcosa nella mia vita e, per come reagisce il mio stomaco al solo suo pensiero, capisco il perché. E’ automatico pensare al suo volto e sentire la fitta al ventre. L’avevo dimenticato o forse sono anni che fingo di farlo…non l’ho ancora capito. Respiro a fondo, cercando di alleviare il peso che mi schiaccia i polmoni, ma invece di provare sollievo sento il fuoco entrare dentro e bruciare lungo il cammino tutto ciò che trova.
Fa male.
Cretina che sono!
So a cosa vado incontro quando permetto al passato di riaffiorare dentro me e ciò nonostante eccomi qui a rifarlo. Amore e dolore sono complementari l’uno all’altro e separarli è per me impossibile. Comunque vada o non sento niente di niente, oppure piglio tutto il pacchetto. Bene e male sono nemici inseparabili e devo soccombere per ricordare al mio corpo di essere ancora viva. E’ buffo. E’ da idioti.
Cammino senza meta, lasciandomi andare per un attimo alle emozioni che riaffiorano una accavallata all’altra, ma devo stare attenta a che non abbiano la meglio sulla ragione o rischio di perdermi…o di ritrovarmi, dipende dai punti di vista.
Lungo il mare incontro alcune coppie di ragazzi. Cercano un posto appartato dove dare sfogo ai loro ormoni. Beati loro. Non ricordo nemmeno quando l’ho fatto l’ultima volta. E io qui a fare da intralcio ai loro erotici progetti, sospinta in avanti solo da scomodi ricordi che saltuariamente tornano a farmi visita dal buio che ho dentro. Si vede che della vita non ho capito nulla…o è la vita che non ha compreso me. Altro mistero.
La risata cristallina di una fanciulla mi porta ad allungare il passo. Non voglio essere un ostacolo per quei ragazzi e neppure ascoltare il loro candido e focoso entusiasmo ancora acerbo, ignoranti ancora cosa sia davvero l’amore. Non sarò io a spiegarglielo…il tempo farà da sé.
Me la sono dovuta soffrire la verità. Lascio loro l’illusione effimera che possa essere tutto vero quello che ora sentono. Spero che scoprano ogni cosa il più tardi possibile.
Tolgo i sandali per facilitare la camminata, mentre la sabbia mi sembra un tappeto di cemento fresco pronto ad intrappolarmi.
 Lui amava la sabbia tra le dita, ci giocava sempre, mentre accoccolati l’uno all’altra chiacchieravamo sulla spiaggetta sotto la scogliera e il vento costantemente rubava quei granelli in volo e li portava lontano. Le punte dei grandi scogli al centro della baia erano costantemente schiaffeggiati dal vento e dalle onde del mare e rimanevamo delle ore a guardare quello spettacolo naturale, mentre pigramente  i miei pensieri diventavano i suoi, le nostre mani si confondevano e il mio cuore imparava ad amare. Mi teneva stretta appoggiandomi al suo petto e mi raccontava le sue storie, favole meravigliose che soltanto lui sapeva colorare così bene. Avrebbe dovuto fare lo scrittore e non l’avvocato, perché raccontare favole era tutto ciò che sapeva fare. Lunghi mesi a progettare un futuro che sarebbe dovuto durare per sempre.
Per sempre.
 Sorrisi amaramente pensando a quell’espressione così banale.
Mai dire mai e mai dire per sempre. Quello era il mio motto dopo tanto sognare.
Aveva giurato che mi avrebbe amata per sempre e che non mi avrebbe mai fatto del male.
Poi tutto era cambiato. Cosa avevo mai fatto di male da indurlo a trattarmi come un’estranea io proprio non l’ho capito mai. Me lo chiedo da vent’anni.
Un bel giorno aveva smesso di parlare, aveva allontanato le mani dalla sabbia e chiuso gli occhi quando lo guardavo. Si era spento come una candela consumata e quel che rimaneva di lui erano residui scarti di un sentimento ormai disciolto… così, nel nulla. Cinque anni di magia erano scemati in una patetica ultima cena di addio che ne aveva svelato il trucco, riducendoli così a illusioni e false speranze. Lo avevo amato alla follia e mi ero lasciata travolgere da quel sentimento, tanto che alla fine ne ero rimasta sepolta. L’amore era mutato in dolore, sostituendosi ad esso solo a tratti, tanto da poterlo ancora, a volte, confondere. Dolore, amore, amore, dolore. Un’altalena straziante.
Non devo pensare. Non devo ricordare. Sarebbe stato meglio che me ne fossi rimasta a casa.
La spiaggia è tagliata da un lungo pontile di legno che sembra non avere fine, inoltrandosi nel buio della baia. Lo osservo come avessi davanti a un serpente velenoso. E il dolore si fa forza e mastica le mie interiora.
Respiro a fondo e perdo il coraggio.
Posso farcela.
Devo farcela.
Sono di nuovo qui. Non riesco a dimenticare. Questo posto è come una calamita perfida.
Salgo i tre scalini per raggiungere la pedana e mi fermo.
Le gambe mi tremano. Succede ogni volta e non lo posso impedire.
Che diavolo ci faccio qui. Mi maledico  appoggiando la mano al parapetto. Non posso farlo un’altra volta.
Rimango lì un paio di minuti ad ascoltare il mio respiro spezzato, mentre il dolore come un fiume in piena mi travolge, mi riempie e poi si calma non trovando più spazio. Prende il sopravvento sulle mie decisioni e comanda le mie azioni a suo piacimento.  
Ma sì, che si prenda tutto…non mi importa.
Prendo a camminare lenta verso quel buio che si perde nel mare e l’umidità mi assale da sotto le tavole di legno aggrappandosi alle caviglie e, quasi graffiando, si arrampica lungo le gambe. Sento un brivido, ma non mi fermo. Procedo lenta, mentre attorno i suoni si riducono ad uno sciacquio sordo e macabro.
Tutta la poesia che prima scorgevo in quel panorama è diventata sinistra e malevola.
 Il cuore mi batte lento…temo quasi che possa fermarsi e abbandonarmi per sempre.
Lo penso ogni volta. Non accade mai.
Il dolore ti uccide da vivo, se non respiri più, lui perde la partita. Potrei fregarlo e smettere io di respirare, ma non ne ho il coraggio. Non trovo la forza. Sono una codarda anche in questo.
E di nuovo Lui si insinua prepotente nella mia mente. I ricordi si aggrappano feroci per uscire fuori e li devo assecondare per non scoppiare.
Quando Lui percorreva insieme a me quella sorta di tappeto steso sul mare mi teneva per mano. Aveva un modo particolare di farlo. La raccoglieva raggomitolandola intera nel suo palmo, quasi fosse abbracciata dalle sue dita e mi sentivo riscaldata e protetta. Aveva le mani grandi. Che strano…ora a pensarci mi accorgo di vedere quel gesto come una sorta di comoda prigione.
Come cambiano le cose quando si decide di guardarle da un lato differente. Stare male e stare bene è una cosa che si può controllare…basta imparare a osservare le cose che ci fanno soffrire dal punto di vista che meno ci ferisce. E’ una ginnastica mentale sfibrante, ma allenandosi si può vivere meglio.
Ora non voglio controllare nulla. Voglio solo sentire. Lasciarmi andare.
Cammino lenta, un passo avanti all’altro, mentre le immagini di quella vita remota riemergono fastidiose, a sostituire la realtà che ho di fronte. Respiro il profumo del mare e mi accorgo di quanto l’odore di un ricordo renda vivido un momento lontano, ti annienta i sensi e vieni trascinato via, rapito dalle spire della memoria. Assorbo dalle narici anche quella fitta dolorosa e procedo. A volte credo di farlo apposta. Mi faccio del male e sembro goderne, quasi che sia necessario annientarmi per sentire ancora qualcosa. Sono una sciocca…o peggio.
Alle mie spalle le sfavillanti luci della città sono ormai tutte accese e il buio sembra meno intenso in quell’atmosfera festosa. La musica come ogni sera avvolge le vie del centro e la spiaggia si anima di ballerini che finiscono sempre col fare sesso in qualche angolo nascosto, ma non troppo. Ai carioca non importa.
 E’ la vita di Rio. E’ gioia, è allegria.
Non ne ho mai fatto parte. Sono sempre stata spettatrice silenziosa di un qualcosa che mi piaceva guardare e a cui non sentivo l’esigenza di partecipare. La Saudade. L’essenza della vita brasiliana, che non è la nostalgia come la intendiamo solitamente, non è assenza, ma è il piacere inspiegabile di cullarsi nei ricordi e in quella sofferenza stranamente dolce. Io quella dolcezza non l’ho sentita mai, ma mi sforzo di comprenderla per fare in modo che ricordare sia qualcosa di buono.
Sono arrivata a metà del pontile e inizio a sentire il peso immenso di quello che il mio cuore è costretto a sopportare. Voglio Lui. Lo voglio adesso. Non sento quelle mani calde da troppo tempo e la loro mancanza mi soffoca. Avverto un cedimento e mi appoggio nuovamente alla staccionata che mi impedisce di cadere in acqua. Ancora un grande respiro e riprendo il passo, quasi che la pelle sotto ai piedi rimanga ustionata se non lo faccio. Quelle tavole di legno sono come braci ardenti e ogni passo è più doloroso del precedente e apre nuove ferite. Un aereo in cielo mi distrae per qualche istante. Qualcuno vuole mostrarmi che esiste una via di fuga, ma io non la voglio vedere…non voglio scappare. Quello che sento è tutto ciò che mi rimane. Non voglio rinunciarvi.
La brezza accompagna le onde che si infrangono leggere sui piloni di sostegno del pontile e quella gentilezza sortita dal vento mi emoziona. Com’è dolce e tragica la natura. Sa essere romantica e feroce allo stesso tempo. E lui com’era? Lo rammento appena.
Falsa. Lo ricordo benissimo.
Non c’era volta in cui Lui non allungasse la mano per darmi sostegno e mentre gli donavo la mia, affidavo a lui tutta la mia vita, incapace di sottrarmi al fascino che i suoi occhi esercitavano sui miei. Mi lasciavo condurre nel suo mondo e nessuno avrebbe potuto impedirmi di farlo.
 Lui era tutto il mio mondo. Tutto ciò che desideravo.
Era bello considerare questo possibile. Posso ancora adesso sentire il piacere che mi dava crederlo. Sorrido, mentre la gioia di allora e il dolore che provo si confondono, quasi a diventare la medesima cosa. Abbasso lo sguardo e scorgo accanto a me i suoi passi sicuri. Quasi mi sembra di sentire le tavole scricchiolare sotto il peso del suo corpo atletico.
Era bello. Non di una bellezza convenzionale. Gli occhi scuri sembravano accendersi soltanto a suo comando e le sue labbra carnose erano forse eccessive su quel viso scarno, ma il suo fascino veniva da dentro…sprigionato dalla sua voce calda ed avvolgente che ti rapiva già alla prima nota.
Nessuno avrebbe più sentito quella voce. Nessuno.
Quella verità mi fa trasalire e la prima lacrima scende senza nessun argine a fermarla.
Il passo si fa incerto, mentre raggiungo il margine estremo di quel sentiero immaginario costruito sui ricordi. Le onde, ora libere di danzare davanti ai miei occhi, mi stordiscono la vista annebbiata e scivolando a terra mi stringo le ginocchia al petto e ascolto la vita scorrere intorno a me.
Sono viva? Lo sono davvero? Lui non esiste più e con lui è morta per sempre una parte importante di me. Su quell’aereo scomparso nelle acque dell’oceano c’era tutta la mia vita, anche se sapevo che tra noi sarebbe finita comunque. Forse. Non ne sono sicura. Non mi era stato dato il tempo per cercare di riprendermelo. Solo un bacio carico di pentimento che lui mi aveva stampato sulle labbra prima di imboccare la strada che l’avrebbe condotto lontano da me. Una goccia di speranza che mi faceva pensare che non fosse davvero finita. E poi niente. Il buio aveva inghiottito il mio amore, lo aveva sciolto tra le fiamme dell’angoscia, liquefacendo ogni mia volontà.
Lui non c’era più. Era definitivo. Tragicamente reale.
Chiudo gli occhi lasciando che la sua figura prenda forma dentro la mente, che il colore divenga più intenso e che quello che provo fiorisca libero di esprimersi.
E’ amore quello che sento. Puro come un diamante. Intatto nonostante il tempo. Limpido come le acque di un ruscello. Lascio che scorra liberamente e me ne disseto.
Vent’anni fa mi amavi. Questo è quello che voglio ricordare di te.
Apro gli occhi e mi scopro a sorridere. Quasi liberata.
E’ bastato un attimo. Una nuova angolazione dalla quale valutare quello che è successo alla mia esistenza. Tutto è cambiato. Tutto.
Mi alzo, mi sistemo l’abito un po’ sgualcito e respiro nuovamente a fondo.
Nessun bruciore. Nessun peso.
Finalmente so quello che devo fare.
Ti lascio andare. Sei libero. E ti perdono.
Perdono te e anche me stessa per essere morta per anni incatenata ad un ricordo.
Voglio essere felice.
Desidero esserlo anche senza di te.
Ora potrò.
Addio… amore mio.
Mi volto serena. Allungando un passo verso il domani.
Conservando l’amore nel cuore … e lasciando alle spalle il dolore.

 
   
 
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