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Autore: Rota    08/05/2013    2 recensioni
Tutto si era aspettato, da roditori di medie dimensioni a uccelli di bosco dalle ali incapaci, tranne che quello: la caviglia di un giovane uomo era intrappolata nel laccio stretto talmente ben fatto da non essere slegato neppure da dita abili, consapevoli e prensili. Bastò un'occhiata di più, la visione del volto stanco dell'altro e delle sue orecchie ferine, nonché di quell'abito largo e leggero e degli occhi sottili, perché l'uomo capisse di ritrovarsi di fronte non tanto un essere umano come lui quanto piuttosto uno spirito della foresta, una Kitsune dai capelli lunghi e neri.
La bestia gli rivolse un tono addolorato, compassionevole – da come teneva rigide le gambe, era evidente che fosse lì da parecchio tempo.
-Uomo, per favore, liberami...

[Imayoshi x Kasamatsu // Aomine x Kise // AU]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Shoichi Imayoshi, Un po' tutti, Yukio Kasamatsu
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Capitolo tre*







Quando vide comparire dal basso cespuglio giallastro il muso scuro dell'animale, con il naso appena umido che si arricciava annusando il dintorno, si guardò attorno con sospetto, circospezione e anche una punta d'ansia, per vedere se qualcuno stesse osservando la scena e avesse scorto la piccola presenza ai suoi piedi – in mente, un turbinio di aspre maledizioni colorate aveva preso il posto di qualsivoglia pensiero logico, salvo poi appiattirsi nella semplice lamentela stanca quando occhi e orecchie testimoniarono la mancanza di ogni pericolo. Ricordò come, qualche sera prima, Shoichi avesse espresso il desiderio di stare con lui anche durante la giornata: se in quel momento avanzava timidamente verso la sua mano, con le orecchie basse e la coda ferma, era solo per riportare alla memoria dell'altro quel patto, quel legame che li univa ancora, nonostante ormai l'estate fosse passata e il rossore dell'autunno avesse preso le foglie di ogni bosco, circondando il tempio di Kasamatsu di colori vivaci e quasi pittoreschi.

Il sacerdote si chinò a terra, nella mano il fazzoletto ruvido e biancastro che conteneva il suo povero cibo: una signora, la moglie di uno degli uomini chiassosi lì presenti, aveva cucinato crocchette di patate per tutti e le aveva distribuite con un largo sorriso, senza dimenticarne proprio nessuno; aveva adotto una scusa qualsiasi, quando qualcuno le aveva chiesto come mai si fosse inoltrata così tanto nel bosco da sola, ma dopo aver tagliato tre alberi con quelle grandi seghe e raccolto tutti quei rami bassi a mano, nessuno di loro si era lamentato per del cibo in più e avevano ringraziato con fervore e reale sincerità, capo chino e tanta felicità sulle labbra. Kasamatsu lo aprì sulle proprie ginocchia e ne prese un piccolo tozzo, posandolo sul palmo della mano che allungò, poi, verso la volpina. Imayoshi lo vide, fece qualche passo verso di lui e lo annusò velocemente, quindi lo raccolse con i denti bianchissimi e si ritirò subito, masticando quanto più velocemente poté. Sì leccò le labbra appena unte e alzò lo sguardo ferino all'uomo, che riconobbe in quei due piccoli occhi la stessa umana espressione che lo spirito gli rivolgeva quando era in altra forma, uno strano compiacimento che derivava non tanto dall'atto di gentilezza appena ricevuto ma dalla presenza stessa del sacerdote – era una strana sensazione, quella di Yukio, ma era stato portato ad una considerazione del genere dopo aver visto l'altro, per l'ennesima volta, fissarlo in silenzio, mentre né il tempo né la situazione né le loro intenzioni richiedevano qualche domanda o qualche risposta, ma solo il soppesare degli istanti scandiva la durata di ogni azione e le rendeva fragili quanto uniche, memorabili oltre ogni confine. Non provava fastidio l'uno, non provava fastidio l'altro, e non serviva altro contatto che la presenza fisica nello stesso spazio condiviso: era così naturale e semplice che si erano dimenticati l'origine vera di tutto quello.

Imayoshi ad un certo punto rizzò le orecchie, si mise sull'attenti irrigidendo tutto il corpo, e d'un balzo fu di nuovo nascosto, smuovendo al proprio passaggio le foglioline gialle che caddero, senza suono o rumore, al suolo; un uomo chiassoso e il suo braccio alzato, la malagrazia in ogni passo tipica di chi non ha istruzione ma molta fretta, si avvicinò al Yukio ricordandogli che la pausa per il pranzo si stava allungando troppo, perché quella sera potessero tornare a casa con tutta la legna che avevano intenzione di tagliare.

Kasamatsu sbuffò, si pulì la mano sul proprio abito, lungo sui fianchi ma aperto sulle spalle, e raggiunse gli altri. Ancora, ancora lavoro.

 

La cena era l'unico momento della giornata in cui Hayakawa si tranquillizzava abbastanza da diventare quasi silenzioso, e questo permetteva agli altri di parlare tranquillamente senza il pericolo di venir interrotti in un qualsiasi momento da una delle sue esclamazioni piene d'entusiasmo o i commenti fuori luogo che la foga gli suggeriva, sbagliando, proprio nei momenti di maggior interesse dei discorsi altrui.

Così, Kobori poteva raccontare con tranquillità i lavori da falegname che lo avevano impegnato per tutta la giornata, dove pulire i vari tronchi da corteccia e foglie sembrava quasi un'avventura emozionante, senza contare i vari nidi d'animale che trovava ogni tanto nelle concavità ormai vuote negli alberi più vecchi e grandi. Entro qualche giorno e avrebbe cominciato con la levigatura, per quelle assi che servivano non solo per accendere e infiammare i camini ma anche per ogni altro possibile tipo di impiego – a cominciare dagli immobili di Takeuchi, talmente vecchi e pieni di buchi del tempo e dei vermi che ormai non riuscivano a reggere più alcun peso.

Moriyama, anche, parlava con una certa allegria e spensieratezza della tintura ultima dei vestiti pesanti che le donne del villaggio avevano finito di preparare, senza contare del menu della grande festa che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno, in occasione dell'arrivo della stagione invernale. E gli abiti delle varie signorine da maritare, e le danze che i suonatori più anziani avevano pensato di proporre, i corsi di ballo che qualcuno aveva proposto per le giovani coppie ancora fresche di matrimonio e per tutti quei bambini e ragazzette che volevano farsi belle, oltre al fiocco colorato che avrebbe adornato le loro teste allegre. Sembrava, tra le altre cose, che il percorso nella festa sacra con i lumi e le candele, le varie fiaccole che i sacerdoti dovevano portare, per aprire il corteo, avrebbe preso un tragitto diverso, rispetto agli anni passati, o almeno così sembrava trasparire dalle parole di Takeuchi.

Hayakawa parlava degli ultimi fatti riguardanti prettamente il tempio, le conserve che i colleghi cuochi avevano cominciato a cucinare appestando tutto il luogo di un odore fortissimo e acido di frutta di ogni tipo, dalle fragole alle pere passando per le mele e le castagne; aveva anche portato alcuni dei suoi allievi al grande apiario che Takeuchi aveva fatto costruire vicino al villaggio solo l'anno precedente, desideroso di avere qualcosa di più dolce e succulento da accompagnare assieme al pane, durante la colazione – uno dei ragazzi aveva rischiato una mossa falsa parecchio pericolosa, ma era riuscito a fermarlo in tempo prima che un intero alveare di api inferocite lo investisse e lo lasciasse a terra più morto che vivo.

Il solito, d'altronde: la vita che scorreva meravigliosa, di giorno in giorno, sempre così piena e magnifica.

 

Attraversò un tempio addormentato, uscendo dall'ultimo turno di preghiera con una lanterna timida tra le dita; nel silenzio sospeso solo sugli sbadigli trattenuti dei pochi ancora svegli si allungavano le ombre di ogni oggetto e di ogni creatura vivente, deformando appena il buio non più minaccioso o pauroso. Persino i passi leggeri di piedi nudi e freddi disperdevano nei lunghi corridoi un'eco soffusa e leggera, cadenzata da un ritmo stanco e già pieno di sogni opalescenti, e quando raggiungeva l'ingresso si disperdeva nella gentile melodia continua della pioggia rada, tra gocce e nebbia.

Poco prima di raggiungere la propria camera, Yukio riuscì a vedere appena a due stanze di lontananza la schiena di Moriyama che, in un attacco improvviso di sonno, si era appoggiato con la spalla con una certa pesantezza alla parete dura di legno; non lo riconobbe nel volgere la testa nella sua direzione ma un accenno di sorriso increspava le labbra rosa e accompagnò il gesto del corpo intero del retrocedere piano e sparire inglobato dalla notte, fino a quando il gracchiare dei cardini non cessò ogni altro rumore.

Un filo di vento venuto da chissà quale spiffero fece tremare la fiamma della candela; Kasamatsu dovette proteggere la lampada con la propria mano e aprirsi l'ingresso con un piede per non dover muoversi nel buio completo – e dentro, fluttuante pacifico e sereno, senza alcun problema a deformargli il volto, lo accolse Imayoshi con il movimento allegro della coda e il rizzarsi vigile delle orecchie. Giocava con palline di luce, lucciole danzanti tra le sue dita.

-Bentornato, Kasamatsu-kun.

Yukio ebbe un sussulto quando, dalla finestra spalancata alle spalle dello Spirito, entrò abbastanza vento da gonfiargli i vestiti di freddo e spegnere ogni bagliore luminoso artificiale, per quanti sforzi le sue dita abituate alla preghiera e al lavoro avessero fatto. Shoichi si concesse un sospiro di soddisfazione e una scrollata di spalle che sparse i brividi a tutto il corpo, anche sotto lo sguardo irritato del sacerdote che, deposta la lampada ormai spenda sulla scrivania, tornò da lui e cominciò a sollevarsi la veste del giorno. Rimasto solo in vestaglia, una tunica bianca che arrivava a metà delle cosce, si sedette sul bordo del letto e lasciò che Imayoshi occupasse il resto col proprio corpo e la propria presenza – senza l'uomo, lui non si sarebbe mai permesso di toccare alcunché di suo. La Kitsune rotolò su un fianco, poi sull'altro, infine si sdraiò sulla schiena e quindi si fermò per fissare il soffitto e la nuca appena esposta di Yukio; quello, senza un preciso perché, si fissò a guardare i movimenti vivaci della sua coda contro il materasso, mentre batteva contro le lenzuola ad un ritmo non preciso né regolare.

Passava il tempo, a quella maniera, e senza chiedere o pretendere nulla l'abitudine aveva contribuito a rendere piacevole, rassicurante anche il resto – non ci sarebbe stata alcuna sorpresa, per nessuno dei due, ritrovarsi un bel mattino a commentare il bianco della neve caduta piuttosto che lo sbocciare prossimo dei fiori di campo.

-Presto sarà festa anche per noi.

Kasamatsu voltò il viso al suo, capendo perfettamente cosa intendesse con quelle parole anche prima che Shoichi continuasse.

-Notte magica per tutti gli Spiriti, quella che sta arrivando. Ognuno di noi potrà decidere se andare o restare.

Non lo disse con malizia, ma con reale eccitazione per quello che, per lui e tutti gli altri suoi compagni, era l'evento più importante in assoluto. La mancanza di reazione da parte di Kasamatsu non preoccupò molto la Kitsune che, ben capendo lo stato fisico ed emotivo dell'uomo, si allungò verso di lui e si aprì con una carezza a quel viso provate, alle guance imberbi.

-Ora però non pensiamoci: andiamo a dormire, che il nuovo giorno è già troppo vicino.

Molle nel corpo e malleabile nello spirito, Yukio si lasciò attirare dal suo abbraccio e adagiare tra le coperte dalle sue mani – l'ultima cosa che sentì, da cosciente, fu il suo bacio tra i capelli corti.

 

La pioggia che ormai scendeva senza interruzione da tre giorni interi cominciava a dare qualche pensiero in più agli abitanti del villaggio, così tanto in ansia per il ritardo obbligato nella preparazione della festa da dimenticarsi di tutto il resto, i lavori nelle stalle e gli ultimi accorgimenti a tutto il grano raccolto che, con l'aria così carica di umidità, rischiava davvero di marcire prima di essere utilizzabile. Anche i sacerdoti, ormai forzati in una inerzia duratura, erano limitati in ogni attività dal cattivo tempo e dalle sue conseguenze; era ancora presto per ritirarsi alla contemplazione meditativa tipica della stagione più fredda, dove la più vivace attività era svolta dagli incontri sporadici con i mercanti nomadi che, passando per la steppa della regione, capitavano anche per caso da quelle parti, eppure non v'era altra soluzione che aspettare e pregare, aspettare e pregare.

E mentre si accingeva a fare una di queste due cose, più la prima che la seconda, Kasamatsu trovò Kise seduto sopra la ringhiera in legno di uno dei balconi del tempio, con le gambe a penzoloni che ballavano ogni tanto nel vuoto, i sandali posati ai piedi della colonna che sosteneva il soffitto pendente e tutto il busto del ragazzo e i piedi nudi. Si avvicinò al giovane con lentezza ma questo non tolse che Ryota, appena lo vide, distolse totalmente lo sguardo dal paesaggio con un sobbalzo e gli sorrise velato di dolcezza.

-Kasamatsu-san!

Spostò appena il corpo come a fargli spazio, in un invito poco esplicito a prendere posto accanto a lui, che di sicuro la sua presenza non lo disturbava affatto e non lo infastidiva – sempre solare, sempre allegro era, privo di qualsivoglia traccia di malizia. Kasamatsu si avvicinò a lui senza più prestare attenzione alla discrezione, ma non si sedette a suo fianco sul bordo della ringhiera; piuttosto, si fermò a pochi passi da lui, le braccia incrociate al petto e lo sguardo attento seppur morbido, sulla sua persona. Ryota non disse nulla e dopo pochi secondi tornò a guardare il vuoto, sempre sorridendo.

-Se non finisce di piovere alla svelta, la festa verrà un disastro!

Yukio sbuffò, palesando un'irritazione per la situazione che aveva serpeggiato fin troppo a lungo sotto tutta la pelle, aggravata da quelli che erano veri e propri attacchi isterici delle persone che lo avevano circondato.

-Tutti noi sopravviveremo, nel caso.

-Ah, hai anche ragione tu!

Il più giovane rise, tenendosi la testa con una mano e grattandosi i capelli, fini e biondi.

Aveva un ché di fanciullesco, nella sincera espressione gioviale che gli illuminava i lineamenti del volto e persino un uomo come Yukio, così poco sensibile alla vanità della bellezza corporale, se ne accorgeva senza alcuna difficoltà.

Gli si sarebbe anche avvicinato se solo l'altro, interrompendo il silenzio, non avesse fatto una dichiarazione a tono basso, come confidenziale.

-Sai, Kasamatsu-san, è bello essere circondato da tutti voi. Siete come una famiglia, per me: padre, madre, fratello e sorella. Tutto assieme!

Kise era stato trovato molto giovane, poco più che bambino, da Takeuchi ad un mercato di schiavi, durante uno dei pochi viaggi che l'uomo si concedeva per incontrare i reggenti degli altri templi della regione, a qualche miglio di distanza dal villaggio del Kaijo. Era bello, forte, capace di fare qualsiasi cosa: miglior pezzo di quello non se ne vedevano da tanto tempo, considerando come la madre naturale fosse stata sciocca concedendolo per pochi denari. Kasamatsu per primo aveva diffidato di quel marmocchio e del giudizio positivo che Takeuchi gli aveva dato – era un uomo previdente ma fin troppo buono dentro, di quelli che se anche vedono il male del mondo se ne curano davvero poco e continuano per la propria strada, imperscrutabili. Ryota aveva stupito tutti, diventando la persona che era: sacerdote promettente, persona rispettabile, compagno amabile.

Sentirlo parlare a quella maniera, per la persona a cui era stata affidata la sua crescita morale e spirituale, era come una stretta al cuore. Più o meno come l'ennesimo sorriso che Yukio si vide rivolgere, quando quello tornò a guardarlo in viso.

-E sono felice di aver avuto la possibilità di conoscervi, tutti quanti!

Non dovette neanche abbassare gli occhi, colto da qualcosa simile all'imbarazzo o alla forte emozione: fu lo stesso Kise a farlo, senza avere la forza di sostenere il suo sguardo sorpreso. Yukio fu però altrettanto veloce e bravo da non lasciare parole in sospeso, in aria, ad attecchire nel dubbio di qualcosa di non detto, come il tarlo che rosica con la paura ogni altra intenzione.

-Cosa devo aspettarmi, dopo una dichiarazione del genere?

L'altro fu a dir poco sorpreso della sua diffidenza, e cominciò a piagnucolare.

-Cosa? Perché?

-Sembra quasi che tu debba fare una fuga d'amore con qualcuno.

-Non dire assurdità! Non sono così stupido!

-Io avrei qualche dubbio.

Continuò a piagnucolare, specie quando Yukio sbuffò e lo colpì alla spalla nel tentativo di farlo smettere – senza risolvere nulla, perché quello continuò a piagnucolare come sempre.

Lo scrosciare della pioggia, ad un certo punto, fu l'unico rumore che li divideva. Ci fu un rumore sinistro, tra le nuvole, che fece alzare entrambi i loro menti al cielo.

-Kasamatsu-san.

L'uomo lo guardò e quello, aprendo la bocca, non fece altro che sorridere, con gli occhi lucidi dalla paura inconfessabile. Quanto doveva essere doloroso, per un figlio come lui, dover trattenere la confidenza, Yukio riuscì solo a intuirlo. E si distrusse il cuore, per il suo sorriso magnifico e rassicurante sulle sue labbra.

-No, niente.

Lo lasciò andare via, alle sue spalle, senza osare fermarlo con alcuna parola.

 

Mosse le orecchie contro il cuscino, nel mentre la coscienza faceva capolino nell'animo con fare timido e ormai rassegnato, convinta pian piano dalla luce che alla finestra andava a colpirgli non soltanto il muso ma anche tutto il corpo, riscaldandolo piacevolmente e di continuo, e allungò d'istinto le zampe scure verso l'interno del materasso, fiducioso e sicuro di incontrare resistenza da qualche parte alla quale aggrapparsi o semplicemente schiacciarsi contro, così da distendere completamente i muscoli; non trovandone, si svegliò davvero, e si mise ritto sui piedi per guardarsi attorno.

Vide il sacerdote nei pressi della scrivania, che accarezzava con mano distratta la veste da cerimonia di color blu chiaro, quella ornata con decorazioni giallastre ai bordi e lungo tutti i fianchi, regalata specificatamente a lui da una signora anziana che non c'era più. Legami che duravano oltre il tempo, sensazioni che seppur appartenenti al passato erano da toccare con polpastrelli sensibili in quel presente, e non perderne neanche un poco in intensità, in calore immenso.

Yukio aveva lo sguardo vuoto quando Shoichi lo raggiunse, assumendo di nuovo forma umana. Camminando leggero sul pavimento, lasciava veloci impronte di calore dietro di sé con i piedi bianchissimi e nudi, che fuoriuscivano a malapena dai larghi e lunghi vestiti. Lo strinse avvolgendogli le braccia attorno alla vita e appoggiando, tutto contento, il mento sulla sua spalla; la coda folta dietro la sua schiena schioccava ilare in ogni direzione, e sembrava non riuscisse proprio a fermarsi.

Era caldo e morbido di sonno, e Yukio gli strinse con piacevolezza le dita attorno al polso, chiudendo gli occhi e poggiandosi contro di lui, all'indietro. Intrecciò le dita alle sue e lo portò al petto, lasciandosi accarezzare con lentezza.

-Sai, vorrei tanto poterlo fare sempre.

Il sacerdote non capì a cosa l'altro alludesse: se il poterlo toccare con quella intimità, senza preoccuparsi della differenza di genere e di tempo e di tutto il resto che li divideva così nettamente, o semplicemente potersi svegliare al caldo, vicino ad una persona amata, con la prospettiva di godere delle sue attenzioni come meglio era possibile. Non volle chiederglielo, intenzionalmente, perché lasciare certe domande prive di risposta era la soluzione migliore.

Sentì il suo naso contro la pelle del collo, ed ebbe quasi un brivido di piacere quando mosse le labbra, piano.

-Cosa stavi facendo?

Le mani sul suo corpo si fecero due, e il petto della Kitsune più premuto contro la schiena – ma nessun pericolo, nessuna preoccupazione.

-Pensavo.

-A cosa?

Il sacerdote non rispose, sulle prime, e si lasciò cullare ancora dalle sue carezze. Sentì la morbidezza della coda contro il fianco e, anche senza guardarla, la prese tra le dita e la fece sfilare piano, in una mossa che sapeva dare molto piacere anche all'altro. Si sporse all'indietro per guardarlo, contro la sua spalla, e vide lo sguardo dolce dell'altro a pochi di distanza, giusto lo spazio che permetteva alla vista di non deformarsi per la prospettiva non rispettata.

In un gesto crudele, inspiegabile persino allo Spirito, Kasamatsu ci sporse appena e toccò le sue labbra con le proprie, nel gesto più intimo che poteva concedergli e attraverso il quale l'altro decise di accettarlo, ancora ignaro, ancora innocente.

Dopo il primo tocco, Shoichi lo strinse forte e nascose il volto contro l'angolo morbido del suo collo.

-A cosa stavi pensando, Yukio-kun?

-Al mio terzo desiderio.

Non ci fu molto sentimento, nelle parole di Yukio: solo una semplice constatazione.

Perché aveva chiesto gentilezza, per non avere alcun rimpianto dopo; aveva chiesto fiducia, per saper con precisione che la correttezza stava solo e soltanto nella verità; aveva chiesto intimità, totale, per una confidenza che si poteva dare solo a chi l'avrebbe capita davvero.

Era una cosa loro, solo loro, che solo tra di loro si potevano risolvere, annullando il resto come inezia senza il minimo spessore. Come se fossero diventati, l'uno per l'altro, così ovvi e scontati da sapere esattamente dove poter arrivare, in quanto non esisteva più alcun limite.

Però, nonostante questo, Imayoshi non riuscì a impedirsi il gelo che gli irrigidì tutti i muscoli.

-Oh, ed è qualcosa di bello?

-Credo di sì.

-Bene allora, dimmelo e vedrò di esaudirlo.

-Vorrei che Aomine e Kise fossero felici.

Lo morse sulla spalla, facendolo irritare apposta – aveva le orecchie tirate all'indietro, in un'espressione di contrarietà piuttosto palese.

-Te lo dissi già una volta, io non posso far nascere ciò che non c'è.

-Ma tra loro c'è, qualcosa.

-Vorresti che li indirizzassi verso una risoluzione felice?

-Sì, lo voglio.

Le mani, in quel momento, erano ferme sul petto, intrecciate le une alle altre in uno scambio strano e che sembrava difficile da sciogliere. Ma con un movimento fluido, un passo all'indietro e un sorriso gelido, ultraterreno, sulle labbra, Shoichi riprese a fluttuare in aria e si circondò di quella stessa strana atmosfera rada che lo aveva accompagnato nella sua prima apparizione. Come il legame era stato sancito, così veniva reciso: stessa prassi, stesse regole.

-Dunque, è questo il tuo ultimo desiderio.

Kasamatsu lo guardò in volto, fisso, senza mostrare alcuna esitazione nello sguardo al proprio interlocutore. Scoprì quanto fosse dolorosamente facile ingoiare i propri sentimenti, di fronte all'orgoglio e al dovere. Neppure l'altro piangeva, e aveva ancora il suo profumo sulla pelle.

-Sì, è questo.

 

-Entro qualche ora e il tuo desiderio sarà esaudito, umano.

 

 

   
 
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