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Autore: micRobs    08/05/2013    4 recensioni
Nick/Jeff | Long Fic | AU, Fluff, Angst lieve, Lime | Romantico
"Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza."
Dal capitolo 1: "Per essere giugno inoltrato, la temperatura non era esattamente delle più estive. L’aria di quella sera era fresca e frizzante e il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro. Nick premette il piede sull’acceleratore, desideroso di mettere quante più miglia possibili tra se stesso e quella strada desolata. Era partito da circa sei ore e quel viaggio, già di per sé infinito, stava prendendo una piega ancora peggiore a causa di quella deviazione che lo aveva costretto ad abbandonare la sicurezza della statale in favore di quel tratto sterrato e ignoto. Il suo navigatore sembrava conoscere la direzione, però, quindi Nick si era ciecamente affidato a lui nella speranza che lo avesse condotto sano e salvo a Chicago."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Nick/Jeff
Genere: Sentimentale / Romantico / Commedia / Fluff / Angst accennato.
Avvertimenti: Slash, AU, Lime.
Rating: Arancione.
Capitoli: ~6/10
Introduzione:Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza.
Note d’autore: As usual, tante e alla fine.
Note di Betaggio: Un nome, una garanzia. Un milione di volte, grazie. Vals.
 

 


6. From what... what was I saying?

 



 
 
«Mancano tre ore» disse Jeff e Nick ricominciò a respirare.

Doveva essere quasi l’alba, il cielo fuori dai finestrini era scuro e compatto, ma all’orizzonte iniziava a schiarirsi e colorarsi con tinte pastello, delicate e luminose: Nick aveva perso il conto di quanto tempo avesse trascorso a sperare che Jeff dicesse qualcosa, che non si era preoccupato di verificare che ora si fosse fatta.

Spostò lo sguardo sul suo viso e si limitò ad annuire più volte, quasi maledicendosi per la sua scarsa loquacità proprio in quel frangente. Non era possibile: Jeff apriva bocca spontaneamente, per la prima volta dopo quasi dieci ore, e lui non aveva niente di sensato e concreto con cui rispondere.

La situazione si era fatta tesa e asfissiante da quando si era svegliato quella mattina e se lo era ritrovato addosso. Lui si era riscoperto a osservarlo quasi incantato, ma Jeff, una volta aperti gli occhi e resosi conto della posizione compromettente in cui si trovava, si era fatto scostante e freddo e aveva sabotato tutti i tentativi di Nick di fare conversazione.

Era stato imbarazzante, certo, ma non spiacevole. Affatto.

Svegliarsi e trovare la testa di Jeff abbandonata sulla sua spalla, l’espressione rilassata e le labbra schiuse, era stato naturale come respirare. Come se fosse un gesto che i loro corpi fossero soliti compiere, un’abitudine irrinunciabile e radicata dentro il loro essere.

Il tempo si era immediatamente dilatato e lui aveva trascorso interminabili minuti a contemplare il suo viso, senza avere il coraggio di muoversi o emettere un fiato, per paura di svegliarlo e rompere l’incantesimo.

Solo che poi l’incantesimo si era rotto lo stesso, quando Jeff si era destato e lo aveva sorpreso a osservarlo, traendo le conclusioni sbagliate.

Nick non le aveva volute le sue scuse e non aveva compreso il motivo della reazione esagerata di Jeff perché, a dispetto di qualsiasi appassionato consiglio fornitogli dalla voce di sua madre che abitava le retrovie del suo cervello, a lui era piaciuto e sarebbe stato ipocrita asserire di non desiderare che accadesse ancora.

«Cosa» si schiarì la voce, improvvisamente a disagio. «Cosa andiamo a vedere a Phoenix?» Domandò, con il principale scopo di farlo parlare ancora e dissipare l’innaturale tensione che si portavano dietro da quando erano ripartiti dal Motel che li aveva ospitati per la notte.

Jeff non rispose subito, ma continuò a guardare la strada con quell’espressione inoppugnabile che Nick non sapeva come interpretare e decifrare, perché non gli aveva mai visto in viso.

«Mmh, niente a che fare con i grattacieli di Chicago» rivelò, le labbra increspate in un sorrisino tirato. «Pare che il Grand Canyon sia sulla lista dei dieci luoghi da vistare almeno una volta nella vita e quindi…»

Lasciò in sospeso, ma Nick annuì lo stesso, perché il concetto era inequivocabilmente chiaro. Si permise di sospirare e rilassarsi di più sul sedile, abbandonando in parte quella postura rigida e composta che aveva assunto da quando aveva iniziato a sentirsi quasi indesiderato in quella macchina.

«Vuoi che guidi un po’ io?» Chiese ancora, stavolta più sicuro e con la voce più ferma. C’era qualcosa tra lui e Jeff, era certo di non averlo immaginato. Rabbrividì, quando il ricordo della sua pelle calda sotto le dita gli si affacciò alla memoria inaspettatamente.

Jeff scosse lievemente la testa e sorrise di più. «Hai guidato prima, adesso tocca a me» assicurò, poi lo guardò di sottecchi e aggiunse: «Sono riposato, non ci manderò contro il guard rail, tranquillo.»

«Non ho paura di quello» ridacchiò l’altro, immediatamente più sereno e a suo agio. «Ma, sai, non vorrei che a pagare per la tua stanchezza sia un… cervo o qualsiasi cosa passi per queste strade.»

Un sopracciglio di Jeff schizzò prontamente verso l’alto, mentre il ragazzo si voltava a guardare il compagno come se avesse parlato in una lingua che lui non comprendeva. «Cervi? In Arizona?»

«Uhm, no? Li hanno mangiati tutti i lupi?» Ridacchiò Nick, provando a correre ai ripari. Che animali abitavano l’Arizona?

«O i puma» osservò saggiamente Jeff. «Sempre che non si siano estinti per la mancanza di cervi.»

Nick rise e ciondolò un po’ il capo. «E fu così che il circolo si chiuse» sentenziò con un tono esageratamente solenne che fece ridere Jeff di gusto.

No, non l’aveva immaginato: c’era qualcosa tra loro e, ne era piuttosto certo, anche Jeff doveva averlo capito.
 

 
Nick aveva visto il Grand Canyon solo in foto e nei documentari di National Geographic ma, per quanto potesse essere preparato allo spettacolo che gli si sarebbe presentato davanti, la vista dell’immensa gola scavata dal fiume Colorado lo immobilizzò sul posto per un numero considerevole di minuti.

Erano giunti a destinazione quando il sole era ormai alto nei cieli dell’Arizona; Jeff aveva parcheggiato la macchina in una delle strade del Grand Canyon Village, sul versante sud della gola – fidandosi della guida cartacea che li informava che quello era il luogo migliore per godere pienamente di quella meraviglia della natura – e poi lui e Nick non avevano esitato un attimo, prima di affacciarsi al cratere e rimanere a bocca aperta.

Erano rimasti in silenzio per quelle che erano parse ore, le labbra schiuse e lo sguardo che, ingordo, correva ad abbracciare ogni livello di quella voragine così profonda, mentre intorno a loro il paesaggio sfumava e tutto ciò che restava era il senso di impotenza e smarrimento di fronte a quella vista.

«Io credo» mormorò Nick, assorto, senza staccare lo sguardo dai giochi di luce che il Sole creava nelle pieghe della gola. «Credo di capire il motivo per cui questo posto è in quella lista.»

Jeff annuì. «Senza alcuna fatica» esalò, quasi senza fiato. «E credo di aver appena visto un puma, da qualche parte laggiù» sollevò una mano mollemente, indicando un punto a caso, molti metri più giù rispetto a dove si trovavano loro.

«Vogliamo avventurarci?» Domandò Nick, dopo un paio di istanti di silenziosa contemplazione.

«Dici che è una buona idea?» Jeff gettò uno sguardo piuttosto preoccupato alla profondità del cratere.

L’altro inarcò un sopracciglio e piegò le labbra all’interno, prima di chiedere, cautamente e con tutto il tatto di cui disponeva: «Soffri di vertigini?»

Jeff arrossì lievemente – in un modo che la mente di Nick non faticò a definire “delizioso” – e scosse la testa. «Temo che il mio senso dell’equilibrio non sia particolarmente sviluppato» spiegò, le labbra piegate in un sorrisino colpevole.

Nick non poté impedirsi di sorridere a sua volta e fare una smorfia. «Tranquillo» assicurò, facendogli l’occhiolino. «Ti tengo io, se cadi.»

«Potrei trascinarti giù con me» osservò saggiamente il ragazzo, ma ormai si era convinto e aveva già abbandonato il panorama del Canyon per seguire Nick alla volta della struttura al limitare della gola che avrebbe fornito loro le attrezzature per l’escursione.

«Sarebbe divertente» ridacchiò quello, rallentando il passo per permettere al compagno di affiancarlo. «Potremmo accertarci della presenza dei tuoi amici puma.»

«Sono piuttosto certo che questo posto pulluli di puma» si imbronciò Jeff, prima di riprendersi ed esclamare pimpante: «Adesso chiediamo conferma al signore che lavora lì.»

E, detto ciò, superò Nick e si diresse velocemente verso l’edificio giallo e beige che rappresentava la loro meta. Nick lo osservò, osservò lui e il suo entusiasmo e, come ogni volta che aveva a che fare con Jeff e la sua vitalità, sorrise.
 

 
Tre ore e quattro bottiglie d’acqua dopo, Nick non era più convinto che quell’escursione fosse stata una delle sue idee più gloriose. Il sentiero che gli era stato indicato era prevalentemente pianeggiante – a discapito di quanto ci si potesse aspettare da un luogo caratterizzato da pareti scoscese e percorsi impervi – ma il ragazzo non immaginava che fosse così lungo ed impegnativo. Inoltre, sebbene si fossero rifocillati a dovere prima di affrontarlo, l’ora di pranzo era ormai passata e lui iniziava ad avere fame.

Jeff, al suo fianco, non sembrava versare in condizioni migliori delle sue, anche se il sorriso che immancabilmente gli illuminava il viso avrebbe potuto trarre in inganno. Nick lo aveva visto respirare affannosamente e fermarsi più di una volta per sgranchirsi le ossa e riprendere fiato, aveva bevuto tanto e, nonostante il berretto che si era calato sulla fronte, aveva le guance arrossate e i capelli umidi di sudore.

«Possiamo anche» quasi ansimò Nick, mentre il sole gli scottava la pelle scoperta delle braccia. «Sventolare la bandiera bianca e tornare indietro. Non dobbiamo arrivare alla fine per forza.»

Jeff sgranò comicamente gli occhi e poi si piegò a posare le mani sulle ginocchia per riprendere le forze. «Avevo capito che» sorrise senza fiato, sollevando il viso verso Nick. «Ci fosse qualcuno pagato per venire a rimuovere le carcasse degli escursionisti caduti.»

L’altro non poté impedirsi di ridacchiare. «Immagino che» provò a schiarirsi la bocca impastata e secca, «il servizio sia riservato a coloro che dichiarano di aver intenzione di morire tra queste lande.»

«Tutto ciò è… maledettamente ingiusto» articolò Jeff, un po’ a fatica.

Nick annuì concorde, poi si sporse a recuperare la borraccia dalla tasca laterale del suo zaino. «Pausa?» Propose, quasi implorandolo con lo sguardo. «Cinque minuti.»
Bevve un lungo sorso, percependo la gola ringraziarlo al passaggio del liquido fresco.

«Anche dieci» contrattò Jeff, imitandolo.
 

 
Alla fine, erano sopravvissuti.

Sorreggendosi a vicenda e dando fondo a tutta la riserva d’acqua di cui disponevano, erano coraggiosamente arrivati fino alla fine del percorso. E poi erano tornati indietro. Il responsabile delle escursioni aveva fatto loro i complimenti e, come se fosse cosa rara che due ragazzi così giovani arrivassero al termine del sentiero in una giornata così afosa, aveva offerto loro da bere. Jeff aveva esultato estasiato e aveva accettato di buon grado, non prima di essersi scambiato il cinque con Nick che, se non fosse stato saldamente appoggiato al muro, sarebbe rovinato a terra senza dubbio. Tutto sommato, era stato divertente. Stancante oltre ogni immaginazione, ma divertente. Jeff era una buona compagnia e, anche in mezzo al nulla, sotto il sole di giugno e con le scorte d’acqua che minacciavano di lasciarli a secco, non si era mai trattenuto dal provare a distrarre Nick dalle difficoltà del tragitto. Lui sospettava che il ragazzo si sentisse in colpa per il suo comportamento di quella mattina e così, tra uno scherzo e l’altro – “Inizio ad avere le allucinazioni, mi sembra di vedere un puma, Jeff” – era riuscito a fargli capire che non aveva motivo di scusarsi e che, da parte sua, la situazione poteva considerarsi archiviata.

Approfittarono entrambi del servizio-doccia messo a disposizione degli escursionisti e, una volta puliti e rinfrescati, si scontrarono con i muscoli stanchi e la mancata voglia di mettersi in macchina e andare a cercare un altro posto in cui mangiare. Era pomeriggio inoltrato, in teoria, c’era ancora tempo per pensare a rifocillarsi, ma la passeggiata aveva stancato entrambi e avevano assoluto bisogno di riacquistare le forze.

Nick propose di comprare qualcosa al Grand Canyon Village o di cenare in uno dei ristoranti che l’area attrezzata metteva a disposizione, ma Jeff aveva un’altra idea e, senza prendersi il disturbo di esporgliela, garantì che gli sarebbe piaciuta.

Neanche a dirlo, Nick si fidò ciecamente di lui e, quando poi scoprì cosa Jeff aveva in mente, non poté che darsi ragione.

«…e che i puma c’erano davvero e lui una volta ne ha pure visto uno, anche era buio e forse poteva esse scambiato per un gatto molto grosso» stava dicendo Jeff, con la sua solita parlantina accelerata. «Ma era sicuro che fosse un puma perché faceva versi da puma e non da gatto.»

Nick annuì, provando ad afferrare una foglia di insalata con le bacchette cinesi che Jeff lo aveva costretto a prendere. «Beh, se lo dice lui che ci lavora qui, allora mi fido» approvò e aggrottò la fronte, quando la sua vittima gli scappò ancora.

Jeff rise e si morse un labbro, poi posò la sua confezione di pollo ai funghi e si allungò verso di lui. «Aspetta» lo ammonì, mentre gli afferrava la mano destra e gli mostrava il modo corretto di tenere le bacchette. «Devi mettere il pollice così e usare l’indice per muovere questa» si allontanò appena, leggermente rosso in viso e si inumidì le labbra. «Prova adesso.»

L’altro fu sul punto di rispondergli che la sua vicinanza lo aveva completamente paralizzato e che, oltre al prendere una foglia di lattuga con le bacchette, aveva altre impellenze da provare a sbrigare. Tornare a respirare normalmente, ad esempio. Ma Jeff lo fissava con gli occhi speranzosi e attenti e il labbro inferiore tra i denti e, sebbene avvertisse le dita rigide e i brividi a fior di pelle, Nick non se la sentì di deluderlo. Così provò e riuscì e, quando l’altro si aprì in un sorriso enorme e soddisfatto, tornò tutto di nuovo a posto.

«Io e Sebastian ordiniamo spessissimo al cinese» spiegò, recuperando la sua cena e afferrando nuovamente le sue bacchette. «Quindi ho avuto modo di fare pratica, anche se all’inizio le usavo come un’arma impropria» rise.

Se ne stavano entrambi seduti sul cofano anteriore della macchina di Jeff. Nick si era mostrato scettico inizialmente, ma Jeff grondava entusiasmo e sembrava davvero desideroso di arrampicarsi sull’auto e consumare lì la loro cena, così lui non se l’era sentita di contraddirlo. Oltretutto, il sole stava calando al di là del canyon e, da quella posizione privilegiata, era veramente uno spettacolo sensazionale.

«Ma le posate sono così pratiche» osservò saggiamente, anche se ormai aveva capito come funzionava e quindi mangiare stava risultando molto più semplice. «Perché complicarsi la vita in questo modo?»

Jeff scrollò le spalle e masticò piano un pezzo di pollo. «Per cambiare» addusse poi. «Per fare nuove esperienze. Perché l’ordinario non ci piace, perché l’erba del vicino è sempre più verde e gli usi delle altre culture ci sembrano tremendamente più interessanti dei nostri.»

Nick non se la sentì proprio di dargli torto. «In effetti…» considerò. «Non è anche il motivo per cui viaggiamo? Insomma, il bisogno di evadere e lasciarsi alle spalle la propria quotidianità? La necessità di stilare elenchi di “L’ho fatto/Mi manca” e vedere le voci spuntate che aumentano?»

«Mh, forse il problema è che difficilmente ci accontentiamo e… cerchiamo sempre modi nuovi per sentirci intraprendenti e all’avanguardia.»

L’altro annuì, ma non aggiunse nulla, si limitò a mangiare in silenzio, mentre la sera calava sull’Arizona e il cielo iniziava a puntellarsi di timide stelle. La temperatura era notevolmente calata, rispetto all’afa che li aveva accompagnati per tutta la giornata, rendendo l’aria tiepida e piacevole, una carezza leggera sulla pelle arsa dal sole.

«Che poi» proruppe Jeff, dopo qualche attimo. «Io manco l’ho mai fatta una lista di “Ce l’ho/Mi manca”, adesso mi sento quasi fuori dal mondo!»

Nick rise all’espressione imbronciata che aveva messo su Jeff e prese un sorso d’acqua dalla bottiglietta al suo fianco. «Beh» propose. «Puoi farla adesso, così non ti sentirai più un emarginato sociale.»

Il ragazzo schiuse le labbra e si voltò a guardarlo, confuso ma, neanche poi tanto, velatamente entusiasta di quell’idea. «E da dove si inizia?»

«Mhhh» Nick fece schioccare la lingua e si guardò intorno. «Da qui. Hai visto il Grand Canyon, immagino che abbia il diritto di stare in cima alla lista.»

«Ma è facile, allora!» Si animò il ragazzo, poi si batté un paio di volte una delle sue bacchette cinesi vicino alle labbra. «Dunque, ho… ho fatto un viaggio in macchina attraverso gli Stati Uniti» lo fissò come in attesa di un’approvazione che Nick non tardò a concedergli. «E ho fatto surf nell’Oceano, quando abitavo ad Atlantic City.»

«Direi che questa merita assolutamente il posto nella lista» concordò Nick, raccogliendo una fettina di carota. «Uhm, io non so molto della tua vita, quindi mi sa che non posso aiutarti tanto.»

Jeff annuì, ma non si scompose. Bevve un sorso di coca cola e poi fece schioccare la lingua. «Ho soccorso un’automobilista in panne» gli gettò un’occhiata divertita e poi continuò. «Ho preso lezioni alla Tisch e… sono andato ad un concerto di un gruppo di cui non sapevo neanche una canzone, solo per accompagnare un amico. Ho sciato a Vancouver, ho fatto un tatuaggio, ho pranzato in un ristorante a mezzo chilometro da terra.»

Nick lo osservò affascinato, mentre apprendeva dettagli nuovi sulla vita di Jeff e arricchiva con nuovi colori il ritratto mentale che aveva di lui. Adesso aveva spessore e profondità ed era ancora più bello di quanto non fosse precedentemente.

«La tua lista è più corposa della mia» osservò, puntò un gomito sul ginocchio e posò la guancia al pugno chiuso. «La mia vita è stata piuttosto piatta in confronto.»

«Non dire scemenze» lo ammonì Jeff, sorridendogli rassicurante. «Hai mangiato l’insalata con le bacchette cinesi, ti sfido a trovare qualcuno che abbia fatto un’esperienza del genere.»

L’altro ridacchiò. «Se è per questo» si inumidì le labbra. «Ho anche accettato un passaggio da un perfetto sconosciuto.»

Jeff schiuse le labbra e lo osservò in silenzio per qualche attimo. «È grazie a quello sconosciuto, se hai mangiato l’insalata con le bacchette cinesi.»

«È anche grazie a quello sconosciuto che ho passeggiato per Millennium Park e ho visto Chicago di notte» si sollevò lentamente, senza però perdere di vista gli occhi di Jeff. «Ed è sempre grazie a lui, che ho visitato il Grand Canyon e alcuni dei grattacieli più alti al mondo» tacque un attimo, poi mormorò: «Anche se ormai non è più uno sconosciuto.»

Osservò le guance di Jeff tingersi di rosso e la sua bocca schiudersi alla ricerca di qualcosa da dire, così gli posò una mano sulla gamba in un movimento delicato e accorto di cui sentiva la necessità. L’altro trattenne il respiro a quel gesto e Nick lo vide deglutire, forse a disagio, ma non per quello si scostò.

«E cosa» Jeff si schiarì la voce, ma comunque il suo tono rimase basso e roco. «Cos’è… se non è più uno sconosciuto?»

Il cofano della macchina fece un movimento sinistro, quando Nick si mosse per scivolare più vicino a Jeff, ma lui non ci badò. Si inumidì le labbra e si beò dello sguardo intenso e lucido che gli stava rivolgendo il ragazzo. «È una persona… speciale» mormorò, ostentando una sicurezza che in realtà non provava e cercando di calarsi nella parte di quello che sapeva quel che faceva, quando la sola idea di stare così vicino a Jeff gli mandava in cortocircuito i neuroni. 

Fece risalire le dita lungo il braccio scoperto di Jeff, in una carezza appena accennata che lo fece rabbrividire: la sua pelle calda gli era mancata incredibilmente. Jeff schiuse le labbra e Nick spense il cervello, perché bramava un contatto del genere da troppo tempo e il batticuore e il respiro corto altro non erano che evidenti conferme a tale riguardo.

«O che sta diventando speciale» sussurrò, la voce ridotta a un mormorio appena udibile e le dita che raggiungevano la pelle tenera del collo di Jeff e si fermavano lì. Lì dove le sue pulsazioni accelerate lo confondevano, lì dove il suo profumo era più intenso, lì dove Nick prese tutto il coraggio che possedeva e, chinandosi leggermente in avanti, catturò le sue labbra con le proprie.

Jeff non si ritrasse ma, anzi, dopo un attimo di genuina sorpresa, spostò una mano sulla spalla di Nick e sospirò, rilassandosi immediatamente.

Non vi era spazio per i pensieri, né per i rimpianti o le preoccupazioni, Nick fece scivolare le dita tra i suoi capelli con naturalezza e partecipazione e lo avvicinò un po’ al suo viso. La bocca di Jeff era morbida e zuccherata e assecondava la sua come se fosse stata modellata per adattarcisi e completarla, come se in un'altra vita avessero passato ore intere a far quello. Nick non si chiese come avrebbe fatto a impedirsi di baciarlo ancora perché, mentre si sporgeva di più su di lui e Jeff si lasciava stendere sul parabrezza, la risposta era solo una: non lo avrebbe fatto.

 

 

 

 

 
Toccata e fuga, perdonatemi per il ritardo immane, vi prego ç_____ç

Spero di essermi fatta perdonare con il capitolo, però!

Alla prossima,

Robs.
   
 
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