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Autore: Lady Nirak91    08/05/2013    0 recensioni
"Questa non è una storia che si sente narrare spesso. Non è una storia classica con il lieto fine, non credo proprio. Non è nemmeno una storia fantastica, no, non ha definizione.
Io per prima ne sono alquanto inquietata. Io che lo vissuta in prima persona. Io che ho una discendenza di sangue, con la persona che tra un po’ vi presenterò."
Questa storia è stata ispirata da un mio sogno, un po' inquetante.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa non è una storia che si sente narrare spesso. Non è una storia classica con il lieto fine, non credo proprio. Non è nemmeno una storia fantastica, no, non ha definizione.
Io per prima ne sono alquanto inquietata. Io che lo vissuta in prima persona. Io che ho una discendenza di sangue, con la persona che tra un po’ vi presenterò.
Potrei anche sentirmi colpevole, ma io in questa storia ho la parte della semplice spettatrice. Se avessi potuto scegliere, non sarei mai andata avanti a guardare. Sarei scapata subito, ma non potevo, ero ancora troppo piccola e immatura. Non conoscevo il mondo, non ancora.
Vi starete chiedendo cosa può essere così inquietante. Me lo chiedevo anch’io, perché ero talmente cieca da non vederlo subito. Cieca perché mi fidavo della persona che avevo di fronte. Cieca, perché non volevo vedere la realtà dei fatti. Non capita anche a voi, di voler fuggire in un mondo che non esiste? In un mondo perfetto? A me capitava spesso, finché non ho finalmente aperto gli occhi.
Ma forse, per capire meglio, dovrei iniziare dall’inizio. Quando tutto era perfetto e il mondo lo si poteva credere un sogno. Quando l’innocenza dei bambini non aveva limiti. Quando l’unica esigenza che richiedevano, era un po’ di amore, da entrambi i genitori.
 
Ho vissuto i miei primi sedici anni di vita, con mia madre e mio padre. Erano due persone normali, come tante altre.
Si conobbero al liceo e fu amore a prima vista. Esiste? In questo preciso momento non ne ho la più pallida idea. Preferisco vivere quello che capita.
Comunque, stavo dicendo, fu amore a prima vista e finito il liceo, non ci pensarono due volte a sposarsi. Troppo giovani, ma si amavano davvero.
Acquistarono un appartamento e dopo tre anni, nacqui io. La loro e unica figlia. Non sono nata per sbaglio, almeno così mi hanno sempre detto. Mi hanno desiderato con tutto il cuore, anche se erano troppo giovani, ma questa non era la verità. Perché, quel maledetto giorno, venni a conoscenza dell’unica realtà dei fatti. Nacqui per non far andare via mio padre da mia madre. Ero il filo che li avrebbe sempre legati. Ma purtroppo per mia madre, non fu un’altra donna a portarlo via. No, a sedici anni ho scoperto che il mondo non è un sogno, poiché il mondo mi ha portato via l’unica persona che mi ha voluto veramente bene.
Eh sì, un tumore al cervello me lo ha portato via per sempre. Mia madre non versò nemmeno una lacrima al suo funerale, nemmeno la sera, quando si rendeva conto di essere da sola. Io, per lei non contavo niente. Ero solo una bocca da sfamare e nient’altro. Non mi chiedeva come andava la scuola, se avevo amici o un ragazzo. Certo, ero troppo piccola per averne uno, ma mi sarebbe tanto piaciuto ricevere una domanda del genere.
Mia madre pensava solo al divertimento. Passava tutte le notti fuori e tornava all’alba, ubriaca marcia. Non pensava all’impressione che poteva dare ai vicini. Non si preoccupava per me e di cosa avrebbero detto i miei compagni. Il suo unico problema era rifarsi una vita.
Non l’accuso per questo, ci mancherebbe altro. Anzi, l’avrei anche incoraggiata se avesse mai voluto una mia opinione.
Però, ci sono modi e modi per rifarsi una vita. E quello di uscire tutte le sere e ubriacarsi, non era uno di questi.
Con il proseguire dei giorni, l’intero paese aveva un’opinione precisa di mia madre, un’opinione che non potevo non ritenere vera.
Ma lei se ne fregava altamente, i pregiudizi degli altri le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro. Per questo la potevo anche ammirare se non avesse avuto una figlia di sedici anni, la quale aveva appena perso il padre.
Ai vicini facevo pena e quando mi incontravano per strada mi riempivano di coccole. Peccato che da quelle coccole non ne ricavano niente.
Il mio bisogno maggiore era avere affetto da mia madre, sangue del mio sangue, non dai vicini anziani, troppo buoni. Per la loro gentilezza gli ero grata, ci mancherebbe, erano tanto teneri con me che alcune volte, invece di tornare a casa, andavo a trovarli. Tanto mia madre non notava mai la mia assenza.
A scuola le cose non andavano tanto meglio. La reputazione di mia madre era conosciuta anche ai miei compagni, i quali iniziarono a prendermi di mira. Scherzi, insulti, ero lo zimbello di tutti. Nessuno escluso. Anche le persone che credevo fossero mie amiche, mi voltarono subito le spalle. È proprio vero, i veri amici si vedono nel momento del bisogno e io non avevo veri amici.
La loro reputazione era più importante di un’amicizia. Meglio una confidente di meno, che una macchia indelebile.
Quando mi resi conto di essere da sola, non volevo nemmeno più andare a scuola, ma quando si trattava di stare tra i piedi di mia madre, essa si ricordava di me. Mi faceva la sue insulse prediche sull’istruzione. Non andare a scuola non mi avrebbe portato nulla di buono e secondo lei, il mio futuro sarebbe stato un disastro unico.
Era bello sapere che mia madre si preoccupava del mio futuro disastroso, peccato che anche il mio presente non era molto buono. Ma lei che ne poteva sapere? Nulla.
Così continuai ad andare a scuola e ad essere soggetta agli scherzi. Purtroppo la direzione e il corpo insegnati non risolvettero niente.
Continuavano a convocare mia madre, per arrivare a una soluzione al problema, ma lei trovava ogni sorta di scusa per non presentarsi al colloquio.
Tanto, secondo lei, prima o poi si sarebbero stancati di una ragazzina insulsa come me. Se fosse stato vero, ma così non fu.
 
Un mese dopo la morte di mio padre, la mia carissima madre portò a casa uno sconosciuto. Mai visto in vita mia.
Si chiamava Enrico e aveva ben dieci anni in meno di mia madre. Era un bel ragazzo dai occhi azzurri ghiaccio. Anche il sorriso non era male, ma non capivo come potesse stare con una donna come lei.
Entrambi mi calcolarono ai mini termini. Se c’ero o no, a loro non cambiava niente. Si sedettero sul divano e continuarono a toccarsi, in mia presenza. Cercavo di fare finta di niente, ma dovevo studiare e con loro due che continuavano a strusciarsi, non era affatto facile.
Me ne andai in camera senza dire niente, non mi avrebbero ascoltato lo stesso.
Il giorno dopo, mentre tornavo da scuola, vidi mia madre ed Enrico mano per mano tornare anch’essi a casa, dopo una giornata di shopping.
Lui, mi salutò con un cenno del capo, mentre mia madre mi lanciò un’occhiataccia, non mi voleva a casa.
Così, andai da uno dei vicini di casa. Feci merenda e studiai matematica per la verifica del giorno dopo. All’ora di cena salutai il vicino e tornai a casa.
Entrando non sentì niente e osai chiamarli, ma non ricevetti nessuna risposta. Andai in salotto e trovai mia madre seduta sul divano, intenta a guardare una soap opera alla televisione. Mi sedetti sulla poltrona e senza accorgermene iniziai a fissarla.
Mi domandavo dove fosse Enrico, non lo avevo visto andare via. Mi chiedevo se avessero litigato. Immersa nei miei pensieri, non mi accorsi di essere osservata a mia volta.
“Cos’hai da guardare? Vai in cucina e prepara la cena!”
Mia madre si rivolgeva sempre così con me, le ero di tale peso, che mi faceva lavorare al posto suo. Come una Cenerentola moderna, peccato che non ci fossero le due sorellastre, così non sarei rimasta sola.
Andai in cucina e iniziai a preparare la pasta, non ero una cuoca provetta e cucinavo sempre cibi semplici.
Intenta a preparare il sugo per le penne, la mia bocca si mosse da sola e inconsciamente: “Ma Enrico dov’è, mamma?”
Non avessi mai fatto questa domanda.
Sì alzò di scatto e mi guardò con tale rabbia, che ebbi paura di essere picchiata, per la prima volta. Ma l’unica cosa che fece fu insultarmi con parole pesantissime, che non ritengo necessario comunicarvi.
Se ne andò in stanza e non fece cena. Così, la maggior parte della pasta andò nel cestino.
I giorni passavano e di Enrico non si avevano più notizie. Anche i vicini, che lo avevano veduto dai terrazzi, mi chiedevano che fine avesse fatto, ma la mia risposta era sempre la stessa. Non ne avevo la più pallida idea.
Mia madre non pronunciava nemmeno il suo nome, come se non fosse mai esistito e io non osavo farle altre domande.
 
Due settimane dopo la scomparsa di Enrico, giravo per negozi, quando i miei occhi non credettero a quello che videro.
Mia madre stavo civettando con un nuovo ragazzo. Capelli scuri e corpo da far paura. Continuava a baciarli la guancia e poi le labbra. Davanti a tutti!
C’era qualcosa che non andava. Perché si comportava così? Era questa la sua idea di rifarsi una vita, con ragazzi più giovani?
Andai da loro e con tutto il coraggio che avevo in corpo li salutai.
Il ragazzo si voltò e mi guardò con sguardo curioso. Mi sorrise e contraccambiò il saluto. Mentre mia madre mi guardava con sguardo di disprezzo.
“E solamente mia figlia”, disse al ragazzo.
Solamente sua figlia? Furono parole che rimbombarono nella mia testa per un sacco di tempo. Non pretendevo poi chissà cosa, volevo solo un po’ più di considerazione da parte di mia madre. La donna che mi ha dato la vita, per tenersi stretta mio padre.
Il ragazzo si presentò, si chiamava Luca e lavorava assieme a mia madre. Quella stessa sera venne a cena da noi e, si accontentò di un semplicissimo piatto di pasta. Non ero in vena di cucinare.
Ogni santo giorno Luca veniva a casa nostra. Si chiudeva con mia madre in stanza e ci usciva solo all’ora di cena. Poi se ne tornava a casa sua.
La storia con Luca, durò una settimana e poi, anche lui non si vide più.
Mi ero affezionata a lui, anche se di raro mi rivolgeva la parola, lo trovavo fantastico e simpatico. Quando non lo vidi più, sentì un vuoto dentro di me tremendo. Sentivo la sua mancanza, anche più di mia madre.
Così, un pomeriggio dopo scuola, andai a comprare un quadro con delle rose, così ogni volta mi avrebbero ricordato Luca.
Non potevo di certo immaginare che avrei fatto una collezioni di quadri con delle rose.
 
Oramai, mio padre mancava da cinque mesi e mia madre decise di fare una crociera. E quella maledetta crociera non me la dimenticherò mai. Nemmeno quando avrò novant’anni. E se avrete voglia di proseguire la lettura, nemmeno voi.
In questi cinque mesi, avevo oramai collezionato ben cinque quadri di rose. Ogni ragazzo di mia madre, scompariva nel nulla, senza lasciare nessuna traccia. Né un biglietto, né una telefonata. Come se non fossero mai esistiti nella nostra vita.
A scuola, dicevano che mia madre fosse una strega e facesse scomparire i suoi ragazzi. Assurde malignità, tanto per continuare a stuzzicarmi.
Una sera a cena provai a parlarne con mia madre: “Sai mamma, a scuola dicono che sei tu a far scomparire i tuoi ragazzi.”
Quest’ultima si mise a ridere e, rideva di gusto. La guardai sbalordita e senza parole.
“Anche se fosse, cosa ti cambierebbe? Comunque, visto che abbiamo iniziato a parlare. Sabato partiamo.”
“Partiamo? E per dove?”, le domandai esterrefatta.
“Andiamo in crociera. Volevo tenerti qui, ma se i vicini lo venissero a sapere, sarei in guai seri. Quindi, dati una mossa a preparare le valigie!”
Non obiettai, andai in camera mia. Preparai lo zaino per il giorno dopo e quando ebbi finito, iniziai a preparare anche le valigie.
Non capivo quale motivo avesse per andare in crociera. Possibile che avesse a che fare con la sparizione di quei ragazzi? Di quei ragazzi a cui ho regalato un quadro con delle rose per ricordarli? No, non potevo nemmeno immaginarlo. Era pur sempre mia madre, la donna la quale mi ha portata nel suo grembo per nove mesi. La donna che ha amato mio padre.
Così sabato arrivò e partimmo.
La nave era enorme se non di più. Uno Stewart ci condusse alla nostra cabina. Forse avevo fatto bene a seguire mia madre. Mi sentivo libera, il vento nei capelli, il rumore dell’acqua sotto di noi, mi rilassava terribilmente.
La sera la passavamo nella sala assieme agli altri passeggeri e mia madre, finalmente sembrava una donna normale. Con una vita che non sempre le aveva regalato la felicità. Mi fece anche bere un po’ di vino rosso, ma non sapevo ancora che mi faceva effetto subito.
Infatti, dopo pochi minuti ero già ubriaca e scesi in pista a ballare. Grande errore. Senza rendermene conto tirai una gomitata a un signore ricchissimo e gli ruppi il setto nasale.
Il signore, per non denunciare me e la nave, volle che lavorassi per l’intero viaggio e mia madre non si oppose. Sarei stata un peso minore per lei.
Così, ogni mattina mi svegliavo, mi mettevo la divisa da lavoro e iniziavo a pulire qua e là. Il caro signore, rideva ogni volta che mi incrociava per i corridoi, mentre sudavo sette camicie, per rendere i soggiorno di loro signori, perfetto.
Mia madre civettava con diversi ragazzi, ma che io sapessi non aveva ancora concluso niente, per fortuna. Non volevo un altro quadro di rose rosse a casa.
Il viaggio proseguiva, i giorni passavano. Il capitano della nave mi diede l’ordine di pulire i bagni. Mi inorridì al solo pensiero. Non lo avevo mai fatto a casa e ora mi toccava farlo, dove al bagno ci andavano persone sconosciute? Purtroppo non potei obbiettare, così, mi diressi nella zona bagni, quando sentì dei versi.
All’iniziò pensai che qualcuno era in pericolo e stavo per andare a chiamare aiuto, quando questi versi si prolungarono. E due voci, da uomo e da donna non iniziarono a parlare. Si dicevano tenerezze. Allora compressi cosa stesse avvenendo, ma non so per quale motivo, non mi allontanai, ma aprì il bagno da dove venivano i gemiti di piacere.
La scena mi lasciò interdetta. Lo Stewart del primo giorno, stava seduto sul wc, e mia madre gli era cavalcioni sopra. Entrambi completamente nudi, si muovevano all’unisono. Mi tappai la bocca con una mano, per non farmi sentire. Corsi via in lacrime.
Sapevo che a casa faceva la stessa cosa, con tutti i ragazzi che portava appresso. Lo sapevo, ma non lo avevo mai visto.
Quella scena, ce lo tutt’ora in testa. Ogni secondo di loro, sul wc e io, immobile come una statua, scioccata da quello che vedevo.
Mi chiusi a chiave in cabina e mi gettai sul letto. Incominciai a piangere. Pensai a mio padre, si stava rivoltando nella tomba, per aver sposato una donna del genere. Ma come poteva fare queste cose mia madre, dove chiunque poteva vederla?
Quando uscì per andare a cena, il capitano mi ammonì per non aver svolto il mio compito. Mi scusai e quando arrivai a tavola, non ebbi coraggio di guardare in faccia, la donna che mi stava di fronte. Come potevo? Se la guardavo mi tornava in mente tutto.
Mi guardai intorno alla ricerca dello Stewart, ma non lo vidi da nessuna parte. Forse era in servizio.
Il giorno seguente, mentre pulivo i corridoi sentì alcune cameriere discutere della strana scomparsa di quel bel giovanotto.
Curiosa di sapere a chi si riverivano, osai domandare: “Chi è scomparso?”
“Non lo sai? Lo Stewart Marco. Ieri lo abbiamo visto tutti, ma oggi non lo si trova da nessuna parte. Strano, non trovi?”
Annuì.
Scomparso anche lui, dopo essere stato con mia madre. Possibile che i miei compagni avessero ragione? Mia madre una strega? Scossi la testa e feci scomparire immediatamente quell’idea assurda. Mio padre non poteva aver sposato una strega, no, mai.
Tornate a casa, non avevo più guardato mia madre in faccia, andai immediatamente a comprare un nuovo quadro.
Lo appesi accanto agli altri cinque. Una sesta vittima, riecheggiava sulla nostra vita.
 
Avrei voluto andarmene da quella casa e dalla donna a qui apparteneva, ma non potevo. Ero ancora minorenne e mi mancavano ancora tre anni, prima di compiere i diciotto. Prima di allora, avrei dovuto continuare a vivere con lei e collezionare altri quadri di rose.
In tre lunghi anni collezionai un totale di 36 quadri, uno ogni mese.
La polizia indagò su queste strane scomparse, senza arrivare a niente. Senza trovare un vero colpevole.
Fecero delle domande a mia madre, ma quest’ultima non venne mai arrestata.
Io non sapevo più cosa pensare. Prove contro di lei non ce n’erano, nemmeno una. Prove che fossero tutti morti, non ce n’erano. Potevano essere semplicemente andati via, per non confessare il loro peccato.
Ma era più che ovvio, loro non esistevano più!
 
In questo preciso momento, un altro uomo potrebbe scomparire sotto le grinfie di mia madre e nessun essere umano lo può impedire.
Tutto questo, forse smetterà quando mia madre raggiungerà mio padre sotto terra.
Ma ora, mi sento impotente di fronte a tutto questo.
Quando ho compiuto i diciotto anni me ne sono andata e con i soldi che mi ha lasciato mio padre, ho affittato un piccolo appartamento. Questo appartamento è pieno di quadri di rose!
Studio criminologia, strano vero? Ma vorrei tanto aiutare tutte le vittime innocenti, facendo arrestare i loro assassini.
Mia madre non sente la mia mancanza, si gode la vita, ma non se n’è rifatta un’altra.
Non ho un ragazzo, ho paura di farlo scomparire!
  
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