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Autore: Lady Nirak91    08/05/2013    0 recensioni
Cosa potrebbe succederebbe, se una mattina frenetica, in ritardo al lavoro, prendi l'ascensore per fare più veloce e finisci da tutt'altra parte? Eh cosa succederebbe se in questo ascensore c'è un ragazzo misterioso dallo sguardo perso nel nulla?
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ la solita giornata lavorativa, frenetica e piena di impegni.
Come ogni mattina sono terribilmente in ritardo, colpa della sveglia. Mi preparo con gli abiti scelti la sera precedente appoggiati alla sedia della scrivania. Un tailleur grigio, lascio i capelli sciolti e mi trucco leggermente. Faccio colazione al volo e poi esco di corsa da casa, dimenticandomi persino di chiudere l’appartamento a chiave.
Riesco a prendere il bus per un pelo, ogni tanto i loro ritardi sono fondamentali e arrivo davanti al palazzo del mio ufficio con solo dieci minuti di ritardo, un record.
La situazione ultimamente non è delle migliori. La guerra sta portando via gli uomini per difendere la patria e a noi donne resta solo il lavoro per distrarci. I pochi ragazzi che non partono per la guerra hanno problemi di salute e non sarebbero d’aiuto per i loro compagni.
Oggi la strada è tranquilla e non girano soldati. E’ strano, nelle ultime settimane plotoni di soldati sorvegliavano ogni strada e viuzza della città.
Entro nel palazzo, saluto la receptionist e chiamo l’ascensore. E’ un grande rettangolo di cristallo da cui si può vedere l’esterno e i pochi spazi verdi rimasti; la guerra sta distruggendo ogni cosa. Ogni speranza e ogni probabilità di una vita tranquilla.
Questo conflitto ha portato via mio padre e mio fratello. Non ho più notizie loro da quando sono partiti. Mamma è come precipitata in un mondo parallelo e non mi parla più. E’ sempre stata molto legata a mio fratello, il suo pupillo e non può sopportare l’idea di non averlo più a casa. Mi vuole bene su questo non ho dubbi, ma non mi vorrà mai bene come a mio fratello. Vado a trovarla ogni sera, cercando di torcerle qualche parola, ma niente non mi calcola.
Le mie amiche e colleghe non stanno tanto meglio, sono preoccupate per i loro famigliari e i loro ragazzi, però vanno avanti perché hanno ancora un po’ di speranza.
Finalmente l’ascensore arriva e appena le porte si aprono vedo che è già occupato da un ragazzo. Rimango per un attimo stupita. Mi sembra un ragazzo sano e robusto, il tipo giusto per seguire gli altri ragazzi nel conflitto in cui si trova il nostro Paese.
Non dice nulla e attende che io salga. Mi riprendo dal stupore ed entro nel grande ascensore di cristallo, faccio un cenno di saluto a quel ragazzo misterioso.
Anche lui deve andare al quarto piano, meno male così il viaggio insieme non deve durare troppo tempo.
L’ascensore continua a salire e tra noi due non succede nulla se non un po’ di sguardi. Dopo alcuni secondi l’ascensore arriva, finalmente, al quarto piano. Sono già terribilmente in ritardo ed è la volta buona che mi licenziano.
Mi avvicino alle porte, ma queste non si aprono. Mi volto di colpo vero il ragazzo. Lui alza semplicemente le spalle: “Devo scendere più in là.”
Lo guardo di traverso con irritazione.
“Grazie. Potevi dirmelo così evitavo di prendere questo ascensore e aspettavo il prossimo!” dico con rabbia. Ora è ufficiale, mi licenzieranno e io sarò nei casini fino al collo.
“Sai, non so leggere nella mente delle persone e non immaginavo che dovessi scendere proprio a questo piano.”
Ho una voglia matta di prendergli quel viso favoloso e picchiarglielo contro le pareti dell’ascensore, ma rovinerei un’opera d’arte. Chi ha costruito questo meraviglioso lift ci ha messo anima e cuore.
Mi volto dall’altra parte e non lo degno più di uno sguardo.
Aspetto che l’ascensore riprenda a muoversi, ma quando questo avviene i lift non prosegue per l’alto bensì prosegue verso destra. Mi aggrappo alle pareti di cristallo e trattengo il fiato. Da quando gli ascensore viaggiano per traverso?
Il viaggio continua senza che nessuno dei due parli. Lui continua a starsene sulle sue e io mi faccio mille domande. Sono terribilmente curiosa di sapere chi è, cosa fa e perché non è partito per la campagna militare.
Stufa e irritata per questo viaggio fuori programma inizio a parlare.
“Be’ visto che siamo qui e non so quanto durerà questo viaggio, potremmo fare due chiacchiere che ne dici?”
“Come vuoi” sono le sue uniche parole.
Sbuffo. “Si può sapere dove stai andando?”
“Non sono affari tuoi.”
“Bene, allora cambio domanda: come ti chiami?”
“Non hai da fare?” mi chiede sgarbatamente.
Mi siedo sul pavimento e lo guardo divertita. “Se tu mi avresti detto che questo ascensore non faceva un percorso normale non ci sarei salita… Quindi ora mi dovrai subire!”
Sul suo viso comprare un ghigno sghembo, divertito.
Mi tolgo la giacchetta del tailleur e curiosamente domando “Cosa c’è?”
Lui ridacchia e scuote la testa: “Nulla, nulla di speciale. Dove stavi andando?”
Non risponde alle mie domande, le evita come se potessi scoprire chissà quale oscuro segreto.
“Al lavoro, ma oramai non avrò nemmeno più quello” rispondo con tono tranquillo, senza alcun risentimento.
Il ragazzo si avvicina e si siede accanto a me. “Mi dispiace, non immaginavo…”
Stava per proseguire quando lo zittisco con un sorriso. “Non ti preoccupare, arrivo pressappoco sempre in ritardo e poi non mi entusiasmava nemmeno come lavoro.” Anche se mi serviva per mantenere me e mamma, ma questo non glielo dico.
Non dice più nulla, è veramente incredibile.
“Hai animali?” chiedo la prima cosa che mi viene in mente.
“Un cane è il mio migliore amico. Tu?”
“Un gatto è adorabile. E’ impossibile non amarlo” rispondo con enfasi pensando al mio bellissimo gatto bianco e nero.
“Leggi?” mi domanda semplicemente. E’ una domanda semplice, ma mi riempie il cuore di gioia.
“E’ la mia passione più grande. Ho una stanza in casa addebita esclusivamente a libreria. Tu leggi?”
“Sì, ma preferisco di gran lunga il cinema. Da grande mi piacerebbe fare un film.”
Non dico più niente, sono letteralmente affascinata da lui. Sento il suo sguardo addosso e i nostri occhi si incontrano. Distolgo immediatamente lo sguardo imbarazzata.
Si alza e va ad appoggiarsi dall’altra parte dell’ascensore.
Guardo il paesaggio dietro di lui, un luogo desolato dove è passata la guerra. Alberi sradicati, palazzi distrutti e all’improvviso uno spazio verde, l’unico luogo sopravvissuto all’assalto. Trasalisco a quello spettacolo raccapricciante. Il vero distruttore di questa terra, non è la terra stessa bensì l’uomo che con la sua ipocrisia vuole avere tutto a portata di mano.
Noto solo dopo i pantaloni mimetici del ragazzo. Mi alzo di scatto.
“Allora sei un militare?!”
Il suo viso poco tempo prima luminoso si rabbuia in un batter d’occhio. “No, non sono un militare e non lo sarò mai!”
Nell’ascensore non si sente volare una mosca, c’è un imbarazzo pazzesco tra noi. Non pensavo che con una semplice costatazione se la sarebbe presa così tanto. Mi dispiace averlo fatto arrabbiare o di averlo ferito in qualche maniera, ma non erano quelle le mie intenzioni. Nello stesso momento mi sento arrabbiata e amareggiata, perché lui continua a volermi tenere distante.
Continuiamo a viaggiare, è l’itinerario più lungo che avessi mai fatto in vita mia, sembra infinito.
Attorno a noi c’è sempre più desolazione e distruzione e il cuore mi batte all’impazzata al pensiero di tutte quelle vite perse per i capricci umani.
“Dove stiamo andando? Non ce la faccio più”, sbotto all’improvviso sentendo la mancanza d’aria.
Lui torna a guardarmi, come se non si ricordasse della mia presenza.
All’improvviso ferma di colpo il lift premendo il tasto di blocco. Le porte di aprono e lui scende in fretta e furia. Va a sedersi su un muretto, tenendosi la testa tra le mani.
“Mi dispiace terribilmente. Sì, sono un militare e in questo momento dovrei essere sul campo di battaglia, però io sono un umanista e sono convinto che ci siano altre strade per giungere a una soluzione. La guerra è per persone frustrate che riescono a prendersela solo con i più deboli. Io non sono così, però mio padre ha insistito in tutte le maniere perché io diventassi come lui… Un mostro. Io non sono così.” Non mi guarda negli occhi e la sua voce è disperata. Si vergogna per quello che è costretto a fare.
Mi inginocchio di fronte a lui e appoggio le mani sulle sue ginocchia. Lui alza il volto dalle mani e mi guarda, come si mi vedesse per la prima volta in vita sua.
“Dove stavi andando?” domando.
“Stavo fuggendo da questo Paese e da mio padre!” risponde schiettamente.
Sorrido. “Devi fare quello che ti senti di fare, senza seguire i capricci di tuo padre o di chiunque altro. Siamo liberi e questo stupido conflitto serve solo a spezzare le vite di persone innocenti.”
Gli accarezzo una guancia continuando a sorridere. Il ragazzo mi contraccambia il sorriso e nei suoi occhi vedo la speranza di un mondo migliore.
“Grazie. Grazie di cuore. Ti conosco da così poco tempo, ma sento già di amarti!”

Da quel giorno non lo vidi più. Ho solo il splendido ricordo della sua speranza degli occhi e la consapevolezza di avergliela instaurata io. Spero veramente con tutto il cuore che sia riuscito a realizzare le sue ambizioni e di essere diventato migliore di suo padre. Nel profondo dell’animo sono sicura che così è stato, perché quel ragazzo misterioso di cui non conosco il nome aveva mille sogni da realizzare e la forza di volontà necessaria per raggiungerli.
Ovviamente, io ho perso il lavoro per il terribile ritardo fatto senza neppure avvisare il capo, ma non mi dispiace perché alcuni giorni dopo i miei cari tornarono a casa e io mi presi cura di loro. Mamma riprese a vivere appena vide l’adorato figlio e l’amato marito.
Cosa ho imparato io dal incontro con quel ragazzo? Semplice la vita fa vissuta a proprio modo, senza seguire le ambizioni di nessuno, ma solo i propri desideri.
Ringrazio quel ragazzo per avermi fatto sentire speciale in quei pochi minuti passati insieme.
Grazie.
  
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