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Autore: ChiiCat92    09/05/2013    0 recensioni
Tom e Bill Kaulitz sono gemelli, e questo, ancora prima degli Hunger Games, ha complicato la loro vita.
Contro Capitol City non c'è speranza, si cerca di morire nel modo più dignitoso possibile.
è questo che pensa Tom, quando ogni anno aspetta che il suo nome venga estratto durante la Mietitura...
Genere: Avventura, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1: La Mietitura

 

Il nostro rapporto con gli Hunger Games, da sempre, era stato di reverenziale timore.

Sapevamo che nostro padre era un Vincitore, e questo ci affascinava e spaventava insieme.

Lui non ci ha mai voluto raccontare di quello che successe l'anno in cui aveva vinto, né delle persone che aveva ucciso.

A volte lo sentivamo urlare, nel bel mezzo della notte. Le sue urla ci svegliavano di soprassalto e ci lasciavano spaventati nei nostri letti.

Questo, prima dei nostri dodici anni, della prima Mietitura e del sacrificio di Georg.

Da quel momento in poi, gli Hunger Games sono diventai un marchio che ci portiamo addosso ogni giorno della nostra vita. Non possiamo cancellarlo, non ci è permesso.

Quando stavamo per dimenticare un'edizione, ecco che ne cominciava un'altra, e dovevamo affrontare l'ennesima Mietitura, che poteva tranquillamente essere l'ultima.

Da qualche parte nella mia mente, mi dicevo che ogni anno dovevo morire, ad ogni costo. Perché non avrei permesso che mio fratello perdesse la vita come Georg.

Non mi attraversava neanche per un istante l'idea di poter vincere. Ero troppo minuto, troppo debole, e probabilmente troppo codardo, per potermi guadagnare il diritto di vivere a suon di omicidi.

Io e Bill, in linea di massima, la sera prima di ogni Mietitura, ci davamo l'ultimo saluto. Non avremmo sopportato di doverlo fare prima della partenza, sarebbe stato come conferire altro potere a Capitol City.

Nessuno di noi si sarebbe presentato davanti all'altro, se fosse stato scelto come Tributo (o se si fosse offerto come tale); tutto quello che dovevamo dirci, lo dicevamo la sera prima della Mietitura, chiudendo tutti i conti in sospeso con noi stessi, e mettendoci l'anima in pace.

Come figli di un Vincitore, non abbiamo mai dovuto iscriverci per avere le tessere. Il cibo e il denaro non sono mai stati un problema per noi.

Quindi i nostri nomi compaiono solo una volta all'interno dell'urna.

Eppure, qualcosa ci costringeva a pensare che ogni anno toccasse a noi.

Forse era il semplice panico dilaniante che si insinuava nei corpi di due ragazzini in bilico sull'orlo di un precipizio mortale.

Sono convinto che proverei meno terrore nell'Arena.

Una volta arrivato lì, accetti il fatto di essere un cadavere che cammina, no?

A quel punto non conta più niente, che tu respiri o meno.

Potresti anche prendere un coltello e ucciderti durante le sessioni dell'addestramento.

Chissà come la prenderebbe Capitol City, sapendo che ancora prima dei giochi un Tributo è morto.

Hanno pensato al campo magnetico sulla terrazza del centro addestramento, ma a questo?

Non credo.

Forse perché tutti sperano di avere una possibilità di salvezza, e perderla ancora prima di cominciare non avrebbe alcun senso.

Una possibilità su ventiquattro di sopravvivere. È quasi più di quello che la metà degli abitanti del Distretto 10 potrebbe mai sperare.

Chi ci sputerebbe?

No, uccidersi durante l'addestramento sarebbe stupido.

 

Oggi ho diciotto anni. E anche mio fratello Bill.

E domani prenderemo parte alla nostra ultima Mietitura.

L'ultima Mietitura fa davvero schifo, perché ti senti in colpa per tutti quelli che rimangono.

Se neanche quest'anno nessuno dei due dovesse essere scelto come Tributo, vorrebbe dire che potremo passare tutto il resto della nostra vita in tranquillità, conoscere una ragazza, provare dei sentimenti, forse mettere su famiglia. Finché non verranno dei figli, e anche noi dovremo sopportare le loro Mietiture.

Così mi immagino la vita dopo l'ultima Mietitura.

È una cosa davvero scontata, come poche altre.

Però, è così.

Bill non lo sa. Penso che nessuno lo sappia. Ho l'impressione di voler convincere anche me stesso di non saperlo.

Dopo l'ultima Mietitura cerco di immaginare anche come sarà la vita di mio fratello.

Forse, senza il peso della morte sulle spalle, potrà diventare un ragazzo normale.

Aprirsi, scrollandosi di dosso tutto quello che ora lo opprime.

Riuscirebbe a essere felice, ne sono quasi sicuro.

Mi infilo le mani in tasca mentre supero il Villaggio dei Vincitori.

Ci sono giusto una decina di villette, ma solo una è occupata, quella della nostra famiglia.

C'è del fumo che usciva dal comignolo. Il forte odore del legno si mischia con quello di una torta di mele che mia madre deve aver appena finito di sfornare.

Non riesco a sorridere, pensando a cosa significa quell'odore di mele cotte.

È la torta preferita di Bill; probabilmente c'è qualcos'altro di buono preparato anche per me.

Visto che domani potremmo essere mandati a morire. Lo sappiamo tutti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Solo la tavola della cena imbandita con i nostri cibi preferiti, ce lo urla a gran voce.

Supero casa, voltando lo sguardo altrove, verso il campo di erba alta.

Sto ben attento che non ci sia nessuno, prima di infilarmi nell'erba.

Adesso sono abbastanza alto da non esserne sommerso, ma quand'ero un bambino sentirsi sparire tra quell'erba che pizzicava era quasi un sollievo. Nessuno avrebbe potuto vedermi, nessuno avrebbe mai potuto sapere che fine avessi fatto.

Se fossi rimasto là dentro, nessuno mi avrebbe ritrovato.

A volte sognavo di rimanerci per sempre, con Bill, per salvarlo dalla Mietitura. Poi sono cresciuto.

Mi faccio strada con le mani, spostando gli steli giallognoli.

Non ho idea di che pianta si tratti; probabilmente è qualche specie geneticamente modificata, come se ne trova ovunque nel Distretto. Un po' come me e Bill.

Quando finalmente fuoriesco da quell'oceano pungente, mi ritrovo all'ombra di un albero tanto alto quando largo, e sulle cui radici ritrovo mio fratello.

Adesso sì che sorrido.

Lui alza lo sguardo e ricambia.

Mi fa un cenno con una mano, e io percorro a grandi falcate lo spazio che ci separa, per andarmi a gettare accanto a lui, pesantemente.

Bill mi squadra per un attimo, cercando non sa neanche lui che cosa, ma qualcosa, perché lui riesce ad entrarmi dentro.

- La mamma ha preparato la torta di mele. -

Gli dico, come se fosse un giorno qualsiasi, e non quello che potrebbe essere l'ultimo della nostra vita.

- Ho sentito il profumo venendo. -

Risponde lui.

Ma non ho molta fame.” pensa, lo so, non c'è bisogno che lo dica.

Però, come tutti gli anni, mangerà con soddisfazione quello che la mamma gli metterà nel piatto, con un sorriso eccitato sul volto, e ringraziandola per aver lavorato così tanto.

Stanotte, vomiterà tutto, e io gli terrò la fronte e sopprimerò i suoi gemiti disperati.

- Ti va se suono qualcosa? -

Lui annuisce, e mi porge la chitarra che ha tirato fuori dal suo nascondiglio tutto da solo; anche se gli ho detto più volte di non farlo, dovrebbe essere compito mio.

Gli lancio un'occhiataccia, ma lui non ci fa neanche caso.

Sospiro, e tiro fuori dalla custodia la chitarra.

Mi prende un senso di sollievo appena le mie mani l'afferrano. Le corde vibrano, sfiorate dalle mie dita.

La imbraccio con delicatezza.

La cassa è di legno scuro, le corde sono un po' ossidate. Ogni giorno spero che non si rompano, perché non saprei dove trovarne altre. Per questo sono un po' stonate, perché ho paura di tirare troppo le chiavette e romperle per errore.

- Vuoi cantare? -

Gli chiedo ancora.

Stavolta, scuote la testa. Stringe le gambe al petto e sospira.

Capisco.

Comincio a suonare una melodia leggera e dolce, che spero lo tranquillizzi.

Dovremmo dirci qualcosa, visto quello che potrebbe succedere domani, ma forse ci siamo detti tutto, quindi non ce n'è bisogno.

- Tom. - comincia lui. Io rispondo solo con “mmm?”, mentre continuo a suonare. - Devi promettermi una cosa. -

- Cosa? -

Inaspettatamente, comincia a battermi forte il cuore.

So già che cosa vuole farmi promettere.

- Se dovessero estrarre il mio nome, promettimi che non ti offrirai come Tributo. -

Le dita mi si irrigidiscono, e smetto di suonare.

Alzo gli occhi e mi ritrovo a specchiarmi nei suoi. Sono lucidi, e grandi.

- No. - sputo tra i denti. Sembra che abbia appena ricevuto uno schiaffo in pieno volto. - Non se ne parla. -

- Perché? - si appende, disperato, al mio braccio - Non voglio dover essere costretto a vederti morire. Ti prego. -

Gli indirizzo un mezzo sorriso. Più sbruffone di quanto potrei permettermi.

- Ma perché dovrei morire? E se vincessi? -

Bill si trattiene dal dirmi che entrambi sappiamo che non è così.

Anzi, potrebbe essere che gli Strateghi decidano di giocare un po' con lo scherzetto genetico del Distretto 10, prima di ucciderlo.

- Potrei vincere anch'io allora. Quindi che senso avrebbe se ti offrissi al mio posto? -

Non ce la faccio, non ce la faccio a trattenermi dal dargli uno scappellotto sul collo.

- Smettila. Sei rachitico, non sai neanche tagliarti la carne da solo, figurati se uccideresti qualcuno! Sei goffo, e rumoroso quando di muovi - indico i suoi capelli. Da un po', li acconcia come una criniera, tutti sparati verso l'alto; ha qualche meches bionda, ma per il resto sono neri. Da lontano, potrebbe passare per una palma. - e con questi capelli non potresti nasconderti neanche volendo. Saresti un bersaglio facile nell'Arena. -

Do in una risata, che vorrebbe smorzare la tensione, ma che sembra solo un macabro epitaffio.

Bill sa che ho ragione, ma sa anche che nemmeno io avrei possibilità di sopravvivere.

Lentamente, mi abbraccia, stringendomi tanto forte da farmi mancare il fiato per un attimo.

Non piange, non credo che abbia più lacrime, ma la sua tristezza e il suo dolore fluiscono in me come un fiume che ha appena rotto gli argini.

Ricambio la stretta.

Lo allontano con la scusa che è tardi, e che dobbiamo tornare a casa, perché non voglio che capisca che se continua così non riuscirò più a lasciarlo.

Lui tira su col naso e si alza, traballando sulle gambe esili.

Mannaggia a lui, quando capirà di dover mangiare di più?

Conservo con cura la chitarra e non gli permetto di aiutarmi a sotterrarla nella sua fossa.

La guardo per un lungo momento prima di gettare l'ultima cascata di terra che la nasconderà ad occhi indiscreti.

Spero, domani sera, di poter tornare per suonarla.

Raggiungo Bill, e insieme ci incamminiamo verso casa.

 

La mamma ha preparato una cena che potrebbe bastare per trenta persone, anche se a tavola siamo solo in quattro, e nessuno di noi ha voglia di mettere niente nello stomaco.

C'è il pollo arrosto, che io amo tanto, e la torta di mele per Bill: l'ultima cena di un condannato a morte.

Bill ride e scherza come se niente fosse.

È sempre stato bravo a nascondere i suoi sentimenti ai nostri genitori. Sembra quasi che abbia due facce, come una moneta. Loro non vedranno mai quella che io, invece, conosco bene.

Non gliene ha mai dato la possibilità, non la da a nessuno.

Provo a mangiare un pezzetto di patata al forno, che contorna il pollo, ma il gusto che sento in bocca sembra quello del cartone.

So che è buonissimo, so che è la cosa più buona del mondo, ma non riesco a gustarmelo.

- Ti piace? -

Alzo la testa dal piatto. Mia madre mi guarda con gli occhi colmi di aspettativa.

Io e Tom abbiamo il suo naso, e la forma del suo viso, ma lei è rossa, di un rosso acceso, mentre noi siamo biondi, come nostro padre.

Le faccio una sottospecie di sorriso, infilzo il pezzo di patata e lo infilo intero in bocca.

Fingo di assaporarlo in tutte le sue sfaccettature. Poi le rivolgo un pollice alzato.

- Uonissimo Amma! -

Biascico, con la bocca piena.

Le si riempiono gli occhi di lacrime, ma non aggiunge altro, a parte un sorriso tremolante.

Ora dovrò mettermi d'impegno per finire di mangiare la mia porzione.

Bill spazzola tutto con avidità, e si fa dare una doppia porzione di torta di mele con tanto di gelato alla vaniglia sopra.

Le scorgo per un secondo, le lacrime che gli brillano agli angoli degli occhi.

Finita la cena, i nostri genitori rimangono un po' a crogiolarsi di fronte al camino.

Ci augurano la buonanotte. Mia madre mi stringe con un po' più di forza, mentre mio padre mi da una pacca sulla spalla.

L'unica cosa che avrebbe un senso, nel caso in cui io fossi un Tributo, è che potrei rimanere con mio padre fino alla fine, dato che come unico Vincitore del Distretto 10 ha l'obbligo di fare da Mentore.

Potrei fidarmi delle sue scelte, ad occhi chiusi, e di certo cercherebbe in tutti i modi di farmi sopravvivere, lì, nell'Arena.

Mi defilo. Bill è già salito in camera.

Lo ritrovo sdraiato a pancia in su con gli occhi sbarrati nel buio più assoluto.

- Ehi. -

Gli dico.

- Ehi. -

Risponde lui, atono.

Chiudo la porte e mi sdraio accanto a lui.

Dalla finestra filtra la luce della luna piena, e delle stelle.

- Ho una brutta sensazione. -

Sussurra lui.

Stringe le braccia al petto, come a volersi proteggere.

- Dici così tutti gli anni. -

Provo a buttarla lì, tanto per sdrammatizzare.

Ma anch'io ho una brutta sensazione. Ho un peso sullo stomaco, e non è colpa del pollo arrosto.

Bill socchiude gli occhi e respira profondamente. È pallido come un cencio. O sarà solo la luce bianca della luna?

- In ogni caso, domani sarà finita, no? - un sorriso timido gli si apre sulle labbra - Perché dobbiamo essere catastrofici per forza? -

- Sì, hai ragione. -

No che non ce l'ha, ma non posso dirglielo.

Lui annuisce, come se si stesse convincendo di quelle parole.

- Mi viene da vomitare, da morire. - continua lui - Ma voglio tenere nello stomaco tutte le cose buone che ha preparato la mamma. - respira profondamente, con la bocca.

Da come fa, sembra che si stia sforzando davvero.

- Sarebbe meglio, vorrei provare a dormire questa notte. -

- Sì. - fa lui - Sì. Domani è l'inizio della nostra vita. -

- Certo. -

- Certo. -

Il silenzio dice il resto. E stranamente, senza neanche accorgermene, mi addormento.

 

La mattina dopo, mi rendo conto di aver dormito di filato tutta la notte, senza incubi, senza svegliarmi neanche una volta.

E mi sento...riposato, tranquillo.

È assurdo.

Apro bene gli occhi.

Sono crollato nel letto di Bill. Lui si è già alzato, ma c'è ancora la forma del suo corpo sulle lenzuola.

Mi metto seduto e sbadiglio. Non ho mai dormito meglio nella mia vita.

- Ben svegliato. -

Mi sorride Bill. È vestito di tutto punto, in bianco, come ci obbligano a vestire i Pacificatori, con la sua criniera ben stirata: niente di eccessivamente eccentrico il giorno della Mietitura.

- Che mi sono perso? -

Gli chiedo, con la bocca ancora impastata. Vorrei tanto tornare a dormire, ma man mano che mi sveglio, che realizzo, la tensione monta di servizio, e allontana il sonno, riempiendomi di adrenalina.

- Niente, mamma non ha ancora finito di preparare la colazione, hai tutto il tempo di vestirti. -

Gli annuisco, senza pensarci troppo, e mi alzo, per andare nella mia stanza, dove neanche quest'anno, in questa precisa notte, ho dormito.

Ho l'obbligo di vestirmi anch'io in bianco, ed è la cosa più odiosa che possa esserci.

Ma tanto, è l'ultima volta che metterò questi vestiti.

Quando scendo in cucina per la colazione, sono tutti già lì. La tv è accesa e mostra brevi spezzoni dei Distretti che si preparano alle Mietiture, un giornalista, con la sua voce fuoricampo, annuncia di essere profondamente emozionato, non vede l'ora di assistere ai giochi di quest'anno seduto comodamente in salotto.

In un certo senso, anch'io, perché vorrebbe dire che è davvero finita.

Mi siedo al mio solito posto, e mia madre mi versa del succo d'arancia in un bicchiere e mi porge dei pancake caldi.

- Grazie. -

Lei fa un cenno con il capo, senza guardarmi.

Deve essere molto difficile per lei oggi.

Mangio senza guardare altro che lo schermo della televisione.

Inquadrano il Distretto 6, che ha già cominciato la Mietitura.

Un nodo mi stringe lo stomaco quando il primo nome viene estratto dall'urna.

- Franciska Schäfer! -

Urla la donna che sta eseguendo l'estrazione.

La telecamera si punta dritta sulla ragazza estratta.

Non ho il tempo di metterla a fuoco e di memorizzare la sua faccia, che si sente urlare:

- Mi offro come Tributo! -

L'inquadratura si sposta su un ragazzo cicciotto, tarchiato, biondo anche lui, con gli occhiali, che si lancia in avanti, sbracciandosi per farsi vedere.

Per un po' cala il silenzio. La telecamera saetta dalla ragazza al ragazzo.

- E tu sei? -

Chiede la donna, quella che sta facendo l'estrazione, al ragazzo.

- Gustav Schäfer. -

Risponde lui, con un moto d'orgoglio.

- Ti offri come Tributo al posto di tua sorella, quindi? -

- Sì, signora. -

- Sei un ometto coraggioso! Ecco il nostro primo Tributo! Un bell'applauso! -

Ma nessuno applaude, né ha intenzione di farlo.

Realizzo che lui e la ragazza sono fratelli solo perché lei comincia a singhiozzare e si accascia a terra, chiamando il suo nome. Qualcuno la trattiene da dietro, mentre lui sale sul palco, a testa alta, anche se le lacrime gli scivolano sul viso incontrollabili.

Poi procedono con l'estrarre un altro nome dall'urna delle ragazze.

Non sapevo che ci si potesse offrire al posto di un Tributo del sesso opposto, ma evidentemente possibile.

Morirà il secondo giorno.” riesco solo a pensare, mentre mi riempio la bocca di pancake.

- Avanti ragazzi, sennò farete tardi. -

Dice mio padre, anche se non sembra molto felice di farci fretta.

Mi cade la forchetta di mano. Faccio finta di niente, ingollo un quantitativo industriale di latte freddo e mi alzo.

- Andiamo stecchino, non manchiamo alla festa. -

Faccio a Bill, che ha rimestato nella ciotola di latte piena di cereali fino a quel momento, senza metterne in bocca neanche uno.

Lui mi guarda, spaesato, e poi annuisce e si alza.

 

In piazza, si è riunito tutto il Distretto.

Il Municipio, davanti al quale si svolge la Mietitura, è stato tirato a lucido, come se fosse davvero una festa quella a cui stiamo per partecipare, e non uno spettacolo della morte.

Io e Bill arriviamo trafelati. I Pacificatori ci spingono in avanti, rivolgendoci i loro soliti sguardi amichevoli.

Mi verrebbe voglia di strangolarli.

L'unica cosa positiva, è che Bill può rimanermi vicino fino all'ultimo, dato che abbiamo la stessa età e lo stesso sesso, e possiamo rimanere nel settore dedicato ai diciottenni maschi, insieme.

L'urna con i nomi dei ragazzi e dal nostro lato. Non riesco a seguire il discorso d'apertura, vedo solo il solito addetto che si avvicina e infila la mano nell'urna.

Ho paura di sentire pronunciare il mio nome, perché so che Bill si porterebbe avanti per offrirsi al mio posto, e non saprei cosa fare se succedesse.

L'accetterebbero se mi offrissi al suo posto dopo che lui si fosse offerto al mio?

L'addetto, di cui dovrei ricordare il nome ma che mi è, sinceramente, indifferente, rovista ancora e ancora, facendo rigirare all'infinito tutti quei foglietti.

- Aumentiamo un po' la suspense, no? -

Scherza lui. I Pacificatori ridono. I genitori che stanno fuori ad aspettare che il nome del figlio venga estratto, un po' meno.

Finalmente, si decide a prendere un foglietto.

Lo stringe in un pugno e lo porta al petto come se fosse una specie di tesoro.

- Vediamo chi è il nostro fortunato giovanotto. -

Come se fosse una fortuna.

Mi guardo intorno. Ci sono tanti bambini, troppi. Tutti dodicenni che non sanno neanche tenersi in piedi, negli enormi vestiti che gli hanno messo addosso.

Sono così egoista da riuscire a dirmi “mors tua vita mea”?

Non lo so, il cuore mi scoppia.

L'addetto apre il foglietto e lo legge, tutto corrucciato.

Bill si morde a sangue le labbra.

- E il nostro primo Tributo è... - comincia l'uomo. “Se deve essere uno di noi, fa' che sia Bill. Fa' che sia lui, così posso offrirmi al suo posto, e sarà salvo.” prego, nel mio intimo. Il tizio continua a tirarle per le lunghe. Sento che potrei impazzire. Il cuore mi batte tanto forte in petto che non riesco a sentire altro che il suo rombo. - ...Kaulitz... - dice l'uomo. Improvvisamente, tutti gli occhi sono su di noi, come se si aspettassero qualcosa. Capisco il perché: non ha detto il nome, e aspetta di vedere chi dei due sbroccherà prima. - Kaulitz Tom! - urla, finalmente.

C'è un attimo di silenzio. Quell'attimo che ci vuole perché riesca a capire che cosa sta succedendo.

Vedo mio fratello fare un passo avanti. Gli afferro il braccio con tale forza che gli strappo un gemito di dolore.

- Non ci provare nemmeno. -

Gli dico con tranquillità, guardandolo dritto negli occhi, e poi lo lascio.

Subito, Bill si aggrappa a me. Lo fulmino con uno sguardo e lui sgrana gli occhi. Lo costringo a lasciarmi con la forza, aprendogli ad una ad una le dita delle mani, che sembrano diventati dei pezzetti di marmo.

Le sue labbra si muovono, sillabano la frase che avrebbe voluto dire. Ma la voce gli manca, gli manca proprio adesso. E allora piange.

È straziante vederlo piangere mentre salgo sul palco, e mi metto a fianco dell'addetto che ha estratto il mio nome e che mi sorride come un ebete.

- Un applaudo al nostro Tom! - mi da una pacca sulla spalla - Sono sette anni che si nega agli Hunger Games! Non è ironico? Sei stato sorteggiato il primo anno, e l'ultimo! Magari è un segno del Destino! Porterai alta la nostra bandiera vero? Bravo, bravo. -

Già, il primo anno, e l'ultimo.

Non ci avevo pensato.

C'è davvero della sottile ironia in tutto questo.

Solo che, questa volta, nessuno morirà al mio posto.

Poi mi lascia per avvicinarsi all'urna delle ragazze, e comincia a frugarci dentro cercando la mia compagna.

Io sono qui, sul palco, mentre davanti a me ci sono tutti quei ragazzini che mi fissano. Da qualche parte c'è anche Bill, ma non riesco a metterlo a fuoco. Anche se percorro con gli occhi la fila dei diciottenni, mi sembra che tutti abbiano la stessa faccia. La sua, con gli occhi che gli straripano di lacrime.

- Ria Sommerfeld! -

Chiama. Una ragazza, anche lei diciottenne, si stacca dal gruppo e si avvicina al palco. Neanche la guardo.

Quando l'addetto all'estrazione mi poggia le mani sulle spalle, augura a gran voce buona fortuna per i giochi, e i Pacificatori mi portano via, capisco: sono il Tributo maschio del Distretto 10, e parteciperò ai 73esimi Hunger Games.


The Corner

Ciao a tutti,
fanciulline e giovanotti.
siamo arrivati ad un altro giovedì
ed io mi chiedo: ma come cavolo passa il tempo?
anche se gli esami sono schifosamente vicini,
non riesco a smettere di scrivere.
la notte si dorme dalle 3 in poi,
prima si scrive.
quindi, dato che questa malattia non mi passa,
come minimo dovete ricompensarmi con le recensioni u.u
dunque ci vediamo giovedì prossimo, come sempre!
grazie a tutti quelli che mi sono stati vicini durante la "crisi" :)
Chii

 

   
 
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