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Autore: exceptions    09/05/2013    4 recensioni
Rue Saint Auguste, a Parigi, ospita un piccolo albergo: il Nordot. Questo conserva ancora un antico splendore che cela però una verità ben diversa: il fallimento è ormai dietro l'angolo. Dentro l'Hotel le vite dei dipendenti e dei proprietari scorrono con sbiadita serenità e solo un fenomenale colpo di fortuna potrebbe far tornare il Nordot alla ribalta, donandogli ancora una volta un buon nome e una nuova veste.
Ecco perché Sylvie, un'aspirante chef abituata a vedere del positivo in ogni situazione, cercherà in tutti i modi di salvare la reputazione dell'Hotel, per preservarne la serenità e coronare il suo sogno d'amore con il suo maestro, il grande chef americano Burton.
Ma niente, in effetti, va come previsto. Soprattutto se ci si mette di mezzo un miracolo non indifferente.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Le destin se moque bien de nous]
 
-Prologue
 
Rue Saint Auguste era una via stretta e tortuosa, di quelle che si snodano per la città divincolandosi nell’oppressione dei palazzi troppo alti e nella folla troppo rumorosa. L’albergo Nordot si trovava al numero 8 di Rue Saint Auguste, incastonato in un muro logoro dal tempo come un diamante prezioso montato su un anello di ottone. Pur mantenendo una parvenza di sfarzo, il piccolo Hotel a conduzione familiare ne aveva viste veramente tante, tante che persino il vecchio proprietario -Monsieur Jean Lacroix- sembrava essersene dimenticato. Se un tempo il Nordot era noto per la sua ottima cucina e per il suo vino di campagna fresco e pungente, o ancora per il viavai di personaggi famosi e il continuo passeggiare di coppie romantiche per quei luoghi, ora giaceva dimenticato nella sue Rue parigina silenzioso e poco visibile agli sguardi dei turisti. Monsieur Lacroix lamentava spesso la poca affluenza di clienti, che si perdevano la meravigliosa vista della Suite 1 o le buonissime pietanze che lo Chef continuava a preparare regolarmente, e spesso rimaneva ore chiuso nel suo studio a osservare vecchie foto in bianco e nero di quello che era stato il suo migliore affare.
Comprato per poco meno di qualche soldo, Jean aveva costruito quel piccolo Hotel da solo, con la forza delle sue braccia e l’amore di Matilda, l’unica donna che avesse davvero amato in tutta la sua vita. Aveva buttato tutto il suo sudore e tutti i suoi soldi in quello che considerava il suo progetto perfetto, e nel giro di qualche anno il Nordot aveva aperto i battenti. Prima pochi curiosi, poi folle sparse e infine orde di persone che accavallavano le prenotazioni solo per poter soggiornare tra quelle quatto mura su cui lui stesso aveva pianto e riversato tutti i suoi sforzi. E ora, asciugandosi una lacrima solitaria che solcava il viso creando un lucido solco sulla pelle rugosa, Jean Lacroix rimaneva incatenato ai ricordi, a quelle foto sbiadite dal tempo che non permettevano altra via di uscita da quel mondo così illusorio e ancorato al passato.
“Monsieur” bussò qualcuno alla porta “monsieur, la vogliono di là.”
“Arrivo. Dammi qualche minuto Josephine!” tossicchiò l’uomo tentando di camuffare inutilmente la tristezza nel tono della voce. La donna dall’altra parte dell’uscio socchiuse le palpebre e sospirò piano, scuotendo la testa un poco e passando piano lo sguardo sulla porta di legno massello finemente decorata. Il disegno di angeli ridenti intenti a intrecciare corone di fiori quasi strideva con la drammaticità del momento. Josephine sapeva bene che quelli nella hall erano creditori, e ciò significava altri debiti da pagare. La donna si passò una mano nei capelli castani striati di bianco, e lasciò che Monsieur Lacroix si ricomponesse prima di poter uscire e affrontare l’ennesima sfida della giornata.
“Andrà tutto bene Josephine. Te lo prometto.” Disse sicuro l’uomo una volta nel corridoio e Josephine annuì tirata. Lo conosceva da tantissimo tempo, e sapeva bene che dietro quella sbandierata sicurezza si celava un’altra crepa nel muro, un altro pianto silenzioso, un’ombra scura negli occhi.
“Lo so Monsieur. Mi fido ciecamente di lei.” Non era vero, ma per ora andava bene così. Celarsi dietro una bugia era l’unico modo per infondere sicurezza a quel vecchio stanco. “Io andrei giù. Credo che Sylvie abbia bisogno di una mano e non vorrei farla aspettare.”
“Vai cara, vai.” E si tuffò in direzione della hall, pronto per gettarsi in pasto a due leoni in giacca, cravatta e ventiquattro ore. Josephine lo osservò allontanarsi e scuotendo la testa si diresse verso le cucine, portandosi dietro il carrello con la biancheria, la schiena un po’ curva per lo sforzo e per il peso dell’ingombro. Josephine aveva cinquantadue anni portati esattamente come una cinquantenne dovrebbe fare: senza paura. Il naso un po’ adunco e la bocca dipinta di un rossetto color carne, qualche ruga disegnata intorno agli occhi e quel sorriso gioviale che la illuminava quando spuntava all’improvviso. I capelli, di un castano scuro e intenso, avevano lasciato il posto a numerose ciocche argentate che la donna non nascondeva, ma sulla quale anzi amava ironizzare efficacemente con le persone che la conoscevano. Faceva la cameriera al Nordot da ormai trent’anni e il lavoro con il tempo le aveva leggermente incurvato la schiena, appesantendole le spalle e lasciando con il tempo segni sul suocorpo. Ma quello era il lavoro che sapeva fare, e dentro quell’albergo aveva vissuto i migliori momenti della sua vita.
“Ero un bel bocconcino da giovane.” Diceva spesso e volentieri ridacchiando. E una parte di quella sbiadita bellezza si manifestava ancora nel suo modo gentile e negli occhi vispi e furbi, che scattavano attenti in cerca di nuovi colori e sfumature nel mondo. Da quegli occhi era stato catturato un giorno Marcel Bontot, un divo del cinema francese all’epoca poco apprezzato per le doti recitative ma molto apprezzato per quelle estetiche. Josephine spinse il carrello perdendosi nei ricordi di quelle giornate di passione, durante il servizio in camera, e nel sorriso di quell’uomo che credeva di amare. Marcel se n’era andato un mese dopo, lasciandole però un regalo inaspettato che ancora conservava gelosamente celato nelle cucine del Nordot. Aprendo la porta della Cuisine sorrise verso il più bel miracolo che il cielo le avesse dato e aspettò che si accorgesse di lei in silenzio, osservando i movimenti attenti vicino ai fornelli e le ciocche ambrate che uscivano dal cappello da cuoco. Quando Sylvie alzò lo sguardo, rispondendo al sorriso, prese un cucchiaio e prendendo della salsa che bolliva piano la alzò un poco verso la donna.
“Aragosta e porro. Accattivante ma delicata. Ti va di assaggiarla, maman?”
___________
 
Salve, o dovrei dire bonsoir!
Questa storia mi è sgorgata dalle dita con una malcelata ironia. Sì, perché dovete sapere che io degli One Direction so davvero poco, eppure mi sono ritrovata a leggere storie in inglese per puro caso. Sono entrata nel tunnel e mi è presa l’ispirazione fulminante, a un mese esatto dal prossimo esame all’università (e questo non è affatto buono). Beh, che dire. Ho tirato fuori 4 capitoli in una giornata (di media lunghezza) e ne so
no felicemente stupita.
Maman, nel caso ve lo steste chiedendo, in francese vuol dire mamma (ma no?)
Mentre il titolo, tratto dalla canzone di Carla Bruni Quelqu’un m’a dit si traduce Il destino si prende gioco di noi.
Ora voi vi chiederete: “ma se è una storia sugli One Direction, gli One Direction dove stanno?”
Eh beh, ne prossimo capitolo. Ovvio…
Alla prossima allora.
BUIO!
[PS - Ho ripostato la fanfiction correggendo alcuni errori e limandone alcune cose. Non me ne volete, sono alquanto pignola (leggasi rompipalle)]
   
 
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