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Autore: compulsive_thinker    09/05/2013    1 recensioni
Umyen era un Elfo piuttosto giovane e nei suoi appena centocinquant’anni di vita non aveva mai visto nulla di così perfetto come quella creatura. Edorel. Si alzò in piedi con un movimento aggraziato, attento a non far dondolare troppo la bambina, e si rivolse di nuovo alla regina:
“La proteggerò a costo della mia vita, ma chiedo di sapere la verità. Chi è?”

Edorel ha trascorso buona parte dei suoi quasi cinquemila anni di vita viaggiando continuamente, protetta dal fedele Umyen, ignorando il segreto delle sue origini. La sua decisione d'intraprendere il viaggio della Compagnia segnerà il suo destino e quello dell'intera Terra di Mezzo.
“Mi dispiace per quello che ha detto Umyen, non credo lo pensasse davvero.”
“Non m’interessa. Mi basta che tu sappia quanto ti sono riconoscente per avermi salvato la vita.”
“Non è stato solo merito mio.”
“Sì, invece. Ma non riuscirò mai a spiegartelo.”
Fece per tornare dagli altri, ma Edorel gli prese la mano e disse:
“Credo di capire. Avrei dato qualsiasi cosa per salvarti.”
“Avrei sopportato qualsiasi cosa per vederti di nuovo.”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA:
Ciaooooo!!
Nuovo giovedì, nuovo capitolo... Entriamo un po' più nel vivo degli eventi!! (era ora, direte voi! xD) Fatemi sapere cosa ne pensate!!
Un grande grazie a chi legge e recensisce, soprattutto Anaire_Celebrindal e Yavannah!
Godetevi il capitolo!
:*
C.


Capitolo 11

 
Tamburi nell’oscurità.
“Siamo quasi fuori dalla loro vista, correte!”
Non possiamo più uscire.
“Legolas, come sta?”
Il flagello di Balin.
L’intero mondo gli sembrava scorrere ovattato e confuso, un susseguirsi di voci, immagini e sensazioni. Il freddo buio del lago. L’oscurità calda e soffocante delle miniere. La luce del fuoco. Ghâsh1.
Aragorn aprì gli occhi e si mise a sedere di scatto. Il dolore lo ricacciò pesantemente a terra e gli annebbiò completamente la vista, sentì un rombo invadergli la testa e in quel brusio indistinto gli parve di cogliere la voce di Legolas.
“È sveglio, ma perde molto sangue.”
“Presto, nella sua borsa c’è ancora dell’athelas. Merry, prepara dell’acqua. Boromir, il fuoco!”
“Frodo e Sam sono feriti!”
“Pipino, pensa a loro!”
Tra il mormorio di voci che si sovrapponevano come ronzii di api operaie alla diligente ricerca del polline più dolce, una sola pareva catturare tutta l’attenzione e l’energia del ferito. Sentì una mano fresca posarsi sulla sua fronte, e dita sottili intrecciarsi alle sue.
“Aragorn, resisti. Starai bene, vedrai. Non arrenderti adesso.”
Se avesse potuto, il sovrano di Gondor avrebbe sfoggiato il suo miglior sorriso di sfida: l’ultima cosa che desiderava in quel momento era arrendersi. Lo doveva a tutta la Compagnia. Lo doveva a Gandalf.
La pietra tombale di Balin scintillava sotto l’unico raggio di sole che penetrava dall’esterno, fin dentro le viscere di quella maledetta miniera. Quella luce di un bianco accecante riverberava sulle lame delle spade che cozzavano. Gli Orchi erano giunti inaspettatamente, impazienti di gustare carne umana. La Compagnia non stava più combattendo per un grande ideale: lottavano per salvarsi la vita.
Il ricordo delle grida degli Orchi fu lentamente sostituito da deboli singhiozzi, che sembravano provenire da ogni angolo attorno a lui. L’uomo aprì gli occhi con grande difficoltà, e le sue pupille appannate videro la confusione sui volti dei suoi compagni. Frodo sedeva accanto a Sam, entrambi singhiozzavano. Tutti gli altri sembravano confusamente indaffarati, ma i loro contorni parevano sfocati. Un velo d’ombra cadde di nuovo sugli occhi di Aragorn.
Quel salone sembrava non finire mai. Le scure e spesse colonne si susseguivano senza sosta, illuminate solo debolmente dalla luce di Gandalf. Gli orchi scendevano dai pilastri come agili ragni, a centinaia. I dieci compagni non potevano far altro che tentare di sconfiggerli, anche se sembrava impossibile. Era dunque in quel luogo che si sarebbero compiuti tutti i loro giorni?
Una nuova fitta gli squassò il fianco, facendolo gemere e risvegliando davanti ai suoi occhi un altro brandello di ricordo.
Avevano quasi passato il ponte, ma il Balrog li inseguiva ancora e gli orchi li bersagliavano con le loro frecce. Guardava fisso verso l’uscita, sospingendo avanti gli Hobbit. Vide saettare la freccia e ne indovinò il tragitto in un attimo. Frodo correva pochi passi avanti a lui, poteva ancora salvarlo. Scattò in avanti e lo spinse con violenza a terra. Lo vide illeso e fece in tempo a sorridere, prima del dolore.
La mano di Edorel si mosse lungo la sua guancia, sfiorandogli le labbra e scese fino al petto. Quel contatto era come un sorso di miruvor dopo una giornata di neve, aveva il potere di sciogliere tutto il suo corpo e dargli pace. In meno di un istante, tuttavia, si ritrasse dal suo cuore come scottata, e tornò fredda a posarsi sulla sua fronte lasciandogli solamente il ricordo di una medicina più potente di qualsiasi rimedio elfico.
 
Edorel aveva già visto quel gioiello, non se lo sarebbe mai dimenticata. Era al collo di Arwen Undòmiel quando questa le si era scagliata contro a Imladris. E ora giaceva immacolato sul petto di Aragorn, freddo e splendente, come se non si curasse affatto della sorte dell’uomo cui era stato donato.
“Edorel, l’athelas non basterà mai per tutti, rischiano di non farcela!”
“Non pensarlo neanche, Pipino!”
Il piccolo Hobbit le si era avvicinato tenendo tra le mani quel poco che rimaneva della pianta di Granburrone, un ramoscello dalle foglie ingrigite e secche. La fissava con gli occhi velati di lacrime, come se avesse realizzato in quel momento che tutto quanto stavano vivendo era sbagliato e ingiusto, ma allo stesso tempo inevitabile. La ragazza lo strinse a sé e lo baciò sulla fronte, sperando di riuscire a tranquillizzarlo, poi aggiunse:
“Preparane un infuso con Boromir, vedrai che andrà tutto bene, te lo prometto!”
Si voltò nuovamente verso il ferito, cercando di impedirsi di piangere. Non voleva perdere la speranza di vederlo guarire.
Poco dopo, Legolas le porse un piccolo tegame e la ventata di quel delicato profumo riportò il sorriso sul suo volto.
“Sam e Frodo?”
“Se la caveranno: Frodo ha solo dei lividi, grazie alla cotta di Bilbo, Sam ha una brutta ferita, ma l’abbiamo medicato. Aragorn?”
“La ferita è profonda, ma devo vederla meglio per dire qualcosa. Aiutami a togliergli la camicia.”
L’uomo si lamentò debolmente, ma era ancora incosciente quando misero a nudo la ferita. Edorel osservò i lembi di carne lacerata e imprecò sommessamente.
“La freccia si è spezzata, una scheggia è ancora qui dentro. Cerca di tenerlo fermo, soffrirà.”
Esitò un istante prima di affondare le dita nella carne di Aragorn, guardando il suo bel viso deformato e contratto dal dolore. Si chinò a baciargli delicatamente la fronte, poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò:
“Mi dispiace.”
A quelle parole, egli riprese coscienza qualche istante, inclinò la testa e rispose in un sussurro:
“Grazie.”
Edorel poteva quasi sentire il suo dolore nel proprio petto, avrebbe dato qualsiasi cosa per non dovergli imporre ancora una sofferenza così grande. Una lacrima le scivolò lungo la guancia e si chinò a sfiorare le labbra dell’uomo con le proprie, per un solo istante.
Si riportò immediatamente davanti alla ferita, vi diede un’ultima occhiata e v’immerse le dita per estrarre dalla carne la punta di metallo. L’intera distesa di pietre e boschi, indietro fino ai Grandi Cancelli, risuonò per il grido di dolore del signore di Gondor.
 

*

 
“Non possiamo rimanere qui, o gli orchi ci troveranno!”
Boromir fu il primo ad avere il coraggio di dire ciò che tutti pensavano. Sedevano in quel luogo scoperto da troppo tempo ormai. Gimli annuì energicamente, imitato più timidamente dai due Hobbit illesi. Legolas aggiunse:
“Lothlòrien non è distante da qui. Potremo contare sulla protezione degli Elfi.”
“Si raccontano storie terribili su quel bosco, forse non è saggio rifugiarsi lì!”
Rispose il Nano, certamente poco entusiasta di ritrovarsi nel bel mezzo di un antico reame elfico.
“Non abbiamo altra scelta. Legolas, guidaci!”
Edorel rispose, secca, mentre asciugava con un lembo di stoffa la fronte di Aragorn, che ancora non accennava a riprendere conoscenza.
Sam rifiutò di essere trasportato, ma camminò con le sue gambe, sostenuto da Merry e Gimli. Boromir e Legolas improvvisarono una lettiga per trasportare Aragorn, mentre Edorel, Frodo e Pipino chiudevano la fila, assicurandosi di non essere seguiti.
La marcia fu difficile ed estenuante, ma tutti correvano al massimo della loro velocità, quasi che la prospettiva di trovare rifugio alla corte della regina Galadriel moltiplicasse le loro forze, per quanto provate. Verso il tramonto notarono il paesaggio mutare attorno a loro: gli alberi parevano più alti e vivi, le loro foglie viravano verso il colore del grano maturo e in lontananza si sentiva mormorare un torrente.
“Il sussurro del Nimrodel. Lòrien, finalmente!”
Legolas ascoltava rapito il mormorio dell’acqua, come se ne capisse le parole. Ne seguì il gorgoglio con la propria voce, cantando la triste storia di Nimrodel. A tutti era chiaro il dolore che emanava da quelle parole, anche se molti non ne comprendevano il significato, e tutti sentirono pungere un po’ più forte nel loro petto quella spina che li tormentava, la morte di Gandalf, caduto nell’ombra per salvarli. Si fermarono a riposare presso le radici di un grande albero, troppo stanchi persino per parlare. Boromir, invece, continuava a camminare nervosamente, guardandosi intorno.
“Non mi piace stare qui fermo, siamo ancora troppo vicini al limite del bosco!”
“Siamo esausti, non possiamo continuare.”
Replicò la ragazza, prendendo dai loro bagagli quelle poche provviste che rimanevano, le divise in parti uguali e le distribuì a ciascuno.
“Non pensi che dovremmo conservarle? Potremmo non trovare nulla di commestibile qui!”
Chiese Gimli, preoccupato di dover sopravvivere affidandosi alla dura corteccia di quei bizzarri alberi.
“Gli Elfi ci daranno cibo e ospitalità.”
Ribatté Legolas, come sfidando il Nano a sostenere altrimenti.
“Legolas ha ragione, dobbiamo mangiare e riposarci ora. Siamo al sicuro qui, aspettiamo che qualcuno ci trovi.”
Boromir non rispose alle parole di Edorel, prese soltanto la sua parte di razione andandosi a sedere accanto a Pipino e Merry, che sbocconcellavano il magro pasto, guardando verso Sam con aria preoccupata.
“E se non fossero gli Elfi a trovarci per primi? Se gli Orchi arrivassero fin qui?”
Frodo parlò per la prima volta da tempo, alzandosi dal posto che occupava accanto a Sam. Voleva fidarsi di Edorel, ma si era fidato prima di Gandalf, poi di Granpasso. Sembrava che fossero tutti destinati a cadere per colpa sua, desiderava solo evitare che succedesse ad altri.
“Non si avventureranno fuori dalla miniera fino al calare della notte. Riposate per qualche ora, non partiremo prima del tramonto.”
Così dicendo, la ragazza si chinò su Aragorn e constatò che ancora non accennava a riprendere conoscenza. I suoi occhi guizzavano rapidi sotto le palpebre, come se fosse immerso in un sonno profondo. Edorel sperò che almeno il sogno gli desse pace e desiderò trovare anche per sé un po’ di serenità. Si sentì pesare sul cuore tutto ciò che era successo nell’ultimo giorno e temette di esserne sopraffatta. Appoggiò la mano contro quella dell’uomo steso davanti a lei, sperando che entrambi potessero ricevere forza da quel gesto, e ne ricevette una stretta debole ma chiara, che riaccese la speranza nel suo cuore e un sorriso sul suo volto.
Uno dopo l’altro, i compagni caddero preda della stanchezza, che ebbe la meglio su dolore e paura. Edorel posò la testa sul petto di Aragorn e si lasciò sprofondare nel sonno, sperando di sentire ancora al risveglio quel debole battito sotto la guancia.
 
Un fruscio di foglie quasi impercettibile strappò Sam dal bel sogno in cui era immerso. La ferita non faceva più molto male, ma avrebbe preferito rimanere a dormire per giorni e giorni. Naturalmente, non l’avrebbe mai detto al padron Frodo, né l’avrebbe abbandonato per alcuna ragione. Sperava solo che decidesse di fermarsi per un po’ nel bosco.
Era buio, ma sembrava che tra gli alberi guizzassero delle deboli luci grigiastre. Lo Hobbit si alzò in piedi di scatto, e si trovò una mano posata sulla bocca. Era di Boromir, in piedi alle sue spalle con la spada sguainata, che lo lasciò andare, invitandolo a restare in silenzio. Accanto all’uomo c’era anche Gimli, che si guardava attorno con sospetto, brandendo l’ascia. Gli altri dormivano profondamente, ma non c’era traccia di Legolas da nessuna parte. L’uomo gli fece cenno di armarsi senza far rumore e Sam non ci pensò due volte. Quasi inciampò nel tentativo di prendere la piccola spada che gli avevano dato a Granburrone. Con mani tremanti, afferrò per sbaglio Pungolo e la estrasse dal fodero. Avrebbe voluto strillare di gioia: la lama era del tutto opaca, salvo che per i deboli riflessi lunari, ovattati dal fogliame. La mostrò a Gimli, che rispose con uno sguardo piuttosto eloquente: orchi e goblin non erano certo le uniche creature che potessero minacciarli!
Le luci si facevano sempre più vicine a loro, finché non li illuminarono completamente, rivelando anche coloro che le portavano. Si trattava di Elfi, senza dubbio, con lunghi mantelli grigi e volti coperti dai cappucci. Insieme a loro c’era Legolas, che subito disse:
“Non possiamo perdere tempo, dobbiamo andarcene. Stanno arrivando degli Orchi.”
A quelle parole, Sam si lanciò subito a svegliare gli altri Hobbit. Pipino impiegò un paio di minuti a capire cosa stesse succedendo, ma appena colse la parola “orchi” nel confuso blaterare di Sam scattò in piedi e quasi si scontrò con uno dei silenziosi Elfi. In pochissimo tempo, la Compagnia fu scortata fino a un albero da cui pendeva una sottile scala di corda, che venne innalzata subito dopo che tutti furono saliti, non senza qualche difficoltà.
Stremata e frastornata, Edorel si stese su un pavimento di legno ruvido e si raggomitolò su un fianco, desiderando soltanto di dormire ancora un po’, finché il sole non l’avesse svegliata con il meraviglioso spettacolo dell’alba. Chiuse gli occhi e si trovò sprofondata in uno strano sogno: Orchi correvano sotto di lei, inseguiti e braccati da figure leggere e invisibili. I loro acuti strilli e il passo pesante della loro disordinata fuga si affievolirono man mano, e fu solo il buio.



1Fuoco, linguaggio dei Nani
  
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