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Autore: Stregatta    10/05/2013    6 recensioni
- E poi, boh... L'idea di un oggetto freddo ed inanimato che prende vita grazie ad una collisione del tutto casuale è stupenda. Ti fa pensare che non c'è limite alle possibilità che... Che anche la situazione più estrema, in senso negativo, si possa risolvere un giorno, per caso... E per il più stupido dei motivi. Un asteroide che paragonato alla massa di un pianeta è poco più di sasso vicino ad una montagna. -
{Uno sfigato, uno svitato, uno che passava per caso.}
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Energia del vuoto

 

 

 

Nel primo pomeriggio di quella domenica pigra e bigia, Dom vegetava sul divano del suo soggiorno in preda alla noia più esasperante.

Stava meditando di andare a fare una passeggiata sul lungomare, quando i suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono in corridoio.

Sua madre si precipitò a rispondere.

- Pronto?

Passò qualche secondo e poi la sentì riattaccare, commentando perplessa: - Avranno sbagliato numero...

Per qualche motivo, Dom ebbe la sensazione che in realtà l'interlocutore il numero l'avesse decisamente azzeccato, e che avesse terminato la chiamata proprio per questo motivo.

Il telefono squillò ancora, e Dom esclamò: - Vado io!

Ghignando fra sé e sé, rispose.

- Pronto?

Dall'altra parte della cornetta, Matthew iniziò a parlare freneticamente: - Dom! Prima deve essere caduta la linea perché ad un certo punto-

- Ma certo. Che ti serve?

- Mhm... Domani ho il compito di francese.

- Ok...?

- E non so un cazzo, ovviamente.

- Mhm.

- E quindi mi chiedevo se potessi... Cioè, se non hai già da fare perché è domenica e magari devi fare i compiti per domani e...

- Li ho fatti stamattina.

Era inutile girarci attorno.

- Vuoi una mano?

- Esatto! - esclamò entusiasta Matthew.

Dom alzò gli occhi al cielo.

- Cos'è? Grammatica, letteratura...

- Grammatica.

- Cioè devi solo imparare un paio di regole a memoria.

Dom dovette allontanare la cornetta dall'orecchio quando Matthew proruppe: - Un paio di milioni, vorrai dire! Odio il francese, è la lingua più insulsa al mondo, con tutti quei suoni viscidi e il congiuntivo e le coniugazioni e-

- Va bene, va bene!

- Uh? Davvero? Cioè, mi aiuterai?

In tono volutamente indifferente, Dom confermò: - Non ho niente da fare, quindi... Quando posso venire?

- Possiamo studiare da te, per favore?

Se Matthew Bellamy chiedeva qualcosa “per favore”, di qualunque cosa si trattasse doveva essere davvero importante per lui.

- Ok.

- Allora arrivo subito!

- Wow, quanta fre-

Dom non terminò la frase, perché ad ascoltarlo c'era solo il segnale acustico di libero del telefono.

 

Era da un po' che non si sentivano, precisamente dalla sera della Battle of Bands.

Nonostante da allora la posizione di Dom nei confronti di Matthew si fosse ammorbidita, questi non aveva cercato di trarre vantaggio dalla situazione: era letteralmente sparito nel nulla, forse preso dallo studio o... Be', dalle cose che gli piacevano. Ad ogni modo, quello era il primo segno di vita che aveva deciso di dare.

Non che per Dom ciò costituisse un problema... Era solo un po' strano. In fondo, quello che Matthew voleva era essergli amico, no? Eppure, una volta raggiunto – o quasi - lo scopo prefisso, pareva essersene dimenticato.

Magari qualcosa bolliva in pentola... Da Matthew Bellamy era ragionevole aspettarsi di tutto.

Quindi, Dom aveva deciso di dargli spago e stare a vedere cosa sarebbe successo.

 

 

Mezz'ora dopo la telefonata, Dom aprì la porta alla versione più paonazza ed ansimante di Matthew Bellamy che avesse mai visto; di conseguenza, si allarmò un po'.

- … che è successo?

Fra un ansito e l'altro, Matthew trovò il modo di formulare una risposta.

- Ho... Corso.... Autobus... Domenica... Niente...

Quasi sbatté in faccia a Dom un mazzo di fiori bianchi, gli steli tenuti insieme da carta stagnola e qualche giro di spago.

- Sono fresie... Per tua madre.... Quest'anno sono... Fiorite con qualche giorno d'anticipo...

Lupus in fabula, proprio in quel momento Diane uscì dalla cucina chiedendo: - Dom, hanno suonato alla porta?

Lo sguardo le cadde su Matthew, poi sul mazzo di fiori, poi su suo figlio.

Quest'ultimo borbottò, arrossendo un po': - Le ha portate per te.

Visto che l'ospite era apparentemente deciso a restare impalato sulla soglia di casa Diane gli venne incontro, affondando il naso fra le corolle dei fiori e cinguettando: - Che bel pensiero!

- Squisito, sì... Noi andiamo in camera, ora. - tagliò corto Dom, tirando Matthew per una manica della felpa e dirigendosi verso le scale.

Prima cominciamo a studiare, prima finiamo.

 

 

Matthew non sembrava avere molta fretta di iniziare: invece di mettere mano ai libri gironzolava per la stanza, prendendo in mano il primo oggetto che gli capitava a tiro, toccandolo, rimirandolo, a volte persino annusandolo. Sembrava incapace di prendere una posizione stabile come Dom, che già si era accomodato sul letto aspettando che l'altro lo raggiungesse.

Ad un certo punto Matthew raggiunse la batteria, e Dom si irrigidì istantaneamente; si accorse di stare trattenendo il fiato, nel controllare che l'ospite non si prendesse troppa confidenza con la sua piccola.

Suonava anche lui... Forse non serviva proibirgli di toccarla, l'avrebbe capito da sé.

- È tenuta molto bene... - sussurrò Matthew, chinandosi a rimirare più da vicino, per motivi ignoti, la grancassa.

Dom non riuscì a trattenere una nota di orgoglio nel rispondere: - Ovviamente.

Lasciò andare un sospiro, quando Matthew si avviò finalmente a raggiungerlo sul letto: questi prese il suo zaino e lo sbattè con disinvoltura sul materasso.

Sorridendo, iniziò: - Dopo possiamo...?

- Sei venuto a cazzeggiare o a studiare? - sbottò Dom, e Matthew assunse un'aria piuttosto offesa.

- Ho detto “dopo”, rilassati.

Dom si stava innervosendo.

Da un lato, non intendeva concedere alcun margine di vantaggio al suo ospite – giocava in casa, e voleva che Matthew non lo dimenticasse: dall'altro, il fatto che il tentativo di far pesare la propria “superiorità” probabilmente fosse superfluo e vagamente ridicolo non gli era per niente sfuggito.

Ergo, cercò di mantenere una certa compostezza e contemporaneamente di non recedere dalla sua posizione privilegiata.

- Comunque... No.

- Non mi hai dato neanche il tempo di parlare, come fai a rifiutare la mia proposta?

Ironicamente, ma non troppo, Dom rispose: - Be', tendenzialmente è così che funziona... Tu mi proponi qualcosa, io rifiuto, tu insisti, io rifiuto di nuovo e via discorrendo all'infinito.

La faccia di Matthew era quella di un bambino molto, molto deluso.

- Be'... Mi sento un po' castrato.

Dom roteò gli occhi, per poi ordinargli: - Siediti, e prendi i libri.

 

 

 

Un conto era odiare una materia con tutto il cuore, ed un conto era odiarla con tutto il cuore essendo totalmente incapaci di afferrare anche il più basilare dei concetti relativi ad essa.

Sfortunatamente, Matthew aveva non solo difficoltà a ricordare ed applicare le regole grammaticali del francese, ma anche una pronuncia che, nonostante i tentativi di Dom per correggerla, restava poco più che mediocre.

Più per sincero sbigottimento che allo scopo di insultarlo, dopo una frustrante ora passata sui libri Dom chiese a Matthew: - Come diamine fai a fare così schifo?

L'altro chiuse il libro di scatto, lamentandosi: - Se solo me ne fregasse qualcosa! Tutto quello che so del francese viene dal Samson et Dalila.

- Mhm?

- Samson et Dalila, di Camille Saint-Saëns.

- … mhm?

- Cazzo, davvero non conosci Camille Saint-Saëns? Danse Macabre? Mon Coeur S'ouvre à Ta Voix?

Di fronte allo sguardo vacuo di Dom, Matthew iniziò a cantare su un motivo effettivamente familiare qualcosa che suonava più o meno così: - Aaawiponz... Wipooonz ama tandweeesss...

- Che lingua sarebbe quella? Perché sono abbastanza sicuro che non sia francese.

- Oooh, non prendermi per il culo.

Dom rise, e chiese di getto: - Ti piace l'opera, quindi?

Il suo ospite si sdraiò sul letto, quasi calciando via i libri, e rispose: - Non sono un esperto, però ci sono delle cose che mi tolgono letteralmente il fiato.

- Aw.

- Ripeto, non prendermi per il culo.

Erano evidentemente in pausa, quindi Dom mise da parte i libri per sedersi più comodamente.

Gli era tornata in mente una cosa.

- Che volevi fare, prima?

- Hai altri strumenti, in casa?

- Una chitarra acustica, da qualche parte.

- Tirala fuori.

Dom restò in silenzio, titubante, e Matthew insistette entusiasta: - Dai, facciamo qualcosa di divertente... Una jam-session!

- Non ho mai suonato in compagnia.

Quella frase suonava così... Strana, detta ad alta voce.

O forse “strana” non era l'aggettivo giusto.

- Mai? Wow.

incredibilmente deprimente, magari?

Con una spallucciata, Matthew disse: - Io suonavo con papà ed i suoi amici, prima che se ne andasse a pascere canguri in Australia.

Dom ridacchiò.

- Wow, quindi tuo padre è un allevatore di canguri? -

- Può darsi, conoscendolo. L'ultima volta che l'ho sentito faceva il tassista, ma prima è stato... Be', un sacco di cose.

Matthew gesticolò freneticamente come a cancellare quella digressione su suo padre per far ritorno all'argomento principale della conversazione: - Insomma, quand'ero piccolo papà invitava a casa i suoi ex-compagni di band... I Tornados, li conosci? Quelli di-

- Telstar? - lo prevenne Dom.

- Esatto! Allora, dopo mangiato ci mettevamo in taverna a suonare... Li accompagnavo al piano.

Matthew sorrise, continuando a raccontare: - È divertente persino se con la musica non c'entri niente... Mia madre è stonata come una campana, ma ogni tanto duettava con papà solo per fare un po' di casino. Sai, magari si mettevano a cantare Something Stupid di Frank Sinatra e mamma cercava disperatamente di azzeccare le note del controcanto e mai una volta che ci riuscisse! Mio padre aveva una pazienza spaventosa, perché ogni volta che si presentavano queste occasioni non la zittiva mai come avrebbe meritato... Pensa che una volta...

Era partito per la tangente, ormai.

Dom si sentiva come quei cagnolini dalla testa penzoloni, ridotto com'era ad annuire e prodursi in qualche occasionale “mhm” e “ah”; tuttavia, la cosa non lo urtava più di tanto perché Matthew iniziava – lo ammise a se stesso con estrema difficoltà – ad incuriosirlo sul serio, e non solo per i suoi famigerati trascorsi.

La sua vita doveva essere stata parecchio interessante, prima di trasferirsi nella vecchia Tinmuffa.

- … non volevo divagare, scusa.

- Figurati.

- Quindi? Suoniamo o no?

Dom esitò un attimo, prima di rispondere.

- No.

Si precipitò a spiegare: - Cioè, la chitarra ce l'ho ma è in cantina e dovrei prima scatastare un mucchio di roba per prenderla, perciò...

Matthew lo guardò con aria indecifrabile.

- Ok... Ma non mi va di rimettermi a studiare questa merda.

- A me non va di spiegartela... Ho la gola secca e mi sta venendo il mal di testa.

- Allora, boh... Tu che mi racconti?

- Eh?

- Ti ho riempito di chiacchiere, è arrivato il momento di vendicarti.

A disagio, Dom tentò di ironizzare: - Ti ho appena detto che ho la gola secca o sbaglio...?

- Andiaaamo...! - cantilenò Matthew, allungandosi a punzecchiargli un fianco con l'indice.

Dom cercò di colpirgli la mano con uno schiaffo, ma l'altro fu più veloce di lui e la ritrasse con una risatina.

- Che vuoi sapere?

- Non mi scandalizza quasi niente, quindi... Sbizzarrisciti.

- Non ho niente da raccontare.

- Tutti ce l'hanno.

- Davvero... Sono una persona abbastanza noiosa.

Matthew non sembrava affatto intenzionato a desistere, nonostante la ritrosia di Dom.

- Hai un sogno nel cassetto?

- Uhm... Boh, no.

- Libro preferito?

- Mhm...

- Gruppo preferito?

- ...

- … piatto preferito?

Esasperato, Dom disse: - Basta... Lo vedi? Sono deprimente... Studio, suono la batteria e mi rompo le palle.

Il momento era particolare. Matthew lo studiava attentamente, con quegli occhietti azzurri che davano l'impressione di non tralasciare alcun dettaglio di quanto lo circondava, e Dom non sapeva cosa dire, né cosa fare.

Il suono delle sue stesse parole, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, produsse in lui un senso insolito di straniamento – si rese conto di non aver mai neanche formulato un pensiero che somigliasse alla sua ultima affermazione.

Abbassò lo sguardo, cercando con cura le parole per proseguire quella strana conversazione – sempre galleggiando in quello stato d'animo indefinibile.

- Quando non hai... Stimoli... È inevitabile ritrovarsi soli, credo. È quasi giusto.

- Essere soli non è giusto. - ribatté prontamente Matthew, con voce insolitamente pacata.

- Chi vuole una persona noiosa e senza interessi come amica, scusa?

Matthew si indicò, dicendo: - Be', io di interessi ne ho un miliardo, e guardami...

Dom non trovò una replica adatta.

Entrambi restarono seduti sul letto per un istante, in silenzio; poi Matthew balzò a terra, iniziando a riporre i libri nello zaino.

- Vado a casa... Grazie dell'aiuto.

- Non c'è di che. - mormorò Dom, restando fermo nella propria posizione.

In un rigurgito improvviso di educazione, si affrettò a dire: - Ti accompagno alla porta...

- Naah, ci arrivo da solo.

- In bocca al lupo per domani.

- Crepi... Ti farò sapere.

Prima che Matthew uscisse dalla stanza, Dom quasi urlò: - Se vuoi venire a suonare...

Arrossì, ma continuò.

- … facciamo quando mia madre non c'è, così non la disturbiamo.

L'altro mise su una faccia fintamente inorridita.

- … mi stai invitando quando tua madre non c'è? Sono un ragazzo serio, io.

Per l'ennesima volta, Dom alzò gli occhi al cielo.

 

 

Continuava a pensarci: persino a cena, tirò fuori l'argomento con sua madre.

- Ce l'ho un piatto preferito?

Diane non si aspettava la domanda .

- … non saprei. - rispose, e sembrò che il fatto la perplimesse più o meno quanto perplimeva Dom.

Quest'ultimo suggerì: - Forse le lasagne. O la pizza. - rivolgendosi più a se stesso che alla madre: poi guardò dentro il proprio piatto, borbottando: - Di sicuro non sono i broccoli al vapore. - e riprese a mangiare in silenzio, mentre Diane lo fissava dall'altro capo del tavolo.

 

Dopo cena, Dom non aveva molta voglia di guardare la TV.

Andò in camera sua, e si piazzò di fronte alla piccola libreria sulla quale era radunata la sua collezione di videocassette, musicassette e libri.

Doveva esserci qualcosa che gli piacesse veramente tanto, no?

laddove la parola chiave era “doveva”.

Insomma, era sopravvissuto per sedici anni senza avere un film preferito, forse non costituiva un requisito fondamentale averne uno. Apprezzava diverse cose, dopotutto, suonare la batteria in primis.

Cosa c'era di male a non essere degli estremisti, nell'amare qualcosa?

- Giusto. - Dom si diede ragione da solo, ad alta voce.

Nonostante ciò passò in rassegna ogni titolo, attribuendo ad ognuno un buon motivo per essere lì sullo scaffale. A volte non era così facile: molti libri erano classici della letteratura cosidetta “per ragazzi”, e adesso li trovava un po' soporiferi e datati - che diamine, Pattini d'Argento? Pinocchio? Seriamente.

Lo stesso valeva per i film, e persino per la musica – Le Più Belle Colonne Sonore dei Film Disney vol. II, porca troia!

Quella libreria era stracolma di roba sua che in realtà non gli apparteneva affatto. Piaceva ad un se stesso più piccolo, era stata acquistata per lui e goduta da lui. Quasi un'altra persona, insomma.

Dom non ci aveva mai fatto caso. A dodici anni ricordava di essersi liberato dei Lego, le automobiline e gli altri giocattoli con i quali non giocava più da qualche tempo, ma il resto era rimasto lì perché non l'aveva sostituito con nient'altro. Lo spazio dedicato alle cose che gli piacevano in quel momento era minuscolo, se non si contava quello occupato dalla batteria.

- Perché? - mormorò, sedendosi sul bordo del letto e restandovi per un buon quarto d'ora semplicemente a riflettere.

 

 

Qualche giorno dopo, mentre era in pausa dalla sua corvèe in biblioteca, chiese a Chris: - Qual è il tuo gruppo preferito?

Chris estrasse un paio di patatine dal sacchetto, cacciandosele in bocca e masticandole con aria meditabonda.

- Vuoi davvero saperlo? - bofonchiò a bocca piena.

Dom annuì, appoggiandosi con la schiena al distributore delle merendine.

Senza guardarlo, Chris disse a mezza bocca: - Gli Status Quo.

- … oh. - mormorò Dom.

Probabilmente, l'altro era abituato a quel tipo di reazione.

- Ecco, capisci perché non lo racconto in giro? - rise, ed allargò le braccia in un gesto di rassegnata impotenza.

- La prima volta che l'ho detto ai ragazzi hanno riso per cinque minuti di fila. Li ho cronometrati.

- Be'... Whatever You Want è un gran pezzo.

- Scommetto che conosci solo quello. - Chris scosse il capo, sbuffando rumorosamente. Ad ogni modo, non sembrava arrabbiato.

Pescò quel che rimaneva sul fondo del sacchetto di patatine, chiedendo: - E tu, invece? Hai un gruppo preferito?

Dom storse la bocca in una smorfietta dubbiosa.

- No... Né tantomeno un cantante, o una cantante.

- Vabbe', non dirlo con quella faccia... Mica è un crimine.

- Lo so.

A giudicare da come restarono entrambi in silenzio, appoggiati al distributore e fissando la parete del corridoio di fronte a loro con aria piuttosto pensierosa, la faccenda sembrava invece delle più complicate da gestire.

- Lo vuoi un mix?

- Eh?

Chris si spiegò: - È uno dei miei hobby, faccio un sacco di mix su cassetta e poi li rifilo a chiunque conosco oppure li tengo per me, semplicemente.

Sospirando, continuò: - Ti inviterei a casa mia per ascoltare un po' di roba, ma ho un milione di fratelli e stanno sempre fra i piedi... Io ci sono abituato, ormai, però sai com'è...

- Puoi venire tu da me. Cioè, se ti va e quando hai tempo.

L'invito era venuto fuori con sufficiente naturalezza, forse perché era veramente sbucato dal nulla anziché essere frutto di migliaia di seghe mentali precedenti.

Per la propria improvvisa disinvoltura, Dom si premiò con una virtuale pacca sulla spalla.

- Ok! - accettò con entusiasmo Chris. - Quando?

- Anche domani, se per te va bene.

- Va benissimo, direi.

- Benissimo. - ripetè Dom, soddisfatto.

 

Appena tornato a casa, recuperò uno scatolone vuoto dalla cantina e mise via i reperti più imbarazzanti che campeggiavano in bella vista sullo scaffale in camera sua – probabilmente avrebbe dovuto farlo prima, quando Matthew era venuto a studiare da lui... Era sorprendente come ciò non gli fosse sovvenuto. O forse non lo era più di tanto, visto e considerato che non riceveva visite da anni ed quindi era abituato a vedere il posto in cui viveva per la maggior parte del tempo solo attraverso i propri occhi, il suo personale punto di vista.

cazzo, si era davvero tanto rinselvatichito da fregarsene a tal punto delle apparenze? E chissà se ciò era davvero un male.

 

Ad accogliere l'ospite fu sua madre, stavolta.

Se Diane fosse stata il personaggio di un cartone animato, i suoi occhi avrebbero preso la forma di due cuoricini.

- Finalmente ci conosciamo! Ma guarda quanto sei alto! E che bei riccioli! Mi ricordi qualcuno... Tua madre lavora al negozio di souvenir vicino al Pier, per caso?

Dom intercettò lo sguardo visibilmente intimorito di Chris prima ancora di iniziare a scendere l'ultima rampa di scale che portava fino al corridoio.

Tutto d'un fiato, esclamò: - Ciao, Chris! Andiamo di sopra? Andiamo di sopra. - facendo poi strada all'altro mentre Diane trillava: - Se avete bisogno di me sono qui!

- Mi ricorda un po' la mia. - bisbigliò Chris, quando arrivarono alla porta della camera di Dom.

Questi gettò una breve occhiata verso le scale, rispondendo: - Mi dispiace, allora.

Poi aprì la porta con gesto teatrale, indicando l'interno della stanza ed annunciando: - Questo è il mio buco.

Chris annuì e si guardò attorno, sotto lo sguardo attento di Dom che non poteva fare a meno di sentirsi un po' sotto esame, ed al tempo stesso di studiare il proprio ospite.

Rispetto a quella di Matthew, la presenza di Chris era diametralmente opposta: anche in un ambiente non familiare, il suo modo di fare trasmetteva la tranquillità di sempre.

- Hai una gran bella batteria.

- Vero. - ghignò Dom.

- Per la mia non c'è più posto, in casa... I miei hanno concepito un paio di figli di troppo, qualche tempo fa.

- A quanto pare i miei hanno deciso che dopo di me non potevano aspirare a niente di meglio, invece.

Chris si voltò verso di lui, ridendo.

- Oggi ti senti un figo, Howard, vero?

Dom stava per negare vigorosamente quanto suggerito dall'altro, ma ci ripensò.

In effetti, il suo umore era buono... Più che buono.

- Posso...?

Chris aveva in mano una cassetta, e stava indicando il piccolo stereo portatile di Dom.

- Certo, certo.

Si accomodarono sul letto, in attesa che la musica partisse.

La prima traccia del mix era Kashmir, dei Led Zeppelin.

- Questa la conosco.

- Chiunque non viva sotto un sasso o su Marte la conosce.

Verso la metà del brano, Chris iniziò ad illustrare il tema attorno al quale ruotava la sua compilation.

- Mi hai detto che non hai un gruppo preferito, giusto? Ecco, ho pensato che fosse una buona idea partire da quello che piace a me...

- Questo vuol dire che ci sono anche gli Status Quo?

- … guarda che me ne vado, eh.

Dom scoppiò a ridere, gesticolando per invitare Chris a riprendere il discorso.

- Stavo dicendo... Ho preso il meglio della gente che ascolto di solito e l'ho messo qui.

- Ci vuole molto tempo per fare una cosa del genere? - chiese Dom, stringendosi le ginocchia al petto ed appoggiandovi il mento sopra.

- Un po'... Però mi diverto, quindi non è un problema.

Da quell'istante in poi non parlarono più: si sdraiarono l'uno accanto all'altro, ascoltando in religioso silenzio ogni singola canzone.

Dom era così concentrato sulla musica che sussultò violentemente al sentire la voce di Chris che gli domandava a bruciapelo: - Ti sei divertito, la sera della Battle of Bands? Voglio dire... Sei stato bene con noi?

- Sì, certo.

- Sai, non ci hai più cercato da allora... Credevo ti fossi annoiato o che ti avessimo dato sui nervi.

- Non... - mormorò Dom, un po' a disagio. - … non è così.

Chris si stiracchiò, guardandolo di sbieco.

- Sei sempre il solito timidone, quindi? Perché ti assicuro che se avessi detto qualche parola in più nessuno ti avrebbe mangiato. - scherzò.

Quasi a voler confermare le impressioni dell'altro, Dom arrossì.

- Che animale strano sei, Howard.

- Come si intitola questa canzone? - disse precipitosamente Dom.

- Territorial Pissings... Nirvana.

- Ecco, l'avevo già sentita ma non ricordavo il titolo.

- Questa la suoniamo bene, per esempio... Solo che Lyle non strilla abbastanza. Ci vorrebbe un frontman più incazzato.

- Cambiatelo. - suggerì Dom con leggerezza.

Chris invece gli rispose quasi tristemente: - Magari... Lui è quello che ha gli agganci, il posto in cui suonare, pacchi di soldi a non finire...

Dom restò colpito dal tono che il suo interlocutore aveva utilizzato.

Si schiarì la voce, prima di sussurrare: - Vuoi proprio farlo, quindi...? Intendo, come mestiere.

- Sì. - fu la replica. Netta, decisa e concisa.

Prima che potesse fermarlo, dalla bocca di Dom uscì un - E perché? - quasi soffiato, come se la domanda fosse troppo impertinente o intima.

- Be'... Perché mi piace. Insomma, tu per quale motivo suoni?

Che fosse un interrogativo retorico o meno Dom ci rifletté davvero, e si ritrovò persino ad ammettere con cauta sincerità qualcosa che – di nuovo – non aveva mai formulato a parole.

- Suono perché... Perché quando lo faccio non penso a niente.

- Ti senti libero, tipo? -

- No, è anche meglio... Quando suono non mi sento. Non sono più io.

- Whoa... Un trip, praticamente.

Chris alzò le mani: - Scusa, scusa... Così la faccio sembrare una cazzata.

Dom sbuffò una risatina, prima di schernirsi: - Magari lo è... Ultimamente ne dico parecchie.

- Mhm... Comunque, metto il lato B? Ma devo avvertirti... Non ho resistito.

- … lo sapevo, ci hai messo gli Status Quo.

- Ma c'è anche altro dei Nirvana... Con loro ho abbondato.

 

 

 

Di notte, i Nirvana lo mettevano a disagio. Attorno a lui c'erano buio, silenzio e lo spazio vuoto lasciato dalle cose di quand'era bambino, quelle cose che stridevano più che mai con ciò che sentiva di essere, o di stare diventando. Dalle cuffie del walkman venivano suoni che a volte esprimevano rabbia, altre amaro sarcasmo – quello di Cobain era un dolore strano, amorfo, sconnesso, immotivato... Ma c'era, evidentemente.

Doveva essere tremendo soffrire così, non vedere mai la forma del proprio malessere ed urlare inutilmente mentre il dolore ti ingoiava come le sabbie mobili. Ovvio che l'unica soluzione a tutto questo fosse un colpo di pistola, e arrivederci.

Il disagio di Dom aumentava, traccia dopo traccia.

Lasciò andare un sospiro per ottenere un po' di sollievo dalla pesantezza che gli opprimeva il torace.

Non poteva farci niente, quella musica lo stava caricando di roba - era come essere svuotato e poi riempito di qualcosa che non fosse suo. Qualcosa di freddo, che puzzava e faceva male.

Quella musica era lo schifo. Non uno schifo, lo schifo. Di ogni cosa, e soprattutto di se stesso.

L'ultimo brano finì, e Dom spense il walkman.

Non aveva la minima idea di cosa fare, quindi restò immobile fra le lenzuola fin quando non si addormentò alle prime, consolatorie luci dell'alba.

 

 

L'energia del vuoto, secondo Wikipedia, è “un'energia presente in stato latente nello spazio anche quando privo di materia” (finalmente mi sono ricordata di linkarvi il significato di uno stramaledetto titolo, tre urrà per me \O/).

Che dire... Questo è il momento in cui di solito mi scuso per la lentezza con la quale aggiorno e shallalà – oggi, tho, non solo mi scuso ma vi garantisco che sto elaborando una parvenza di trama VERA (omg!) per i capitoli a venire. Qualcosa che comprenda ostacoli da superare ed obiettivi da raggiungere e non solo lo sciame di microterremoti emotivi che comporta il fare amicizia quando sei il Principe degli Introversi-Snob-Timidi. Shocking, I know.

Al di là di tutto questo rantare (e avrei rantato anche di più perché sono un'egocentrica schifosa, ecco), ciao a tutti e grazie dell'attenzione. ♥

   
 
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