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Autore: Nagem    10/05/2013    2 recensioni
Rockfield Studios, Maggio 1995.
E se dopo il famoso litigio tra i due fratelli durante la lavorazione di "(What's the story) Morning Glory?" Liam - e non Noel per una volta - avesse deciso di mollare tutto? Che ne sarebbe stato di lui? E di Noel? Gli Oasis avrebbero avuto lo stesso successo?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Liam Gallagher, Noel Gallagher
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15.

Dalmeny, 21 settembre 1997

Sophie teneva il regalo per Liam con due mani mentre si guardava intorno per il soggiorno cercando il posto migliore per farglielo trovare. L’idea le era venuta mesi prima ma aveva impiegato diverso tempo per decidersi, aveva paura di fare la scelta sbagliata, di forzarlo quando invece voleva solo incoraggiarlo. Non c’era nessuna ragione per abbandonare proprio tutto tutto della sua vecchia vita, qualcosa poteva sempre tenersela, no? Provò ad appoggiarla sul divano ma non le piaceva, così in penombra. Fece una pila di libri sul tavolino e l’appoggiò lì, era in equilibrio precario ma con un po’ di fortuna avrebbe resistito alla forza di gravità. “Ok, qua è perfetta. Adesso devo solo aspettare il festeggiato” pensò guardando il piccolo orologio da polso. Considerando che Liam aveva appena finito il turno calcolò che sarebbe arrivato dopo qualche minuto, visto che Mood’s distava da casa loro poche centinaia di metri.

Ma Sophie, che pure era una ritardataria cronica, non sopportava di aspettare alcunché, soprattutto quando era impaziente ed eccitata come in quel momento. Prese al volo una sciarpa di stoffa leggera e gli andò incontro. Girò l’angolo e lo vide subito, con quella camminata che era un suo segno distintivo e che neanche tutta la fisioterapia fatta l’anno precedente era riuscita a modificare, Liam giurava e spergiurava di aver sempre camminato così, ma Sophie non se n’era mai convinta del tutto. Gli andò incontro sorridente mentre lui sorridendo a sua volta allungava il passo per raggiungerla prima ma Sophie lo spiazzò: erano arrivati uno di fronte all’altra quando lei lo superò di un passo, gli girò intorno e con una mossa veloce lo bendò con la sciarpa. “Ma che cazzo …?”, “Dai non protestare, è una sorpresa, muoviti!” gli disse mettendogli le mani sui fianchi e iniziando a spingerlo verso casa.

Procedettero per un po’ così, Liam davanti e Sophie dietro a dirigere i suoi passi resi insicuri dalla momentanea cecità, battibeccando come sempre. Incrociarono un paio di vicini di casa che li salutarono divertiti: “E’ il suo compleanno" disse Sophie a mo’ di spiegazione continuando ad avanzare. “Ah sì? Buon compleanno allora Liam. Quanti anni compi?”, “Venticinque” rispose lui girando la testa in direzione della voce della vicina, in maniera del tutto naturale, come se stesse avendo con la signora una normalissima conversazione davanti una tazza di tè invece di essere bendato e spintonato malamente. In qualche modo riuscirono ad arrivare a casa. “Ti ricordi che ci sono tre gradini?”, “Non mi spingere così, sembri un fottuto toro a Pamplona!”, “Ma sei lento!”, “Sono bendato Sophie!”, “Ti dico io dove devi andare, con tutta la fatica che mi è costata rimetterti in piedi figurati se non sto attenta!”, rispose lei mentre apriva la porta d’ingresso e lo dirigeva verso il soggiorno. “Ecco, fermo qua … no, non qua, un po’ più a destra … perfetto. Sei pronto?”, “Dai, vediamo che ti sei inventata”. Sophie gli tolse la sciarpa, lui battè un po’ le palpebre per riabituarsi alla luce e … restò a bocca aperta.

Una chitarra. Una Gibson J-200. “Ti piace?” gli chiese sottovoce Sophie. Liam non rispose subito, intento com’era a guardare la chitarra e a respingere tutta una serie di ricordi, dolorosi come spine, che cercarono istantaneamente lo spazio per riaffacciarsi alla sua memoria. “Che … - si schiarì la voce – … che dovrei farci con una chitarra Sophie?” le chiese quasi bisbigliando. “Che razza di domanda, la suoni no?” rispose velocemente lei, fintamente allegra, mentre dentro aveva iniziato a tremare.

Quando, quasi un anno prima, Liam le aveva raccontato tutta la verità su di sé, Sophie aveva faticato non poco a capacitarsene. “Dunque, ricapitoliamo – gli aveva detto ad un certo punto – Tu eri il cantante degli Oasis, avevate già pubblicato un album e stavate incidendo il secondo. Un giorno litighi con tuo fratello e decidi su due piedi di andartene in un posto in cui non ti conoscesse nessuno. Giusto?”, “Beh, manca il tentativo di mio fratello di spaccarmi la testa con una mazza e più o meno un milione di altre ragioni ma diciamo di sì”, “Quindi stanotte ho fatto l’amore con una rockstar” concluse meditabonda Sophie. “Non lo sono da più di un anno e mezzo veramente”. “C’è una cosa che non capisco però. Perché hai dovuto per forza mollare tutto? La fama, il successo, i soldi … Perché? Non potevi semplicemente chiarire con tuo fratello?”, “Tu non conosci Noel. E non conosci neanche me a dire il vero”, “Credo di conoscerti molto più di quello che pensi”, “No, tu non hai idea del punto a cui posso arrivare quando sono pieno di alcool e droga, e allora lo ero continuamente. Ti assicuro che non ti sarei piaciuto neanche un po’”.

Aveva poi proseguito raccontandole delle canzoni di Noel e di quanto lui amasse cantarle, di quanto gli piacesse stare su un palco, della sensazione di aver finalmente trovato il suo posto nel mondo. Le aveva anche detto di come fosse Noel a tenere le redini del gruppo, di quanto cercasse di controllare anche lui, di quanto lui avesse cercato di ostacolarlo in quel senso, facendo tutto il possibile per sfuggire a quel controllo che in quel momento, a posteriori, non percepiva più come una gabbia, come un guinzaglio, ma più come una sorta di scudo protettivo. “Da cosa pensi volesse proteggerti?” gli aveva chiesto Sophie. “Da un po’ tutta la situazione credo, probabilmente anche da me stesso”. Le aveva raccontato di come nell’ultimo periodo avesse avuto paura di perdere tutto, paura che poi aveva fatto da propulsore nella decisione di andarsene: meglio strapparsi il cuore con le proprie mani che stare inermi ad aspettare la fine.

“Mi vado a cambiare” le disse iniziando a salire le scale che conducevano al piano di sopra. Sophie ebbe un attimo di esitazione, ma poi lo seguì. E’ inutile fare finta di niente, prima o poi questo discorso deve affrontarlo. Appoggiata allo stipite della porta, lo guardò sedersi sul letto e rimanere fermo a fissarsi le mani, perso in chissà quali pensieri. Quella era l’unica parte di Liam alla quale lei non riusciva ad avere accesso. Provava ad entrare in punta di piedi, lui sembrava aprirsi un pochino, ma poi la ricacciava subito fuori. Decise di provarci per l’ennesima volta. Salì sul letto e lo abbracciò da dietro, appoggiandogli il viso sulla spalla.
“Dimmi a che pensi”. Silenzio. “Liam?”. Sophie notò un rapido movimento della mascella che gli indurì l’espressione e per un attimo ebbe paura di aver forzato troppo. Ma poi lui sembrò prendere una decisione e buttò fuori: ”Tu non puoi capire Sophie. Magari vista da fuori è la fottuta situazione più facile del mondo, ma per me che ci sto dentro non è così. Non ho nessuna voglia di stare a parlare di quello che è stato e di quello che cazzo poteva essere, perché è inutile”. “Ho fatto male a regalarti quella chitarra?”, “No, non è quello, è che … a che serve? Non faccio più parte di quel mondo ormai. Non ha più senso”, “Ma mi hai raccontato che stavi imparando a suonare. Mica suonano solo le rockstar eh? Puoi suonare anche solo per il piacere di farlo”. Liam scosse la testa sbuffando.

“Sembri uno struzzo” sbottò allora Sophie. “Stai nascondendo la testa sotto la sabbia. Non puoi continuare a scappare da quello che è successo. Due anni e mezzo fa hai preso una decisione. Forse hai preso quella giusta, forse quella sbagliata. Non lo saprai mai. L’unica cosa che sai è che quella decisione l’hai presa e ti ha cambiato la vita. Sta a te decidere in che senso. Non puoi tornare indietro, ma puoi andare avanti. Ma non andrai mai avanti fino a che starai sempre con la testa là. Eh sì caro, perché tu dici di non volerci pensare ma in realtà non fai altro tutto il giorno. Perché solo il fatto di non voler pensare a qualcosa presuppone che a quel qualcosa ci stai pensando eccome”.  Sophie aveva ragione, Liam lo sapeva. “Mi mancano” mormorò più a se stesso che a lei. “Anche qui ti complichi la vita da solo. Per forza ti mancano. Sono la tua famiglia. Perché ti ostini con quelle stupide lettere? Almeno telefona a tua madre! E comunque ormai sarebbe pure ora di rifarti vivo di persona no?” gli rispose Sophie. Qui Liam cambiò di nuovo espressione e quegli occhi azzurri che l’avevano fatta innamorare mandarono lampi di rabbia: ”Eh no. Questo no!”, “Oh Liam! Ancora con quella storia!”.

Liam era sicuro che qualcuno l’avesse trovato l’anno precedente, l’aveva anche detto a Sophie la mattina della sua “confessione”, come la chiamava scherzosamente lei: “Qualche idiota di giornalista ha scoperto dove sono, mio fratello ormai è troppo famoso perché i giornali si facciano scappare la notizia. Vedrai che fra poco qui succederà un casino”.  I giorni erano passati, poi erano passate le settimane e infine i mesi, ma non era scoppiato nessun casino. Inizialmente ne era stato sollevato, ma poi aveva iniziato ad irrigidirsi e alla fine si era proprio incazzato. Noel. C’entra lui, aveva deciso Liam fuori di sé. E’ lui che non mi vuole e chissà quanti cazzo di soldi ha tirato fuori pur di non far trapelare niente. Se mamma sapesse dove sono col cazzo che rimarrebbe a Manchester, correrebbe qui da me.

Quel giorno Liam non toccò la chitarra regalatagli da Sophie. Lei la tolse dal tavolino sul quale l’aveva sistemata e l’appoggiò in un angolo del soggiorno, ormai quasi certa che prima o poi Liam avrebbe capitolato.
Ripresero la loro vita quotidiana nell’insolitamente tiepida aria autunnale di Dalmeny, quell’aria tersa e profumata di pini, querce, aceri e pioppi, con le foglie di ogni colore possibile, dal verde al giallo, dall’oro al rosso. Sophie si era ripromessa di non riprendere più per prima l’argomento, avrebbe lasciato la palla a lui. Probabilmente fu la mossa giusta perché Liam non riusciva a staccare il pensiero dalla chitarra che sembrava aspettarlo, nell’angolo della casa che preferiva, sotto la finestra dalla quale si intravedeva il lago.

Un pomeriggio di qualche tempo dopo la prese in mano, la guardò da vicino e la rimise giù. Il giorno successivo si sedette sul divano e se la mise sulle ginocchia, mettendo le mani in posizione. Neanche il tempo di accorgersi di quello che stava facendo che le dita iniziarono a muoversi, quasi da sole. Prima incerte, poi sempre più sicure … qualcosa ricordava, dopotutto. Quando Sophie tornò dal turno del pomeriggio lo trovò così, nella stanza in penombra, chino sulla chitarra, intento a seguire una melodia che sembrava avere chiara nella mente ma che non riusciva a riprodurre come voleva. Non la sentì neanche entrare. Senza fare rumore Sophie salì al piano di sopra.

Londra, ottobre 1997

“Stronzi. Stronzi che scrivono stronzate” bofonchiò Noel tirando la rivista dalla copertina patinata dall’altra parte della stanza. Meg si scansò appena in tempo per non essere presa in piena faccia. “Giornalisti del cazzo”, continuò lui finendo in un colpo solo quel che rimaneva del liquido marroncino. “Se lanci anche quello m’incazzo Noel, mi incazzo di brutto” fece Meg togliendogli di mano il bicchiere di cristallo e sedendogli in braccio: “Se vuoi tirare qualcosa te la posso preparare io” ridacchiò lei, “Non posso – rispose Noel affondando il viso fra i capelli ossigenati di quella che qualche mese prima era diventata sua moglie – non sono passati neanche venti minuti dall’ultima”, “E dai, lo sai che non mi piace farmi da sola”, lo pregò con voce lamentosa cominciando a baciarlo sul collo. “A questo puoi rimediare facilmente. Basta che scendi di sotto e cerchi uno qualsiasi dei tuoi amici” disse Noel alludendo alla bolgia che folleggiava ubriaca e Dio solo sa che altro al piano terra di Supernova Heights, la sua super lussuosissima casa di Primrose Hill . “Vaffanculo Noel”, “Grazie, altrettanto”.

Le assurde previsioni di McGee si stavano avverando. Ok, il suo Be Here Now era stato un best seller istantaneo con un milione di copie vendute solo nella prima settimana e solo nel Regno Unito, ma non stava ricevendo le critiche positive che Noel si sarebbe aspettato dopo i trionfi di (What’s the story) Morning Glory? . E tutti davano le stesse motivazioni: superbia senza sostanza, troppo rumoroso, tronfio, le canzoni durano troppo … beh, anche per l’album precedente le recensioni erano andate maluccio quindi tutto sommato poteva pure essere un buon segno però … Noel sentiva che c’era qualcosa che non andava. In qualche recesso della sua mente sapeva che quei grandi imbecilli che di musica sapevano solo parlare avevano ragione, sapeva di aver sbagliato i conti, che tutta la baldoria fatta durante le registrazioni e soprattutto la spaventosa quantità di droga che era girata non poteva aver dato buoni frutti. Neanche spostarsi in mezzo al nulla nel Surrey era servito a contenerli, lui e tutto il resto del gruppo.

Ma cazzo, per una volta che si era voluto rilassare, che aveva voluto godersi il risultato di tutta quell’immane fatica, di tutto il suo lavoro – durante altro lavoro, comunque - perché doveva andare tutto storto? Perché doveva sempre stare attento a tutto e a tutti, perché non c’era nessuno che stesse attento a lui? Perché gli altri potevano folleggiare come pazzi tutto il giorno e tutta la notte e lui no? Perché lui non se lo poteva permettere, la risposta già la conosceva. Era luiThe Chief, era lui che aveva la responsabilità di tutta la baracca, lui e nessun altro. Che poi era una responsabilità che si era preso da solo, che , anzi, aveva preteso come moneta di scambio ( Io vi regalo le mie canzoni, il mio sapere di musica più di tutti voi messi assieme e le mie conoscenze nell’ambiente, voi mi cedete tutto il potere decisionale … beh, naturalmente non c’era stato niente di così diretto quando Liam era riuscito a convincerlo ad entrare nel gruppo, ma tutti tacitamente sapevano che l’accordo sarebbe stato quello, anche Liam. Soprattutto Liam) e tutto sommato Noel stesso l’aveva percepito come il giusto prezzo del successo, ma Cristo Santo, che altro avrebbe potuto fare? Se non ci avesse pensato lui a metterli in riga quei quattro imbecilli quando mai avrebbero sfondato? Le sue canzoni, le sue creature, da sole non sarebbero certo bastate senza un po’ di disciplina, senza un po’ di sudore. Già gliele lasciava suonare e per Noel era un po’ come farle violare considerando che il talento negli altri componenti degli Oasis non era certo eccelso, che almeno si regolassero un po’, che cazzo.

Il tour stava andando invece benone, sold out ovunque, era tornato da poco dagli Stati Uniti e a fine mese sarebbe ripartito per la Germania, ma anche lì … era tutto così stressante. Non erano i concerti a pesargli, quelli no, lui viveva, respirava per quei momenti sul palcoscenico, era tutto il contorno ad esasperarlo: le interviste, con tutte quelle domande così simili fra di loro in qualsiasi parte del mondo andasse, le ospitate in televisione dove tutti si affannavano a convincerlo a suonare in playback quando per lui era una specie di anatema, di offesa. Almeno a casa gli avrebbe fatto piacere rilassarsi un po’ ma con Meg e i suoi ritmi da festaiola perenne non era una cosa pensabile.

Noel cominciava a nutrire seri dubbi sulla solidità della loro storia ed era davvero una cosa da ridere considerando che erano sposini novelli. Non ricordava molto né della decisione di sposarsi né tantomeno della cerimonia. Aveva ricordi molto nebulosi di una serata a Las Vegas in cui invece di andare a sperperare un po’ del suo patrimonio in giro per casinò come qualsiasi trentenne multimiliardario (merda, già trent’anni!) si era ritrovato in quella assurda cappella a giurare amore eterno a Meg. Amore eterno. Noel si era sempre chiesto come cazzo fosse  possibile giurare a qualcuno di amarlo tutta la vita ma Meg ci teneva così tanto a diventare la signora Gallagher. Lui non se l’era sentita di negarglielo. Tutto da ridere, no? L’aveva sposata per non darle un dispiacere, che non è un gran bel motivo per sposare una persona. Eppure solo qualche tempo prima non era così, l’aveva amata sul serio rifletteva Noel. Cazzo, già ne parlava al passato. Ma no, decise all’improvviso, sono tutte stronzate, sono solo questi fottuti giornalisti che mi fanno uscire di cervello. Andrà tutto bene. Si alzò dalla poltrona deciso a scendere al piano di sotto e a rilassarsi alla maniera di sua moglie.

La cercò in mezzo a quella massa di persone, stupendosi del fatto che ne conoscesse ben poche, fosse stato a una festa in un qualsiasi locale passi, ma era in casa sua! La vide dopo un bel pezzo, piegata in due da quella risata irritante che aveva solo da sbronza. Noel si sentì congelare da un’ondata di rabbia, gli dava sempre fastidio vederla così, non poteva farci niente. Decise di lasciar perdere, tornò al piano di sopra e prese fra le mani, quasi abbracciandola, la sua chitarra, l’unica ancora di salvezza pulita, pura, che ancora si permetteva di avere nella sua vita.


 
Ciao a tutti! Pardon per il ritardo nella pubblicazione ma ero in vacanza. Pardon pure per il finale moscio ma nonostante abbia ben chiari in mente tutti questi ultimi capitoli la fine di questo proprio non mi usciva. Dato che tutta la storia si fonda sulle vite parallele dei due fratelli scemi, mi piace sempre inserire qualcosa che li leghi a distanza (o per somiglianza o per contrasto), quindi volevo finire entrambe le parti con la stessa scena: loro due che suonano. Purtroppo quella che riguarda Natalino nostro non mi è venuta come volevo, nonostante le due settimane di riflessioni (si vede che le vacanze mi fanno male!). Se vorrete tirarmi frutta e verdura capirò (sono gradite le fragole, grazie.) Al prossimo capitolo!

  
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