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Autore: SAD_robot    10/05/2013    2 recensioni
Scoprii una lunga scala di corda addentrarsi nel cuore della densa oscurità.
Non avevo più nulla da perdere, ormai. La donna che mi aveva dato alla luce aveva appena tentato di uccidermi, e tra le mani non stringevo nient'altro che sabbia. Attorno a me, le mani di chi non ho mai conosciuto tentavano di tirarmi a sé, e quelle pareti spente sembravano deridermi per quel mia madre aveva appena fatto.
Discesi la scalinata mosso più dalla curiosità che dalla disperazione, ma non saprò mai se abbia fatto la scelta giusta.
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                            La grotta degli impiccati


Fui molto attento a valutare le mie possibilità di sopravvivenza quando, dal fondo del dirupo dove mia madre mi aveva gettato, una mano mi afferrò per la manica unta e malconcia, aggrappandosi a me come a un sospiro nell'ombra. Vedevo, sotto a quella sua pelle nera, l'odio e la disperazione dello spirito a cui apparteneva, e ebbi il timore di chiedermi cosa ci facesse un uomo ancor vivo sotto alla sabbia ustionata di quel deserto ignorato dai più.
  Sembrava ce ne fossero altre ad attendermi sotto a quel pavimento argilloso. Vedevo la sabbia smuoversi, fremere d'invidia nei confronti del mio corpo caldo e ben formato, e io, che ancora guardavo verso l'alto, attendevo di poter scorgere un volto come il mio.
   Ma il viso di mamma non si presentò più sull'orlo del precipizio, e, come lei, i volti di chi avevo conosciuto si rifiutavano di mostrarsi anche nella nuvola più leggera. 
   Tentai con tutte le mie forze di liberarmi da quella presa scheletrica, ma, a ogni arto spezzato, malinconiche e opprimenti, altre mani aprivano una breccia nelle mie difese, ed eloquenti mi invitavano a raggiungere il loro mondo sotterraneo e senza tempo. Urlai per la paura, per la vergogna di essere capitato in un luogo come quello, ma lo scrocchiare di quelle pallide ossa fu più forte della mia voce soffocata.
   Il senso di abbattimento percosse le ferite che mi ero procurando stramazzando laggiù. Mi sentii perduto, poiché mi fu impossibile scorgere un saldo appiglio per poter ritornare a essere colpito dalle premure del sole. Le pareti di quella fossa sembravano volersi abbattere sul mio capo stressato, strappandomi sofferente alla vita che avevo appena vissuto. 
   Allontanandomi affannato dalla sagoma che avevo lasciato al terreno, mi procurai un obiettivo da raggiungere al più presto. Avrei calpestato di nuovo la superficie, e avrei chiesto spiegazioni incarnando la più corposa rappresentazione della vendetta.
 
 
   Avanzai, lasciando che le ossa aggrappate al mio corpo si spezzassero nella naturale trazione della decisione che avevo preso. Quando scorsi in lontananza un piccolo pozzo fatto di pietre polverose, vidi i miei persecutori indietreggiare, e potei proseguire con calma verso quello che sembrava essere il portale che si affacciava al mondo più tetro. 
  Discendendo i gradini di corda nella crescente oscurità, ebbi visioni sconcertanti. Affogai tra proiezioni di morti dimenticate, macabre feste, e volti terrorizzati i cui lineamenti assecondavano i ricordi dei miei incubi peggiori. 
   Che stupido che ero stato, quando, deciso a raggiungere di nuovo la superficie, avevo sfiorato per la prima volta le pietre di quella lugubre fossa.  
   Quando l'oscurità divenne l'unica ospite nei miei polmoni, potei finalmente poggiare il piede sulla terraferma, che scricchiolò infastidita sotto al mio peso. Il mio arrivo fu accolto da un giustiziato, le cui carni scure parevano essere incapaci di riflettere la luce della vecchia lampada che l'uomo reggeva con le sue dita scheletriche. Mi fissava immobile, come se già sapessi quel che avrei dovuto fare. Ma io, impallidito dalla forte paura, non potei far altro che sperare che quel vecchio cadavere non crollasse a terra, lasciandomi al buio in una pozza di olio inutilizzabile.
   Presto, la salma mi diede le spalle, e prese a spostarsi lentamente reggendosi sulle gambe rugose e tremolanti. Lo seguii, poiché non avevo alcuna intenzione di restare tra le ombre dell'oltretomba.
 
 
   Mi resi conto immediatamente della portata della mia scoperta. Nessun altro doveva aver mai visto un luogo del genere, fatta eccezione per chi mi stava fissando in silenzio e per l'uomo che stavo inseguendo, il cui lungo cappio reciso ostacolava i miei passi.
   Sembrava di attraversare un lungo palco di pietre, recintato da vecchie forche da dove i giustiziati, danzando, mi sorridevano, e mi sussurravano i talenti che avevano avuto nella vita conclusa.
   Quel che mi sorprese di più, però, fu il constatare come l'aria all'interno di quell'antro sotterraneo si presentasse molto più leggera e profumata rispetto a quella che avevo inalato all'esterno. Fui attraversato dal furore dell'oceano e dal gelo delle vette lontane, e gli umori di primavera si posavano con la mia ombra su quel sentiero ordinato. 
   Le gocce d'acqua che crollavano dal soffitto scandivano i miei passi e quelli del giustiziato, che si avvicinavano lentamente verso quella fonte di luce che incominciava a illuminare brutalmente la stanza.
   Quando la mia guida dirottò il suo percorso, mi lasciai accecare dal bagliore violento che mi attaccò dal davanti, pur di non vedere quel che avevo appena scorto.
   Oltre ai giustiziati, che penzolavano innocui dalle loro forche di ferro e pietra, un mare di cadaveri striscianti mi stringeva ai lati, impedendomi di trovare una via d'uscita. Potevo rivedere lo spettro delle loro vite tra le crepe dei crani sbiancati, e quel che vidi non mi piacque affatto. 
   Il mio sentiero era ormai stato spezzato, e non mi fu concessa nessuna via di fuga. Non potei far altro che restare immobile, in quella terra infinita di corpi che si contorcevano come vermi attorno a quella luminosa eccezione che rischiarava quella che credevo essere una piccola grotta, ma che ora, brutale rivelazione, mi si presentava come qualcosa di più simile all'inferno dei miei incubi a occhi aperti. 
  Mi sforzai di capire. Nessuna di quelle salme animate dai misteri della morte sembrava essere interessata a me. Arrancavano affannate fino ai piedi del trono di pietra, dove la luce si posava silente, ma poi, in un inquieto lamento, deviavano la propria strada per lasciar posto ad altri gemiti disperati. Non vi era alcuna traccia degli eloquenti demòni assetati del dolore umano, e l'uomo che mi aveva guidato fin lì sembrava esser scomparso tra le ombre di quel rumoroso spettacolo. Potevo esser morto ai piedi di mia madre, o forse addormentato tra le sue braccia. Sembrava essere una fantastica allucinazione, dove ogni tetro colore convergeva verso la luce che mi fronteggiava.
   Presto, mi sentii richiamato dal torpore del lucente signore di quella terra. Seppur non avesse forma, né spessore, lo fissai infatuato, come se all'interno di quella luce si stesse nascondendo il senso di ogni mio desiderio. Avanzai verso di lui, senza badare allo scrocchiare delle ossa che stavo calpestando. E, giunto ai piedi del suo trono, decisi di allungare il braccio verso quello scudo lucente, per poter afferrare con le mie mani quel che avevo sempre desiderato.
 
 
   Scivolai lungo un dolce pendio, baciato dalla neve e dal rossore del tramonto, accompagnato da  massicci abeti fin dove mia madre mi attendeva nascondendo la sua preoccupazione nel torpore del mantello. 
   Era da così tanto che non avevo avuto modo di farlo, che ridevo ignorando le schegge della slitta che mi s'inforcavano tra le dita nude e infreddolite, e tenevo la bocca ben spalancata a catturare con avidità l'aria pulita che intralciava la mia corsa. Ogni volta che raggiungevo la vallata, mamma mi scongiurava di indossare i miei vecchi guanti di cuoio ed io, ogni volta, declinavo l'invito accingendomi a distendere un nuovo sentiero sulla neve vergine.
   Questo non le piaceva. Mamma sbuffava, imprecava, forse, soggetta alla tenebrosa stretta del rimorso di avermi dato alla luce. Questo faceva sorgere in me un grande conflitto tra il dispiacere di non poter assecondare i suoi desideri e il gesto istintivo che mi portava a risalire meccanicamente fino alla cima della collina. Ero piccolo, curioso e inesperto. Non ero un bambino come gli altri ma, nel mio piccolo, pretendevo di esserlo.
   Nessuno dei due aveva idea di quel che il futuro ci avrebbe portato. 
   In un angolo della mia mente, il mio spirito si lamentava della propria stoltezza, che l'aveva riportato a governare un corpo mortale che sembrava esser incapace di imparare dai propri errori. Quel bambino, dopotutto, non poteva credere che presto tutto sarebbe finito.
   Entro qualche anno, mamma mi avrebbe gettato nel più profondo dirupo che i miei occhi avessero mai visto. Di nuovo. 
   Era un ciclo irrefrenabile a cui il mio spirito non riusciva a resistere. 
   La vita di un uomo è troppo corta per poter indovinare il senso della vita, ma la mia era troppo breve per poter afferrare i desideri che il mio inconscio mi sussurrava.
   Ero condannato per l'eternità a rendermi schiavo delle illusioni che la vita mortale mi aveva donato. Crollavo di nuovo nella grotta degli impiccati e, allungando il braccio, credevo di poter afferrare il succo dei miei desideri, che mi avrebbe reso libero dalla materia opprimente che circondava la superficie del mio mondo. Ma sbagliavo, e ritentavo: così per sempre.
   Ritornavo all'istante nel grembo della mia carnefice, e la mia vecchia memoria veniva polverizzata dal suo sangue acido.
   Cosa desidererà questa volta? sembrava chiedersi la mia anima, già sconfitta.
   Non avrei mai potuto trovare la chiave del paradiso con quel poco tempo a disposizione. 
   Sono condannato a marcire per sempre nella terra degli uomini, agonizzando ai piedi di quella luce che promise più volte di portarmi via. 
  
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