4° Capitolo – Una vita per una vita
https://www.youtube.com/watch?v=iMyo8I8AKmY
La sofferenza di quella donna le arrivò al cervello veloce ed
improvvisa come un fulmine. Non se lo aspettava e inizialmente non seppe cosa
fare, come reagire.
E forse furono la sua essenza e il suo potere ad agire per
lei.
Sapeva solo di dover trovare la fonte di quel malessere e
mettervi fine perché non poteva accettare che quella signora fosse scossa da un
dolore così straziante.
In fretta si fiondò giù per le scale e arrivò davanti alla
porta. Sapeva bene che sarebbe stata chiusa, così si sollevò sulle punte e si
attaccò al solido e grosso pomello tentando di farlo scattare; se ci fosse
riuscita la porta si sarebbe aperta.
Eravamo in salotto, Godric ed io, a discutere quando quel
piccolo vulcano irruppe nella stanza cominciando a ciarlare velocemente.
Ricordo ancora le esatte parole…
“Dobbiamo
raggiungerla perché sta male” cominciò a spiegare lei “E’ qui vicino … la sento bene” continuò per poi
ingarbugliandosi con le parole, come al solito
“Dovrebbero aiutarla perché penso che stia piangendo per qualcuno di
piccolo!”
“Non si è capito
un accidenti, Sara” la interruppi scocciato
“Spiegati meglio!”
“E’ molto triste
papi … ti prego, aiutiamola” replicò lei rivolta verso Godric, che le stava di
fronte, senza considerare minimamente le mie parole o la mia presenza
Godric continuava
a fissarla insistentemente senza parlare poi, dopo un breve assenso del capo,
le porse la mano
“Dove si trova?”
Sorrise raggiante e gli buttò le braccia la collo. Lui la
prese in braccio e seguendo le sue dettagliate istruzioni raggiungemmo un
piccolo cimitero, sul limitare della città. Da sempre ed ogni volta che
cambiavamo città, sceglievamo un’abitazione ai margini del paesino, in modo da
non dare nell’occhio.
Sara si fece rimettere a terra e seguendo le onde celebrali della
donna, la raggiunse. Quella se ne stava inginocchiata, con in mano una piccola
rosa bianca, di fronte ad una lapide collocata da poco; la terra era scossa e ancora
soffice quindi il trapasso era recente.
“Odore di sangue”
sussurrai annusando l’aria e, prendendo per mano Sara, l’avvicinai a me “Restami vicino” le sussurrai all’orecchio
“Ho paura” mi
rispose con lo stesso tono basso mentre mi si stringeva più addosso “E’ tutto buio”
“Sara” richiamò
la sua attenzione Godric “E’ lei?”
domandò volgendo lo sguardo attento verso la donna inginocchiata che ancora non
aveva scorto la loro presenza
“Si. Vedo un
bimbo piccolo” riferì lei sottovoce
Quelle immagini avrebbero continuato a vorticare per il
cervello di Sara per molto tempo. Quella donna non faceva altro che rimanere aggrappata
a ricordi ed immagini ben precise. E Sara, quasi fosse una radio sintonizzata
sulla mente di quella donna, vedeva e sentiva ogni cosa. Volle avvicinarsi a
lei così fui costretto a seguirla.
“Stai bene, signora?” le domandò abbassandosi e avvicinandosi
a lei
Vidi la doona sorriderle ed annuire in risposta poi la sua
mano si sollevò e si avvicinò alla soffice guancia della mia Sara.
“Non toccarla” ringhiai bloccandole con forza il suo braccio
La donna sgranò gli occhi, che presto andarono a riempirsi di
lacrime, ma annuì.
Sara allungò incautamente
una manina verso le vesti della donna e si accorse che perdeva sangue. Si era
sparata allo stomaco ed ora non faceva altro che aspettar di morire.
“Ti sei fatta
male?” domandò ancora toccandole, questa volta, le mani piene di graffi “Perché
ti esce sangue?”
Gloria entrò nella nostra vita da quella sera. Naturalmente
non come umana, era davvero troppo tardi per riuscire a fare qualcosa per lei.
Fu salvata da Godric perché fu la
prima umana che riuscì a toccare Sara senza farle male.
Fu la prima e rimase l’unica per molto tempo forse proprio perché
stava ormai morendo…
Il fenomeno, legato al contatto tra Sara ed un umano, quindi
la sofferenza e ustione della pelle, era qualcosa che mi aveva sempre
affascinato. Né io né Godric riuscimmo mai a capire cosa lo provocasse anche
perché la madre biologica di Sara, nonostante le sue origini e le sue conoscenze occulte, era sempre stata
umana.
Con il progredire dell’evoluzione di Sara, però, quel
particolare fenomeno diminuì e scomparve del tutto intorno al suo diciannovesimo
anno di età. Questo però lo seppi solo molto tempo dopo perchè fu lei stessa a
riferircelo.
Dall’età di dieci anni, la crescita di Sara si velocizzò.
Sino a quel momento ogni circa nove o dieci anni Sara ne
compiva uno mentre ora ne passavano appena quattro o cinque. Il legame tra lei
e Gloria era maturato di giorno in giorno; l’una felice per l’arrivo di una
figura femminile che potesse fungerle da mamma mentre l’altra, prima la
malattia poi la prematura morte del figlio l’avevano spinta sull’orlo della
depressione e poi del suicidio, quindi fare la mamma era un sogno che si
realizzava.
E forse fu proprio questo che spinse me e Godric ad
allontanarci.
Affidammo Sara, ormai quattordicenne, a Gloria mentre io e
Godric iniziammo a viaggiare. Allontanarci da lei, dalla nostra bambina, era
stato penoso e non vederla per più di vent’anni fu molto duro.
Gloria decise di non lasciare mai la Francia ma cambiavano
molto spesso cittadina, spostandosi per tutto il paese. Ci teneva costantemente
informati su tutto: sui loro spostamenti, sulla vita e i cambiamenti che
avvenivano in Sara, sui suoi doni. Per quanto mi riguarda domandavo più di lei
e del suo quotidiano che dei suoi poteri.
Passavamo molte ore al telefono, io e Sara. Le chiedevo
spesso di raccontarmi le sue giornate, di come andasse con la lingua francese,
della sua golosa ossessione per le fragole. Lei, invece, mi faceva un mucchio
di domande sui miei viaggi, sulle città che visitavo o in cui sostavo.
Era sempre stata curiosa.
I poteri di Sara crescevano e spesso lei ne era spaventata;
da questo punto di vista Gloria l’aiutava moltissimo. Conosceva la sua natura
ed esattamente come me e Godric, sapeva di cosa fosse capace. Quindi a fasi
alterne la consolava o la incitava, la vezzeggiava e l’adulava, l’amava e la
coccolava … nel modo giusto e al momento giusto. Proprio come avrebbe fatto una
madre. La istruiva ed le insegnava a sfruttare al meglio e correttamente le sue
doti facendola diventare, come spesso mi diceva al telefono, ogni giorno più
speciale.
POV Sara
I sogni diventarono sempre più frequenti ma impiegai lo
stesso molto tempo prima di riuscire a capire cosa quella donna dicesse o cosa
volesse comunicarmi. Mi disse di chiamarsi Saphira e di essere mia madre.
Quella rivelazione ebbe il potere di colpirmi profondamente e fu per questo che
non lo raccontai subito a Gloria.
So, con assoluta certezza, che mi avrebbe aiutato e sostenuto
al meglio, lasciandomi libera di pensare e agire come meglio credevo eppure
volli tenerlo, almeno all’inizio, per me sola.
Con il tempo, e l’aiuto di un buon dizionario, compresi quale
fosse la lingua che parlava mia madre: la lingua romena. Una lingua romanza
balcanica di difficile comprensione, appartenente al gruppo indoeuropeo, adottata
in Romania, Moldavia, Serbia, Bulgaria, Russia, Ucraina e Ungheria.
Saphira, nei miei sogni, appariva sempre come una bellissima
e giovane donna con incredibili occhi azzurro cielo, anche se di una tonalità più
chiara dei miei. Mi raccontò molto di lei e della sua famiglia, dei miei nonni
quindi. Mi raccontò di come e quando aveva conosciuto mio padre e di come se
n’era innamorata.
Nei miei sogni, eravamo sempre circondate da un
lussureggiante e rigoglioso giardino floreale. L’erba verde mi accarezzava i
piedi e solleticava le mie caviglie mentre il delicato profumo dei fiori lambiva
dolcemente il mio olfatto.
I nostri incontri mi erano così graditi che ben presto mi
abituai ad incontrarla nei miei sogni. Mi sentivo speciale e fortunata come
poche perché pur non avendola conosciuta in vita avevo la possibilità di viverla. Ogni volta, mi raccontava
aneddoti e storie diverse; mi intratteneva parlandomi della mia natura, di cosa
ero e di quali doni avevo e avrei sviluppato, in futuro. Ed io mi sentivo bene,
sentivo finalmente di appartenere a qualcuno, di far parte di qualcosa di reale
e tangibile.
Dopo qualche mese, però, gli incontri si fecero più diradati
ed in uno degli ultimi conobbi anche mio padre. Era di una bellezza davvero
sfolgorante ed io gli assomigliavo davvero moltissimo. Il colore dei miei
amatissimi capelli era uguale al suo, di un biondo luminoso, così come il
colore degli occhi ed alcuni tratti del viso. Gli assomigliavo in maniera
incredibile.
Mi confidarono che il mio primo nome era Sookie e che si
trattava di un nome molto diffuso e di una certa importanza tra le fate.
Nell’ultimo incontro, parlammo davvero molto ed io raccontai loro tutto di me,
di dove vivevo o di come trascorrevo le mie giornate. I loro sguardi e il tono
della loro voce mi trasmisero sensazioni così dolci e amorevoli da farmi lacrimare
il cuore.
Sentivo che quello sarebbe stato il nostro ultimo randez-vous.
Mi dissero di non amare molto la razza dei vampiri tuttavia
si dimostrarono soddisfatti quando raccontai di Godric, Eric e Gloria e di cosa
e quanto loro avessero fatto per me. Gli spiegai di come, questi tre vampiri,
mi avessero protetta ed accudita per tutti questi anni, di quanti sacrifici e
pericoli avessero corso a causa mia. Io provavo dell’affetto incondizionato per
loro e questo anche se ne conoscevo la natura cruenta e sanguinaria. A questo
proposito mio padre mi pregò di stare attenta e di prestare molta attenzione,
di non fidarmi troppo delle creature di quella specie perché, mi spiegò, si trattava di esseri oscure molto pericolosi per
gli esseri fatati. La causa era imputabile all’aroma del sangue di quest’ultimi
che sembrava essere irresistibile per i vampiri. Molte fate, infatti, erano
state “succhiate a morte” dai vampiri.
Mi salutarono, baciandomi dolcemente la guancia e quella fu
l’ultima volta che li vidi.
Raccontai tutto, a Gloria, ma solo molto tempo dopo.
Lei, con il tempo, era diventata una figura essenziale; per
la mia crescita, per il mio sviluppo intellettivo ed emotivo. Grazie a lei
conobbi la compassione, la generosità e l’altruismo; concetti che fino ad
allora, con Godric ed Eric, non avevo compreso appieno. Riuscì a capire e a percepire al meglio emozioni quali il
dolore della perdita, la paura, l’ansia o il panico. Riuscì a scindere concetti
quali sentimenti, emozioni e passioni differenziandoli all’interno delle menti
degli esseri umani, con il quale entravo in contatto.
La telepatia, capacità di cui ero dotata, si era dimostrata
in molti casi un dono prezioso. Più volte ero riuscita ad agevolare la mia famiglia e persino me stessa,
grazie ad essa. Ma non era affatto facile da gestire. Questa mia intrusione mentale
mi provocava spesso fastidiosi mal di testa ed interferiva, pesantemente, nella
rete sociale di conoscenze ed amicizie. Eppure, con l’aiuto di Gloria ero
riuscita, con il tempo, a creare degli scudi mentali che mi impedissero di star
male o di risultare strana o sgradita
agli altri.
La normalità era un lusso per me. La desideravo con intensità
pari al desiderio d’acqua di un assetato nel deserto.
Forse fu proprio a causa di tutte queste precauzioni che non
riuscì a decifrare interamente i pensieri mentali di Luis, un umano innamorato
di Gloria e di cui lei si innamorò a sua volta.
Fu a causa sua, a causa di Luis, che Gloria morì. Si svolse
tutto così velocemente ai miei occhi che non riuscì a comprendere subito cosa
fosse accaduto. Quando lo vidi ferire a morte, Gloria, e poi scappare … beh,
solo allora compresi.
Le immagini di quella notte sono ancora confuse e deboli
eppure…
Era notte e
stavamo percorrendo, a ritroso, la strada che sempre imboccavamo quando
uscivamo. Non percepì emozioni o sensazioni particolari, ero tranquilla e
rilassata ed un momento dopo gridavo cercando aiuto, preda di forti singhiozzi.
Subito dopo l’attacco, quella notte, non riuscì a fare altro se non ascoltare
attentamente ed ubbidire ciecamente alle istruzioni che Gloria, con voce pacata
ma affaticata, mi dettava.
Non la lasciai
andare e quando si accasciò a terra la seguì, reggendole il capo sulle gambe.
Ero immobilizzata dalla paura e dallo sgomento perché prima di allora non avevo
mai conosciuto la paura della perdita e il dolore dell’abbandono. Nessuno mi
aveva preparata a questo ed io mi sentivo andare in pezzi. Nessun collante mi
teneva unita mentre, immersa in una pozza di sangue, suo e del suo Luis, Gloria
mi prese la mano iniziando a parlare
“Sookie, devi
trovare Godric” le parole venivano fuori a fatica “Parti subito, non indugiare”
“Oh, Gloria …
come faccio… non posso lasciarti qui …” sussurrai in risposta con gli occhi
pieni di lacrime
“Devi tesoro. Non
… non c’è altra soluzione” cominciò a sputare sangue dalla bocca ed io mugolai
come se la ferita fossi io
“Trova Godric.
Con lui sarai al sicuro. Vai … ora”
“Sei ferita … non
voglio lasciarti…” singhiozzai ancora, abbassandomi ad abbracciarla stretta
Lei ricambiò
l’abbraccio baciandomi con dolcezza materna una guancia
“Ora fai come ti
ho detto, Sookie. Devi andare via di qui perché … è pericoloso. Trova Godric e
raccontagli tutto questo. Lui saprà cosa fare.”
Scossi la testa,
continuando a piangere a dirotto. Avevo il cuore spezzato e non riuscivo a fare
altro se non rimanere immobile ed aspettare che parlasse di nuovo
“Morirai… se non
ti aiuto morirai… io non voglio Gloria… ti prego non morire”
“Ti voglio tanto
bene, bambina mia. Ti ho amato moltissimo e sono così orgogliosa di te e di
quello che sei. Non aver paura … ti ho insegnato ad essere forte!”
Annuì tirando su
con il naso e scacciando le lacrime con le mani sporche del suo sangue
“Ora vai. Non c’è
più tempo. Parti subito … corri”
E così feci. Mi
alzai, le diedi un’ultima carezza e cominciai a correre. Mi voltai un’unica
volta indietro e, da lontano, la vidi guardarmi un’ultima volta. Poi il sangue
la soffocò del tutto … e per sempre.
Con la morte nel
cuore e il dolore negli occhi, mi fiondai a casa. Una doccia veloce, un
bagaglio leggero, soldi, telefono e scappai da quella casa per sempre.
Purtroppo non riuscì a rintracciare Godric ma fu capace di scovare
Eric. Presi tutto e mi affrettai all’aeroporto.